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Autore: _pioggia_    16/09/2014    6 recensioni
"Avete presente quelle volte che vi svegliate con la sensazione che succederà qualcosa di positivo? Quando avete il cuore in gola sapendo che potrebbe accadere ciò che stavate sognando da anni? Che potreste avere il coraggio di scrivere una lettera d'amore, lasciarlo nella posta del vostro amore segreto e sperare che vi arrivi la risposta con scritto che vi ricambia?
Bello.
Nemmeno io."

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||Storia in fase di revisione||
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5

Una giornalista, un cantante e un libro

CAPITOLO 5




«Buono» mormorai continuando a sorseggiare la mia Coca-Cola.
«Già... - disse Harry fissando le ragazze al bancone pronte a pagare - Come introdurrai il discorso di Paul a Joshua?» chiese poi portando il suo sguardo su di me.
La pizzeria si andava riempiendo minuto dopo minuto e il chiacchiericcio aumentava. Il capo della pizzeria Mario's chiese a Joshua di stare al bancone e di non muoversi da lì. Presi il cellulare e gli inviai un messaggio con scritto che appena si fosse liberato doveva venire al mio tavolo perché dovevamo parlare. Ma perché dovevo parlargli? Cosa avevo di così importate da dirgli? Non eravamo fidanzati e di conseguenza no gli dovevo nessuna spiegazione.
Dubitai nel mandargli l'SMS e decisi di andarmi a prendere un'altra Coca, la terza in quella serata.
Bevevo molto quando ero nervosa, e in quel momento lo ero. Sembrava come se mi dovessi dichiarare e Joshua lo captò al volo quando mi vide davanti alla cassa con lo sguardo basso perso nel vuoto mentre mi accarezzavo i capelli - altro segno di nervosismo -.
«Tutto bene?» domandò chiudendo il bicchiere. Alzai lo sguardo fissandolo negli occhi facendo "Sì" con la testa, ma lui mi prese con due dita il mento e sussurrò: «Se vuoi prendo una piccola pausa e parliamo, d'altronde non c'è molta gente, Chris se ne occuperà da solo».
«In effetti c'è qualcosa che devo dirti...» confessai allontanandomi dalla sua mano e tornando a fissare il pavimento.
«È per il tuo ragazzo?» chiese aprendo la porticina di lato del bancone mentre si sistemava la bandana rossa. Presi il bicchiere pieno e una cannuccia.
«Ragazzo? Beh... Non proprio» mormorai sorseggiando.
«Lo sapevo che quel tizio mentiva». Ci sedemmo uno di fronte all'altro mentre Harry guardava ogni nostro minimo movimento.
Tirai un sospiro di sollievo e poi dissi: «In verità lui è innamorato di me, ecco perché ha detto questo e mi ha fatto incavolare nera». Guardai il riccio e lui posò il suo sguardo su di me mentre poggiava la sua testa sul mio avambraccio. Quanto avrei voluto acarezzargli la testa e giocare con i suoi capelli, ma non potevo perché altrimenti Joshua mi avrebbe preso per pazza.
«Quindi è per questo che eri tanto preoccupata?»
«Beh, diciamo che non ero proprio preoccupata, però sì, era per questo» sorseggiai la bevanda ancora fredda.
Rieccolo lì quell'omone barbuto farsi largo tra i dipendenti e sedersi su un'esile sediolina da bar. Joshua si scusò e tornò a lavorare. Ma pochi minuti dopo tornò con un sorriso raggiante senza il grembiule e la bandana.
«Josh, il proprietario, ha deciso di lasciarmi la serata libera» disse tirandosi i capelli all'indietro.
«A quanto pare hai lavorato parecchio questo mese» sorrisi portando i miei occhi sui suoi.
«Ti accompagno a casa?»
«No grazie, vado a piedi»
«Anch'io sono a piedi» rise.
«Fammi compagnia, allora» replicai alzandomi.
Uscimmo dalla pizzeria. Fuori era fresco, la temperatura si era rialzata, di conseguenza sembrava identica a quando entrai al negozio. Il cielo era limpido, le stelle cominciavano a risplendere timidamente e il cielo era diventato blu oceano. I lampioni ai lati delle strade, si erano appena accesi e la gente era leggermente diminuita. Quella era solo l'inizio della serata, tante cose potevano ancora accadere a New York, specialmente nel cuore della città.
Le foglie degli alberi venivano mossi dalla brezza che tirava. Arrivati all'angolo ci salutammo.
Un suo bacio sulla guancia mi fece imbarazzare e poi lo vidi allontanarsi sempre di più.
Al lampione mi fermai e mi poggiai sul palo confusa. Il parco m'invitava ad entrare e restare seduta su una panchina con il naso all'insù guardando le stelle che si potevano distinguere grazie alla lontanza del parco dal centro della città.
Entrai nel parco e vidi un ragazzo sdraiato a terra, sulla riva del piccolo lago, intento a collegare immaginariamente i puntini brillanti nel cielo cercando in essi un punto di fuga dalla vita reale che lo schiacciava continuamente e lo stressava.
Mi stesi accanto a quella figura così familiare e portai il mio sguardo sul cielo stellato.
«I tuoi genitori sanno che sei fuori casa?»
«I miei? Figuriamoci! Quel deficiente di mio padre si è andato a fare l'ennesima troia e mia madre e troppo occupata a nascondersi dalle verità per rendersi conto della mia assenza - un sospiro fece da pausa - Che ci fai da queste parti Yari?»
«Niente Federico, un momento di svago»
«Uhm - deglutì il quindicenne - Po-potrei...»
«Dormire a casa tua per questa sera? Lo sai di essere sempre accolto» lo interruppi socchiudendo gli occhi e accennando un sorriso complice.
«In verità vorrei trasferirmi per un po' a casa tua». Riaprii gli occhi di scatto.
«S-se hai bisogno di allontanarti da quella vita, vieni pure - pausa - Come fai con i tuoi?». Mi sedetti incrociando le gambe. Lui m'imitò portandosi le mani sulle ginocchia.
«Domani mattina lascio scritto su un bigliettino a mia madre che sono in gita con i miei amici e che non so fino a quando mi assenterò, ma che la chiamerò»
«Tu la fai troppo facile - sbottai sorridendo amaramente e portando lo sguardo altrove - Non sai neanche come reagirà»
«Se è per questo nemmeno tu» replicò con tono di sfida.
Lo guardai con disapprovazione, ma non potevo fare a meno che offrirgli la camera degli ospiti. Lo avevo conosciuto mentre era seduto sulle sue ginocchia al bordo del marciapiede davanti all'uscita del cinema un sabato sera. Stava mendicando perché i suoi genitori non avevano abbastanza soldi per mantenere la famiglia e intanto la sorella se ne era già andata da quella casa lasciando Federico a sopportarsi gli urli di rancore che la madre gli urlava quando era le prove che il marito la tradisse erano palesi.
Era un semplice quindicenne che frequentava la SL's Middle School ad Hoboken, che passava i pomeriggi seduto sugli scalini dell'entrata della scuola facendo i compiti e rincasava solo la sera per cenare e dormire con le cuffiette con il volume al massimo per coprire i rumori dei bicchieri e dei piatti che volavano in cucina quando il signor Romàn era in preda ad un raptus. E si sentivano per tutto il vicinato le urla di Elsa che cercava invanamente di calmare il marito.
Gli avevo rivolto uno sguardo compassionevole e lo avevo invitato a venire con me a casa per almeno una notte. Avevamo chiacchierato del più e del meno, raccontandoci un po' di noi e delle nostre vite, ridacchiando delle cose più strane e buffe che avevamo fatto. Il mattino dopo pensai che i suoi genitori avrebbero dato per disperso il figlio, ma non fu così. Mi affacciai alla sua camera e lo vedevo dormire beatamente a pancia in sù e con le cuffie nelle orecchie.



Mi svegliai verso le sei del mattino a causa della telefonata da parte di Federico. Con la mente ancora confusa gli aprii il portone del palazzo e in seguito la porta di casa. Si era portato con sè un borsone, ovvero il necessario per due o tre settimane. Per un attimo pensai che i suoi genitori lo avessero letteralmente cacciato da casa visto i suoi capelli scompigliati, la faccia da zombie, le labbra screpolate e i vestiti piegazzati. Si poteva tranquillamente confondere con un barbone dato l'aspetto, ma l'inesistente puzza avrebbe fatto dubitare molti sul suo legame -si fa per dire- con la strada.
Lo accolsi come se fosse un figlio e cercai di metterlo a suo agio. Presi il suo bagaglio e lo sistemai ordinatamente sulla sedia della scrivania della camera degli ospiti. Mi buttai sul letto matrimoniale di quella stanza e quasi mi ci addormentai sopra. Il quindicenne aprì la porta di scatto e mi rivolse uno sguardo confuso.
«Che stavi facendo?» chiese inarcando il sopracciglio.
«Uhm, provando se il tuo letto era abbastanza comodo» mi risedetti ridacchiando nervosamente.
«Noto con soddisfazione che sì, altrimenti non ti saresti ranicchiata come fai di solito quando dormi»
«Beh... - pausa di riflessione - Momento, momento, momento. Come fai a sapere che mi ranicchio quando dormo? Insomma, non sarai per caso entrato in camera mia... - lo vidi giocherellare con il lembo della maglietta - Non dirmi che...». Spalancai gli occhi sorpresa. Lui mi guardò imbarazzato. «Federico!» urlai scandalizzata.
«Ri-ringrazia Sandy che ha avuto la magnifica idea di nascondersi sotto le lenzuola del tuo letto mentre la stavo cercando per coccolarla mentre guardavo la Tv» balbettò cercando disperatamente qualcosa che lo salvasse, o almeno, lo portasse in un momento di grazia per pensare ad una scusa applausibile.
«Sotto le lenzuola? - esalai lanciando all'aria i cuscini e scattando in piedi - Non avrai visto l'intimo che portavo»
«Ricordo solo la tua gattina che mi saltava addosso procurandomi questi graffi» confessò mostrandomi la guancia.
Dopo un momento di confusione, decisi di chiudere lì la discussione e di fargli segno di perdono andandolo ad abbracciare. Non si poteva definire rabbia, bensì stupore, sconcertezza.
Ero ancora molto incredula, ma decisi di tornare a dormicchiare beatamente sul mio letto mentre Sandy continuava a gironzolare per casa come se niente fosse successo. Cominciai a rigirarmi nel letto mentre sentivo i clacson suonare e qualcuno urlare. Andai in studio e accesi il portatile. Federico nel frattempo si era dolcemente addormentato sul letto sopra le coperte e con le scarpe ancora sui piedi, i quali pendevano.
Harry e Jannelle rieccoci qui. Di nuovo, faccia a faccia. Come se fosse iniziato un nuovo ring, più difficile da affrontare. E in effetti era proprio così.Era da giorni che non sapevo come far "magicamente" avere un posto di lavoro nella posta del Pensylvania al riccio e non sapevo neanche come e quando Jannelle potesse affrontare il test d'ammissione all'università di medicina. Dovevo tenere conto anche che non sarebbe stato così facile da superare l'esame e che ce ne sarebbero stati vari.



Ecco che il signorino Styles che si muoveva lentamente intimidito dall'ordine della casa di sua sorella Gemma. Un profumo di ciliegie lo travolse, facendolo entrare in quel mondo così ordinato e felice. Ricorda ancora per bene la puzza ad alcool che gli pervadeva le narici entrando in salotto. Il divano rovinato con qualche strappo qui e là, le mura bianche che con il tempo avevano perso la lucentezza, la poca luce che filtrava dalle finestre sporche e la vicina che passava ogni tanto per vedere come stava, quella era stata la vita del più piccolo degli Styles e ora quel cambiamento gli faceva venire la pelle d'oca accompagnato da un brivido che gli percorreva la schiena.
Una piccola valigetta dall'aria andata era tutto quello che si era portato insieme allo zaino. I capelli gli ricadevano sul viso. In sottofondo un accordo di chitarra che lo accompagnava verso la sua nuova vita. Quel piccolo appartamento dalle mura beige che rendevano l'ambiente più caldo e accogliente lo avrebbero visto mentre si riprendeva dalla sua depressione.
Gemma si era occupata di farlo sentire al più agio possibile, iniziando da una tazzina di caffé e poi da qualche risata. La sua voce roca rieccheggiava nella stanza. Parlava lentamente cercando nella sua mente le parole giuste per descrivere i suoi stati d'animo e la sorella si era già abituata a questo suo modo "goffo" per alcuni di dialogare. Non faceva altro che fissare il fondo della tazzina e di ripensare a tutti quei momenti di depressione affogati dall'alcool e di tutte le cose rotte a causa della rabbia che prendeva il sopravvento nella mente. Ma fra tutti i ricordi, quello che gli era rimasto ancora vivido nella sua mente era il giorno in cui aveva visto Rachele andarsene dalla loro casa dopo la serata prima in cui Harry l'aveva vista baciarsi con un altro ragazzo che non era lui. E la cosa che gli aveva fatto più male era che lei era ben cosciente di quello che stava facendo.
E anche ben disposta a proseguire quello scambio di passione fino al letto in cui lei e lui avevano passato tante nottate passionali a dormire uno nelle braccia dell'altro. Il tutto gli faceva così male fino a toglierli il respiro.
Gli scappava una lacrima ogni tanto mentre diceva alla sorella di tutto quello che aveva sofferto e si liberò quando Gemma stessa lo abbracciò e gli sussurrò di lasciare andare tutto quel dolore in un pianto.
Dall'altra parte della città c'era lei, Jannell Russell, intenta a studiare per l'esame all'università. I fratelli minori le davano filo da torcere mentre la madre era fuori casa a lavorare nel suo studio legale a Manhattan. Jonathan e Duncan si chiamavano quelle due piccole pesti che le scarabocchiavano di nascosto le fotocopie su cui studiava da giorni ormai. I suoi capelli rossi avevano perso lucentezza ed erano sempre legati in uno chignon, molto raro visto che a lei piaceva curarsi. Le energie le venivano di meno ogni giorno dato che passava più tempo sui libri che ad occuparsi di sè stessa.
La sua vita si divideva tra le uscite di gruppo di qualche ora con gli amici, i fratelli e l'esame. Molto noiosa si potrebbe definire.
«Yari...Ehm, Yari...»
«Che vuoi adesso Styles?»
«Il telefono, è tuo fratello»
«Digli che adesso non posso»
«Sono nella tua immaginazione, ricordi?»
Sbuffai alzandomi. Presi in mano il cellulare e risposi alla chiamata. La voce sprizzante di gioia di Patrick fece vacillare la mia tranquillità. Doveva essere successo sicuramente qualcosa. Una promozione all'ospedale, o forse erano riusciti ad adottare il figlio che tanto volevano avere, oppure... Sarah stava per partorire il loro primogenito!
Sputai l'acqua che avevo appena bevuto provocando le risate di Harry, il quale mi guardò stranito prima di scoppiare nella sua fragorosa risata. Come risposta gli feci una smorfia e presi un paio di fogli scottex per asciugare il pavimento.
«Ma tu non mi avevi neanche detto che fosse incinta!» urlai buttando la carta nel cestino a cui corrispondeva.
Ed era vero. Io non ero lontanamente informata che Mr e Mrs Stuart stessero aspettando un bel bambino e che io sarei diventata presto zia. Mi sedetti sul divano e dissi a Patrick che sarei arrivata a momenti.
«Ma vedi questi! - esalai riponendo il cellulare sul tavolo da pranzo - Non avvisano neanche nove mesi prima che diventerò zia!». Presi la spazzola e cominciai a pettinarmi i capelli di fretta. Presi un elastico e mi feci una treccia di lato, facendo ricadere ciuffo sul viso. Preparai di corsa la borsa e mi vestii. Nel frattempo che mi preparavo, chiamai un taxi perché mi venisse a prendere.
«Non sei felice?» chiese Harry seguendomi mentre scendevo le scale. Usai l'auricolare Bluetooth per non farmi prendere per pazza.
«Felice? Ovvio! Avrò un bel patato da viziare con giocatoli e coccole! Solo che avrei preferito saperlo prima, adesso devo correre al Manhattan Mall e compreargli almeno una tutina» dissi salendo sul taxi.
«Signorina dove la porto?»
«Alla trentatreesima di Manhattan»
«Manhattan Mall?»
«Sì»



Arrivai all'ospedale con i capelli alla rinfusa e il fiato corto a causa della corsa fatta prima. In corridoio davanti alla stanza 245 c'erano il padre di Sarah e il mio che blateravano su quali sarebbero stati i colori degli occhi del bambino - o bambina, non si sapeva ancora il sesso.
«Saranno color nocciola come il padre!» disse papà contando le sigarette che gli erano rimasti nella scatolina.
«Figuriamoci! - sbuffò - Avrà i bellissimi occhi azzurrini della madre»
«Personalmente penso che avrà gli occhi verdi come la zia» m'intromisi poggiando la busta da regalo sulle sedie blu di plastica.
«Ti conviene non intrometterti, sai la cifra si è alzata a duecento dollari» mi sussurrò mia madre Claire mentre cercava di calmare la madre di Sarah. Quella donna non la smetteva di piangere e sibilava frasi tipo: «Sono così felice», «Che bello», «Sono nonna!» i quali venivano soffocati dai singhiozzi. Dalla parte opposta c'era Steve che continuava a digitare frasi sul computer, probabilmente cercava di comporre un piccolo romanzo, il primo di tutta la sua vita.
Avevo lasciato a Federico un bigliettino sul tavolo da pranzo con scritto che per qualsiasi urgenza mi avrebbe potuta chiamare al cellulare, ma alla fine lo chiamai io per vedere come stava.
«Pronto?» rispose con la voce bella carica di energia come quella di chi si era svegliato sprizzante di allegria.
«Ehy, Fede, come va?»
«Uhm, bene, grazie. Ma dove sei finita?»
«Sono in ospedale, sta per nascere il mio nipotino, o nipotina»
«Davvero?» chiese entusiasta.

Dall'altra parte del corridoio c'erano i due neo-nonni che litigavano per i capelli del futuro nascituro. La somma nel frattempo era salita a duecentonovanta dollari e trentaquattro centesimi e Steve stava cominciando a dare i primi segni di stanchezza dopo quattro ore passate a sentire i due uomini bisticciare per un bebè che sarebbe nato a momenti.
Patrick uscì per un attimo dalla stanza e prese una bottiglietta di acqua frizzante fredda. Il suo volto era pallido, si poteva ben notare che era sotto pressione perché non poteva occuparsi lui stesso del parto e perché era troppo emozionato dato che mancavano pochi minuti al parto.
Le urla di Sarah per un momento fecero zittire gli spiriti competitivi dei due nonni e il singhiozzare di Serena, la quale si asciugò le lacrime e poco dopo scoppiò in un altro fragoroso pianto di allegria. Steve chiuse di colpo il computer lasciando prendere il sopravvento alla curiosità, al suo istinto paterno. Era ovvio che non vedeva l'ora di avere la piccola o il piccolo tra le braccia.
Dopo che la ostetrica uscì, entrammo noi tutti vicini l'un l'altro e contemplammo la scena di una madre stanca ma sprizzante di felicità, una dolce bambina che strillava a pieni polmoni tra le braccia di chi l'aveva messa al mondo e di un padre commosso al vedere i suoi due più grandi amori di tutta la sua vita.

«Benvenuta in famiglia piccola Katherine Stuart» sussurrai prendendola in braccio come se fosse la cosa più preziosa di questo pianeta.








Ho scritto sicuramente capitoli più lunghi e dal testo più ricco e formoso, ma è un piccolo periodo comunemente chiamato "Blocco dello scrittore" che di solito lo supero introducendo cose a caso perché mi aiutino ad andare avanti. Penso che si sia capito che il parto della dolce e piccola Katy non era previsto e ora so che può sembrare un po' troppo precipitoso e tipico dalle fanfic bimbeminchia, ma ho deciso di creare questo piccolo "imprevisto" tanto per far apparire la famiglia di Yari, il che mi sembrava -e sembra tuttora- giusto.
E poi mi voglio scusare se non ho postato come avrei dovuto, ovvero due domeniche fa, ma in compenso...Okay, il capitolo è talmente pessimo che mi -e vi- conveniva aspettare un altro po' per vedere cosa veniva fuori -sicuramente qualcosa di meglio-. Quindi il "ma in compenso" può andare a farsi benedire.
Non mi aspetto certamente che recensiate con cose tipo "Hey, ho appena finito di leggere e devo dirti che è magnifico il capitolo! Aggiorna presto ;)", anzi, secondo la mia scarsa autostima in campo letterario -riferimento a fanfic stupende scritte da persone nate con il talento verso la scrittura è PURAMENTE CASUALE, CREDETEMI. Okay, se mi avete creduto state seriamente male, lol- che in questo ultimo periodo "mi pervade l'anima fino a togliermi il respiro" -e ma che cazzo sto dicendo?-, dovreste recensirmi con qualcosa che mi sproni a superare questo periodo di blocco.
Certo, poi fate come volete.

Detto questo, mi dileguo lentamente mentre cerco di cominciare il sesto capitolo e... Arrivedorci!
Baci.

_pioggia_.

PS: contattatemi su facebook o su twitter per qualsiasi cosa. :)
   
 
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