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Autore: Ayr    14/09/2014    3 recensioni
Quando Matisse incontra Zefiro, un ragazzo affascinante ma misterioso, la sua vita tranquilla viene completamente sconvolta: il ragazzo infatti le rivela che lei è la principessa perduta, la legittima erede al trono di Heaven. Inizia così per lei un viaggio in compagnia di Zefiro, il cui silenzio pare nascondere un grande segreto, che la porterà dal tranquillo villaggio in cui vive alla caverna di Procne, una potentissima maga che aiuterà Matisse ad affrontare quello che le aspetta: non si tratta solo di sedere su un trono e di prendere sulle spalle tutte le responsabilità che esso comporta, Matisse infatti, dovrà prepararsi anche per una guerra perchè non è l'unica che ambisce a quel trono e c'è già chi trama nell'ombra per strapparglielo via.
Preparatevi ad accompagnare Matisse in questo viaggio tra maghi, battaglie, segreti, elfi e misteri. Siete pronti a partire?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Matisse cavalcava a testa bassa, persa nei suoi pensieri. Corniolo, accanto a lei, provava a strapparla dall’aura di silenzio in cui si era chiusa, ma senza successo; tutti i suoi tentativi di intavolare una conversazione crollavano miseramente.
«Dovete proseguire senza di me» » le parole di Zefiro riecheggiavano nella mente della ragazza.
«Cosa?!» aveva esclamato lei ad alta voce, sconvolta, incurante di svegliare Corniolo
«Saresti più al sicuro se viaggiassi senza di me. Non so se riuscirei a proteggerti da me stesso» aveva mormorato amaramente il ragazzo. Matisse non riusciva né voleva accettare la decisione del ragazzo. In fondo era sempre riuscito a controllarsi fino a quel momento, inoltre nessuno conosceva il Regno meglio di lui, se se ne fosse andato, chi li avrebbe fatto da guida? L’aveva detto a Zefiro che aveva scrollato le spalle, lo sguardo perennemente basso, rivolto al pavimento.
«Avete una mappa, inoltre potrete sempre contare su qualche guida, disposta ad accompagnarvi»
Matisse voleva protestare, non voleva che Zefiro andasse via; le costava ammetterlo, ma si era affezionata a lui, inoltre era l’unico che conoscesse Procne e potesse presentarla a loro. Aveva insistito su questo punto, ma Zefiro era rimasto irremovibile nella sua decisione. Era molto più al sicuro se avesse viaggiato senza di lui, era troppo pericoloso, troppo instabile, troppo imprevedibile, chi poteva assicurarle che una delle notti a seguire non le avrebbe reciso la gola? Matisse non cedeva e Zefiro era sempre più esasperato. Perché cavolo non riusciva a capire la gravità della situazione? Come poteva insistere a continuare a viaggiare con lui, un potenziale assassino che, in preda agli spiriti, non si sarebbe fatto troppi problemi a porre fine alla sua vita?
«Io non posso proseguire con voi, Matisse. Credimi, lo faccio solo per il tuo bene. Non voglio che ti accada qualcosa per causa mia» cercava di convincerla. I ruoli si erano invertiti. In quel momento era Matisse sul punto di crollare e spezzarsi, mentre Zefiro cercava di farla ragionare. Alcune lacrime ribelli, avevano fatto capolino agli angoli degli occhi di Matisse. Il ragazzo si era chiesto perché piangesse per lui: uno sconosciuto che aveva tentato di ucciderla. C’era solo una risposta: Matisse lo amava. Se ne era resa conto quella sera stessa, quando Zefiro aveva dichiarato di volerla lasciare. Solo allora si era accorta di quanto tenesse veramente a lui. Era assurdo, se ne rendeva conto, ma si era innamorata di quel ragazzo misterioso piombato improvvisamente a casa sua in una notte di fine primavera. La sua ragione diceva che era tutto un controsenso, che non c’era logica in questo amore; ma in fondo, nell’amore non regnava la mente e la logica, ma il cuore e l’istinto.
Calde lacrime avevano iniziato a farsi largo tra le ciglia di Matisse e a scorrere lungo le sue guance. Zefiro si era sentito un essere infimo e meschino, ma non poteva fare altrimenti.
«Matisse, non piangere, ti prego, non per una cosa così stupida» aveva cercato di consolarla, prendendola per i polsi. Matisse aveva iniziato a versare copiose lacrime. Zefiro l’aveva abbracciata
«Matisse, non ha senso che tu pianga. Io per te sono uno sconosciuto, uno sconosciuto pericoloso per giunta. L’unico modo che ho per proteggerti e allontanarmi da te, perché non lo riesci a capire?»
«Perché io ti amo» aveva dichiarato la ragazza debolmente, tra i singhiozzi «E ho paura di perderti»
Matisse non sapeva se Zefiro avesse sentito le sue parole, sovrastate dai suoi singhiozzi, forse no, dal momento che l’aveva allontanata da sé, le aveva asciugato le lacrime e le aveva ripetuto che era inutile e insensato piangere per lui.
«Mi dispiace Matisse, ma è l’unico modo» le aveva ripetuto, in quel momento si era svegliato anche Corniolo, chiedendo cosa fosse successo. Zefiro gli aveva espresso la sua decisone e l’ometto l’aveva guardato confuso, senza capire.
«E perché diamine vuoi lasciarci?» aveva domandato «Non è che hai bevuto e sei preda dell’alcol?» Zefiro aveva scosso la testa e si era ritrovato a raccontare di nuovo la sua storia.
«Io ho detto a Procne di non essere adatto a questo compito, che mi sarei potuto rivelare pericoloso e avevo ragione. L’unico modo che ho per mantenere la mia promessa di proteggere Matisse è di allontanarmi da lei, da voi» ripeté per l’ennesima volta «Come posso pretenderla di proteggerla da pericoli esterni se non sono capace di proteggerla nemmeno da me?» aveva poi continuato
«Ma come faremo senza di te?» aveva chiesto Corniolo con voce atona «Tu conosci meglio di me questi luoghi»
«Troverete un sostituto più degno e meno pericoloso» aveva risposto Zefiro
«Allora hai deciso già tutto» aveva chiesto Corniolo, ma più che una domanda la sua era stata un’amara constatazione
«È l’unico modo. Non posso più garantire di…» Zefiro si era interrotto, aveva allontanato gentilmente da sé Matisse, ancora piangente e si era alzato. Non poteva più aspettare, più avrebbe indugiato più sarebbe stato straziante e difficile lasciarli. Si ripeté che era la decisione migliore, che così Matisse sarebbe stata al sicuro e si rimproverò per non averla presa prima, ma aver aspettato fino ad allora.
L’alba si stava avvicinando, il cielo si stava schiarendo e i primi incerti e timidi raggi di sole stavano bucando l’oscurità della notte, quando Zefiro salutò i suoi compagni di viaggio, abbandonò le proprie armi e uscì dalla stanza.
Matisse l’aveva seguito con lo sguardo annacquato dalla lacrime, l’aveva visto allontanarsi a cavallo e venire inghiottito dal blu chiaro del mattino imminente.
La padrona di casa aveva assistito alla partenza di Zefiro, ma aveva avuto la delicatezza di non domandare nulla. La stessa sensibilità, però, era sconosciuta al suo primogenito che senza tanti giri di parole aveva domandato dove fosse andato così di fretta il ragazzo moro, prima che fosse pienamente mattino. Corniolo aveva laconicamente risposto che aveva avuto un improvviso e urgente impegno che l’aveva costretto a partire e nessuno aveva fatto più domande.
Erano partiti dalla fattoria a mattino inoltrato, il cielo era limpido e di un meraviglioso azzurro intenso. Lo stesso azzurro degli occhi di Zefiro aveva pensato Matisse tristemente montando a cavallo. Non aveva detto una parola fino ad allora, troppo sconvolta e addolorata. Aveva palesato i propri sentimenti nei confronti di Zefiro, ma non erano bastati a trattenerlo, o era stato proprio questo ad averlo indotto a partire così velocemente. Ora si sentiva svuotata e abbattuta, la sua le sembrava una mossa avventata e stupida. Con uno stizzito colpo di tallone aveva spronato il suo cavallo a partire.
«Non è una magnifica giornata?» domandò Barden, affiancando la ragazza. Il giovane si era unito a loro. Né Matisse, né Corniolo, però, avevano preso bene la notizia. Il sostituto di Zefiro era uno spaccone narcisista, arrogante, presuntuoso e insensibile che mostrava un po’ troppo interesse nei confronti di Matisse.
«Barden, la vuoi lasciar stare?» pigolò Morten, davanti a lui. Anche il ragazzo era divenuto parte del gruppo. I due, infatti, erano stati mandati dalla madre a Solwin, con l’incarico di comprare alcune cose indispensabili e avevano approfittato del fatto che Corniolo e Matisse dovessero fare tappa lì, per unirsi a loro.
«Non si sa mai cosa si può trovare nella piana di Myr» aveva detto Barden quando aveva chiesto se poteva fare la strada con loro «Nessuno sa cosa nasconde l’erba alta di questa piana».
I due avevano accettato la sua compagnia solo perché il giovane aveva assicurato di conoscere la strada più sicura e veloce per arrivare a Neherin. Ma entrambi avrebbero fatto volentieri a meno della sue presenza. Era stato deciso che Morten sarebbe rimasto a Solwin per svolgere l’incarico affidatogli dalla madre, mentre Barden avrebbe proseguito con Matisse e Corniolo fino a Neherin, dove abitava una sorella di suo padre; da lì in poi si sarebbero affidati ad una guida per giungere fino a Rovonero o Ripascura, due villaggi in prossimità della Foresta dei Frassini d’argento. Ovviamente Barden sarebbe stato pagato per il suo servizio, ma non era stata la prospettiva di un guadagno a indurlo a proporsi come guida.
Il ragazzo ignorò le parole del fratello e avvicinò ancora un po’ il proprio cavallo a quello della ragazza, procurandosi un’occhiata di fuoco da parte di Corniolo. Ma Barden ignorò bellamente anche quella, concentrandosi sul volto dai tratti spigolosi ma belli della ragazza.
«Non essere triste per quel tizio! Non ne vale la pena! In fondo, cosa era?» disse, Corniolo sbuffò dal naso, Matisse non rispose alla domanda e dato un colpetto al suo cavallo accelerò il passo per allontanarsi da quell’essere inopportunamente impertinente. Matisse raggiunse Morten; preferiva di gran lunga cavalcare accanto a quel ragazzo timido e impacciato, ma silenzioso e discreto piuttosto che con Barden, indisponente al massimo.
«Mi dispiace» mormorò cautamente Morten dopo un po’
«Per cosa?» domandò la ragazza, il ragazzo era riuscito a rompere la coltre di silenzio che avvolgeva Matisse
«Per l’improvvisa partenza di quel ragazzo, si vede che ci tieni molto a lui» Morten si morse le labbra, forse aveva esagerato, forse si era spinto troppo oltre. Matisse però non si indispettì, ma sorrise tristemente
«Non ti devi dispiacere per me, davvero. Lui non se n’è andato per sempre, tornerà, me lo sento»
Morten annuì, senza aver capito in realtà cosa intendesse la ragazza, e la loro cavalcata proseguì in silenzio.
 
Una figura incappucciata seguì con lo sguardo il quartetto che avanzava per la piana accarezzata da un vento leggero. Il suo cavallo, nero come l’inchiostro, si stagliava contro l’erba alta. Era consapevole di essere fin troppo visibile in un ambiente così aperto, per questo cercava in tutti i modi di rimanere indietro e di non farsi vedere. Una folata di vento più forte delle altre strappò il cappuccio dalla testa della figura, liberando una massa di capelli corvini, annodati dal vento. La figura sbuffò spazientita e si rimise il cappuccio, usando una mano per stringerlo, evitando così che gli cadesse di nuovo. Con un colpetto fece muovere il cavallo mantenendosi sempre ad una debita distanza. Il suo sguardo non abbandonava mai il quartetto, in particolare un figura slanciata, che avanzava elegantemente su un cavallo pomellato, i lunghi capelli color rame, raccolti in una treccia quasi del tutto sfatta, ondeggiavano a ritmo dei passi del cavallo. La figura sospirò e distolse lo sguardo, i suoi occhi, blu cobalto, si erano fatti cupi e vagamente tristi.
È vero, aveva detto che si sarebbe allontanato da loro, ma non che gli avrebbe abbandonati. In fondo aveva fatto una promessa e per quanto gli costasse mantenerla, non poteva nemmeno permettersi di infrangerla. Si considerava un uomo di parola e tale sarebbe stato. Aveva promesso a Procne che avrebbe accompagnato e protetto la ragazza; aveva promesso alla ragazza stessa che l’avrebbe protetta ed era quello che stava facendo. Seguendola da lontano avrebbe potuto comunque aiutarla in caso di bisogno, ma nel contempo sarebbe stata lontana da lui e dai suoi imprevedibili e pericolosi istinti omicidi.
Zefiro rallentò l’andatura del cavallo e si concesse un nuovo sospiro. Era la decisione più saggia, la migliore che avesse potuto prendere, e allora perché gli sembrava di stare facendo uno sbaglio?
«Perché io ti amo» queste parole lo investirono improvvisamente, stordendolo per un attimo. Matisse era convinta che non le avesse capite e invece aveva sentito benissimo. Perché quella ragazza si era innamorata di lui? Cosa ci trovava in un ragazzo tormentato e pericoloso che avrebbe potuto ucciderla in ogni momento? Un ragazzo di cui, per altro, aveva dichiarato di non fidarsi, fino a due giorni prima. Possibile che l’amore fosse così dannatamente priva di senso?
Zefiro non poteva ricambiare questo amore, anche volendo. Come aveva detto quella notte a Corniolo lei era una principessa, la principessa. Aveva bisogno di una persona nobile, responsabile, fidata e innocua al suo fianco, non di un reietto mezzosangue strampalato e posseduto. Non era esattamente il genere di ragazzo che qualcuno avrebbe voluto al proprio fianco. Zefiro scosse la testa. Che razza di pensieri stava andando a fare? Doveva essere colpa della stanchezza. Ma non poteva accusare la stanchezza di tutti i suoi problemi, era una scusa troppo banale e rifugiarsi in essa era da codardi. Eppure Zefiro era stanco: di essere quel che era, di non poter vivere una vita come tutti gli altri, di avere quei dannati spiriti dentro di lui e quei dannati poteri magici, di non poter essere di alcun aiuto per Matisse, di sentirsi così dannatamente impotente e vulnerabile. Perché Procne aveva voluto che fosse lui a trovarla? Perché aveva mandato lui? Avrebbe potuto chiedere a chiunque altro. Forse era un modo per fargli capire che non era così inutile come pensava, forse voleva riscattarlo in qualche modo, voleva fargli capire che anche lui aveva un ruolo, come tutti gli altri.
Come se ogni creatura fosse la pedina in un enorme scacchiera, con un proprio ruolo e un proprio compito, e questa non fosse guidata dalla propria volontà, come erroneamente credeva, ma ci fosse una volontà più alta e potente alla quale doveva sottostare e di cui Procne era il portavoce. Zefiro era stanco persino di questo, di essere una pedina in balia di una volontà più alta, che molto probabilmente si divertiva a vederlo soffrire e godeva nel torturarlo.
Dovrei smetterla con questi pensieri deprimenti e di auto commiserarmi si disse Zefiro risoluto. Non sarebbe servito a nulla perdersi e crogiolarsi in pensieri simili, non l’avrebbero affatto aiutato, se non ad abbattersi ancora di più. Eppure non poteva fare a meno di continuare a chiedersi il motivo per cui Procne si fidasse così tanto di lui, e se davvero fosse una pedina in balia dei capricci di un essere superiore; ma soprattutto si ritrovava spesso a chiedersi quale fosse il suo ruolo in tutta questa storia.
 
«Scacco matto!» dichiarò Radamanto abbattendo con un colpetto dell’indice il re bianco, che si accasciò al suolo, come se fosse stato davvero colpito dalla torre che aveva decretato la sua fine.
«Siete sempre stato bravissimo negli scacchi» si complimentò con lui il suo avversario, facendo vagare lo sguardo sulla scacchiera, cercando di capire come avesse fatto a perdere
«Il gioco degli scacchi e come la guerra» disse l’uomo abbandonandosi contro lo schienale della sedia «Oserei, anzi dire, che sia assimilabile alla vita stessa. Se si è bravi a questo gioco, il rischio di perdere anche negli altri due casi, diventa molto basso»
L’uomo di fronte a lui lo guardò con aria interrogativa «In guerra, come nella vita, bisogna tenere conto di qualsiasi cosa, anche di quella che sembra la più insignificante, ma che si rivela essere la più pericolosa. Bisogna soppesare ogni singola scelta, per evitare di cadere in una trappola. Per raggiungere il proprio obiettivo, nella guerra, come nella vita, bisogna essere attenti, prudenti, scaltri e a volte ance un po’ crudeli» spiegò Radamanto accomodandosi la tunica rosso fuoco
«Vi state riferendo a qualcosa in particolare?» indagò l’altro, Radamanto scoppiò a ridere
«Mi chiedo come vi vengano in mente idee di questo genere, Ippolito» rispose Radamanto tra i singhiozzi.
Ippolito era un altro dei consiglieri della regina, il più codardo e vile, ma nel contempo il più perspicace e intelligente, pertanto, pericoloso. Radamanto temeva che quell’uomo sospettasse qualcosa e, di conseguenza, aveva deciso che fosse una buona idea tenerlo sott’occhio.
«Volete la rivincita?» domandò Radamanto raccattando i pezzi della scacchiera
«Per oggi mi sembra di aver perso già abbastanza» rispose l’uomo alzandosi a fatica a causa della sua mole «Forse un’altra volta» mormorò salutando con un rispettoso cenno del capo Radamanto e uscendo dalla stanza con passo ciondolante.
Radamanto lo seguì con lo sguardo, per poi dirigerlo sulla scacchiera. Prese distrattamente in mano la regina bianca e se la rigirò tra le dita. Un sorriso sardonico gli increspò le labbra e la sua mano si chiuse intorno al pezzo.
«Presto toccherà anche voi, mia regina. Sono sempre stato discretamente bravo negli scacchi e presto o tardi dichiarerò anche a voi lo scacco matto»
Radamanto si abbandonò in una risata sguaiata. Presto avrebbe ottenuto il potere e avrebbe finalmente dimostrato di essere qualcuno; avrebbe avuto, dopo tanto tempo, la possibilità di  mettere in atto le sue decisioni, perennemente scartate, senza dar conto a nessuno, finalmente avrebbe avuto un potere effettivo. La sua non era solo mera bramosia, lui non voleva solo sedere su un trono; lui voleva riscattarsi, voleva vendicarsi di tutti coloro che l’avevano da sempre considerato l’eterno secondo, voleva uscire dall’ombra della sorella nella quale era sempre vissuto, voleva farsi vedere…ma, in fondo, voleva anche dominare, assaporare per un attimo la sensazione di appagamento data dalla consapevolezza di avere tra le mani la vita degli uomini e il fatto che gli bastasse stingere un poco le dita per levargliela.
La regina bianca scivolò dalle dita dell’uomo e cadde a terra, finendo sotto il piede di Radamanto.
 


 
***

Oggi sono piuttosto produttiva, anche se ho scritto un altro capitolo di passaggio, nuovamente introspettivo. Molto probabilmente vi starete annoiando a morte, chiedendovi quando arriverà l'azione e il sangue...Con calma arriveremo anche a quello. Per il momento godetevi questo capitolo, una specie di delirio post pranzo scritto seguendo il filo dei miei pensieri che si rincorrevano l'un l'altro velocissimi. Spero che capiate qualcosa e che il capitolo non risulti troppo confuso o frettoloso.
Zefiro se n'è andato, ma continua a seguire Matisse da lontano. La ragazza ha dichiarato i propri sentimenti, ma sono corrisposti? E poi ci sono Barden e Morten, due comparse a dire la verità, due nuove pedine in quella che è diventata la scacchiera di questa storia...
Quali saranno le prossime mosse? 
Ayr
   
 
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