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Autore: Sam Lackheart    17/09/2014    1 recensioni
Di certo, lui non ne poteva più di quel posto, di quel silenzio interrotto dai suoi respiri, delle nuvole che si dispiegavano, mostrando brandelli di cielo cobalto talmente pieni di stelle che il biondo si chiese se facessero a gara per essere viste dall' uomo. Conosceva la brama di notorietà, e si sentì stranamente vicino a quei piccoli corpi celesti.
[piccola e innocua storiella di un collerico e violento canadese. E sì, avete letto bene]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: 2p!Hetalia, Canada/Matthew Williams, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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ATTO IV

Audrey cercò freneticamente di ripercorrere gli ultimi eventi. Era tornato a casa, era riuscito a chiudere quel cucciolo di orso nello sgabuzzino - non senza averne ricavato un sottile taglio lungo lo zigomo, dal quale colava fastidiosa una scia di sangue - ma non aveva pensato al fatto che, con le stesse zampe con cui l' aveva ferito, avrebbe potuto liberare Matthew.
Ma era proprio quello che era successo.
La prova? Un Matthew inespressivo, immobile come una statua e grave come il marmo, che lo fissava. Senza odio, astio, o furia. Solo, lo guardava. Era grottesco come si somigliassero, in quel momento: Matthew era dimagrito, quasi più per lo stress che per una vera mancanza di nutrimento, mentre l' altro, con l' imbottitura sotto i vestiti, si era fintamente irrobustito.
Audrey sentiva che non toccava a lui parlare: la prima battuta era di Matthew. La battuta conclusiva, che però non sarebbe dovuta arrivare così presto.
"In questi giorni ho cercato di trovare una spiegazione logica al tuo comportamento, ma non ci sono riuscito"
L' altro rimase in silenzio. Non voleva dirgli quello che gli passava per la testa, non voleva che lui lo capisse, o peggio, provasse pena per lui. Ma dal suo sguardo pieno di compassione, Audrey si vide per quello che era: un piccolo animale collerico lasciato a bisticciare con la sua ombra. Un animale che non avrebbe mai fatto la differenza, neanche con la sua morte.
"Aiutami" continuò cauto, avvicinandosi all' altro che restava immobile, guardando un punto fisso davanti a lui, come in trance.
Come un cane randagio che aveva da tempo stabilito la sua area di influenza, appena si avvicinò troppo, Audrey scattò di lato, senza paura nei suoi occhi.
"Ma come, il brillante Matthew non capisce?"
"No, non capisco, Audrey"
Sentire il suo nome pronunciato da Matthew lo fece scattare. Annullò la distanza che li separava con un passo rapido.
"Mi hai tenuto rinchiuso come fossi un animale, Matthew. Te ne rendi conto, vero? Sono sempre stato trattato come una ruota di scorta, e tu, il nobile Matthew, non hai mai fatto nulla per aiutarmi. Ricordi quando giocavamo insieme, e mi trattavi come un fratello?" si beò per un attimo dell' espressione colpevole dell' altro, prima di aggiungere "Adesso l' animale si è liberato, e te la farà pagare"
"Non sei un animale. Non ho mai fatto nulla per te, capisco il tuo risentimento, non ho scusanti"
"Cosa credi di risolvere con la tua ipocrita autocommiserazione? Se solo tu credessi ad una parola di quello che dici non ti saresti comportato in quel modo"
"Mi dispiace, non so che altro dirti"
"Certo che non lo sai. Non eri preparato ad una cosa del genere, vero? L' ideale per te sarebbe stato che io sopportassi tutto in silenzio, senza mai alzare la testa, come facevo all' inizio. Te lo ricordi l' inizio, vero?"
Matthew cercò di abbassare ancora di più lo sguardo. Certo che ricordava.
"Quando ti guardavo con occhi ammirati, e ti lasciavo andare a rappresentarci, perchè in fondo non avevo bisogno di quelle cose, per essere felice. Mi bastava la tua presenza, che tu accettassi di giocare per me, anche se a volte eri costretto, mi bastava che tu non mi costringessi a stare con quell' idiota di Alfred. Mi proteggevi, pensavo. Ma poi ho capito, non mi stavi proteggendo da niente, mi stavi nascondendo. E io ci ero cascato, perchè avevo fiducia in te, ma non preoccuparti, da quel momento ho imparato la lezione"
"Ho sbagliato, con te. Ma non sono solo io il responsabile, lo sai"
"Stai davvero cercando di giustificarti? Non sei cambiato di una virgola. Sei fortunato, nessuno arriva mai a considerarti troppo, e quelli che lo facevano hanno imparato la lezione, mi pare"
Matthew sapeva che era quello il suo modo di vendicarsi, che non doveva prenderlo sul serio, che era solo troppo arrabbiato, neanche a torto. Ma quelle parole arrivarono comunque a ferirlo.
"S- smettila!" disse, cercando di pensare a come gestire la situazione: conosceva Audrey, e il modo migliore per farlo calmare era cercare di tenergli testa, dargli quel tipo di soddisfazione dalla quale sembrava dipendere tutta la sua vita. Ma lui non ne era capace. Se fosse stato più simile ad Alfred, o ad Arthur ...
"Smetterla?! Matthew! Come osi darmi degli ordini, adesso? Non vedi come ti ho ridotto, senza neanche quasi toccarti? Sei nelle mie mani, adesso. Non capisci che ho la tua vita in mano? E la vita dei tuoi cari?"
A quelle parole gli occhi di Matthew si spalancarono involontariamente.
"Oh, ecco, vedo che ci sei arrivato. Nessuno ti vorrà più, quando avrò finito, e finalmente avrò la mia vendetta"
"No!" riuscì a dire il canadese "Non puoi prendertela con persone che non hanno mai avuto niente a che fare ... con questa cosa ... lasciali in pace, te ne prego"
"Mi stai pregando?" chiese Audrey, fintamente sorpreso "Oh, se solo potesse bastare, se solo potessi lasciarti andare e chiedere perdono ..." per un attimo entrambi ebbero l' impressione che non fosse semplice retorica, quella che stava usando, ma fu solo un istante "Non posso, capisci, ho un ruolo. E devo portarlo a termine" concluse, sfiorando con le dita il mento di Matthew.
Fu un attimo.
Audrey prese lo sgabello che Matthew teneva vicino alla vasca da bagno e lo colpì alla testa. Non un colpo violento, ma l' altro colto alla sprovvista cadde a terra, difendendosi inutilmente il volto con le braccia. Un attimo di esitazione, e sarebbe tutto andato a rotoli: Audrey si ripeteva questo, mentre continuava a colpire a caso, e senza mai fargli davvero male, l' altro, che giaceva a terra, paralizzato dalla sorpresa. Non l' aveva mai picchiato. Aveva detto tante cose, cattive, e quando erano piccoli causava piccoli incidenti che casualmente finivano per fargli spuntare qualche livido, ma mai era arrivato a colpirlo in quel modo.
Matthew capì di aver perso, e che non avrebbe potuto dire niente per farlo ragionare. E questa impotenza gli diede nuovo vigore: si alzò di scatto, deciso almeno a fermare quel massacro, ma un colpo accidentale, diretto inizialmente al suo ginocchio sinistro, lo colpì sulla tempia, e svenne.
Audrey si bloccò e guardo le braccia che tenevano lo sgabello come se non gli appartenessero. Cosa aveva fatto? Il sangue di Matthew spiccava, quasi ridicolmente rosso, sulla sua pelle impallidita velocemente e imperlata di sudore.
Sorrise nervosamente incrociando la sua immagine allo specchio, stravolta, terrorizzata, terribilmente infantile.
“Su, Audrey, quando hai firmato il contratto ti avevano detto che sarebbe potuto diventare sgradevole, a volte”.
“Lo  so, lo so, ma non pensavo così sgradevole”
“Ma come, non è lui l’ oggetto della tua vendetta? La tua unica fonte di gioia non risiede nel fargli del male?”
Se avesse avuto una coscienza, probabilmente avrebbe parlato con quella. Ma non era questo il caso. Adagiò nonostante tutto dolcemente il corpo di Matthew sul letto, lo coprì bene, avrebbe anche voluto fermare il sangue che lento ma costante continuava a colare, ma non riusciva a toccarlo o a guardarlo, non senza che delle sciocche, inutili lacrime di rimorso sgorgassero ai lati dei suoi occhi stravolti e dilatati.
Aveva solo una certezza ossessiva: l’ inazione avrebbe portato alla riflessione, la riflessione al rimorso, il rimorso alla chiusura del sipario, alla morte. Non poteva permetterselo, non in quel momento. Aveva ancora una persona da visitare, ancora un legame da spezzare, e Matthew sarebbe stato come lui, avrebbe provato la sua stessa opprimente solitudine.
Aveva un’ ultima carta da giocare, questo lo sapeva. Quasi sognando, uscì di casa, controllando bene che quel maledetto orso fosse ben chiuso a chiave – si chiese distrattamente come si sarebbero liberati del corpo, quando l’ avrebbero trovato morto di stenti – salì in auto e impostò il navigatore. Appena accesa l’ auto, sentì il telefono vibrare: una mail.
“Causa problemi tecnici, la sessione di riunioni è momentaneamente sospesa
Ci scusiamo per il disagio
Comitato organizzativo mondiale”
Audrey sorrise, controllando che le nuove protesi e lenti fossero a posto. Alfred era un idiota, ma era pur sempre suo fratello, avrebbe potuto capire qualcosa.
La casa di Alfred era esattamente come aveva immaginato. Grande, tinteggiata di bianco, tanto da accecare, insieme alla neve che lentamente ingrigiva, un ampio giardino sul davanti, che aveva il suo gemello, il canadese poteva scommetterci, dietro l’ edificio. Era la sua tenuta fuori città, Audrey ricordava bene quando poche settimane prima Matthew fosse andato a trovare il fratello proprio lì, e come avessero giocato a baseball. Si era chiesto come potesse sorridere, nonostante Alfred lo stesse battendo in maniera fin troppo facile e fosse ricoperto di lividi. Eppure rideva, sommessamente, tanto che si poteva notare solo dal tremolio del labbro inferiore.
Il biondo cercò di scacciare quelle immagini di amore fraterno dalla memoria, facili termini di paragone con la sua completa mancanza di legami familiari, di ricordi di vacanze passate insieme. Tutto quello in cui poteva sperare era passare un pomeriggio al mese con Matthew, misere ore che avrebbero dovuto aiutare la sua socializzazione.
Si morse l’ interno della guancia per costringersi ad ingoiare quegli ultimi ricordi. Osservò il posto del passeggero, dove trionfava la mazza da baseball di Matthew, lucidata per l’ occorrenza. Sorrise, mentre scendeva dall’ auto e fino al campanello tenne quel ghigno glaciale, ma troppo finto per dargli fiducia.
 
“Come stanno?” chiese, teso, Ludwig.
“Arthur sta guarendo, ma non potrà parlare almeno per le prossime due settimane, o usare le mani per il prossimo mese. I medici mi hanno detto che è in uno stato di perenne agitazione, per il dolore, molto probabilmente. Quindi sono costretti a sedarlo. Anche se …” Antonio si guardò attorno nervoso: non aveva una grande passione per gli ospedali  “Non so, magari è la cosa migliore. Ma è come se avesse qualcosa da dirci”
Il tedesco annuì, senza davvero ascoltare. Quello aveva tutta l’ aria di essere un complotto. Ma a che pro? Francis e Arthur avevano fin troppi obiettivi comuni, era praticamente impossibile restringere la rosa degli indiziati. Quasi tutto il resto del mondo aveva conti in sospeso con loro due.
“E Francis?” chiese dopo qualche minuto.
“Lui … il suo problema non è fisico” rispose laconico Antonio, mentre i suoi occhi si abbassavano al suolo.
“Che intendi?”
“Non fa altro che ripetere il nome di Matthew, e piange. In continuazione. L’ ultima volte che l’ ho visto piangere è stato per Giovanna, non pensavo l’ avrei visto di nuovo. È … ancora scioccato, credo. Siamo abituati a sentirci al sicuro da qualunque cosa …”
Ludwig smise di ascoltare. Non era la prima volta che veniva fuori il nome del canadese, e in quegli ultimi giorni era particolarmente presente.
“O forse sta cercando di dirci qualcosa” mormorò.
“Che vuoi dire? Pensi che Matthew sia la prossima vittima?”
“No” rispose, con voce titubante “Penso che Matthew sia il colpevole”.
 
Alfred non si stupì nel vedere suo fratello bussare alla porta. Rimase perplesso quando vide la mazza tra le sue mani.
“Cosa vorresti farci con quella?” chiese titubante, con un mezzo sorriso di perfetta condiscendenza che mandò il sangue al cervello dell’ altro. Conosceva fin troppo bene quello sguardo misto di pietà e superiorità malcelata. Lo sguardo che chiunque era sempre pronto a rivolgergli. Eppure … quella volta non era rivolto a lui.
“Mi devi una rivincita …” pigolò piano, per evitare che l’ altro si accorgesse del suo tono stranamente pensieroso. Sarebbe dovuto essere afflitto, abbattuto, tuttavia sorridente, ottimista, pronto a dire che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma non era nella sua natura, non aveva mia avuto questo genere di inclinazioni: preferiva di gran lunga sprofondare nel più completo pessimismo e cinismo. D’altronde, un pessimista è un ottimista ben informato. Per una volta, però gli sarebbe piaciuto avere l’ opportunità di trovare un giaciglio di calde speranze e futuro, al posto degli aghi invisibili che costituivano le sue ore di riposo e solitudine.
“Oh, sure man!” aveva intanto esclamato l’ americano, dando una vigorosa pacca sulla spalla a quello che credeva essere suo fratello. Audrey sentì un dolore bruciante, poi un fastidio quasi impercettibile, un caldo ricordo e infine la consapevolezza della falsità di tutto ciò che quel semplice ma disarmante gesto aveva prodotto.
“Allora, iniziamo?” chiese impaziente l’ americano, battendo il pugno nel guanto che aveva indossato: sapeva che il ruolo preferito dell’ altro era alla ricezione, mentre il suo punto forte era la battuta. Sorrise cordiale, come se farlo non gli costasse nulla, in nessuna occasione: Audrey invidiò quella predisposizione alla gioia che sembrava appartenente a tutti, tranne che a lui. Non la meritava, forse?
“Certo” rispose piano, stringendo la presa sulla mazza: aveva una missione, che senso avevano tutti quei pensieri discordanti? Come se si fosse potuto salvare, se avesse semplicemente chiesto scusa a quelli a cui aveva fatto del male, come se avesse possibilità di perdono …
Vide Alfred girarsi e andare lentamente nella sua posizione, fischiettando una canzone che non conosceva. Era quello il momento per colpirlo, si disse: in casa non c’ era nessuno, la donna delle pulizie non andava mai durante la settimana. Pochi passi lo dividevano dalla sua vittima, un colpo secco alla testa e sarebbe scappato facilmente: il giardino sul retro era delimitato da un fitto bosco che sapeva essere privato, nessuno l’ avrebbe visto. Nessuno tranne lui. Nessuno tranne la sua coscienza martoriata, esanime, morente ma ancora presente, che lo spingeva ad esitare, che gli faceva percepire la gabbia amorale nella quale si era rinchiuso, convinto del bisogno impellente del suo ruolo da recitare, tutti i giorni, senza la possibilità di un semplice, banale e risolutivo cambio d’ abito.
Ma il suo corpo era abituato ad agire senza la sua mente – torturare, provocare dolore, sono azioni possibili solo in questo modo: si era avvicinato ad Alfred lentamente, sicuro del fatto che mai si sarebbe accorto di lui, troppo preso da se stesso. Aveva alzato la mazza, non troppo, per non creare ombra ai piedi dell’ americano. Un unico gesto, un breve movimento, e anche quell’ atto sarebbe stato portato a termine con successo.
A quel pensiero rabbrividì di colpo, la mazza cadde a terra, Alfred si voltò incuriosito.
“Matt, che succede?”
Audrey percepì, dolorosa, la vena di preoccupazione sincera che affiorava da ogni parola, da ogni movimento dell’ altro.
“Sto … poco bene. Ti dispiace se rimandiamo?”
“No, affatto. Vuoi uno strappo a casa? Che hai? Febbre? Mi sembrava avessi la voce più bassa oggi …”
Un ultimo colpo alla sua mediocrità di attore.
La fine di un lungo, estenuante spettacolo.
O meglio, l’ ultima uscita di scena, prima della vera fine. 


***
Sì, sono tornata. No, non è bello.
Su su, che è il penultimo, giuro. 
  
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