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Autore: Ayr    14/09/2014    2 recensioni
Quando Matisse incontra Zefiro, un ragazzo affascinante ma misterioso, la sua vita tranquilla viene completamente sconvolta: il ragazzo infatti le rivela che lei è la principessa perduta, la legittima erede al trono di Heaven. Inizia così per lei un viaggio in compagnia di Zefiro, il cui silenzio pare nascondere un grande segreto, che la porterà dal tranquillo villaggio in cui vive alla caverna di Procne, una potentissima maga che aiuterà Matisse ad affrontare quello che le aspetta: non si tratta solo di sedere su un trono e di prendere sulle spalle tutte le responsabilità che esso comporta, Matisse infatti, dovrà prepararsi anche per una guerra perchè non è l'unica che ambisce a quel trono e c'è già chi trama nell'ombra per strapparglielo via.
Preparatevi ad accompagnare Matisse in questo viaggio tra maghi, battaglie, segreti, elfi e misteri. Siete pronti a partire?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sole stava declinando all’orizzonte, incendiando il cielo e preannunciando la notte imminente. Dovevano trovare un posto dove dormire, era impensabile passare la notte all’aria aperta nella piana di Myr, completamente esposta alle inclemenze del tempo o agli attacchi dei predatori o predoni notturni. L’unica alternativa era soggiornare in una locanda. La via principale era costellata di accoglienti edifici in legno che garantivano vitto e alloggio; non era lo stesso, però, per le vie secondarie. Corniolo aveva insistito sul fatto di non avere alcuna intenzione di immergersi nella confusione della via principale, e molto probabilmente a quell’ora avrebbero trovato tutte le locande piene. Non rimaneva che affidarsi alla provvidenza e alla famosa ospitalità degli abitanti della piana di Myr.
Fu Matisse a scorgere una luce lontana, baluginante, quasi impercettibile nella vivida luce rosso acceso del tramonto che inondava la piana. Proveniva da una fattoria, una delle tante disseminate lungo la piana di Myr, coltivata a cereali e ortaggi. La ragazza la indicò agli altri due, proponendo di passare lì la notte. Zefiro e Corniolo non ebbero nulla da obiettare e diressero i cavalli in quella direzione.
La fattoria era piuttosto grande, questo faceva sperare nella presenza di una stanza in cui avrebbero potuto soggiornare, forse più di una. Era interamente costruita in legno e affiancata ad una stalla e a un pollaio. Fu designato Zefiro per chiedere ospitalità per la notte, sarebbe sicuramente riuscito a convincere la padrona di casa con le sue parole e il suo fascino. Si ravviò i capelli, spettinati dal vento che ancora ruggiva lungo la piana, e bussò alla porta. Gli aprì una donna rubiconda dalle guance rosse e i lunghi capelli biondi, tipici delle genti del sud, stretti in una treccia.
«Buonasera signora» la salutò cortesemente Zefiro sfoderando un sorriso abbagliante a ammaliatore «Mi spiace disturbarla, ma, vede, io e i miei amici siamo stati sorpresi dalla sera e non abbiamo un posto dove dormire. Appellandomi alla famosa ospitalità degli abitanti di Myr, volevo chiederle se potesse, ecco…»
«Ospitarvi per la notte?» lo interruppe la donna, Zefiro annuì e riuscì perfino a far spuntare un lieve rossore sulle guance, come se fosse imbarazzato dalla richiesta appena fatta. La donna lo scrutò con i suoi occhi scuri e il suo sguardo passò da lui a Matisse e Corniolo, poco dietro di lui, ancora in sella ai cavalli.
«Siete i benvenuti!» disse alla fine, aprendo le labbra carnose in un sorriso cordiale «Morten» chiamò poi rivolta all’interno dell’abitazione. Sulla soglia apparve un ragazzo allampanato e secco, con i capelli color sabbia e una quantità esorbitante di lentiggini che gli ricoprivano le guance «Occupati dei cavalli dei signori» gli ordinò la donna e Morten di malavoglia si diresse verso i cavalli. Quando i suoi occhi incrociarono la figura di Matisse, si soffermarono un po’ troppo sul viso della ragazza e con un po’ troppa intensità, tanto da farla arrossire.
«Quel Morten non mi piace» sibilò Corniolo gettando uno sguardo bieco al ragazzo che stava portando i cavalli nella stalla
«A te non piace qualsiasi creatura di sesso maschile che mi guarda per più di due secondi» gli fece notare scherzosamente Matisse, Corniolo scrollò le spalle ed entrò nell’edificio. L’interno era luminoso, sobrio e accogliente, nell’aria aleggiava un leggero profumo di erbe aromatiche unito a quello più intenso e penetrante di legno. La donna iniziò a dare disposizioni ai suoi numerosi figli, a uno ordinò di preparare la stanza per gli ospiti, all’altro di aggiungere delle sedie, a un terzo di procurare delle lenzuola pulite. Intanto non si fermava un attimo, passava dalla cucina alla sala, seguendo le pentole sul fuoco, rimproverando uno dei figli o consolandone un altro. Era davvero incredibile la sua capacità di stare dietro a più cose contemporaneamente e intanto non aveva smesso di fare domande ai tre, rivolgendosi soprattutto a Zefiro; il suo fascino da bel tenebroso aveva conquistato la donna.
«Da dove venite?» aveva domandato assaggiando il contenuto di una pentola che sobbolliva sul fuoco
«Fogliadoro» rispose Corniolo per lui, il che non era propriamente falso
«E siete qui per il mercato?» domandò ancora aggiungendo delle verdure al composto
«Più per comprare che per vendere» puntualizzò Corniolo, precedendo Zefiro
«Al mercato di Solwin si trovano sempre delle cose interessanti» disse la donna mescolando il composto, uno dei figli della donna entrò di corsa nella stanza e si nascose dietro le gambe della madre
«In realtà saremmo diretti a Neherin» puntualizzò Corniolo. La donna, intanto, aveva fatto una nuova domanda, ma non ottenendo risposta la ripeté
«Sono i suoi figli?»
«Come, prego?» chiese Corniolo confuso
«Le ho chiesto se sono i suoi figli» ripeté la donna per la terza volta
«Chiamiamoli più i miei protetti» rispose Corniolo, cercando di non ridacchiare. Si chiedeva come a quella donna potesse essere venuta in mente una cosa simile. Anche Matisse e Zefiro cercarono di trattenersi dallo scoppiare a ridere, la supposizione della donna era stata piuttosto divertente e assurda. Questa annuì e tornò a occuparsi della cena.
In quel momento la porta si spalancò e fece il suo ingresso nella sala il padrone di casa, di ritorno dai campi, seguito dal primogenito; possedevano entrambi i tratti somatici tipici degli abitanti della piana: una costituzione robusta, il viso cotto dal sole e rovinato, tipico di chi lavorava molto all’aria aperta, i sottili capelli color sabbia e il tipico carattere di bonaria cordialità e benevola accoglienza.
L’uomo si rivelò da subito una persona affabile e incline al riso, per tutta la cena, allietò la sua famiglia e i suoi ospiti, con il resoconto della sua giornata lavorativa, costellato di aneddoti divertenti. Era un buon oratore, la sua voce cavernosa era piacevole da ascoltare e la sua risata contagiosa aveva rallegrato la serata. Durante la cena, Matisse, aveva sentito costantemente gli occhi di Morten fissi su di sé, ogni volta che aveva alzato lo sguardo, aveva incrociato quello nocciola del ragazzo. Si era sentita piuttosto in imbarazzo e non le erano sfuggite le numerose occhiate minacciose lanciate da Zefiro e Corniolo al ragazzo. Anche il primogenito, un certo Barden, non aveva smesso di guardarla e più volte aveva provato ad intavolare una conversazione con lei; ma la ragazza, intimidita da quello sguardo, aveva risposto a monosillabi o con frasi spezzettate prive di un inizio e una fine. Non era abituata ad avere così tanti occhi su di sé, e tutta quell’attenzione per lei era destabilizzante e la spaventava. Matisse, nonostante l’apparenza, era una ragazza parecchio timida e diffidente, e l’abitare per così tanto tempo in un villaggio sperduto, non aveva fatto altro che accentuare questo lato del suo carattere. La ragazza giocherellava con il cibo, tentando di rispondere in maniera più completa e meno frammentaria alle domande di Barden, ma i suoi tentativi risultavano inutili: si confondeva, la sua lingua si inciampava e finiva con il balbettare qualcosa di sconnesso per poi mettersi in tutta fretta in bocca un cucchiaio di minestra, per evitare di continuare a parlare.
Fu un vero sollievo per la ragazza, e anche per Zefiro e Corniolo, a dire la verità, il poter finalmente alzarsi da tavola e ritirarsi nella stanza preparata per loro. Avendo così tanti figli, dieci in tutto,  nonostante la grande quantità di stanze, l’unica disponibile, era risultata un’enorme stanza che si trovava nel sottotetto. Era luminosa e dal soffitto spiovente, il che rappresentava un problema per Zefiro, costretto a chinare la schiena per non sbattere la testa. In essa erano stati preparati tre letti, o per meglio dire, un letto vero e proprio, e altri due giacigli, due semplici materassi stesi sul pavimento coperti da un lenzuolo leggero e una coperta.
«Mi dispiace molto» si era scusata la padrona di casa, quando aveva mostrato loro la stanza «Avrei voluto offrirvi qualcosa di meglio ma…»
«È perfetta» l’aveva interrotta Zefiro con un sorriso luminoso «È molto più di quanto potessimo desiderare» aveva continuato. E in effetti, dopo aver dormito per quasi una settimana sulla dura terra, con solo una coperta ad isolarli dall’umidità del terreno, anche quel giaciglio spartano pareva un letto da re.
Zefiro e Corniolo insistettero per far dormire Matisse sul letto, nonostante le proteste della ragazza.
Alla fine questa, accettò, logorata dalle insistenze dei due e, stanca per la cavalcata, si addormentò in un attimo.
Non fu lo stesso per Zefiro. A pancia in su, con le braccia incrociate a sostenere la testa, fissava il soffitto con sguardo vacuo, cullato dal respiro regolare e lieve della ragazza e dal rumoroso russare di Corniolo, steso a poca distanza da lui. Il ragazzo aveva paura ad addormentarsi, temeva che le presenza dentro di lui avrebbero preso il sopravvento. Zefiro sentiva gli spiriti agitarsi in lui, ruggire, bramosi di potersi manifestare e di soggiogarlo; il ragazzo cercava di contrastarli, ma era consapevole del fatto che quella notte avrebbero vinto gli spiriti. Rafforzati dal novilunio, artigliavano la volontà di Zefiro, cercando di logorarla, sussurravano parole suadenti, cercando di sfinirlo, volevano impossessarsi di lui, carpirlo e avvolgerlo nelle loro spire, ma il ragazzo cercava tenacemente di aggrapparsi a quelle briciole di lucidità che pian piano stavano svanendo. La stanchezza gravava su di lui come un macigno, le palpebre si facevano pesanti e più volte avevano accennato ad abbassarsi, tutto il suo corpo urlava, voleva riposare, ristorarsi, ma Zefiro non poteva permetterselo. Quelle presenze avrebbero approfittato di lui e chissà cosa avrebbero combinato…Ma i bisogni del corpo ebbero la meglio sulla sua volontà e il ragazzo si addormentò. Gli spiriti che albergavano in lui, esultanti, lo invasero e lo sottomisero alla loro volontà.
Zefiro spalancò gli occhi, si sentiva più forte, stranamente e sinistramente più forte. Quella forza non proveniva da se medesimo, era una forza aliena, non sua, ma nonostante questo non fece nulla per scacciarla. Come un automa si alzò, cercando di fare meno rumore possibile. Non doveva svegliare Matisse, né tanto meno Corniolo, sarebbe stato un guaio. Lentamente, a piedi scalzi, si diresse verso l’angolo della stanza dove avevano abbandonato l’armamentario. Il metallo delle armi luccicava debolmente, colpito dalla luce argentea delle stelle che filtrava dai lucernari. Zefiro allungò una mano verso la sua spada, ma la ritrasse di scatto.
Ci vuole qualcosa di più piccolo e più maneggevole sussurrò qualcosa nella sua testa, con tono di rimprovero. Zefiro, convenne con la voce, e dirottò la mano verso la sua cintura, a cui era assicurato uno dei pugnali. Per abitudine, dormiva sempre con una lama al fianco, pronta per essere utilizzata in caso di necessità. Cautamente estrasse la lama e questa emise un bagliore mortale, colpita dalla luce stellare. Zefiro si avvicinò con passo felpato a Matisse, che dormiva placidamente, un sorriso appena accennato che le increspava le labbra. Zefiro sorrise a sua volta, ma il suo era un sorriso grottesco e macabro, accentuato da uno scintillio sinistro che baluginò per un attimo nelle sue iridi, color del sangue.
Uccidila! Comandò la voce dentro di lui, Zefiro annuì e il suo sorriso si allargò, trasformandosi in un ghigno raccapricciante che deformava i tratti perfetti del suo volto. Avvicinatosi alla ragazza, rimase per qualche secondo a contemplarla, incantato, rapito dalla purezza e dall’innocenza di quella ragazza addormentata, ignara di tutto.
Avanti cosa stai aspettando? Incalzò la voce, stizzita. Zefiro si rigirò il pugnale tra le dita, indeciso sul da farsi. Era titubante, non se la sentiva di strappare quella ragazza dalle braccia della vita, c’era qualcosa che lo tratteneva. Perché avrebbe dovuto recidere il gambo di un fiore così bello?
Avanti! Cosa aspetti? Domandò la voce esasperata, impaziente di poter finalmente prendere il controllo totale di quel corpo e tornare finalmente in vita, se così si poteva dire. Ma Zefiro indugiava, facendo vagare lo sguardo sui tratti rilassati della ragazza e sul sorriso cristallizzato sul suo volto. Lo spirito dentro di lui si spazientì e Zefiro alzò il pugnale, pronto per affondarlo nel petto della ragazza, che si alzava e abbassava al ritmo regolare del suo respiro. Questa però si svegliò e quando vide il ragazzo incombere su di lei, con in mano un pugnale e gli occhi rosso fuoco, stentò a trattenere un grido. Dalla sua bocca uscì una specie di pigolio strozzato, mentre i suoi occhi si spalancavano sempre di più, trasformandosi in due pozzi colmi di terrore. Fu quello sguardo a far rinsavire Zefiro, lo stesso sguardo di quella notte. Il ragazzo chiuse gli occhi e scosse la testa, come se cercasse di svegliarsi da un brutto sogno. La mano che reggeva il pugnale ricadde al suo fianco e rimase lì, inerte.
Matisse intanto continuava a guardarlo spaventata. Non riuscì a trattenete un sospiro di sollievo quando Zefiro riaprì gli occhi e vide che le iridi erano tornate del consueto blu cobalto. Il ragazzo fece andare lo sguardo da Matisse alla sua mano, che ancora reggeva il pugnale; la guardava incredulo come se non appartenesse a lui e si rese amaramente conto, che quella notte gli spiriti avevano vinto, come lui aveva previsto.
«Mi dispiace» mormorò appena, rivolto al pavimento, non avendo il coraggio di alzare lo sguardo sulla ragazza che stava per uccidere. Matisse non l’aveva mai visto così, sembrava abbattuto, stremato. Dietro quella corazza di determinazione e forza, in realtà, si nascondeva un ragazzo travagliato e fragile, che rischiava di rompersi in mille cocci di vetro. Zefiro si abbandonò sul pavimento e scoppiò a piangere. Matisse rimase basita e lo guardò allibita, non sapendo come comportarsi.
«Zefiro va tutto bene» cercò di consolarlo lei
«Non va tutto bene!» rispose lui tra i singhiozzi «Stavo per ucciderti!»
Matisse scese dal letto e si avvicinò al ragazzo. Avvolse le braccia intorno a lui e lo strinse con forza, cercando di non far disperdere i pezzi di quel ragazzo di vetro.
Zefiro rimase di stucco, sentendo il calore di un altro corpo avvolgerlo. Sapeva che non si meritava quel gesto, eppure ne aveva bisogno: pian piano, sentiva che la sua corazza si stava infrangendo, mostrando quello che era in realtà: un ragazzo tormentato, distrutto e devastato dagli spiriti che lo possedevano e lo torturavano, che lo spossavano e lo rendevano così maledettamente fragile e vulnerabile e solamente quel calore umano, quel gesto così inaspettato e così semplice riusciva a calmarlo e ad acquietare per un attimo il suo animo tormentato preda di una tempesta. Matisse sentì Zefiro rispondere all’abbraccio, sentì le sue lacrime bagnarli una spalla e le sue mani stringersi convulsamente alla sua camicia.
«Mi dispiace» continuava a mormorare Zefiro, tra i singhiozzi, mentre pian piano si stava sgretolando. Non voleva dare la colpa agli spiriti, perché era lui e solamente lui che si era lasciato conquistare e soggiogare da loro, si prendeva ogni responsabilità per il gesto che stava per compiere
«Io- io stavo per ucciderti» ripeté.
Matisse si strinse ancora di più a lui, sentendo che si stava sbriciolando sotto il suo tocco «Non è vero» sussurrò, cercando di consolarlo «Non è colpa tua» disse, e in un certo senso sapeva di avere ragione, sapeva che Zefiro non era in sé, quando le sue iridi mutavano e diventavano color sangue. Tempo fa aveva letto in uno dei volumi di Ortensia degli Spiriti: anime di persone che non avevano accettato la morte e cercavano in tutti i modi di impossessarsi di un corpo. Aspettavano, in trepidante attesa che qualcuno li evocasse per interrogarli, e ne approfittavano per sgusciare fuori dalla loro prigione oscura e tornare liberi. Cercavano poi un corpo da occupare, diventando inquilini sgraditi, parassiti, che cercavano in tutti i modi di soggiogare la volontà del proprio ospite. A quel punto facevano di tutto perché l’ospite uccidesse una persona e rendesse finalmente gli spiriti, padroni assoluti del corpo che occupavano, tornando, in un certo senso, in vita. Intuiva che fosse successa una cosa simile a Zefiro, che il suo animo fosse in preda di questi Spiriti, ma aveva bisogno di una conferma.
«Zefiro…» lo chiamò la ragazza con un filo di voce, sentendo i singhiozzi del ragazzo affievolirsi.
Zefiro si discostò un poco da lei, il suo volto ero lo specchio del suo animo devastato; il ragazzo intuiva quello che gli avrebbe chiesto Matisse, ormai era giunto il momento, non poteva più ritardarlo. Così, fatto un respiro profondo, iniziò a raccontare con un filo di voce la sua triste storia. Ovviamente, omise qualche particolare, ma il succo era quello e Matisse lo ascoltò attenta, trattenendo il respiro.
«E, da allora, sono perseguitato da queste presenze, che mi inducono a fare azioni terribili» concluse Zefiro con un sospiro affranto.
«Io sono troppo pericoloso, Matisse» disse, dopo svariati minuti di silenzio interrotti solo dal roco russare di Corniolo, che dormiva ancora come un sasso «Soprattutto per te. Questa notte sono riuscito a fermarmi, ma non posso garantirti che la prossima ci riuscirò. Ho promesso di proteggerti Matisse, ad ogni costo…» la voce di Zefiro si incrinò
«Dove vuoi arrivare?» domandò la ragazza, sapeva che quel discorso sarebbe andato a parare da qualche parte, e aveva un certo presentimento su dove.
«Dovete proseguire senza di me» dichiarò Zefiro alla fine. Gli sembrava la decisone migliore, l’unica possibile, sapeva di essere sempre stato un pericolo per Matisse e ne aveva avuto l’ennesima conferma. Doveva allontanarsi da lei, solo così l’avrebbe protetta, da se stesso
 


 
***
Finalmente  sono riuscita ad aggiornare, partorire questo capitolo è stata un enorme fatica. Sapevo cosa volevo scrivere, ma quando lo vedevo nero su bianco, cancellavo tutto, insoddisfatta.
Spero di avere reso bene il tormento di Zefiro e di non aver reso il suo crollo troppo patetico. Volevo fare capire quanto Zefiro fosse dilaniato da queste presenze, quanto si sentisse in colpa e responsabile, quanto si sentisse vulnerabile e arrabbiato per questa sua vulnerabilità, quanto si sentisse impotente di fronte all'incapacità di contrastare gli Spiriti che lo occupavano, quanto fosse spossato dalla continua lotta a cui era sottoposto per contrastarli. Spero di aver fatto capire tutto questo e di non averlo reso troppo pesante o insulso. 
Prometto che cercherò di aggiornare il prima possibile :)
Ayr
   
 
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