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Autore: HeartSoul97    13/09/2014    3 recensioni
"Alex Watson è una normale diciassettenne londinese, forse solo un po' sfigata, niente di più. I suoi amici? Una ragazza bellissima e dolce, un'allegra libraia e un chitarrista che sogna la fama. Ma i suoi nemici? Uno solo: un ragazzo tanto bello quanto stronzo, che non fa che prenderla in giro, e che abita proprio accanto a lei! Le cose cominciano a precipitare quando una misteriosa lettera giunge alla nostra protagonista..."
Ora, spazio all'autrice. Abbiate pietà, è la primissima storia DAVVERO romantica che scrivo, non ho esperienze su cui basarmi, quindi chiedo umilmente il vostro parere. Opinioni positive ben accette, negative anche di più, perché servono a migliorare. Grazie per l'attenzione, a tutti.
Un'altra cosa: nei vostri commenti potete darmi spunti o consigli su ciò che potrebbe succedere. Vorrei infatti che la storia risultasse anche divertente, ma io non ho molto senso dell'umorismo, quindi imploro il vostro aiuto. Grazie mille.
Vi auguro sinceramente una buona lettura e spero che continuerete a seguirmi.
HeartSoul97
Genere: Demenziale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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15. La festa
                                                                                                                                                                                                      Amare è restare
                                                                                                                                                                                                anche quando la vita ti urla di correre.



Sono passate quasi tre ore, e ancora non ho niente da mettermi. E devo essere lì per le otto. Non ce la farò mai.
Continuo a fissare la mia camera, in attesa del colpo di genio che però non arriva. Veramente, prima che mi decida a fare qualcosa l’unica cosa che arriva è un messaggio sul mio cellulare.
Sto arrivando.
Sospiro di sollievo.
Mezz’ora dopo il campanello suona e Momo fa capolino dalla porta della mia stanza.
Guardo disperata il mucchio di vestiti sparsi a terra. Jeans, camicie, gonne, vestiti: tutto ciò che fino a tre ore prima era ben riposto nel mio armadio è sparso a terra. Ma proprio tutto, anche roba che pensavo di aver buttato anni fa.
Cerco con lo sguardo l’aiuto di Momo che mi fissa sconcertata. Lei, ovviamente, è già pronta e perfetta nel suo corto e attillato abito nero.
«Aiutami» imploro.
«Stai calma, non farti prendere dal panico. È una festa, mica una serata di gala»
«Non è una festa, è un diciottesimo compleanno. Il diciottesimo compleanno di una persona che mi odia, sottolineerei» ribatto.
«Oh, insomma, rilassati! Ecco, ti do una mano: questo no, questo no…» Momo scarta un sacco di roba, soppesandola con occhio critico.
«Non ci siamo…» sospira. Poi sorride furbescamente.
«Ma tranquilla, arriva Super Momo ad aiutarti!» dice, tirando fuori da una busta che non avevo affatto notato la maglietta che avevo provato ieri a Camden e che, per motivi ignoti anche alla sottoscritta, non ho comprato.
«Ma non dovevi…» dico, accarezzando il tessuto.
«Non dirmi “non dovevi”. Dimmi solo “grazie”» dice, con un sorrisone a trentadue denti.
«Grazie» mormoro.
La metto sul lato del letto non ancora invaso dai vestiti. E poi un pensiero mi colpisce all’improvviso, terrificante.
«Con cosa la abbino?».
«Uhm…» esamina attentamente i miei vestiti. «Jeans neri».
Mi costringe a cambiarmi e, quando mi vede, spalanca gli occhi.
Lo prendo come un segno negativo.
«Ecco, mi sta da schifo, vero? Basta, io non ci vengo più, se tu vuoi andare vai, io non ci vengo a fare una figuraccia!» mi nascondo la faccia tra le mani.
«Assolutamente no, il contrario! Sei una favola! Guardati!». Mi trascina davanti allo specchio nell’anta dell’armadio e mi tira via a forza le mani dalla faccia.
Ecco cosa vedo io: una zucca vestita per andare a un funerale, faccia troppo paffuta, qualche chilo decisamente di troppo, occhi di un azzurro smorto, lenticchie in faccia, dentoni da coniglio, naso un po’ troppo a patata. E occhiali.
Glielo riferisco afflitta.
«Oh, ancora con questa storia! Non-sei-grassa, quante volte ancora devo ripetertelo? Hai un peso perfettamente normale, chiaro? Solo perché hai qualche curva non puoi definirti grassa! E poi non è vero che hai la faccia paffuta, è normale. Il tuo naso è grazioso, hai una dentatura perfetta (a che diamine sarebbe servito l’apparecchio, se no?) e le lentiggini a te stanno benissimo! E poi: hai gli occhi azzurri, cosa vuoi di più? Basta solo farli risaltare! Togliti quegli occhiali e mettiti le lenti a contatto!»
«Ma ci metto un sacco…»protesto debolmente.
«Sbrigati e basta. E in ogni caso, non sembri una zucca: i tuoi capelli sono stupendi, fanno invidia, forse sono un po’ troppi – vai da un parrucchiere! – ma ti assicuro che con l’acconciatura giusta…».
Posso quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello muoversi vorticosamente alla ricerca di idee. Quando Momo si mette in testa una cosa, non la ferma nessuno!
Poi si illumina come una lampadina.
«Ci sono!».
Io vado in bagno a cercare di mettermi quelle piccole invenzioni infernali che sono le lenti a contatto, e lei mi segue, portando la sua pochette rosa confetto con sé.
Dopo una buona mezz’ora di imprecazioni, ringhi e lacrime, le lenti sono nei miei occhi, e non vedo praticamente niente.
Momo mi asciuga impazientemente la faccia con un pezzo di carta.
Poi inizia a truccarmi con mani esperte, concentrata, tingendomi le palpebre di colori scuri. Tocco finale, rossetto rosso come il sangue.
Lega la mia matassa rossa in uno chignon disordinato, con qualche ricciolo che sbuca qua e là, e mi piazza davanti allo specchio.
Ha fatto un capolavoro. I miei occhi sembrano più luminosi e con una forma più allungata, il rossetto fa sembrare la pelle più bianca, cosparsa appena di lentiggini (abilmente seminascoste da un sottilissimo velo di fondotinta). Ma con lo chignon (fermato da un grazioso fermaglio ricoperto di strass) mi sento molto a mio agio, riflette un pochino la mia personalità disordinata.
Non sembro io, ma allo stesso tempo lo sono senza dubbio. Una versione diversa di me.
E mi piace.
Sorrido involontariamente. Sì, sono pronta per la festa.


Ci tocca praticamente correre, visto che usciamo da casa con un quarto d’ora di ritardo sulla tabella di marcia e, nonostante ci accompagnino i miei con la macchina, ci vorrà almeno un’altra mezz’ora per arrivare a casa di Amber, perciò arriveremo tardi.
Dubito però che la festeggiata ne sarà particolarmente triste.
Dopo mezz’ora di macchina circa ci ritroviamo su un vialone alberato su cui si affacciano solamente ville. È facile riconoscere quella di Amber: tutte le luci sono accese e si sente la musica perfino da qui.
Il vialetto d’ingresso è circondato da palloncini dorati con il numero “18” stampato in bianco, e se ne ritrovano a mazzi anche nel resto della casa, quando entriamo, accolti da un’Amber allegra e, a mio parere, un po’ alticcia.
«Prego! Entrate pure».
Entriamo in un ampio salone adibito a pista da ballo, dove due divani verde oliva sono addossati alle pareti. Lo stereo diffonde musica da discoteca a volume altissimo, mentre un tavolo ospita un sostanzioso buffet. Dalla cucina, Amber ci offre un bicchiere pieno di birra ghiacciata, che bevo lentamente.
Non c’è molta gente, per ora. In un angolo scorgo Jake che chiacchiera con dei suoi amici.
Io chiacchiero con Momo, cercando di far sparire quella sensazione di disagio che sento da quando sono entrata. Non sono abituata alle feste, ho sempre cercato di evitarle.
Dopo un po’ comincia ad arrivare gente, e in poco più di un’ora la casa è piena. Amber ha richiesto attenzione e ha scartato i regali, servendo poi la torta – un capolavoro di fragole e cioccolato. Penso allo specchio e non la mangio.
Lo so che è un comportamento stupido, ma è sempre meglio limitare i danni, no?
Amber ci invita tutti a ballare e infatti tutti ci mettiamo a ballare, anche se io vengo praticamente trascinata da Momo. Eppure, forse è la birra – a quell’unico bicchiere ne sono susseguiti… due? Tre? Non me lo ricordo – ma mi sto divertendo, dopo tutto. Peccato che Ludvig non sia qui. E Momo aveva ragione: non fa assolutamente freddo, anzi, fa caldissimo.
Ad un certo punto vado a sbattere contro qualcosa e mi giro per scusarmi, incrociando lo sguardo grigiazzurro di Jake.
«Scusa»
«Ciao, Alex» dice. Poi nota la mia maglietta e assume una strana espressione.
«Che c’è? Sono ridicola, vero?».
«No. Sei solo… diversa» mi risponde, guardandomi negli occhi.
Mi sento in dovere di ricambiare.
«Stai molto bene anche tu» dico ad alta voce, cercando di sovrastare la musica, e lui mi sorride.
In effetti sta davvero bene, perché quella camicia bianca fa risaltare moltissimo la sua carnagione scura, la quale a sua volta fa risaltare gli occhi chiari. È davvero uno scherzo della natura. Un bellissimo scherzo della natura.
«I tuoi mi hanno chiesto di accompagnarti a casa, dopo la festa. Va bene?».
Non ho potere decisionale, in questo. Però è carino che mi chieda se mi va bene.
«Non lo so… Momo, tu come torni a casa?»
«Vengono i miei… ti avrei comunque accompagnata, ma…» le leggo l’esitazione negli occhi. So benissimo che lei spera che io trovi il modo di riappacificarmi con Jake.
«Non ti preoccupare. Mi accompagna Jake. Hai la macchina?»
«Sì. È un po’ malandata, ma funziona» sorride.
Per un attimo tutto sembra tornare come prima. Era da tempo che non avevo una conversazione normale con questo ragazzo.
Sembra che lo pensi anche lui, perché smette di sorridere e se ne va con un laconico “ci si vede dopo”.
La leggerezza di quell’attimo svanisce anche per me, e decido di annegare il dispiacere in un altro bicchiere di birra.
«Dovresti dargli un’altra possibilità» sentenzia Momo quando entriamo in cucina, lontano dalla musica.
«Vorrei, ma…» ma non ci riesco. Ecco cosa devo dire. È passato troppo tempo. Troppe parole non dette, troppo silenzio.
«No, Alex. Il problema non è questo. È che tu non sai fare altro che scappare. Stai scappando, e lui lo sa, come lo so anch’io, come forse lo sai anche tu solo che non riesci ad accettarlo. Sono tutte scuse».
È davvero arrabbiata con me, non l’ho mai vista così.
«Non sto scappando» replico, ma forse non ci credo troppo neanche io.
Sto scappando?
Forse sì. Dopotutto, è la cosa che mi riesce meglio.
Momo si irrigidisce. Nei suoi occhi è sceso un gelo assoluto.
«Va bene. Fai come vuoi. Continua pure a scappare. L’unica a rimetterci sarai tu. Non aspettarti che comprenda». Poi gira i tacchi e se ne va, mentre io sono troppo stupita per dire una parola.


Non so che ore sono, né quanto tempo è passato. Mi sembra di aver passato tutta la vita poggiata al muro del salone, guardando gli altri senza vederli davvero – chi si bacia, chi balla, chi ride, chi fa tutte e tre le cose contemporaneamente. Che abbia bevuto troppa birra? Probabile, visto che non riesco proprio a ricordare quanti bicchieri ho mandato giù. Ricordo di aver ballato, ma poi… non lo so. Come sono finita sul muro?
Non sono ubriaca.
Vedo che la gente diminuisce a mano a mano che il tempo passa. Non ho pensato a portarmi un orologio e il cellulare è da qualche parte nella borsa che ho lasciato in camera di Amber. Spero di ritrovare tutto.
Scruto le pareti alla ricerca di un quadrante, ma sembra che non ne facciano uso. Come se non sapere l’ora sia perfettamente normale. E allora perché hanno inventato gli orologi?
Dopo un po’ – non so dire quanto – della cifra di gente invitata da Amber siamo rimasti in circa venti, o forse un po’ di meno. Potrei contarli, se la smettessero di ballarmi nelle pupille. So per certo che Jake è ancora qui, o mi avrebbe chiamata.
La testa mi gira anche se è incredibilmente leggera. In bocca, il sapore della birra è più intenso. I capelli mi si sono sciolti, a furia di ballare, e il mio fermaglio è riposto nella borsa.
Non ho mai bevuto così tanto in vita mia. Sono sicura di non essere completamente fuori – sono lucida – ma mi sento proprio su di giri. Fantastico. Non sto pensando a niente.
«Giochiamo al gioco della bottiglia!» grida qualcuno.
In dieci minuti, o almeno credo, barcollanti e ubriachi, ci raduniamo in cerchio sul tappeto del salotto. Una bottiglia vuota di birra viene posta al centro del cerchio.
Non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho giocato a questo gioco… forse non ci ho mai giocato, boh. Sono un po’ nervosa.
Il primo giro risparmia me ma non Momo, che si vede costretta a baciare un imbarazzatissimo Eddie (uno della classe accanto alla nostra, non credo di averci mai parlato). Lei non sembra troppo interessata al gioco, ma non c’è niente di meglio da fare. Se devo essere sincera, sembra la più sobria di tutti.
La loro performance viene salutata da una serie di fischi e battiti di mani. Ridiamo tutti.
I giri continuano, pian piano tutti vengono puntati, a parte me e pochi altri. Ora che ci faccio caso, neanche Jake è stato “sorteggiato”, con grande dispiacere di alcune ragazze.
È Amber a dettare legge, in questo gioco. La bottiglia sceglie i due malcapitati, ma è lei a decidere cosa devono fare. Spero davvero di finire il gioco indenne.
Dopo non so quanto tempo, la bottiglia punta il collo verso Jake. Applausi e fischi: chi sarà la fortunata?
Vedo ragazze che incrociano le dita, puntando i loro sguardi famelici sul suddetto ragazzo. Mi vengono i brividi. Poveretta colei che la bottiglia punterà, perché si ritroverà tutte le altre contro!
Amber ruota la bottiglia e a me sembra che giri lentissimamente. Tutte le ragazze trattengono il respiro, perciò i cori di “oooh” sono smorzati.
Quando finalmente smette di ruotare, noto sgomenta che punta dritto verso di me.
Non è possibile.
Non ci credo che è stato un caso. Devono aver truccato la bottiglia. Non ci credo! È uno scherzo? Dov’è la telecamera?
Le ragazze hanno un’espressione assassina negli occhi, mentre Momo mi guarda comprensiva. La nostra piccola lite non comprendeva una cosa del genere, quindi la pace è assicurata, giusto?
Amber si decide a dettare le regole della “penitenza”, confabulando con le sue amiche per un attimo.
«Allora, Jake e Alex» ci guarda maliziosamente, non è così ubriaca come sembra, facendo segno di alzarci e uscire dal cerchio.
«La punizione è…» punta il suo sguardo felino su Jake.
«Falle venire voglia di baciarti!». Una serie di fischi esplode nel cerchio, insieme a qualche battito di mani e i ringhi delle ragazze.
Io sono impietrita. Come sarebbe a dire? Io non bacerò mai Jake. Mai e poi mai. Neanche se il mondo dovesse finire domani.
Cerco una faccia da fare, ma che espressione assumere in questa situazione?
La birra me lo fa dimenticare.
Sono abbastanza determinata a non cedere, però.
Lentamente, Jake mi mette una mano sulla vita e mi attira a sé. Il cuore comincia a martellarmi nel petto come se volesse scappare via. Sono assolutamente terrorizzata.
C’è una piccola parte di me – quella ancora non annebbiata dai fumi dell’alcol, la parte ancora lucida – che mi urla di divincolarmi e scappare prima che sia troppo tardi. Tuttavia, sono convinta che lui non mi lascerebbe mai andare. Inoltre, la birra fa il suo effetto e sul terrore prevale la curiosità.
Jake mi mette l’altra mano sotto al mento, in modo da farmi alzare la testa e guardarlo negli occhi. Nel suo sguardo – liquido, le pupille un po’ dilatate – c’è malizia, ma anche un pizzico di dolcezza.
Avvicina lentamente il suo volto al mio, tenendomi ancora stretta per la vita, le nostre labbra che quasi si sfiorano, e io, seguendo un istinto che non conosco bene, chiudo gli occhi con l’assurda certezza che di qui a pochi istanti mi bacerà.
Eppure, il bacio non arriva.
Apro gli occhi confusa. Il volto di Jake è ancora vicinissimo al mio, il suo profumo di erba tagliata e quell’altro non so che di mascolino mi avvolge, ma le sue labbra semichiuse si distendono in un sorriso luciferino che neanche Belzebù potrebbe riprodurre e prima che abbia il tempo di dire o fare qualcosa si avventa sul mio collo, lasciandoci una scia di baci incandescenti.
Trattengo il respiro.
Lentamente – dolce tortura – risale verso il mio orecchio, con cura, senza fretta. Chiudo di nuovo gli occhi.
Senza che me ne accorga, mi mette una mano sulla nuca, intrecciando le sue dita ai miei capelli.
Resisto ancora a quei baci infuocati, ma non so se ne sarò in grado ancora per molto.
Dopo quella che sembra un’eternità, Jake finalmente mi libera, tornando a guardarmi negli occhi. Ma stavolta non c’è traccia della malizia di prima. C’è dolcezza e una sorta di malinconia.
Si avvicina a me e sussurra, in modo che nessun altro lo senta.
«Si può rimpiangere ciò che non si è mai avuto, Alex?».
Quelle parole – delirio di alcol o dolorosa consapevolezza? – mi trafiggono come spilli, peggio dei suoi occhi più grigi che mai, pieni di rimpianto e senza speranza, eppure così dannatamente vivi.
Agisco senza pensare, prima che la coscienza mi imponga di non farlo.
Poggio le mie mani sul suo viso – la sua corta barbetta ispida mi punge i palmi - , attirandolo verso di me, mentre mi alzo in punta di piedi, e nonostante i ragazzi intorno a noi che fischiano, nonostante le risate, nonostante i “te l’avevo detto!” – avevano scommesso? - , nonostante sia perfettamente e dolorosamente consapevole che ciò non cambierà le cose, nonostante lui sia il mio vicino di casa, nonostante mi abbia fatto impazzire, nonostante abbia passato tutto questo tempo ad odiarlo per avermi spezzato il cuore, lo bacio.
E allora non mi importa più niente, né del passato, né del futuro, né se domani questo bacio sarà stato importante o no. Importa solo il presente, la sensazione di fuoco del suo braccio intorno alla mia vita, delle sue dita tra i miei capelli, il suo profumo che mi avvolge. Nient’altro.

Disperato. È questo l’aggettivo che darei al suo – nostro – bacio. Come un qualcosa che si desidera da tempo e che non si è mai ottenuta, ma che inaspettatamente è arrivata lo stesso. Almeno per me è così.
Smette di baciarmi solo quando la gente in cerchio comincia a protestare. Stiamo rubando troppo tempo.
Torno al mio posto rossa come un peperone, eppure non riesco a smettere di pensarci. Chissà perché, la birra è più buona sulle sue labbra.
Il gioco continua, ma non riesco a fare a meno di posare lo sguardo su Jake. Chissà se lui ha provato le mie stesse sensazioni oppure ero solo “una delle tante”. Non sono sicura di volerlo sapere.
Quando la bottiglia indica Jake per la seconda volta e lo vedo baciarsi appassionatamente con quella smorfiosetta di Sarah (una delle scagnozze di Amber) mi sento male. Un peso smisurato sul petto, gelo totale, dolore. Mi sento come se dovessi vomitare e distolgo lo sguardo.
La scenetta si ripete altre due o tre volte prima che mi decida ad alzarmi. Momo mi guarda preoccupata e io le sorrido mormorando una scusa a proposito del bagno. In realtà, mi piazzo in corridoio, nascosta a sguardi indiscreti, e appoggio la testa al muro, sforzandomi di non piangere e di farmi passare quella brutta sensazione.
Lo sapevi che tanto finiva così. Era solo uno stupido gioco, che ti aspettavi?
Quel grillo parlante nella mia coscienza non la smette di blaterare e io vorrei tanto avere un martello con cui azzittirlo all’istante, come Pinocchio.
Cosa pensavi, di essere diversa? Fa così con tutte. Lui non voleva baciarti. Voleva solo dimostrare che neanche tu sai resistergli, per quanto ti ostini a provarci. Mettici una pietra sopra: non conti niente per lui.
Ricaccio indietro le lacrime a forza, voglio smetterla di sentirmi così debole. Sono passati anni e ancora non riesco a dimenticare.
Dopo un po’ sento una mano posarsi sulla mia spalla.
«Alex? Stai bene? Vuoi che andiamo via?».
Comincio a pensare che Momo sia il mio angelo custode.
Annuisco, reprimendo un singhiozzo, ma non posso controllare la lacrima che rotola lungo la mia guancia.
«Proprio la sbornia triste dovevi prenderti?» mi chiede lei, abbracciandomi. Io ridacchio.
Ce ne andiamo. Mentre usciamo da lì, Jake mi guarda con un’espressione confusa.
 
Dolore lancinante. La testa mi esplode.
Ecco il mio risveglio di domenica mattina.
Seduta al tavolo della cucina, ho le mani premute sulla testa, cercando un modo di far sparire il dolore. La mamma mi guarda storto.
«Passata una bella serata?» chiede, ironica.
Mugugno qualcosa in risposta. Solo pronunciare qualche parola aumenta il dolore di tre volte.
Senza dire una parola, scioglie un’aspirina in un bicchiere d’acqua e me lo sbatte davanti, facendomi fischiare le orecchie. Faccio una smorfia.
«Grazie».
Bevo la medicina velocemente, sperando che il dolore passi al più presto. Lentamente, riaffiorano i ricordi della sera prima.
Quanti bicchieri ho mandato giù? Non riesco proprio a rispondere a questa domanda. Non riesco a ricordarmelo. Sicuramente molti. E dire che l’alcol in generale non mi fa impazzire. Non bevo neanche lo spumante a Natale, figuriamoci!
Dolorosamente, mi torna in mente quello stupido gioco. Il ricordo del modo in cui mi baciava sul collo mi fa venire i brividi. E poi quelle parole su cui non mi sono interrogata allora, ma mi interrogo adesso.
Cosa stava rimpiangendo?
Sempre che fossero vere e non un modo escogitato per vincere la mia resistenza.
Qui arrossisco. Mi sembra ancora di sentire sui palmi la sua barbetta ruvida. È stato magnifico. Solo, mi chiedo perché ho dato il mio primo bacio ad un cretino che subito dopo mi ha lasciata con il cuore spezzato. Di nuovo.
E adesso realizzo.
Oddio, ho baciato Jake! E adesso cosa devo fare? Come devo comportarmi? Dobbiamo affrontare la gara di ballo e con questo bacio ho rovinato tutto! Non avrò il coraggio neanche di guardarlo in faccia, figuriamoci se riesco a stargli appiccicata per ballare!
Comincio a camminare nervosamente per la mia stanza, avanti e indietro. Cosa posso fare? Faccio finta di niente? Sì. Sì, posso dire che ero ubriaca fradicia e non me lo ricordo. Tanto, con tutte quelle che ha baciato ieri, non se lo ricorderà neanche lui.
Oh, cavolo. Ho promesso alla Costance che oggi avremmo provato insieme, io e Jake. Oh, no. Lo devo fare per forza?
Non ci tengo a vedere la prof arrabbiata, cosa che succederà se non vado da Jake a provare.
Con un sospiro, mi preparo a bussare alla sua porta.






Jake – Narcoleptic Argentinean

Sospiro per quella che deve essere la milionesima volta nella stessa mattinata. E allo stesso tempo sorrido come un idiota.
Non pensavo l’avrebbe fatto. Ero sicuro che sarebbe scappata via o non so. Se avesse fatto così, l’avrei lasciata andare, credo. Non l’avrei certo biasimata.
Eppure, l’ha fatto. Mi ha baciato. Quindi non è del tutto finita, giusto? Ho ancora qualche speranza di rimediare a tutto quello che ho fatto.
Credo che quello sia stato il bacio più bello della mia vita – e dire che ne ho dati parecchi. Forse perché finalmente l’ho dato alla persona giusta.
Nonostante tutto, qualcosa comunque guasta il mio buonumore. La sua espressione ferita mentre se ne andava mi ha scavato un solco nel petto. Non ha capito che stavo baciando quelle oche solo perché così l’avrebbero lasciata in pace? Mentre le baciavo, nella mia testa rivivevo il bacio che avevo dato a lei – disperazione e dolcezza – perché di quelle a me non importava assolutamente niente.
E poi, ieri sera era davvero bellissima. Non so di preciso perché, ma mi sembrava bellissima. Non credo sia merito del trucco – lei è sempre stata bella, solo che ieri è venuto fuori. Ringrazio il cielo che quell’Ohlsson non sia potuto venire, perché ormai ho capito che ci sta provando.
Non lo lascerò avvicinare troppo, no. Alex è diventata troppo importante per me, non lascerò che qualcuno me la porti via.
Mi sento come il tizio del Moulin Rouge – sì, l’ho visto - , quello interpretato da Ewan McGregor.
Mi sento male perché c’è un rivale che ha più chances di me. Un rivale che in passato non l’ha trattata come uno straccio, che sicuramente non la farebbe soffrire.
Eppure, il solo pensiero di loro insieme mi fa bruciare di rabbia.
Come in un lampo, rivedo la scena del film dove c’è quella dannata canzone – El tango de Roxanne – e quell’argentino narcolettico del cavolo dice la frase fatale.
La gelosia ti farà impazzire.




 


***
Angolo autrice
Salve a tutti! Come promesso, sono tornata presto. Il capitolo non mi soddisfa quanto avrei voluto, ma ci lavoro da un sacco di tempo e se continuo a tornarci non lo pubblico più, quindi eccolo.
Come al solito, ringrazio tutte le splendide persone che recensiscono/seguono/ricordano/preferiscono (non sapete quanto mi rendete felici, ragazze/i!)
Cosa succederà tra Jake e Alex, adesso? Rimarrà tutto come prima o no?
Stay tuned!
-H

P.S: la frasetta iniziale è una citazione da "Cose che nessuno sa" di Alessandro D'Avenia.
P.P.S: ho pubblicato uno spin-off sul passato di Alex e Jake. Per chi è interessato… date una sbirciatina alla mia pagina sul sito. 




 
  
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