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Autore: LaMicheCoria    11/09/2014    1 recensioni
“Non ho visto nulla” lo precede, allora, per chiudere la questione in maniera definitiva.
Non ne vuole parlare e non ne parlerà. E’ deciso. Il maledetto portale è chiuso, la bomba è esplosa, tanto basta.
“Avevi gli occhi chiusi?”
E l’orgoglio del magnate subisce una stoccata non richiesta.
Indispettito, Stark drizza la schiena e affronta non Steve, bensì la poco gratificante ipotesi che il suo quesito ha fatto sorgere: la paura, l’uomo codardo che tanto fa e tanto si atteggia e poi non è nemmeno in grado di affrontare la morte faccia a faccia.

[Steve/Tony]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono.

La storia è scritta senza fini di lucro.

 

 

 

 

Sospeso nell’Attimo

“Cosa hai visto?”
Tony alza gli  occhi.
Steve è alla finestra, il bagliore bianco-dorato di Manhattan scivola liquido sul suo profilo: tremola tra le ciglia sottili, il cui movimento è quasi impercettibile alla luce soffusa del vetro; la curva della schiena si segue per qualche tratto di pelle nuda a partire dalle spalle, poi si perde in un abbagliante gioco di chiaroscuri.
Il muscolo del tricipite si contrae quando il Capitano solleva il braccio sinistro e strofina il pollice destro sul polso, a seguire la ramificazione verdastra della vena.
“Quando?”
Stark è curioso, al punto da abbandonare il comodo raggomitolarsi sotto le coperte e puntellare il gomito sul materasso; solleva il busto, il lenzuolo scivola lungo la spina dorsale e ricade in cento e mille pieghe fruscianti sotto il ventre. Il magnate chiude il pugno e appoggia la tempia sulle nocche. Inclina la testa.
“Quel giorno.” il Capitano si volta a guardarlo di sbieco, c’è un palpito grigio-ferro nel fondo degli occhi azzurri “La battaglia di New York.”
“Perché lo vuoi sapere?”
Ora Tony è sulla difensiva, la linea delle spalle lo rinchiude appena, la fronte si abbassa e lo sguardo diventa vigile. Il comportamento è più che giustificato: i giorni degli incubi e del panico, nell’aria irrancidita nei polmoni contratti, del gorgoglio soffocante dentro la gola non sono lontani quanto spera, né quanto vorrebbe. Sono ancora acquattati e aspettano, attendono con encomiabile pazienza il giorno in cui Stark sarà troppo stanco e troppo esausto per ribellarsi: allora torneranno ad assalirlo e Tony avrà di nuovo l’acqua che gli risale i bronchi, un’ondata d’orrore a smottare e sbottare e sgroppare nel torace ed il fiato sarà uno spillo conficcato nel mezzo dello sterno.
Steve scrolla il capo in modo che dovrebbe essere noncurante. L’altro lo conosce abbastanza bene per non farsi trarre in inganno.
“Non ho visto nulla” lo precede, allora, per chiudere la questione in maniera definitiva.
Non ne vuole parlare e non ne parlerà. E’ deciso. Il maledetto portale è chiuso, la bomba è esplosa, tanto basta.
Tuttavia Steve non demorde e gli si siede accanto, un ginocchio piegato sul materasso e l’altra gamba sporta fuori dal letto, il piede a pieno contatto con le lastre del pavimento.
Il Capitano solleva le sopracciglia, lo invita a continuare il discorso e quando si accorge che Tony non emetterà un suono di più, lo sprona da sè.
“Avevi gli occhi chiusi?”
E l’orgoglio del magnate subisce una stoccata non richiesta.
Indispettito, Stark drizza la schiena e affronta non Steve, bensì la poco gratificante ipotesi che il suo quesito ha fatto sorgere: la paura, l’uomo codardo che tanto fa e tanto si atteggia e poi non è nemmeno in grado di affrontare la morte faccia a faccia.
“Io il Destino l’ho sempre guardato negli occhi Rogers, non ho mai, per nessuna ragione, dato le spalle al suo brutto grugno.” Tony devia l’attenzione su una pozza di luce raccoltasi in un avvallamento delle lenzuola “Non sono un vigliacco.”
“Io ho chiuso gli occhi.”
Il magnate si volta di scatto, incredulo e basito. Forse non ha sentito bene, forse ha soltanto immaginato, forse Steve cerca di rassicurarlo ed impedire alla vergona di sbriciolargli lo stomaco. È un brav’uomo, in fondo.
“Quando mi sono schiantato” continua il Capitano e la sua espressione non lascia dubbio alcuno sulla veridicità di quanto sta per confessare “Io ho…Chiuso gli occhi.”
Tony si tende verso di lui, un movimento lento e cauto. Le dita sfiorano il dorso della mano del compagno, poi si aprono a coprirne completamente le nocche contratte.
“Ero ancora cosciente. Non ero del tutto in me, ma avevo ancora abbastanza… Lucidità? Sì, ecco, lucidità, per accorgermi che non sarei stato vivo ancora per molto. Le ossa urlavano e non riuscivo a prendere aria: ogni boccata di ossigeno mi dava alla testa, alcuni pezzi di lamiera, nell’accartocciarsi, avevano strappato il tessuto della divisa e mi avevano lacerato la carne. Il sangue colava a fiotti, ne avvertivo il calore contro la pelle già fredda.”
Steve fa una pausa e Tony ne approfitta per far risalire i polpastrelli lungo l’avambraccio: disegna e delinea i fasci muscolari, conta le cicatrici, tentenna un sorriso nel ricalcare dei graffi che ben coincidono per misura alla misura delle proprie unghie. Sono ghigni rossi, mezzelune scarlatte che Stark percepisce sovrapporsi nell’immediato alle abrasioni e alle ferite di cui il compagna sta ricordando.
Lo immagina alla soglia dei sensi, lo osserva con l’occhio della mente strascinarsi e deambulare. C’è cenere sul volto livido, i capelli annodati, sporchi, gli occhi spenti e riaccesi, On e Off come quei macchinari con cui si diletta durante la giornata e che sono la maggior fonte di irritazione per il povero Supersoldato.
“Sono riuscito a farmi strada fuori dall’abitacolo. Non che fosse difficile: il vetro era già distrutto prima dell’atterraggio di emergenza.”
La mano di Tony scende a seguire l’incunearsi del petto, si sofferma sul battito cardiaco.  La voce di Steve è calma, i suoi ventricoli scalciano e recalcitrano, sembrano impazziti. La pelle del Capitano, grazie agli effetti portentosi del Siero, ha sempre avuto una temperatura più alta del normale, un tepore contro cui è piacevole rannicchiarsi durante le notti d’inverno: più va avanti nel racconto, più si immerge nella memoria, più la sua carne è rovente e pare andare a fuoco.
“Fuori…” sussurra Steve “Fuori un cielo come non avevo mai visto e come mai vedrò in tutta la mia vita. Era nero fino all’orizzonte, dove campeggiava una striscia d’oro bianco. Intorno a me il vento freddo faceva roteare fiocchi di nevi e cristalli di ghiaccio, minuscoli come un respiro, impalpabili come un pensiero. C’era una tale pace in quel singolo istante, che me ne sono sentito completamente sommerso. Mi montava nel cuore, nel corpo, mi appesantiva. Non era fastidioso. Mi pareva di aver raggiunto quel momento straniante della notte quando già dormi, ma credi di essere sul punto di scivolare nel sonno, sei convinto di avere ancora presa su te stesso.”
Sulla clavicola di Steve c’è il fantasma di un bacio. Tony ne segna i bordi con le dita, il respiro che s’armonizza a quello teso del compagno.
“Alla fine…Ho realizzato. Ed è stato come impazzire.”
E’ stato come cedere alla follia, vorrebbe aggiungere Stark, Violare il confine. Il meccanismo va in sovraccarico, i dentelli non coincidono l’uno con l’altro, una vite è saltata, le molle cigolano e si piegano, il tuo corpo scricchiola e geme, il cervello esplode di strisce e codici binari crashati, hackerati e distorti.
“E’ durato solo una attimo. Dopo è sopraggiunta la pace.”
Il fiato conficcato in gola. Il singhiozzo che l’ha colto nel momento in cui gli occhi hanno scorto le schiere di Chitauri ammassate e addossate, le Navi Madre, lIinfinito delle stelle, una realtà indescrivibile oltre gli astri, un baratro profondo ed oscuro, invitante e pericoloso.
La Vastità.
“Forse avevo perso troppo e cominciavo a risentirne. La mia mente era vuota. Ovattata. Sono tornato indietro, avevo con me lo scudo -Pensavo mi sarebbe potuto servire in caso di nemici in quel…Nulla.” Un barlume di risata “Mi sono steso a terra. E li ho chiuso gli occhi. Non mi sono sentito vigliacco. Né codardo. Era giusto così. Avevo compiuto la mia missione. Era come se il torpore che mi teneva stretto stesse sussurrandomi all’orecchio: Riposo, soldato.
“Andava tutto bene.” Conclude per lui Tony e gli accarezza le labbra, incide la fossetta del mento. Guarda Steve e gli vede attraverso, ancora e di nuovo trasportato nell’istante rarefatto in cui ha abbandonato la presa sul missile e ha compreso, finalmente, di essere libero. Era finita. “Accada quel accada” mormora, riportando a voce il pensiero che aveva rilasciato attraverso i nervi e le vene un’ondata di rilassatezza tale da da dare il capogiro “Accada quel che accada, sono salvi. Va tutto bene. Sono salvi. Posso dormire, ora. Va tutto bene. Sono salvi. Posso dormire.”
“Va tutto bene.” Concorda Steve.
Il mormorio del Capitano è un soffio rassicurante sulla bocca.
Tony chiude gli occhi.

   
 
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