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Autore: Nadie    16/09/2014    2 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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2. Una storia semplice



Lui alla vita non aveva mai chiesto molto.
Gli bastava del cibo e da bere, un buon libro ogni giorno, qualche parola buona da dire e da ricevere, una sigaretta sotto un cielo buio e un posto caldo in cui sognare qualcosa da dimenticare la mattina dopo.
Mai aveva pensato di chiedere alla vita di dargli tappeti rossi da calpestare e vestiti eleganti da indossare solo una volta e poi via; mai avrebbe voluto prendere aerei ogni due giorni e girare il mondo senza mai vederlo davvero; mai avrebbe voluto modelle e attrici perfette con il loro profumo attorno a lui.
Forse non avrebbe neanche mai voluto l’amore, ma se proprio quel gran bastardo avesse dovuto raggiungere anche lui, gli sarebbe bastata una storia semplice.
Un bacio rubato al mattino e un corpo caldo la notte, silenzi leggeri riempiti da pelle e carne, parole semplici e sorrisi ogni giorno, litigi per il colore dei muri da dipingere, sogni troppo alti per il soffitto e ritardi al lavoro solo per fare l’amore, e poi ancora serate sul divano a guardare la partita e lei che sbuffa perché non capisce nemmeno cos'è un fuorigioco, e mangiare pizza al lume di candela, guardare fuori dalla finestra e pensare di essere altrove, via, lontano, lontano, oltre il mare e tutti gli oceani, dimmi dove vorresti essere e ti prometto che trasformerò il salotto nella città che vuoi, farò del divano la nostra gondola e del pavimento il Rio de la Plata, poi faremo la fila per vedere gli Uffizi dentro la nostra vetrina piena di servizi da tè mai usati e salteremo in piedi sul tappeto, sul nostro Vallo di Adriano e guarderemo il mondo tutto intorno che è troppo piccolo per noi due.
Ecco cosa avrebbe voluto, adesso che è tardi lo ha capito.
Appoggia i gomiti al parapetto del ponte e osserva il fiume Liffey che scorre sotto di lui con il suo rumore di acqua presa e trascinata via da altra acqua, ma dove scappi acqua? Dove vuoi arrivare? Quanto lontano vuoi andare? Stai correndo verso qualcuno anche tu? E che strada fai?
Anche lui dovrebbe prendere la strada buona e correre verso qualcuno, ma così tante domande ammassate nella sua testa!
E quella frase, quelle parole, quelle sillabe che si ripetono nella sua mente da ormai quasi più di tre anni.
Aspetto un bambino.               
As-pet-to un bam-bi-no.
Sarà già arrivato, e forse lei sarà impegnata, forse avrà trovato un altro e avrà scordato il ragazzo con gli occhi bui, i suoi occhi bui e tutto di lui, tutte le sue parole, la sua pelle, il suo odore e la sua paura delle farfalle.
Forse adesso lui e la loro storia andata a male sono nascosti in fondo alla sua mente e lei li tiene lontano.
La loro storia andata a male.
Se solo lui avesse potuto raccoglierla, se avesse potuto mettere parole, baci e sentimenti chiusi in un barattolo grande, grandissimo e tenerlo sempre con lui, aprirlo, respirarlo, riviverlo e richiuderlo a suo piacimento.
Se solo le storie non fossero astratte ed invisibili, se si potessero toccare, maneggiare, smontare e rimontare meglio di prima, stavolta più forti, siamo più forti e non ci smonteremo più, ma chissà dove vanno a finire le storie e ciò che è parte di loro, chissà di cosa sono fatte e dove finiscono.
Forse in acqua?
Dimmi un po’, fiume Liffey, lì sotto, nella tua acqua sporca, c’è per caso un pezzetto di me e della ragazza con gli verdi? E se sì, ti prego, allunga la tua mano bagnata e dammelo, perché è mio e solo mio e lo voglio tenere con me, lo voglio tenere per me.
As-pet-to un bam-bi-no.
Quanta rabbia che sente dentro, rabbia per ogni dannata sillaba.
Rabbia perché quel bambino non è il suo, perché se tu e i tuoi occhi verdi foste stati più sinceri ed io meno orgoglioso, quel bambino lo avremmo aspettato insieme ed ora io non sarei su un dannato ponte a maledire le tue dannate parole!
Ma al diavolo le parole!
Si nasconde dietro un paio di occhiali scuri e cammina tra le vie di una città che ha cercato disperatamente di dimenticare ma che è rimasta impressa, indelebile, incancellabile nella sua testa che ha fatto il giro del mondo, che ha camminato sulle strade di New York e Los Angeles e ha sentito l’odore e il rumore dell’oceano, ma che è sempre rimasta tra i vicoli grigi di Dublino
Svolta in una via piena di bar e di puzza di alcol, sigarette e di gente che ha voglia di dimenticare.
Si avvicina ad un locale anni Cinquanta che conosce bene, spinge la porta e si avvicina al bancone, un po’ affollato, dove una ragazza con i capelli rossi ed il suo amico con dei dreads biondi servono clienti poco pazienti e troppo esigenti.
Si immerge in quelle richieste, si infila tra un caffè ed un cocktail, sgomita tra una birra e un po’ d’acqua fredda.
Sì, prego, mi dica: cosa vuole?
Prudence, grazie.
Il ragazzo con i dreads biondi alza gli occhi su di lui e sembra incredulo.
«Ben?!»
Annuisce, sì, quello è il nome, sono proprio io anche se mi nascondo dietro ad un paio d’occhiali, come se due lenti grandi e scure bastassero a tenermi al sicuro dal mondo e dalla gente che ci vive sopra, ma io ci provo, resto nascosto, resto dietro i miei occhiali e me li toglierò solo quando tu mi avrai detto dov’è la ragazza con gli occhi verdi.
La ragazza con i capelli rossi si avvicina e quasi non ci crede che davanti a lei, come tre anni prima, c’è di nuovo il ragazzo con gli occhi bui.
«Ma dove sei andato a finire?» gli chiede il ragazzo.
Ma dove sono andato a finire?
Lontano, in un altro continente e poi indietro a casa mia, e poi su in cielo sopra un aereo ed un altro ancora, e ho visto tutto e ho visto niente, ed ora non lo so neanche io dove sono andato a finire.
«Enoch, ti prego, devi dirmi dov’è! Devo vederla!»
«Ben, guarda che Prue…»
«So tutto, mi ha detto tutto l’ultima volta ma ormai non mi importa più niente.»
Un uomo corpulento sbraita perché nessuno gli ha ancora dato la sua sacrosanta birra, Angie si volta e gli regala un’occhiataccia, poi gli intima di aspettare, che sta facendo una cosa importante.
Una cosa importante.
«Senti, non lavora più qui con noi, ma possiamo darti l’indirizzo di casa… però non dirle che siamo stati noi.»
«Non lo farò.» ho altro da dirle, ho di più da dirle, ho il mondo da dirle, ho l’Oltre da dirle.
Angie ed Enoch si scambiano un’occhiata d’intesa, poi lei prende un foglietto ed una penna e ci scrive sopra qualcosa e poi lascia cadere il foglietto nella mano tesa del ragazzo con gli occhi bui.
«Grazie!» e gli rispondono con un sorriso che ha dentro qualche goccia di compassione e forse anche pena.
Ma ormai non mi importa più niente.
Ritorna in strada e cammina, cammina, cammina tra le strade che conosce alla perfezione e fissa il foglietto macchiato d’inchiostro blu e lo tiene in mano stando attento a non stropicciarlo o strapparlo, perché al momento quel foglietto gli sembra ciò che di più importante ha al mondo.
Cammina, cammina, cammina e smette di camminare solo quando i suoi passi incrociano quelli di una ragazza alta, snella e bionda che è perfettamente perfetta e così tanto perfetta che gli fa quasi venire il nervoso.
«Ben, eccoti! Avevi detto che tornavi subito ma è tardissimo, sono uscita a cercarti!»
«Franziska…»
Ma qualsiasi parola abbia in mente di dire, resta bloccata dentro lui, perché Franziska si avvicina e posa le labbra sulle sue e lui resta immobile, interdetto, bloccato e poi lei si allontana e gli fa un bel sorriso che lui si sforza di ricambiare.
«Dai, andiamo a casa a prepararci per la cena.»
 
 
 

Cara la mia ciurma, come state? Come è iniziato il vostro Settembrozzo?
Il mio dimmerda, spero il vostro meglio!
Cooomunque, torniamo agli sfigatozzi, c'è una cosetta che la sottoscritta autrice svampita ha scordato di dirvi: questa storia è ambientata nel 2014, e voi direte: ma come? L'ultima volta non eravamo nel 2011 ai tempi di Killing Bono?
Ebbene è giusto che sciolga questo intreccio temporale un po' incasinato: la storia di Ben e Prue comincia a fine 2006, poi tutti sapete che io sono acida e perfida e quindi li faccio mollare e loro si rivedono otto anni dopo, cioè nel 2014, cioè in questa storia, per quanto riguarda le tre OS ambientate nel periodo Killing Bono('Dove va a finire tutto l'amore di una storia d'amore?'; 'Il tempo dell'acqua' e 'Fino a Domani), sono delle Missing Moments che non erano presenti né ne 'I difetti della memoria' né nella 'Statica' e che sono state scritte e pubblicate dopo, perciò gli sfigatozzi adesso si sono visti l'ultima volta nel 2011, tre anni fa, perciò Leila, la fagiolina di Prue, ha già tre anni :)
Perdonate questi sbalzi temporali, ma la storia è strutturata apposta così perché ci sono sempre riferimenti alla memoria e al tempo che passa e perché a me piace giocarci sopra, scusate se vi ho mandato in confusione, in caso abbiate bisogno di ulteriori chiarimenti chiedete pure!
Per il resto... ah non dico più nulla, lo so che Franziska è una presenza sgradita al momento, però sapete che se io non complico le cose ai due sfigatozzi non sono contenta!
Ah, tra l'altro, come potete vedere, sono ritornata alla terza persona con i pensieri diretti di Ben mischiati, e questo perché ho provato a scrivere con la prima dal suo punto di vista, ma credo che appiattisca troppo il suo personaggio, perciò ritorno al vecchio stile: squadra che vince non si cambia!
Ed ora, come sempre, ringrazio tutti i lettori, silenziosi e non!

hasta luego,
C.

P.S: Ma quel servizio fotografico di Ben? Cioè, PARLIAMONE! Mamma mia, Barny, ma statte bono!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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