Capitolo XX
Stavo scendendo
assieme a Tom quando mi arrivò un messaggio di Julia che
chiedeva di passare da
Mel prima, visto che non era ancora arrivata giù.
-Io vado da Mel, tanto noi suoneremo tra due ore minimo. Lei
è circa a metà
quindi..- ragionai a voce alta.
-Vai dal tuo amore- disse lui ridacchiando, -Io cerco qualcosa
da fare intanto-
strizzò l’occhio sparendo dalla mia vista.
Traduzione: Io cerco qualcuna da farmi intanto.
Bussai sulla porta ma, non ricevendo risposta, entrai comunque.
-Mel?- la chiamai, sentendo dei rumori provenire dal bagno.
-Bill? Sono in bagno. Ora esco- mormorò nervosa.
Uscì timidamente con lo
sguardo basso. “Dio, che
bella” fu il
mio primo pensiero.
Aveva indossato uno dei vestiti scelti da me al KaDeWe, azzurro e dal
taglio
semplice che le arrivava sopra al ginocchio. Ai piedi un paio di
decolleté
bianche, in tinta con il trucco chiaro del suo viso e il cappello. Gli
occhi
brillavano come due perle sul viso pallido.
-Mi ha costretto Julia a mettere questo- farfugliò,
chissà perché ma l’avevo
già intuito.
-Perché ti vergogni?- domandai mentre il suo viso arrossiva,
-Sei splendida-
dissi sinceramente.
In quel momento alzò lo sguardo e lo punto sul mio corpo,
squadrandomi con
curiosità. Si soffermò sul viso, avvicinandosi e
accarezzandomi le guance.
Piccoli brividi mi percorsero la schiena, era l’effetto di
ogni suo tocco.
-Non ti avevo mai visto così- parlò piano, -Sei
così bello- le mie guance
presero calore e distolsi lo sguardo, notai che si torturava le mani
nervosamente.
-Paura?-
-Peggio- ammise, -Non trovo il coraggio d’uscire da qua. Sono
troppo ansiosa!-
-Non devi averne, ci sono io che faccio il tifo per te- strizzai
l’occhio.
-Ciò non mi rassicura per niente, sai? Non voglio fare una
brutta figura
davanti a tutti e a te!-
borbottò.
-Infatti non succederà-
-Io da qua non esco- annunciò, sedendosi a gambe incrociate
sul letto;
trattenni a stento una risata, quando assumeva
quell’espressione incavolata era
davvero buffa.
-Se vuoi conosco un modo per allentare la tensione- sorrisi furbamente.
-Mh- mormorò confusa, guardando la mia faccia.
Arrossì, aveva capito cosa
intendevo.
* * *
-Bill, cavolo
dobbiamo andare, tocca a me fra venti minuti!- disse agitata Mel,
mentre si
risistemava il bordo del vestito e controllava che il trucco non fosse
sbavato.
-Andiamo- le sorrisi, passando la spazzola sui capelli leggermente
arruffati.
Mi prese la mano, trascinandomi fuori dalla porta.
-Più tranquilla adesso?-
-Sì.. qualcosa mi ha fatto passare la tensione-
arrossì imbarazzata.
-Contento di essere utile- scoppiai a ridere, per essere poi seguito da
lei e
la sua risata dolce.
-Andiamo da Julia?- propose, -E’ là-
indicò l’amica intenta a truccare una
sconosciuta. Annuì.
-Ehi ragazzi, agitati?- domandò finendo di passare del
mascara sulla ragazza,
per poi mandarla via e poter parlare con noi.
-Un po’- rispondemmo all’unisono. Ci
fissò pensierosa per un attimo per poi
avvicinarsi a me, con un ghigno malizioso sul viso. Strofinò
il dito sul mio
collo.
-Attento Kaulitz, qualcuno potrebbe chiedersi perché hai del
rossetto qui-
ammiccò in direzione della mia ragazza, che
sembrò voler scavare una fossa per
nascondersi al suo interno.
-Oh, bravo il mio fratellino che ha trovato un modo per sfogare la
tensione!-
spuntò Tom da dietro, facendomi sobbalzare. Idiota!
-Taci Tom!- l’apostrofai, notando strani segni
violacei sotto l’orecchio,
-Vedo non ti sei risparmiato neanche tu- aggiunsi acido, mentre se la
rideva.
-Siete troppo carini quando vi prendete a parole- fece Julia, -Sembrate
due
bambini-
-Perché lui è un bambino!- esclamammo entrambi
nello stesso momento,
additandoci. Maledetta telepatia
gemellare! Però la scena era talmente comica che
non riuscimmo a rimanere
seri.
-Bravi i Kaulitz, uno più idiota dell’altro-
commentò la castana.
-Concordo- l’appoggio l’altra.
-Vi siete messe d’accordo per rompere le palle, per caso? No
perché mi
piacerebbe saperlo, almeno mi posso preparare- intervenne Tom,
scherzoso.
-Esatto, coalizione contro di voi!- Mel tirò fuori la lingua
divertita, tutta
l’ansia di prima era svanita.
-Quando tocca a te?- domandai.
-Dopo Serena, quella che deve cantare Gomenasai
delle Tatu-
-Cioè, quella che è sul palco adesso?- indicai la
biondina che si stava
esibendo in quel momento.
-Merda- sussurrò spalancando la bocca, -merda, merda,
merda!-
-Ha finito!- esultò Ju, -Vai e spacca piccola!- la
incoraggiò.
-Ah..- balbettò, -aiuto-
Vedendola in difficoltà la presi da parte e lasciai che si
accoccolasse sul mio
petto, sentivo il suo cuore battere all’impazzata.
La potevo capire benissimo, agli inizi succedeva anche a me, poi
riuscì a
controllare il panico, nonostante il nervosismo prima di un concerto
non
sarebbe mai scomparso, come non tremare di fronte a miliardi di persone
lì per
te e la tua musica?
-Quando sarai là non pensare al pubblico, fai finta di
essere in camera tua,
con il tuo pianoforte. Nessuno ti ascolta, ci sei solo tu con la
musica, tu e
la tua passione, il resto verrà da sé- le sorrisi
incoraggiante.
-Lo spero..- disse poco convinta.
-E ora è il turno di Mel Bauer! Un applauso- il direttore
interruppe la nostra
conversazione e fui costretto a staccarmi da lei, spingendola verso il
palco.
Mi guardò terrorizzata per poi prendere posto.
-Grazie- chiuse gli occhi come le avevo suggerito e prese un respiro,
per poi
cominciare a muovere le dita con sicurezza e dolcezza sulla tastiera,
riproducendo la melodia di una famosa canzone.
“You with the sad eyes,
don’t be discouraged, Oh I realized
it’s hard to take courage, in a world
full of people you can lose the sight of it all..”
Non avevo mai
avuto modo di sentire pienamente la sua voce, ne rimasi incantato.
Le sue mani fluttuavano dolcemente sui tasti d’avorio,
sembrava li accarezzasse come una madre accarezza il figlio, con amore. L’espressione del suo
viso era
rilassata e infondeva tranquillità, la
mia musa.
Al momento del ritornello dischiuse le palpebre vagando lo sguardo fra
tutte le
persone presenti, le quali la fissavano in adorazione,
finché non lo inchiodò
al mio, mi accorsi solo in quel momento di essermi avvicinato al palco
inconsapevolmente, seguendo il richiamo della sua voce.
Mi fissò e lo intonò con tale dolcezza che,
quasi, mi salirono le lacrime agli
occhi.
“But I see your true colors,
shining through, I see
your true colors..
Tornò a
chiudere
gli occhi, mentre io non riuscivo a pensare a nulla, se non a quanto
fosse
terribilmente meravigliosa, là con gli occhi chiusi e le
labbra che si
muovevano lentamente, seguendo la melodia creata dalle sue dita sottili.
“..
that’s why I love you”
Faticavo a
prestare attenzione alla musica e a ciò che mi stava
attorno, a causa del
battito del mio cuore che rimbombava nelle orecchie. Quella frase
pronunciata a
volume più basso rispetto al normale mi fece tremare, era
pur sempre una
confessione, perché ero certo non avesse scelto quella
canzone a caso, e il
fatto che per un momento m’avesse guardato, per poi
distogliere gli occhi dai
miei e pronunciare quel pezzo mi aveva tolto ogni dubbio. Su quel palco stava cantando per me.
“True
colors, are
beautiful.. like a raimbow”
Quei tre minuti
e quarantasei passarono senza che me ne accorgessi, mi sentivo
catapultato in
un'altra dimensione in cui c’eravamo solo io e lei. Respiravo
lentamente,
cercando di riprendermi. Era possibile amare una persona
così tanto?
Cosa mi hai fatto, Mel?
Ho avuto più storie nella mia vita, eppure lei
aveva annullato tutto. Mi
sembravano tutte cose banali se confrontate a come stavo con la mia
principessa, a come mi faceva sentire.
Ho conosciuto ragazze più belle, più estroverse,
più semplici, tuttavia mi ero
innamorato di Mel, timida e complicata, sempre in conflitto con se
stessa,
decisamente troppo pensierosa e altruista, debole fisicamente ma forte
nell’animo.
Era unica. Era mia.
Lo scroscio di
applausi che partirono una volta ebbe terminato mi riportarono
bruscamente alla
realtà, mentre lei scendeva frettolosamente imbarazzata e si
catapultava fra le
mie braccia.
Mi guardava timorosa, in attesa di un mio commento.
-Io.. non ho parole, sul serio.- ammisi serio, per una volta in tutta
la mia vita
non riuscivo a trovare i termini adatti per descrivere ciò
che pensavo, -Mi
tremano ancora le gambe. Dove tenevi nascosta quella voce, eh? Sei.. hai brillato su quel
palco!-
Mi sorrise radiosa, mostrando gli occhi lucidi. Mi si strinse il cuore,
ancora
non le avevo detto nulla..
-Andiamo da Julia?- mormorò poi staccandosi leggermente.
-Tu vai, io devo raggiungere Tom, senti questo rumore?- accordi di
chitarra,
-Ecco, è lui che sta sistemando tutto per
l’esibizione-
-Okay, non vedo l’ora di vederti suonare- disse con gli occhi
che le
luccicavano. Sorrisi in imbarazzo.
-Dai, a dopo allora- mi baciò e corse via, ancora euforica
per l’esibizione.
Raggiunsi mio fratello e lo trovai seduto a lucidare la sua amata
chitarra
classica, una delle tante che possedeva.
-Allora, pronto?- domandò vedendomi arrivare.
-Sì, il mio primo “show” dopo due mesi
di pausa! Sono un po’ nervoso- ammisi.
-Tanto andrai bene, come sempre- mi rassicurò allegro, anche
a lui mancava la
nostra vita.
-Non ne hai ancora parlato con Mel, vero?- domandò
cautamente, riferendosi al
tour. Negai, senza aggiungere altro.
In quel momento l’ansia aumentò, mischiandosi a
una sorta di cattivo presagio.
-Dai, tranquillo- mi affiancò stringendo per un attimo la
mia mano, sapeva
sempre come comportarsi con me. Danke,
Tomi.
-Tocca a noi!- esclamai, vedendo il tecnico ci faceva segno di
avvicinarsi
all’entrata. Il pubblico circondò il palco, dopo
essersi sparpagliato durante
la piccola pausa e fissava l’ambiente in attesa.
-Eccoci tornati dopo la piccola pausa- iniziò il direttore,
-E.. ora tocca a
due persone, ma penso le conosciate già!- a quel punto si
discostò per farci
entrare e mi passò il microfono.
-Ehm,- non avevo preparato un discorso, improvvisai le solite parole di
rito,
-Io sono Bill e lui è mio fratello Tom dei Tokio Hotel-
presentai, anche se
praticamente ci conoscevano già tutti, -Gustav e Georg non
sono potuti venire,
perciò ci esibiremo nella versione acustica di “Wir sterben niemals aus”, spero
vi piaccia- sorrisi per sedermi
vicino al chitarrista, il quale mi lanciò
un’occhiata d’intesa, prima di
passare il plettro fra le corde. Chiusi gli occhi prima di iniziare,
riconobbi
l’attacco e feci uscire la voce, si presentò
sicura, graffiante.
La sala ammutolì, mi sentì soddisfatto. Giunta
l’ultima strofa cercai Mel e,
una volta trovata, la sussurrai nella sua direzione, “So was wie wir
Geht nie vorbei.” Vidi
le sue labbra tremare leggermente, per poi arricciarsi commosse verso
l’alto.
Concludemmo e fummo travolti di applausi, guardai Tom e notai aveva la
mia
stessa espressione: felicità. Stavamo per scendere quando
notammo il direttore
tornare sul palco, girai lo sguardo al gemello e ricambiò
con un’occhiata
preoccupata.
-Volevo dire sono felice che tu ragazzo- mi indicò, -abbia
recuperato la voce.
È stato un piacere averti nella nostra clinica, e spero
– per te – di non
vederti mai più- le persone là sotto
ridacchiarono, mentre io mantenni
un’espressione neutra, -Detto questo, goditi i tuoi quattro
ultimi giorni qui.
Per chi ancora non lo sapesse il tour europeo dei Tokio Hotel
riprenderà a
breve, il giorno..- prese un foglietto fra le mani, nel frattempo i
miei
pensieri si erano focalizzati sulla mia ragazza, non
doveva saperlo così!! La trovai con lo sguardo
basso, le mani
strette a pugno.
-Ah ecco, il primo giugno a Lisbona!- mi irrigidì, non
poteva stare zitto?
Mel alzò lo sguardo e sussultai vedendolo vuoto.
Mi diede le spalle.
Corse via.
Via da me.
* * *
Era successo
tutto troppo in fretta.
Un minuto prima ascoltavo Bill e Tom suonare la bellissima “wir sterben niemals aus”, un
minuto dopo
scappavo dal salone, improvvisamente troppo stretto e soffocante.
Avevo scollegato il cervello, i piedi si muovevano automaticamente e mi
riportarono in camera. Chiusi la porta a chiave, buttandomi sul letto.
Non riuscivo a pensare, in testa rimbombavano le parole “goditi i tuoi quattro ultimi giorni qui”.
Non me l’aveva detto. Era andato a parlare con David. Le
nuove date del tour
erano state stabilite.
La partenza era stata decisa. E non me ne aveva parlato. Mi aveva
mentito.
-Stupida, sei una stupida!- cominciai a sussurrare stringendo le gambe
al
petto. -Lo sapevi,
sapevi sarebbe
successo..- cantilenai.
Ero a conoscenza se ne sarebbe dovuto andare, un
giorno, però ultimamente ero stata talmente presa
da lui che non
ci avevo più badato.
-Grosso errore Mel, complimenti Mel- mordicchiai in labbro.
Dovevo aspettarmelo, la riabilitazione l’aveva conclusa, la
sua voce stava
bene, perché non mi ero posta il problema?
-Perché, eh, perché?-
Avevo cominciato la storia con Bill sapendo non avrebbe avuto una bella
conclusione: se volevo il lieto fine l’unica cosa era andare
a vivere in una
favola. Impossibile.
-Perché sono stata così masochista?
Perché sono stata così stupida?- digrignai
i denti, -Ah, perché lo amo. Giusto. E perché,
nonostante tutto, ho passato i
momenti più bella mia vita con lui- mi risposi.
-E ora cosa farai Mel, eh?-
Cosa avrei fatto? Senza di lui? Le sue carezze, i suoi sorrisi, i suoi
baci..
-BASTA!- urlai stringendomi disperatamente al cuscino.
All’inizio avevo immaginato questo momento, quello della
“separazione”.
Ero consapevole avrei sofferto. Ciò che non
immaginavo, era quanto. Sentendo lo
sguardo di Bill sul
mio vuoto riuscì a percepire il mio cuore farsi pesante e il
respiro
difficoltoso, gli elefanti del mio
stomaco avevano smesso improvvisamente di saltellare e si erano
ammassati al
suolo.
È strano come tutto possa cambiare in pochi minuti.
Un momento sei al settimo cielo, il momento dopo sottoterra.
Era successo tutto troppo in fretta.
Cominciai a ispirare forte, mentre il mio corpo venne travolto da
singhiozzi
sordi e forti.
-C-calmati..- mi auto imposi.
A fatica mi alzai recuperando la mia vecchia agenda, giacente sul
comodino dopo
aver ricevuto il regalo da Tom.
Mi imbattei su quello che avevo scritto i mesi prima.
“..Forse ho
trovato quella persona.
E penso la lascerò andar via.
E’ meglio per tutti e due.
Almeno ci sarà solo un cuore che piangerà,
e sarà il mio.
..Oggi ho toccato il cielo con un dito,
domani.. potrei schiantarmi al suolo. ”
Sembrava passato
un secolo da quando avevo scritto quelle parole.. cos’era
cambiato da allora?
Avevo capito di aver trovato quella persona,
e l’avrei lasciata andare. E lo sentivo già, il mo
cuore, a pezzi.
Voltai le pagine.
“Massimo
un mese,
poi farò
tornare tutto come prima.”
E invece non lo
avevo fatto, non avevo trovato il coraggio e in fondo neanche lo
volevo, perché
stava rendendo la mia vita migliore.
Cosa restava? Una consapevolezza: non sarei mai
riuscita a far tornare
tutto come prima.
“..Da ora,
grazie a lui,
tutto ha senso.
..Amore. ”
Sorrisi di
ciò
che avevo scritto, anche se facevano fottutamente male.
Senza di lui nulla avrebbe più avuto senso.
Le parole che più descrivevano quella situazione erano le
stesse – ironia della
sorte – scritte all’inizio di tutto:
“A
volte la vita è proprio complicata.
A volte è troppo ingiusta.
A volte, è semplicemente stronza.”
Ero inerme e in
balia di me stessa. Il trucco scivolava macchiandomi le guance, il
vestito
tutto spiegazzato. E pensare che, questa mattina, mi ero alzata di buon
umore.
Presi una penna. Scrivere, avevo bisogno di scrivere.
“Sto
piangendo come una stupida.
Comincio a sentirmi un po’ più leggera,
però.
Sarà perché il mio cuore si sta svuotando
lentamente?
Fa male. Sto male.
Crack. Lacrime. Crack.
Tutto troppo in fretta. Dovevo
aspettarmelo.
Invece mi sono lasciata distrarre dalla felicità.
Non avrei dovuto farlo.
Forse, se fossi stata più attenta, forse..
No, sarebbe stato peggio.
Crack. Lacrime. Crack.
Quattro giorni ancora. Poi? Sparirà dalla mia vita.
Era quello che volevo.
Eppure l’unica cosa che sento è dolore.
Crack. Lacrime. Crack.
Cosa farò ora?
Un fantasma richiuso in camera.
Mi prenderò una pausa.
Dal mondo.
Da Bill.
Da me”
* * *
-Hei,
perché mi
hai chiamato?- domandò la ragazza, rivolta al rasta, il
quale le aveva chiesto
un incontro in maniera piuttosto urgente.
-Ho bisogno del tuo aiuto Julia- affermò serio, guardandola
negli occhi
castani.
-Dimmi Tom- ricambiando
il tono.
-Oggi pomeriggio ce ne andiamo dalla clinica- la giovane
annuì, esattamente
quattro giorni erano passati dallo spettacolo.
-Lo so. E quindi?-
-Non possiamo partire lasciando che le cose fra loro
due non si chiariscano. Devono parlare, incontrarsi-
La giovane sorrise amaramente, negli occhi del ragazzo era percepibile
tutta la
sua preoccupazione.
-Bill sta male- spiegò, -Non l’ho mai visto
così giù, neanche quando gli hanno
annunciato era necessario operarsi. Non sorride, è
terribilmente pallido, fa
fatica a mangiare, ha lo sguardo perso nel vuoto, ormai non piange
più. Mi
distrugge vederlo così, mi sento inutile.
Ha chiamato Mel solo una volta e, non ricevendo risposta, si
è arreso.- confessò
gesticolando.
-Non vedo Mel da sabato- sospirò, -Praticamente è
sempre chiusa in camera,
lascia entrare i medici per i controlli e ha fatto spostare le lezioni
dalla
biblioteca alla stanza. Ho provato a chiamarla ma ha il telefono
staccato, mi
sono piazzata davanti alla sua porta e ho bussato dieci minuti senza
ricevere
risposta o captare un movimento dall’interno, questo tutti i
giorni-
Distolsero lo sguardo, cercando una soluzione perché non era
possibile
continuare in quel modo.
Vedere le persone a cui tieni soffrire e autodistruggersi faceva male.
-Ho un’idea- esclamò Julia, incitata poi a
continuare, -Oggi pomeriggio il
dottore va in camera sua e la visita. Conosco bene Rossella,
l’infermiera, che
ha anche una relazione con lui.. quindi potrei parlare con lei e
sicuramente
riuscirà a convincere il medico a saltare la visita,
così Bill busserà alla
porta al suo posto, lei aprì e tuo fratello può
approfittare per entrare, che
dici?- come ragionamento, pensò lui, non faceva una piega.
-C’è un dettaglio però, Bill non vuole
incontrarla. Cioè, non è che non
“voglia”, visto come è fuggita allo
spettacolo ha deciso di rispettare la sua
decisione, nonostante stia soffrendo come un cane.. Potresti parlarle
te?-
propose.
-Non mi ascolterebbe, penso ascolterebbe te però-
-Perché dovrebbe?-
-Tu sei schietto e da subito sei stato contrario a una loro relazione,
quindi
starebbe a sentire ciò che hai da dire perché non
le hai mai nascosto i tuoi
pensieri, capisci che intendo?-
Tom Kaulitz annuì. Era ora di fare qualcosa.
* * *
Stavo bene.
Dal giorno dello spettacolo non avevo messo piede fuori dalla camera,
ma stavo
bene.
Avevo assunto un colorito un po’ più pallido, ma
stavo bene.
Pian piano l’appetito andava scemando, ma stavo bene.
Mi ero rifugiata nello studio preparando la tesina, ma stavo bene.
Avevo ricominciato ad ascoltare la musica classica al volume
più alto per non
pensare, ma stavo bene.
Quando ero libera prendevo dei sonniferi per dormire e non riflettere,
ma stavo
bene.
Non accendevo il telefono da sabato, ma stavo bene.
Stavo bene, perché non dovrebbe esser stato così?
In fondo era successo tutto
come da programma, crogiolarmi nel dolore non serviva.
Me lo ripetevo ogni
minuto “è tutto okay,
Mel”, ingannando me
stessa: fingendo di crederci.
Sapevo non mi sarei potuta comportare così a lungo,
l’essere umano ha bisogno
di aria fresca e contatti umani, ogni tanto.
Rinchiusa nella mia stanza mi sentivo protetta, nessuno poteva entrare
– se non
il medico e la professoressa – e vedere in che stato versavo.
Non avrei sentito le persone parlare della partenza annunciata del
cantante,
non avrei rivisto Julia che m’avrebbe riempito di domande per
capire come
stavo. Isolata avevo trovato un modo per far finta di nulla, per
pensarci il
meno possibile, appena uscita avrei dovuto dare troppe spiegazioni, il
che
significava ammettere a me stessa che era finita,
non sarebbe stato più il
mio Bill e che ero sola.
Non ero pronta a fare i patti con la verità: ciò
che facevo era ignorare.
-Sei un
po’
patetica, eh Mel?- sussurrai guardandomi allo specchio mentre applicavo
uno
strato di fondotinta sul viso per coprire le occhiaie e rendere la mia
pelle
meno giallognola. Mi liberai del pigiama e indossai una vecchia tuta in
attesa
di sentir bussare Güllimber.
Appena sentì i colpi sulla porta feci girare la chiave e
aprì la porta. La
figura che mi si parò davanti, bloccandomi la
possibilità di farlo uscire dalla
camera, non era il dottore, decisamente.
Jeans larghi, t-shirt che arrivava al cavallo dei pantaloni, scarpe da
ginnastica, rasta..
Tom Kaulitz era entrato e non sembrava intenzionato ad andarsene. Merda!
-Che vuoi?- domandai schietta, prendendo le distanze.
-Parlare, vengo in pace- alzò le mani al cielo, distolsi lo
sguardo.
Era troppo uguale a Bill, stessi occhi. No, guardarlo faceva male.
-Il dottore?-
-Non viene-
Aspettò una mia risposta, che non arrivò.
-Perché ti comporti così?- esordì
richiamando la mia attenzione.
-Così.. come?-
-Non gli hai lasciato spiegare, sei scappata, hai spento il telefono.
Perché?-
-Cosa doveva spiegare? Per quale motivo avrei dovuto tenere il
cellulare
acceso? Non mi ha detto che sarebbe partito, ha fatto finta di nulla!
Poteva
dirmelo, no?- alzai la voce senza accorgermene.
-Credi volesse tenerti all’oscuro? Conosci Bill, non
è fatto così. Ha provato a
dirtelo, ma non è una cosa facile da comunicare. Non appena
te l’avesse detto
ti saresti allontanata e lo sai che è vero. Voleva solo
godersi gli ultimi
momenti qua! Non sei l’unica che sta soffrendo, eri a
conoscenza di cosa
sarebbe successo! Però hai scelto di iniziare una storia con
lui, e credo sia
valsa la pena, no?- riuscì solo a annuire debolmente,
colpita dalle sue parole.
-Fra poco partiamo, non è giusto né per te
né per lui lasciarvi in questo
modo!- esclamò cercando il mio sguardo, -Sarebbe solo
peggio, le cose rimarrebbero
in sospeso. Dovete parlare, dovete chiarire!-
Tutto ciò che aveva detto era giusto e sensato, Tom sapeva
essere maturo e
giusto, soprattutto quando si trattava di suo fratello. Se era arrivato
a
venirmi a parlare vuol dire che il gemello doveva stare proprio male, come me.
-Pensaci- concluse, -Non hai tanto tempo Mel- addolcì il
tono.
-..- sospirai, -Grazie- mi sorrise triste abbracciandomi, risposi al
gesto
sorpresa.
-Fa la cosa giusta piccola- mormorò nel mio orecchio, prima
di sparire oltre la
porta.
Come se fosse facile! Il rasta aveva detto tutte cose giuste, eppure
non volevo
scendere da Bill.
Avevo paura del confronto? No, semplicemente temevo la reazione del mio
corpo
di fronte a lui, di fronte alla consapevolezza l’avrei
lasciato per sempre.
Perché doveva essere così complicata la vita?
Sospirai, guardandomi attorno e fissando poi il vuoto, mi alzai non so
quanti
minuti dopo per andare in bagno, dove lavai il viso, dovevo riprendere
il
contatto con la vita vera. Posai
l’attenzione al vaso di fiori vicino alla finestra: tulipani, ciclamini,
Presi la mia decisione, prelevai un gambo di e lo infilai
nella borsa,
uscendo velocemente da là, dopo quattro giorni di clausura. Per paura di trovare
l’ascensore occupato feci le scale
di corsa, raggiungendo poco dopo la stanza. Aprì di scatto.
Come un automa raggiunsi il comodino posandoci i fiori, se li avesse
visto
avrebbe capito – sapeva conoscessi il linguaggio dei fiori.
Guardando la stanza capì che era una speranza inutile. Era
vuota.
Se n’era andato.