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Autore: Angie Mars Halen    11/09/2014    2 recensioni
Fin dal loro primo incontro Nikki e Sharon capiscono di avere parecchi, forse troppi, punti in comune, particolare non indifferente che li porta ad aggrapparsi l’uno all’altra per affrontare prima la vita di strada a Los Angeles, poi quella instabile e frenetica delle rockstar. Costretti a separarsi dai rispettivi tour, riusciranno a riunirsi nuovamente, ma non sempre la situazione prenderà la piega da loro desiderata: se Sharon, in seguito ad un evento che ha rivoluzionato la sua vita, riesce ad abbandonare i vizi più dannosi, Nikki continua a sprofondare sempre di più. In questa situazione si rendono conto di avere bisogno di riportare in vita il legame che un tempo c’era stato tra loro e che le necessità di uno non sono da anteporre a quelle dell’altra. Ma la vita in tour non è più semplice di quella che avevano condotto insieme per le strade di L.A. e dovranno imparare ad affrontarla, facendosi forza a vicenda in un momento in cui faticano a farne persino a loro stessi.
[1982-1988]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ON WITH THE SHOW





Di nuovo quei fottuti insetti, di nuovo quella sgradevole sensazione di fastidio e squallore, di nuovo quelle dannate zampette che si arrampicavano lungo la mia pancia, pizzicandomi e mordendomi.

Mi rigirai nel letto e nella dormiveglia mi resi conto che mi stavo lamentando ad alta voce, ma essendo ancora in parte addormentata, ero certa che gli insetti velenosi ci fossero per davvero. Cambiai posizione svariate volte imprecando contro quelle orripilanti bestiole assassine, convinta che presto sarebbero riuscite a iniettarmi il loro veleno. Mi maledissi mentalmente per aver preso una pasticca di troppo, anche se lo avevo fatto per una buona causa: mi sembrava che le mie ossa si stessero frantumando a causa dell’astinenza ed ero convinta che se non avessi assunto una dose sarei morta. Ora però gli effetti collaterali avevano cominciato a farsi sentire e le zampe degli insetti sembravano affondare nella mia pelle come tanti piccoli spilli. Poi, come se non bastasse, un paio di braccia mi strinsero la vita e mi sentii oppressa da qualcosa di caldo.

“Calmati, Sharon, va tutto bene,” mi rassicurò una voce profonda e familiare.

“Brett?” chiamai mentre mi coprivo il volto e buona parte del capo con le mani e le braccia.

“No,” mi contraddisse la voce paziente. “Sono Nikki.”

Il suo nome risuonò dolce tra le pareti della piccola stanza e solo allora mi decisi a rilassare i muscoli di tutto il corpo e a scoprirmi il viso per permettere alla luce dell’alba di accarezzarmi la pelle.

“Ti ricordi dove ti trovi? Non sei più a casa con Brett,” mi domandò mentre mi sfiorava una guancia con la punta delle dita.

Annuii impercettibilmente. “Non ci sono insetti, vero? Erano solo una brutta allucinazione.”

“Non c’è nessuno oltre a noi, neanche un moscerino.”

Mi girai a pancia in su con un movimento brusco, ritrovandomi a fissare il soffitto bianco al centro del quale pendeva un lampadario dalla forma sferica. “Dio, che paura. E adesso ho anche male dappertutto.”

Nikki mi posò una mano sulla testa e mi invitò ad appoggiarla contro la sua spalla. “È colpa di quella roba di ieri sera. Forse non avresti dovuto prenderne così tanta.”

Forse avrei fatto decisamente meglio a non prenderne più, ma il solo pensiero mi faceva andare in paranoia. Senza contare che smettere non sarebbe stato per niente facile. Non avevo abbastanza soldi per permettermi di pagare un esperto che mi aiutasse nella riabilitazione ma, soprattutto, non avevo abbastanza forza di volontà per abbandonare quello schifo. Sospirai innervosita contro il petto di Nikki, il quale accarezzò i miei capelli arruffati e madidi di sudore.

“Torniamo a dormire,” disse a bassa voce. “È ancora presto per alzarsi.”

Mi accucciai contro di lui con l’intenzione di riprendere sonno, ma il semplice fatto di trovarmi proprio là, in quella stanza piccola e bianca, la nostra, mi aveva fatto passare del tutto la voglia di riposarmi. Non capivo che senso avesse dormire quando avrei potuto restare sveglia a contemplare quel tizio che era appena entrato a far parte della mia vita per portarmi un po’ di quell’affetto che per anni non avevo ricevuto. Era già passato un mese dal giorno in cui mi ero trasferita in quell’appartamento fin troppo stretto per due persone, eppure ero ancora elettrizzata come la mattina in cui Nikki mi aveva chiesto di lasciare la casa che avevo condiviso per mesi con i miei amici per stare da lui in modo che potessimo tenerci compagnia. Ora potevo finalmente affermare che la sua idea si fosse rivelata sensata e, soprattutto, efficace.

Sorrisi e osservai Nikki, che aveva già ripreso a dormire placidamente come uno di quei mocciosi che, dopo aver saltato per il salotto per un’ora gridando e cantando, si accascia sul divano e si addormenta, costringendo i grandi a prenderlo in braccio per portarlo a letto. Scostai i ciuffi corvini dal suo viso, per una volta privo di residui di trucco, poi mi sforzai di riaddormentarmi.

Ci svegliammo qualche ora dopo, quando la luce che entrava dalle veneziane diventò troppo potente per permetterci di dormire ancora. Nikki si alzò per primo e in tutta fretta dal momento che era già in ritardo per l’appuntamento per la registrazione del loro secondo album che, stando a ciò che i ragazzi mi avevano detto e a quanto io stessa avevo avuto l’onore di sentire, era destinato a vendere un elevato numero di copie in più rispetto al disco precedente.

Mentre scendevo le scale, stavo ancora pensando a Mick che, borbottando come una caffettiera in ebollizione per l’irritazione, una sera si era deciso a farmi sentire qualche riff che aveva intenzione di utilizzare per uno dei loro nuovi pezzi. Ero sovrappensiero e un po’ stanca, dunque non mi accorsi subito della presenza di un postino in difficoltà fermo davanti al cancello. Quello, un ragazzo magro come un chiodo, più o meno mio coetaneo e con i capelli rossi a spazzola, scorreva con apprensione i nomi sulle cassette alla ricerca di quello giusto, stringendo tra le mani una lettera dall’aspetto comune. Osservai divertita i suoi occhietti chiari e spalancati che si assottigliavano ogni volta in cui doveva leggere l’etichetta riportante il nome di uno dei condomini e abbozzai un sorriso.

“Scu–scusa, posso chiedere un’informazione?” saltò poi su, l’indice magro puntato verso l’alto per farsi notare.

Distolsi lo sguardo dalle lastre di pietra che componevano il viottolo dissestato del cortile e gli diedi il permesso di parlare con un cenno del mento. Il ragazzo si grattò la nuca con fare impacciato e si portò la busta davanti agli occhi per leggere il nome del destinatario. “Volevo sapere se il signor Franklin Carlton Serafino Feranna abita qui. Devo consegnargli una lettera, ma il suo nome non corrisponde a questo indirizzo.”

Feci mente locale e cercai di ricordarmi i nomi di tutte le persone che vivevano nel mio stesso blocco di appartamenti, poi scossi il capo. “Mi dispiace, ma non l’ho mai sentito.”

Il postino sbuffò, visibilmente agitato. “Ho già controllato l’intera via sperando che avessero sbagliato il numero civico, ma non c’è traccia di questo signor Feranna.”

In quello stesso momento, ovvero poco prima che consigliassi al ragazo di utilizzare una di quelle tecniche di auto-rilassamento per evitare di andare in iperventilazione a causa di una lettera che non sapeva a chi consegnare, Nikki uscì dal portone principale e si avvicinò al postino, anche lui incuriosito dal suo comportamento. Cominciai a incamminarmi lentamente, certa che Nikki mi stesse seguendo, ma quando mi girai per controllare quanto rimasto indietro non lo vidi più. In compenso il postino si stava dirigendo verso il suo scooter col motore palesemente truccato, ora rilassato più che mai.

“Se stai cercando il tipo di prima, è tornato in casa,” gridò mentre mi passava vicino, poi accelerò, sfrecciò via scoppiettando e sparì in fondo alla via, all’ombra delle chiome degli alberi che costeggiavano la strada.

Aggrottai la fronte e mi appoggiai al muretto del cortile in attesa che Nikki tornasse, godendo di una lieve brezza che si era appena levata ma che era destinata a durare solo qualche secondo. Volsi poi lo sguardo verso la finestra del nostro appartamento e, visto che Nikki ci stava mettendo troppo e io stavo rischiando di mettere le radici su quel dannato muricciolo scalcinato, mi diressi a grandi passi verso le scale. La porta era aperta e per questo mi aspettavo di trovare Nikki intento a rovistare dappertutto alla ricerca di qualcosa che doveva portare con sé ma che aveva dimenticato, invece lo sorpresi accasciato su una sedia, un gomito appoggiato sul tavolo e un braccio che penzolava lungo il fianco. Davanti a lui c’era una lettera scritta a mano con una grafia sottile e, poco più in là, strappata a metà, c’era una busta. Ne presi una delle due parti e lessi il nome del destinatario. Il cuore mi saltò in gola e strabuzzai gli occhi senza aver capito nulla di ciò che stava accadendo.

“Franklin Carlton Serafino Feranna,” ripetei ad alta voce, poi guardai Nikki. “Perché stai leggendo la sua lettera?”

Nikki sollevò il capo e mi mostrò un’espressione spaventosa e sconvolta. Gli occhi chiari erano spalancati come se si fosse appena ritrovato davanti ad una scena atroce di uno di quei film d’azione che trasmettono a notte fonda, le labbra socchiuse come se avesse voluto parlare ma non ne avesse avuto le forze.

“Nikki?” lo chiamai piano. “Cosa sta succedendo?”

Sollevò una mano tremante e la portò vicino ai bordi del foglio per prenderlo tra la punta delle dita come se fosse stato infetto e lo spostò appena verso di me. “Franklin Feranna sono io.”

Tu?“ ripetei, accompagnando la voce con una smorfia di meraviglia. “Per caso mi stai prendendo in giro?”

Scosse il capo. “Ero io. Poi un paio di anni fa ho cambiato nome. Volevo chiudere con il mio passato e ricominciare una vita qui a Los Angeles sperando che fosse migliore di quella che avevo vissuto fino ad allora.”

“Chi è che può mandarti una lettera utilizzando ancora il tuo vecchio nome?”

Si lasciò sfuggire un sorriso sghembo e afferrò il foglio con più violenza.

“Mia madre che, dopo un anno e mezzo che non si fa viva, mi chiede se sto bene e mi ricorda che una delle mie sorelle vive con lei e se la passa divinamente, mentre l’altra non vuole nemmeno vedermi. Per concludere, dice che i nonni sono un po’ preoccupati per me,” accartocciò la carta stringendola finché le nocche non diventarono bianche. “Se fosse veramente così, non avrei mai lasciato casa mia.”

Per un attimo smisi di respirare, colpita da quelle parole che, sebbene le avesse pronunciate con un tono quasi spavaldo, dovevano essergli costate parecchio care. Mi sedetti sull’altra sedia facendo attenzione a non far stridere i piedini sul pavimento e, nel momento in cui feci strisciare una mano sulla superficie fredda del tavolo per raggiungere la sua, mi resi conto che, in fin dei conti, io di lui non sapevo nulla. Non ci eravamo mai raccontati neanche un particolare della nostra vita precedente. Sapevamo a malapena da dove arrivavamo anche se lui preferiva definirsi un vagabondo che non aveva mai avuto una casa fissa. Mi fermai con la punta delle dita a pochi centimetri dalle sue, incerta se toccarlo o ritrarre la mano, dubbio che in realtà preludeva ad un altro più profondo: scappare da una persona che non conoscevo o fidarmi e cercare di saperne di più? Nikki mi sorprese quando appoggiò il palmo della sua mano sinistra sul dorso della mia, come se mi avesse letto nel pensiero e avesse voluto invitarmi a scegliere la seconda alternativa.

“Mia madre non è mai stata molto presente nella mia vita. Anzi, non c’è stata quasi mai,” cominciò mentre passava lentamente la mano sulla mia. “Con mio padre ci ho parlato due o tre volte, l’ultima delle quali era per telefono e si è conclusa con la frase ‘io non ho un figlio’. Mi hanno cresciuto i miei nonni, che per mantenere tutti e tre mi portavano avanti e indietro tra il Texas, l’Idaho e qualche altra città per poter lavorare. Ho una sorella più piccola che vive con mia madre, mentre io non ci ho mai vissuto. E ne ho anche un’altra, ma non l’ho mai conosciuta perché non vuole vedermi, o almeno questo è ciò che mia madre vuole farmi credere. Non so se fidarmi o no, sai?” fece una pausa durante la quale afferrò la lettera accartocciata e la scagliò contro il muro, producendo un suono flebile nel momento in cui la carta urtò l’intonaco. “Sono partito per Los Angeles perché volevo crearmi una vita nuova e ricominciare da zero, spaccare il mondo con la mia musica e far vedere a tutti che non sono uno sfigato come Frankie Feranna. Ci stavo riuscendo... ci sto riuscendo. Poi è arrivata quella lettera del cazzo.”

Si fermò all’improvviso e si morse il labbro inferiore, come se avesse voluto frenare delle parole poco opportune che stavano per uscirgli dalla bocca.

Girai la mano in modo che la sua scivolasse sotto la mia e vi aggiunsi anche l’altra per poterla stringere tutta. “Anch’io non ho mai ricevuto tante attenzioni. Eravamo in tanti fratelli, quando non studiavamo lavoravamo per portare a casa qualche spicciolo in più, e questo non mi faceva stare bene, soprattutto perché sembrava che a nessuno importasse di quanto mi sforzassi per intascare qualche dollaro ogni volta.”

Nikki scosse il capo e sentii la sua mano chiudersi in un pugno tremante sotto i miei palmi. “Però tu avevi una famiglia, una casa fissa e tanti fratelli. Non hai passato la tua infanzia a rotolare da una parte all’altra come una cazzo di pietra senza mai vedere tua madre e tua sorella.”

“Mi sono sentita rinnegare quando ho riempito la valigia e sono uscita,” raccontai mantenendo un tono di voce molto pacato. “Forse avevano ragione a darmi dell’ingrata, del resto li ho lasciati. Ma questo significava comunque che avevano una bocca in meno da sfamare.”

Il suo pugno sobbalzò sotto le mie mani e sollevò la testa con uno scatto. “Erano arrabbiati perché in fin dei conti tenevano a te. Quando ho deciso di lasciare Seattle mia madre mi ha anche pagato il biglietto del Greyhound senza osare obiettare.”

“Può essere,” mormorai con la voce incrinata dalla commozione. “Del resto, ogni genitore ama i propri figli, però io ero ritenuta la pecora nera di casa e quella fattoria in mezzo al nulla non era certamente il mio posto. La vita qui a L.A. è difficile, però mi sento libera. Forse, se non avessi avuto Brett con me, non ce l’avrei mai fatta a sopravvivere perché mi ha sempre sostenuta nel momento del bisogno.”

Nikki increspò le labbra in un sorriso amaro che si addolcì man mano che le nostre dita si intrecciavano, infondendo in me quel calore di cui avevo sempre sentito un forte bisogno, come una terra che non vede mai l’estate. Sembrava volesse ricordarmi che anche lui era pronto a starmi vicino se ne avessi avuto bisogno, ed io gli giurai lo stesso attraverso un abbraccio. Non ci servirono parole per prometterci che ci saremmo aiutati a vicenda, ma il particolare fondamentale che non avevamo ancora capito era che, prima di affrontare il futuro, avremmo fatto meglio a fare pace con il nostro passato.




N.D’.A.: Buongiorno! =)
Innanzitutto, mi scuso per il lieve ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, ma ieri non ho proprio avuto modo di accedere.
Poi, come sempre, grazie a chi segue! ♥
Ci si rilegge mercoledì prossimo!
Glam kisses,

Angie Mars


Titolo: On With the Show - Mötley Crüe


   
 
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