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Autore: _Blanca_    16/09/2014    3 recensioni
| Assassin's Creed III | ● | Connor Kenway × Nuovo Personaggio | ● | storia in stand by |
1769. Colonia di Massachusetts Bay. Cecilia ha quattordici anni quando viene derubata di un'esistenza semplice e benestante. Rimasta sola in un mondo che si prepara alla rivoluzione e alla guerra, la ragazzina diventerà donna. E la donna scoprirà le difficoltà della vita e dell'amore.
"A Davenport Manor non si ricevevano mai visite. Così, quel tardo pomeriggio d'autunno, Cecilia, china sul focolare, quasi trasalì udendo un irruente bussare all'ingresso. Lasciò gli avanzi del pranzo a riscaldare nel caldaio, appeso sul fuoco, e attraversò di corsa la cucina: era l'ora del tramonto e rettangoli di luce si stiracchiavano pigramente sopra i porosi mattoni color tabacco del pavimento. [...] Nel buio salone da pranzo, [Cecilia] scostò qualche centimetro dei pesanti tendaggi verdi, odorosi di polvere e legna bruciata, e spiò oltre i pannelli di vetro della finestra. Era stata una giornata fresca e serena, ma nel fremere degli aceri gialli c'era un sentore di pioggia in arrivo. L'indesiderato visitatore era ancora davanti alla porta. [...] Era un nativo."
Genere: Generale, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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THE CORNFLOWER CAP 2

















II

Visite inaspettate










Tenuta Davenport. 28 settembre 1769

A Davenport Manor non si ricevevano mai visite. Così, quel tardo pomeriggio d'autunno, Cecilia, china sul focolare, quasi trasalì udendo un irruente bussare all'ingresso. Lasciò gli avanzi del pranzo a riscaldare nel tegame, appeso sul fuoco, e attraversò di corsa la cucina. Era l'ora del tramonto e rettangoli di luce si stiracchiavano pigramente sopra i porosi mattoni color tabacco del pavimento.
Messo piede nell'androne d'ingresso, Cecilia realizzò di esser stata preceduta.
Ebbe appena il tempo di sentire il signor Davenport elargire un «No» a chiunque si trovasse sulla soglia, prima di vederlo richiudere la porta con sufficiente veemenza da far tremare stipiti e architrave.
Bussarono di nuovo.
«Vattene via» abbaiò il padrone. E voltate le spalle alla porta, puntò verso il salone da pranzo, i passi scanditi dal sordo toc del bastone contro le vecchie assi sotto il loro piedi. All'esterno, scoppiò una voce maschile: «No! Non me ne andrò!»
«Chi è?» chiese Cecilia, ferma accanto alle scale.
«Nessuno». Senza aggiungere altro, gli occhi nascosti sotto la molle falda del cappello, il signor Davenport si ritirò nella penombra del salone.
«Nessuno? Allora abbiamo un fantasma cocciuto alla porta» mormorò Cecilia.
Le avevano insegnato che il sarcasmo sulla bocca di una donna era qualcosa di detestabile. Guai, poi, a burlarsi di spettri e demoni. Ma Cecilia era fatta del genere di pasta che non si mallea nemmeno con le bacchettate sulle mani e il soggiorno nella magione, oltre ad averle gradualmente scrollato di dosso una malinconia che non le apparteneva, aveva diminuito la sua già debole inclinazione a trattenere la lingua: la ragazza si era accorta che, di qualsiasi genere fossero le sue parole, il signor Davenport mostrava sempre e comunque pochissimo interesse e nessuna preoccupazione.
Cecilia s'infilò nel salone da pranzo: una grande stanza con le pareti di damasco scarlatto dove, però, non pranzava mai nessuno. Il signor Davenport sedeva sulla sedia Windsor, vicino al camino, in cupa contemplazione delle fiammelle, dietro i riccioli anneriti del parascintille.
Cecilia non lo disturbò. Scostò qualche centimetro dei pesanti tendaggi verdi, odorosi di polvere e legna bruciata, e guardò oltre i pannelli di vetro della finestra. Era stata una giornata fresca e serena, ma nel fremere degli aceri gialli c'era un sentore di pioggia in arrivo. L'indesiderato visitatore era ancora davanti alla porta.
Era solo un ragazzo.
Aveva la pelle scura come quella di un mulatto e i lisci capelli neri, più corti di quelli dei coloni, non erano legati. Vestiva con abiti fatti di pelle di cervo, portava arco e frecce sulla schiena e un'accetta legata alla cintura: una striscia di stoffa rossa.
Era un nativo.
Il primo che Cecilia avesse mai visto da così breve distanza.
Tra curiosità e ansia, lo osservò scendere i quattro gradini d'ingresso e restarsene nei pressi delle colonne bianche, ma non riuscì a scorgere i lineamenti. Il ragazzo teneva il viso basso e le spalle chine in andatura un po' ciondolante; a dispetto dell'armamentario, le sue movenze non sembravano minacciose, dava piuttosto la genuina impressione di non saper bene cosa fare.
«Se gli apri la porta, vi butto fuori entrambi».
Nella frase del signor Davenport c'era calma, ma non ironia.
Cecilia richiuse la tenda e si voltò verso di lui, le mani dietro la schiena e le dita mollemente aggrappate alla stoffa scura.
«Chi è quel ragazzo?»
Il signor Davenport mantenne lo sguardo sul fuoco.
«Non lo so.»
«Sembra un nativo.»
«Mmh.»
«Che cosa cerca qui?»
«Guai.»
«Pensate... pensate abbia cattive intenzioni?»
«Penso che tu finirai per bruciare la cena. Di nuovo.»
Cecilia trattenne un sospiro tra le labbra.
Le risposte lapidarie non la offendevano.
Del padrone della tenuta si era fatta l'idea di una persona schietta e disincantata, assuefatta all'isolamento e al lutto. Era capace di una certa ruvida gentilezza, ma guardava il mondo con uno sguardo amareggiato, come se l'umanità intera fosse responsabile di un irreparabile torto nei suoi confronti. A Cecilia, però, non era dato sapere la natura di tale torto: il signor Davenport si mostrava perennemente restio alle conversazioni.
Compresa l'antifona, la ragazza se ne tornò in cucina, camminando con le mani nelle tasche, nascoste tra le pieghe della sottogonna, e il pensiero dello sconosciuto che le svolazzava per la testa. La visita era stata una scossa nel quieto e lineare succedersi delle ore. La vita, nella grande casa di mattoni rossi, era immobile e terribilmente solitaria, ma Cecilia non avrebbe mai osato lamentarsi. Non riusciva ad essere felice, perché ancora tormentata da ricordi amari, però era tranquilla, libera e piena di gratitudine.










   
 
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