Nei
tre giorni
che seguirono, furono rase al suolo altrettante polis.
Dalla
villa
più lussuosa al tugurio più fatiscente, ovunque
regnava l’impotenza. Dall’umile
pastore al temerario condottiero di guerra, nessuno aveva
possibilità di
salvezza. L’incapacità di evitare la morte di
amici e parenti era un macigno
che gravava ora su chiunque.
Zeus
non
esitava un momento, a rammentare all’umanità
quanto poco valesse per lui, e
quanto quegli esseri fossero patetici e insignificanti. Neutralizzati
freddamente come lo sono gli insetti dall’uomo. Scacciati
dalle loro case e
minacciati di estinzione tutti i giorni.
Gli
eserciti
di tutta la Grecia si erano mobilitati, coordinati dai re di Sparta e
dal
governo di Atene, sulle tracce dei ricercati. Per ottenere la minima
informazione, furono torturati e uccisi centinaia di uomini, ritenuti
sospetti,
assieme alle loro famiglie. Ma nessuno sapeva dare informazioni
veritiere su di
lui.
Come
spesso
accade, per far placare le torture, molti confessarono il falso.
Alcuni si
tolsero la vita per paura di vivere.
Commentò
Almo fissando da una collina
gli stendardi rivoluzionari di tutta l’Arcadia. Li aveva
riuniti.
“È
per questo motivo che abbiamo mentito a tutti?”
rispose Cercione
con fare provocatorio.
Almo strinse gli occhi.
“Il
Falcone è molto astuto. Ha capito che non avremmo mai potuto
convincerli con la
verità. Non se l’Olimpo ci minaccia di sterminio.
Era chiaro che qualcuno
avrebbe provato a tradirci se avessimo detto di essere ancora al
servizio della
rivoluzione.”
Almo gli buttò una mano sulla spalla.
“Non prendertela, amico. Gli uomini
sono fatti
così.”
Gli bastò uno sforzo di volontà per fare
in modo che una grossa coda metallica, similare a quella di un drago,
attaccata
ad essa, si protendesse verso l’alto.
Da
sotto l’abito del luogotenente
rivoluzionario fuoriuscì una sorta di coda draconica, che
fulmineamente, con una
spazzata, lacerò le carni degli aggressori imbrattandosi del
primo sangue…
“Stento
a credere che Sideris avesse calcolato tutto sin dall’inizio. Se non ci avesse dato la
mappa dove era
tracciata la posizione di quelle armi e non le avessimo trovate, di
certo
nessuno avrebbe mai creduto alla nostra menzogna. Chissà
dove ha trovato
artefatti simili e da quanto tempo li aveva tenuti nascosti sotto
terra?”
Cercione annuì, restando a guardare gli oltre quattromila
uomini accampati su
tutto il territorio con centinaia di bracieri accesi.
Alle loro spalle l’orso Orico ruggì
dichiarando la sua presenza. Le zanne imbrattate di sangue dimostravano
che
aveva appena divorato la sua cena. Al collo teneva ancora il vaso con
le spoglie
di Ermes.
“Spero
che stia andando bene anche agli altri”
disse Almo.
Un
grande sole cocente ardeva sulla
piana di Micene. In cielo, diversi rapaci necrofagi erano stati
attratti dalla
morte fresca che era stata poco prima impartita su quelle terre.
Diversi
cadaveri marcescenti erano appesi ad altrettanti pali e rappresentavano
uno
scenario raccapricciante per qualunque viandante. I corpi inverecondi
costeggiavano
tutta la strada che dava alla città.
“Vogliamo
giustizia! Giustizia contro Clitennestra”.
“Avete
ucciso i miei figli solo per un sospetto!”
“Assassini!
Avete distrutto intere famiglie!”
Qualcuno
sulle retrovie, sorpreso dal
lancio, stramazzò al suolo dopo essere stato colpito in
testa. A quel punto, un
comando ordinò agli opliti di attaccare.
La fila di scudi colpì forte gli inermi
corpi della popolazione. Molti cascarono a terra, altri furono
spintonati. Le
lance dei soldati misero fine alle vite dei più vicini.
Tutti gli altri
arretrarono spaventati.
In
mezzo a quell’accozzaglia di umanità
sventurata si fecero strada due figure avvolte di neri mantelli che ne
celavano
il volto. I due si fermarono davanti alla folla a qualche metro dalla
fila di
scudi.
L’uomo
con indosso l’elmo da comandante
non ebbe reazione: “Chi credi di essere, pezzente? L’unica
autorità che riconosco è quella
di Egisto, signore di Micene e dell’Agrolide, e della sua
regina Clitennestra”
“Risponderai
all’autorità del figlio di Agamennone, Oreste,
legittimo erede al trono di
tutta l’Agrolide.”
I
soldati ammutolirono sbalorditi e
abbassarono le loro armi.
Il
comandante altrettanto sorpreso
rimase a scrutare i lineamenti del giovane e del suo compagno che
intanto si era
anche egli scoperto.
“E
io sono Pilade, suo cugino, e legittimo erede al trono del regno della
Focide.”
Incominciò a sogghignare
“E
io sono Licinnio, il Lawaghetas al comando dell’esercito.
Poco
furbo da parte vostra presentarvi da soli innanzi alle porte di Micene.
In
quanto figli di traditori dell’Olimpo e quindi di tutta la
Grecia, la regina
Clitennestra vi vuole morti!”
Puntò
la spada verso i due rampolli, e
tutto l’esercito seguì il suo gesto incominciando
ad attorniarli.
Oreste e Pilade rimasero
imperscrutabili. Erano preparati a quella reazione.
Seguitò
il generale facendo cenno ai
suoi uomini di incombere su di loro.
Non ne aveva bisogno.
Licinnio lasciò cadere la sua arma
costernato.
Il popolo tutto intorno ammutolì per
alcuni istanti.
“Non
sono solo l’erede al trono, ma ora agisco per conto di
un’autorità assoluta,
alla quale voi tutti dovrete sottostare.
Siamo Araldi dell’Olimpo e queste armi magiche
ne sono la prova!
In nome di Zeus io sollevo Egisto e Clitennestra dal comando di questa
città e
ne sostituisco l’autorità”
Poi
si rivolse verso il generale
Licinnio.
“Hai
qualche altra obiezione, Lawaghetas?”
L’uomo cadde in ginocchio.
“Servo solo voi, Sire. In
nome dell’Olimpo vi prego di guidarci.”
E
la folla tutto intorno esplose in un
boato di esultanza. Erano stufi della tirannia della regina, ma
soprattutto pensavano
che la vicinanza con un servo dell’Olimpo li avrebbe salvati
dalla distruzione.
“Licinnio,
è forse un tradimento? Guardie, accorrete!”
Il
generale non disse una parola, ma
invece si mise da parte per far passare due figure che la regina
riconobbe
molto bene.
“O-Oreste!?
Come sei riuscito a…”
“Sono
un servitore di Zeus e dell’Olimpo madre. E in nome della mia
vendetta e dell’Olimpo
adesso vendicherò mio padre, tuo marito!”
Alzò
il suo arco puntando Egisto e,
prima che egli potesse reagire, Oreste chiuse la mano a pugno. Come
prima,
fuoriuscì un fascio di luce che colpì
l’uomo, ma questa volta aveva una tale
potenza da provocargli un grosso buco in mezzo al petto. Anche nel muro
di
mattoni alle sue spalle la materia stessa, in una circoscritta forma
circolare,
evaporò lasciando che i raggi del sole penetrassero
all’interno dell’edificio.
“Fu
così che uccidesti mio padre? Così uccidesti
Agamennone!?”
Le
sussurrò a un orecchio.
Gli
occhi di Clitennestra, puntati verso
la sua prole, erano spalancati ed emanavano una rabbia e un rancore
sconfinati.
La sua mano si strinse su quella di Oreste, e le unghie gli
s’infilarono in
profondità nella carne.
“Perdi
sangue…Come ogni comune mortale. E tu non sai cosa sono
capaci i veri araldi di
un dio…
Presto,
molto presto li vedrai… Il momento è quasi
arrivato e allora…Non basterà il tuo
esercito a salvarti, e neppure quella tua arma magica.
Le Furie stanno
arrivando! Verranno a
prenderti.”
La
sua roca risata gli fece accapponare
la pelle e quando aveva cessato le sue risa la donna era già
morta, ma quegli
occhi riempiti di odio e follia lo stavano ancora fissando…
Re Oreste si affacciò alla balconata del palazzo reale.
Sotto di lui oltre
trentamila uomini acclamarono la conquista del suo trono.
L’inseparabile cugino Pilade lo
affiancò:
“E adesso cosa faremo?”
Il
re raccolse un papiro tenuto celato
in una sacca e lo srotolò.
“Sideris
ha pianificato le mosse di ognuno di noi. All’interno di
questo manoscritto che
abbiamo trovato sotto la terra assieme alle armi, vi è
descritto non solo il loro
funzionamento ma anche in che modo agire.
L’idea
di fingerci araldi dell’Olimpo è stata vittoriosa
ma quanto a lungo potrà
durare? Non posso dirlo né riesco a prevedere come una
partita a scacchi le
mosse che farà il nostro nemico in risposta alle nostre.
Possiamo
solo fidarci di Sideris a questo punto.”
“Noto una traccia di inquietudine nei
tuoi occhi, cugino….Cosa ti ha detto Clitennestra prima di
morire?”
Oreste rimase a fissare le cupe montagne
lontane. Non si voltò.
Personaggi:
http://it.wikipedia.org/wiki/Egisto
http://it.wikipedia.org/wiki/Licinnio
http://it.wikipedia.org/wiki/Clitennestra
Parentesi
anacronistiche 7:
Armamentario
4: l’arco di Oreste.
L’arma
agisce in sinergia con la mano dell’utilizzatore, il quale,
tramite l’uso di
uno speciale guanto ricoperto di sensori, è in grado di
stabilire la modalità e
gli effetti dell’arma e colpire al tempo stesso.
L’intelligenza
artificiale dell’arco è in grado di prendere in
input la forma assunta dalla
mano guantata e come output scatenare dei fasci di energia
dall’incavo centrale
dell’arco. L’arma è alimentata a energia
solare e dotata di una duratura
batteria.
Una
volta puntato il bersaglio (o i bersagli) con l’arco,
l’utilizzatore deve
muovere le dita in un certo modo per stabilire modalità e
potenza.
Si
possono sparare fino a cinque colpi (uno per ogni dito)
contemporaneamente, che
saranno emessi in modo rettilineo rispetto all’inclinazione
definita dalle
dita, partendo dal punto di propagazione dell’arco.
In
base alla velocità con cui viene alzato il dito, il colpo
sarà più o meno
veloce.
Chiudere
la mano a pugno:
serve a caricare la potenza
del laser. L’arco di tempo in cui la mano resta chiusa a
pugno è proporzionale
alla carica energetica del colpo. Dopo aver stabilito la potenza
è sufficiente
procedere alzando uno o più dita.
Raggiunto
il punto di massima potenza accumulabile l’arma non accumula
ulteriore potere.
Poggiare
la mano sull’arco: Disattiva
provvisoriamente i sensori del guanto impedendo che gesti
inconsulti facciano partire un colpo.
Spianare
la mano:
genera un campo di energia
che copre l’utilizzatore. Qualsiasi oggetto fisico che entra
all’interno del
campo viene bloccato da una scarica elettrica ad altissimo voltaggio