Decimo capitolo -
Movimento
31 Ottobre 2001
“BUH!”
“Cazzo!” Una teglia cadde sul
tavolo, rovesciando i biscotti a forma di pipistrello che c’erano sopra.
“Zia Bella ha detto
una palola!
Zia Bella ha detto una palola!”
Una palola stava per parolaccia, e
Mia nella sua maschera da fantasmino non vedeva
l’ora di sbandierarlo ai quattro venti.
“Zia Bella non si
dicono le parole!”
Lanciò un’occhiata truce all’uomo davanti a lei.
“Non
rompere.”
“Sempre di buono umore ultimamente. E’ quel periodo
del mese?” James le fece l’occhiolino, portando la tazza che aveva
in mano alla bocca.
“E’ sempre
quel periodo del mese per lei.” Intervenne Edward, rubando dalla teglia
un biscotto. E guadagnandosi un’altra occhiataccia da parte di Bella.
James si accigliò,
guardando il suo migliore amico.
“Scusa, se è
sempre quel periodo del mese quando fate sesso?” Si finse sorpreso,
quando sapeva benissimo che voleva soltanto mettere in imbarazzo Bella.
“Oh. E’ rimasta la figa di legno del College, sai.” Continuarono a parlare della sua vita sessuale
tranquillamente, come se lei non ci fosse.
“Cosa? Ormai Mia ha spiattellato ai
quattro venti che ve la intendete, voi due. E ancora
niente?” Questa volta la domanda era per Bella, perché si era
voltato dalla sua parte.
“Stiamo
scherzando.” Sussurrò Bella, stringendo lo strofinaccio che aveva
in mano.
“Dai,
tesoro! Ti servirebbe proprio un po’ di movimento.”
“Quello che penso
anch’io.” Edward diede corda al suo amico, ed
insieme iniziarono a fissarla.
“Primo, il mio movimento non vi deve
interessare.” Disse, indicando con l’indice prima
James, e poi Edward. “Secondo, il mio malumore è
dovuto a te” il dito rimase puntato su Edward, “che non mi stai
aiutando per niente. E a te,” di nuovo,
si spostò su James “Che sei peggio di quelle due pesti. Ed hai trent’anni.” Finì,
riprese in mano lo strofinaccio e continuò a decorare i biscotti.
“Cazzo, ti serve
proprio una scopata tesoro.” E sia James che
Edward si ritrovarono coperti di glassa nera.
“Quindi
niente cena a casa dei tuoi?” Domandò James, mettendosi il
cappotto. Ormai era finito Ottobre, e fuori si moriva di freddo.
“No. Bella dice che
ha un appuntamento.”
“Oh. Cullen, forse
sei geloso?”
“Io? Non abbiamo parlato di niente,
quindi è liberissima di fare quello che vuole.”
Disse Edward.
“Senti, te lo dico
ora che Bella e le bambine sono al piano superiore: non me ne frega nulla di
quello che combinate tu e lei, siete grandi e vaccinati. Ma basta che questo
non ricadrà sulle bambine.”
“Appunto. Siamo
adulti e sappiamo quando dobbiamo tenerle fuori da questo.”
“Edward, ti
conosco. Non conosco Bella, ma conosco te: so che quando ti innamori,
quando entri dentro ad una storia non ne esci più. Ci sei al cento per
cento. Ma se Bella un giorno si stancherà, devi
lasciarglielo fare. Oppure, non iniziate per niente questa cosa.”
“Abbiamo finito la
paternale?” E lì James capì immediatamente che se ancora
non era dentro al cento per cento, era arrivato al
novantanove.
“La paternale non
te la facevi fare neanche da Carlisle.”
Esordì Bella, portandosi dietro Emma e Mia. “Sono pronte. E mi raccomando, James. Poche caramelle.”
“Promesso.”
Tirò fuori quel sorriso che faceva svenire ogni donna, e poi fece l’occhiolino alle bimbe, informandole che ci
sarebbero state caramelle a volontà quella sera.
“Le vengo a
prendere domattina.” Disse Edward.
“Tranquilli. Ve le
riportiamo io e Laurent. Dobbiamo andare a pranzo dai
suoi, siete di strada.”
“Sicuro?”
“Sì.
“E niente
parolacce.” Bella puntò il dito contro James, perché Mia
aveva appena smesso di chiedere a tutti cosa fosse una scopata.
“Allora,
ci vediamo domattina. Fate le brave.” Baciò entrambe sulla fronte, coperte fino
al collo dalle loro sciarpe. Una borsa ciascuna, con le maschere di Halloween.
Erano prontissime per andare a fare dolcetto o scherzetto con James e Laurent.
“Siamo brave.
Promesso.”
“Ciao ciao.” Salutarono entrambe con le manine,
finché Bella richiuse la porta dietro di loro. Sentendo in lontananza
Mia che cantilenava parolacce e James che rideva come
un pazzo.
“Ehw.” Bella
sospirò, buttandosi di peso sul divano e stirandosi fino a sentire male
ai muscoli.
“Stanca?”
“I piedi.”
Disse, con la faccia schiacciata sul cuscino. “Non mi sento più i
piedi.”
“Se continui a
metterti quelle scarpe per andare a lavoro, dovranno amputarteli alla
fine.”
“Spiritoso.”
Non si mosse, ma i cuscini del divano si spostarono quando Edward si sedette
accanto a lei, tirandole su i piedi e mettendoli sulle sue gambe.
“Che fai?”
“Massaggio a
domicilio.” Cominciò dalle dita, fino ad arrivare al collo del
piede e poi ricominciare. Bella sospiro, affondando di
più la faccia sul cuscino.
“Male?”
“Cazzo continua!” Le uscirono di getto quelle parole, come di getto uscì la risata
dalla bocca di Edward.
Un suono che Bella
sentiva raramente, e non ne aveva mai abbastanza.
Dopo qualche minuto di
silenzio e di massaggi ai piedi, lei si voltò, restando sempre sdraiata.
“Lo sai che
dobbiamo parlare.” Spinse un po’ di più sul tallone,
provocandole una smorfia sulla bocca.
“Già.”
“Siamo persone
mature, Edward.”
“Lo so.”
“Quindi,
arriviamo subito al punto: che succede?”
“Succede che tu sei
sdraiata sul divano, e io ti sto massaggiando i
piedi.” Alzò gli occhi al cielo, si tirò su ed incrociò le gambe.
“No. Dobbiamo
parlare sul serio, ora che le bambine non ci sono.”
“Non lo so che
succede, va bene?”
“Come non lo
sai?”
“No. E’ tutto strano, Isabella.”
“Cazzo, non venirmi
a dire che è strano, che non sai come comportarti e roba del genere. So
chi sei, Edward Cullen. E so anche quante ragazze hai
avuto. Quindi, tira fuori il nocciolo della questione.”
“Non lo so. Forse è stato un momento di debolezza.”
“Momento di debolezza?” Bella
sgranò gli occhi, sedendosi ancora meglio. “Il
momento di debolezza c’è stato quando Leah
ha partorito. Ed un po’ è stato
per colpa mia, vero. Però a casa di Esme e Carlisle, io non centravo
niente. E nemmeno il momento di debolezza, perché cazzo Edward, stavo
lavando i piatti! E nemmeno l’altro ieri mattina, quando mi hai lasciata fuori al MoMa e per
salutarmi mi hai baciata. Questi non sono momenti di debolezza. Questi sono
gesti calcolati.” Riprese il fiato che aveva perso durante tutto quel
discorso.
“Succede e basta,
cosa ti devo dire? Ti vedo lì, mentre torniamo dall’Ospedale, hai
la faccia stravolta e magari pensi ancora a Jasper ed
Alice. Oppure quando sei lì a lavare i piatti, e c’è quel sedere che Bella, ringrazia che non ti
abbia spogliata a casa dei miei genitori. E poi di
nuovo in macchina, quando ti volti per salutarmi e scendere, e hai quella
faccia così stanca per colpa delle bambine, ma anche così…”
“Fermo. Mi stai
dicendo che lo fai per pietà? Perché sono stanca, e ti faccio
pena? Oppure perché sono la poverina che lava i piatti per allontanarsi
da una famiglia perfetta, tralasciando la parte del mio sedere?”
“No, Isabella!
Cazzo, perché devi sempre mettere il punto nelle parti sbagliate? In
tutto il discorso che ti ho fatto, hai capito soltanto quello che volevi
capire.”
“Ho capito quello
che mi volevi dire, Edward.” Sussurrò
alzandosi e rimettendosi le ciabatte.
“No! Non hai capito un bel nie-”
“Stasera faccio
tardi. Tanto hai detto che devi uscire anche tu, no?”
“Con alcuni
colleghi di lavoro.” Disse Edward, capendo che ormai era una battaglia
persa.
“Perfetto. Io vado
a prepararmi.” Si voltò, dirigendosi verso il piano superiore.
“Isabella?”
“Mh?”
“Posso chiederti
con chi esci?”
Sapeva che Leah non poteva muoversi da casa, con i bambini.
E che Angela stava ancora
facendo la fisioterapia.
“Con Mike
Newton.”
E sapeva anche che Mike
Newton non aveva un emerito cazzo da fare, nella sua esistenza.
Omen era uno dei
ristoranti giapponesi più famosi di New York, ed
il preferito di Bella. Si stupì non poco, quando Mike fermò la
macchina lì fuori, le aprì lo sportello e diede le chiavi al
parcheggiatore.
“Come facevi a-”
“Lo ammetto: James
mi ha suggerito qualcosa, questa volta.” Sorrise, mentre tenne aperta
l’enorme porta a vetro per farla entrare.
“Adoro questo
ristorante.”
“Già.”
Non adorava Mike Newton,
ma per quella sera poteva anche essere passabile. Si stava comportando da
gentiluomo, e Bella lo apprezzava molto.
Mike aveva già
prenotato un tavolo, e la cameriera giapponese li
condusse lì con un sorriso di cortesia.
“Piace anche a te
il sushi?” Lui si guardò intorno, grattandosi imbarazzato la
testa.
“Okay. Non hai mai mangiato il
sushi.” Esordì Bella, con lo sguardo compassionevole.
“Hai vinto tu.
Ammetto di non aver mai mangiato sushi in vita mia.”
“Perché?”
“L’idea del
pesce crudo non mi ha mai allettato, devo dirti la
verità.” Lei rise, ed aiutò Mike a
prendere la sua ordinazione. Dopo un po’ arrivarono i piatti, e
così anche le grosse risate di Bella, mentre cercava di mettere alla
prova Mike con le bacchette in mano.
“E’ la prima
e l’ultima volta.” Disse infine lui, infilzando quel pezzetto di
sushi al salmone con la forchetta.
“Questione di
abitudine.”
“Non mi
abituerò mai.”
“Però
ti è piaciuto, sì?” Sarebbe stato davvero triste, se il
sushi non gli fosse piaciuto. Anche perché quello era uno dei ristoranti
più costosi di NY.
“Non
male. E non lo
dico tanto per dire.” Bella rise di nuovo,
scoprendo che quella serata stava prendendo una piega piacevole.
“Isabella?”
“Signorina Jessica?”
“Miss Swan?”
“Newton?”
“Cullen?”
Nella confusione non
capirono bene chi aprì la bocca per primo, ma tutti e quattro si resero
conto di una cosa: Isabella era a cena con Mike, mentre Edward con la signorina
Jessica. Che a casa era definita come ‘colleghi di lavoro’.
“Vi
conoscete?
Magnifico! Siamo pieni stasera, e unire il vostro tavolo
sarebbe fantastico!” La cameriera non aspettò nemmeno una
risposta, e velocemente attaccò il tavolo vuoto a quello di Isabella e
Mike.
“Jessica
Stanley.” La signorina Jessica allungò una mano nella direzione di
Mike, e si sedette proprio accanto a lui. Così da lasciare libero il
posto accanto a Bella. Che fu subito occupato da Edward.
“Ti piace il
sushi?” Sussurrò lui, assottigliando gli occhi.
“Da
quant’è che lei è diventata una tua collega di
lavoro?”
“Ho avuto dei
problemi con quella cena.”
“Giusto. Sei corso
subito ai ripari, però.”
“Insomma, come fate
a conoscervi voi due?”
“Viviamo insieme, Newton.” Disse Edward, senza mezze parole.
“Come scusa?”
“Viviamo
solo insieme. Non
stiamo insieme.” Precisò
Bella, dandogli una gomitata e facendolo sorridere.
“Siete tipo… coinquilini?” Nessuno dei due
aprì bocca, Edward troppo preso a mangiare il sushi rimasto nel piatto
di Bella, e lei perché non riusciva a trovare le parole adatte. Ma ci riuscì benissimo la signorina Jessica, che con
molta calma e professionalità spiegò a Mike come andavano le
cose.
“Wow. James non mi ha mai detto nulla.”
“Si chiama
privacy.” Sottolineò Edward, questa volta
mangiando dal suo piatto che era appena arrivato. Mentre ‘puoi chiamarmi Jessica, Bella!’ mangiava un’insalata non condita.
Perché il pesce crudo no.
Perché i grassi no.
Perché il fritto no.
Bla bla bla.
“Ragazzi,
noi possiamo anche lasciarvi da soli. Abbiamo finito, e così potrete godervi la serata.” Esordì Bella, ma fu interrotta da una mano
posata sulla sua coscia destra.
“No. Non se ne parla. Vi offro io questa
cena.” Edward strinse di più la mano sulla coscia nuda di Bella,
facendola tornare al suo posto.
“Posso pagarla
tranquillamente io, Cullen.”
“Tesoro, lasciali
andare.” Jessica fece l’occhiolino a Edward, gli strinse la mano
che era sul tavolo e giocò un po’ con le sue dita.
“E’
James!” Isabella tirò fuori il cellulare dalla borsetta, si
alzò e si allontanò di qualche passo. Tornò indietro dopo
qualche minuto.
“Succede
qualcosa?”
“Dobbiamo andarle a
prendere.”
“Cos’è
successo?” Questa volta Edward scattò in
piedi, abbottonandosi la giacca.
“Andiamo. Mike, potresti gentilmente
occuparti di Jessica stasera?” Lui annuì spaesato, mentre la
signorina Jessica ignara di tutto continuava ad
occuparsi della sua insalata. Mentre Bella e Edward presero i cappotti ed uscirono velocemente, infilandosi nella Volvo grigia.
“Insomma, che
diamine è successo?”
“E’ inutile
che fai questa strada. Puoi benissimo tornare a casa nostra.” Edward rallentò
con la Volvo, concedendosi di fissare Bella.
“Come? James cosa voleva?”
“Mi ha detto che
andava tutto alla grande, e che erano appena tornati a casa.”
“Allora perc-”
“Tu torna a casa
nostra, Edward.”
Impiegarono venti minuti
di silenzio tombale e di sospiri lasciati apposta, per tornare a casa. Ma
quando Bella entrò e si tolse le scarpe, non
aspettò nemmeno che Edward chiudesse la porta dietro di sé, per
tirargliene una in pieno petto.
“Che cazz-”
“Ti sembravo un
cane bastonato anche stasera, eh?”
“Come?”
“Che problemi hai, Cullen? Stavo bene, stasera. Benissimo. Volevo passare una
serata tranquilla, come fa qualsiasi donna di quasi trent’anni. Ma no. Tu devi
sempre stare in mezzo. Devi sempre rovinare tutto.”
“Dimmi tu quali
sono i tuoi problemi, Bella!”
“I
miei? James ha
chiamato, chiedendomi se eri arrivato. Con
la signorina Jessica. Altro che cena di lavoro. Sapevi benissimo
dove sarei andata a cena, e hai fatto tutto apposta. Io avevo soltanto
bisogno di una serata per respirare. E basta.” Alzò
entrambe la braccia, per enfatizzare tutto quello che aveva detto.
“Con
Mike Newton? Vuoi
davvero respirare con Mike Newton, Isabella. Bene, allora vai, che lui ti
aspetta. Non sai in che guai ti vai a cacciare. Però,
vai. Sei adulta, e sei liberissima di fare tutto quello che
vuoi!” Urlò stavolta lui, allentandosi il nodo della cravatta.
“In che guai mi
vado a cacciare?”
“Non te li spiego
neanche. Perché è inutile parlare con te. E’ inutile
spiegarti con tranquillità che mi
piaci, e che potrei perdere la testa al solo pensiero di sapere che sei
lì fuori con Mike Newton. Eppure vai. Perché
sei una testarda, ottusa, egommh”
Si spostò di
almeno tre passi, trovandosi con il sedere sul bracciolo del divano e con Bella
in braccio.
“Odio le
cravatte.” Sussurrò lei, cercando di tirargliela via. Mentre i
bottoni della camicia seguirono la sua fine sul pavimento. “E toglimi le
mani dalla schiena, Cullen. Quel sedere è
tutto tuo. E lo so che non sei un bravo ragazzo.”
“Niente
affatto.” Disse Edward nella penombra della stanza, stringendo entrambe
le natiche e avvicinandola ancora di più a lui.
In meno di pochi minuti
lui rimase a petto nudo, mentre il vestito di Bella si era alzato fino alla
vita.
“Sopra.”
Disse, iniziando a baciargli il collo.
“Aspetta. Mmmh. Aspetta, Isabella.”
“Che
c’è?” Si stancò a malincuore, guardandolo con quella
faccia da cane bastonato che lui adorava così tanto.
“Devi dirmi cosa
vuoi fare.”
“Cosa
voglio fare?” Cercò di trattenere una risatina, mordendosi
le labbra.
“E devi esserne
sicura.”
“Lo sai cosa voglio
fare, Cullen? Mh?”
“Sto cercando di
immaginarlo.”
“Io lo immagino da
stamattina, invece. Voglio fare un
po’ di movimento. Quindi, alza le chiappe dal divano, e portami di
sopra.”
Edward la strinse di
più a sé, lei avvolse le gambe intorno alla sua vita e la
portò al piano superiore.
“Ogni tua richiesta è un ordine,
tesoro.”