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Autore: Elric_Kyoudai    04/10/2008    9 recensioni
Al percepì, nella voce del fratello, una totale assenza di… tono. Era come asettica, quasi uscisse da un guscio di metallo – non un’armatura in cui era imprigionata un’anima, ma un contenitore, una lattina. Ne usciva un insieme di suoni modulati ma totalmente estranei, freddi. Un collettivo di parole che parevano pronunciate da un computer, non da una persona – non da un fratello che dovrebbe usare solo toni dolci, o perlomeno umani. (Un pizzico - ma quasi invisibile - di Elricest, Emo!Psycho!Ed)
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pensavate che saremmo tornate per natale, eh? E invece noo!(cit.) Stavolta siamo state molto molto brave, e quindi ecco il terzo capitolo è_é! Edo è così carino e dolce qua, si vede come vuole bene ad Al..*^* *sbrillano di amore e *coff coff ok scherzavamo.*

Prima di iniziare, solito appuntamento con le risposte ai commenti *O*

Elmeren Kun: Si, qua in teoria non pensiamo ci sia dell'elricest - Ed è solo un po' ossessionato da suo fratello, ecco. Ma perché lui è uno psicotico puccino, e tutti noi lo amiamo per questo.&heart; Grazie mille per i complimenti >w< E... no grazie çOç!

Damaris: ArigaTTo è_é<3 Ci spiace averti (e avervi) fatto aspettare così tanto, però vediam che ne è valsa la pena, no?^^ Grazie mille per tutto ;A;

BeautifulKirja: La bipolarità di Edo è tutto merito di Mika *^* Lei è tanto brava in ste cose çwç Cioé scrive da dio ecco. E il mio Al viene di conseguenza, perché vuole essere degno di stare qui dentro.<3

FightClub: XDDDD Eccolo qua^O^

Saku_chan: Pubblicizza, pubblicizza è__é!!XD Sembra o è?*ammiccano pesantemente* Grazie mille tata *w*

Chibisimo: Siamo in due ^_^ Mikael_Ace e Nacchan è_é  Abbiamo preservato la tua salute psichica aggiornando presto, olé *O* Credo rimarrai soddisfatta di questo capitolo...<3

 

And now, let's read all together, one, two, three!

 

 

 

Alphonse tornò a respirare.

Voltò il viso, osservando le porte muoversi ancora, vittime del passaggio di una furia di cui neanche lui aveva ancora capito la causa.

Era la prima volta in tutta la sua vita che non...

Che non riusciva a capirlo.

"Niisan..." sospirò, azzardando un passo verso il salotto.

Edward si morse un labbro, nervoso ed arrabbiato. Non lo aveva neppure seguito! Non gliene fregava proprio nulla di lui!!

Tornò indietro, rabbiosamente, giusto per espletargli quel che stava pensando.

“Non te ne importa un cazzo di me, vero?!”

Al si fermò a guardarlo, interdetto.

Non poteva aver davvero sentito quelle parole. Eppure rimbombavano, dolorose, fino al cuore.

Gli corse incontro, afferrandolo per le spalle e scuotendolo con forza - per quanta forza potesse avere addosso dopo quella frase impossibile.

"Smettila! - urlò, sconvolto - Smettila di dire idiozie! Come puoi..."

Lo lasciò, passandosi una mano in volto e sollevando lo sguardo al cielo per trattenere le lacrime.

"Come puoi pensarlo...?"

“Dai tuoi comportamenti! Non vorresti fare altro che andartene da me, vero?! Ma  non lo farai, cazzo, io ti ho dato la vita, e solo io posso strappartela!”

Violentemente, il maggiore spinse il fratellino contro il muro, mentre le mani, incontrollate, furiose, impazzite, gelide e bollenti – cicatrici ovunque passassero –, ne saggiavano le teneri carni, come la lingua che s’era dedicata, ustionante e maledetta, al collo.

Al sentiva la sua testa vorticare, il più piccolo, mentre a stento tratteneva un urlo di dolore - vuoi per lo scontro col gelido muro, vuoi per l'inaspettata reazione del fratello.

Per la paura delle sue parole.

Allungò le mani sulle sue braccia, tentando di scansarlo, di levare quel peso che aveva sempre amato sentire in lui quando erano bambini, e tutto andava ancora bene.

Quei tempi erano andati, e se ne rese conto del tutto solo in quel momento. Probabilmente - con tutta convinzione forse - suo fratello, quello che lui era abituato a vedere, quello che lo consolava, lo faceva divertire, e faceva lo stupido nei momenti neri, non esisteva più. E già da un po', ormai. Come aveva fatto a rendersene conto solo in quel momento? - mentre sentiva le dita quasi strappargli le carni di dosso.

Per Alphonse, fu una doccia gelida in pieno inverno. Finalmente comprendere in pieno la follia che s’era impossessata del fratello maggiore, del suo idolatrato Niisan, lo riempì di brividi e terrore. Sentiva addosso il suo respiro, pesante come fango.

“Non te ne andrai mai da me…”

Edward pensava che, così facendo, suo fratello sarebbe stato marchiato, e legato a lui per sempre. Non c’era altro modo, che quello carnale. Non vi erano altre catene che lo avrebbero tenuto lì.

Ma, in fondo, non stava facendo che il suo bene, no? Alphonse non stava bene da nessun’altra parte, se non sotto le protettive ali del suo fratellone. Quindi, che male c’era in quel che stava facendo?

Al strinse le mani attorno alle spalle del fratello, tentando di staccarselo di dosso. E dire che quando era un'armatura, era sempre lui a vincere contro quel biondino sfacciato. Invece, ora si trovava in balia delle sue mani, di quella stretta forte che gli avrebbe lasciato addosso il segno per sempre, di quelle labbra che lo mordevano, del suo corpo che premeva sul proprio, per assicurarsi che non andasse da nessuna parte se non lì.

Se non a subire, senza possibilità di scampo.

Era la prima volta in vita sua che non voleva essere lì. Nella sua stessa stanza, nella sua stessa casa.

La mancanza di urla, quella resistenza che non riusciva a classificare in altro modo che passiva, lo rendevano sempre più forte nella sua convinzione.

Scopatelo, e vedrai come non se ne andrà più.

Un ginocchio, gelido, di Edward andò in mezzo alle cosce di Alphonse.

Quel pensiero non faceva che rimbombargli in testa, torbido, assurdo, contro ogni desiderio ed ogni morale.

"Mmmh!"

Si morse un labbro, sentendo una scossa lungo la schiena - per riscendere poi al basso ventre.

"Niisan, no, niisan!"

Spinse più forte che poteva, mentre sentiva l'arto del fratello muoversi piano tra le sue gambe.

“Perché? Cosa sto facendo di male?”

Scoparselo equivaleva… ad una dimostrazione di possessione, no?

“Sei mio, no?”

"No... NO!"

Forse perché alzò la voce all'improvviso, il più piccolo riuscì a spintonarlo via, assestandogli un pugno che, per poco forte fosse, ferì il labbro del maggiore.

Annaspò, guardandolo, portarsi una mano alla bocca - indietreggiando un poco, cercando sicurezza nella distanza.

Qualcos’altro andò a spezzarsi, per l’ennesima volta, saltando come un filo della luce – e l’ennesima, minuscola lampadina che ancora, imperterrita, rimaneva accesa nella mente del Fullmetal, si spense.

“Perché non vuoi…?”

Sembrava così fragile, il suo fratellino.

Perché? Eppure non gli stava facendo nulla.

Allora aveva davvero intenzione di…?

“Te ne vuoi andare davvero…?”

L’altro poteva quasi scorgere un velo di lacrime nei suoi occhi dorati.

"Sm... smettila, non attacca! - urlò, indietreggiando ancora. - Non ci casco..."

Eppure, il cuore sembrava stringersi. Sentiva il suo respiro farsi faticoso per il peso che gravava sul petto.

A cosa diamine doveva credere...?

Tutta la forza che prima era nel corpo di Edward, d’improvviso sparì, lasciandolo sfiancato.

Si sentì, tutto d’un colpo, vuoto e solo.

Si passò una mano sul viso, e con essa si coprì gli occhi.

“Resta qui…”

Un filo di voce che sarebbe potuto essere reciso con assoluta semplicità. Ma, al contempo, così forte da poter spezzare la forbice che avesse osato avvicinarlo. Per cui Alphonse non poté fare altro che ubbidire, ancora frastornato.

Ma, pochi attimi dopo che il fratello se n’era andato, udì rimbombare per tutta casa l’inconfondibile rumore delle finestre sbarrate.

“Io vado a farmi un giro, Al. Ti lascio qui, d’accordo?, così che potrai schiarirti un po’ le idee…”

Aveva un tono triste, lacrimoso, e gli occhi annebbiati da una leggera cortina umida.

"Non... posso venire con te?" azzardò Al, sentendosi improvvisamente chiuso in una prigione.

“No, non mi pare una buona idea.”, rispose l’altro, usando un tono che sembrava rimarcare quanto sarebbe stato dannoso se fosse uscito con lui.

Prese le chiavi, che tintinnarono nel rimbalzare nella tasca dei pantaloni, ed uscì. Chiudendo tutto con tre giri di chiave.

Al, occhi sbarrati, corse di scatto verso la porta, tentando di aprire la porta.

"Niisan, aspetta! NIISAN!"

Inutilmente.

Si voltò, guardandosi attorno. La luce filtrava appena dalle finestre, sbarrate in men che non si dica dal sistema di sicurezza. Che suo fratello si era premurato di bloccare con la chiave che si era portato dietro.

Corse in camera, in bagno, in cucina, ma niente. Tutto assolutamente chiuso ermeticamente.

Si sentiva soffocare.

“Ci vediamo dopo, Al.”

 

Non avrebbe resistito a lungo restando in quella situazione.

Ogni possibile via di fuga gli era stata preclusa - porte, finestre, e passare per i condotti dell'aria era idiota e pericoloso.

Non riusciva a stare fermo. Gironzolava per la casa da giorni interi, cercando qualcosa di abbastanza robusto per sfondare almeno le sbarre della finestra della sua camera.

Ma la cosa più robusta che riusciva a vedere era un tavolo di legno - quindi, niente da fare.

"Cristo..." sibilò, cambiando stanza.

Nel bagno, l'unica cosa che poteva usare era saldata al pavimento - stupidi e inutili lavandini.

Forse, se avesse avuto abbastanza forza, avrebbe potuto usare il letto. Ma era solo e stanco - poco cibo e poco sonno non sono proprio la cosa più salubre.

Alla fine, la provvidenza divina si personifico in una spranga proprio davanti ai suoi occhi. Lì, nascosta dietro il letto del suo fratellone - un pezzo di ferro che brillava colpito da quella poca luce esterna.

"Proviamo." disse a se stesso, prendendola in mano e andando verso la sua stanza.

Aprì i vetri, osservando le sbarre davanti ai suoi occhi.

Era terribile pensare al cambiamento di suo fratello in così... poco tempo. Perché non era riuscito ad accorgersene prima?

E ora, come se non bastasse, era via da troppo tempo.

E ora, oltre all'ansia per la sua vita, si aggiungeva quella per suo fratello, e soprattutto...

Sarebbe mai riuscito ad uscire da lì? Mise la spranga tra due sbarre, cominciando a fare forza.

Ma i risultati non sembravano venire a galla.

"Forza, piccole, forza..." mormorò, spingendo col corpo sull'attrezzo e pregando dio che non tornasse.

Ma insomma, in anni e anni di vita, e con tutte le esperienze che avevano affrontato lui e suo fratello, aveva imparato una cosa.

Dio non c'era.

Non per loro, almeno.

E diede, per l’ennesima volta, una palese prova della sua inesistenza.

“Alphonse, cosa diavolo stai facendo…?”

La domanda arrivò fredda, una stilettata nella schiena, e gli trafisse il petto.

Rimase immobile, in apnea, terrorizzato.

Perché proprio in quel momento? Di mille che ne aveva avuti a disposizione, perché doveva ricomparire proprio in quell'istante?

Vedeva la libertà allontanarsi di nuovo.

Non fiatò. Non poteva farcela.

“Allora…?”

Edward incrociò le braccia al petto, battendo lentamente un piede per terra, ad aspettare una risposta ovvia, e quantomeno banale.

Quasi autolesionista, voleva assaggiarne l’amaro pronunciato dalle sue labbra.

“Voglio andarmene”, si aspettava.

Sarebbe stato terribile, vederlo uscire dalla bocca di Al.

Non aveva avuto neanche il coraggio di voltarsi a guardare la sua espressione - avrebbe avuto paura di vederla incazzata, avrebbe provato pena nel vederlo triste.

Non riusciva a capire che cosa provasse, neanche dal tono della sua voce.

Cominciò a tremare, aprendo la bocca.

"V-volevo..."

“Scappare, non è così?”

Si avvicinò al fratello, e ogni minimo rumore rimbombava violentemente nel cranio di Alphonse.

“Ti sembra normale voler scappare da tuo fratello, dalla tua vita, da chi dovresti adorare e venerare…? Da me?!”

Ogni parola, ogni singola lettera, grondava ossessione – e sporco, lordo, soffocante, avvolgeva Al, come il più temibile e sadico degli amanti.

Non ne sarebbe mai uscito.

"Non... non volevo sc-"

Le parole si bloccavano in gola. In diciotto anni di vita, non era mai stato capace di mentire, neanche quando si trattava di vita o di morte, come in quel caso.

Lui non voleva solo scappare. Voleva andare il più lontano possibile da quella prigione.

Subito, all'istante.

Ma non sarebbe servito a niente, volere.

Pregava soltanto di uscirne presto. Incolume possibilmente. Non avrebbe sopportato a lungo - sentiva le membra stanche da quella pressione gravargli sul corpo.

Nell’aria, era quasi percepibile ogni singola rottura dei nervi.

“Perché devi rifilarmi certe cazzate, quand’è evidente che sono cazzate?”

Ora, faceva veramente paura. Non che prima fosse stato meno inquietante, ma ora – gli occhi ridotti a fessura, le membra che non accennavano a smettere di tremare – avrebbe spaventato il più temibile dei guerrieri.

Alphonse afferrò salda la spranga, girandosi piano e ritrovandoselo a pochi centimetri da sé.

"Non... non ti avvicinare!" urlò, senza poter fare a meno di scuotere ogni muscolo - quasi fosse una gara a chi vinceva, se la paura, o la rabbia.

Allungò la spranga davanti al suo naso, sperando di fargli paura, senza ottenere nessun minimo risultato. Edward gliela tolse di mano, usando lui stesso.

Rimbombò, infernale, il rumore delle ossa rotte della gamba destra di Alphonse.

“Così ci penserai due volte, prima di fuggire da me…”

Non gli fece il minimo effetto, l'urlo del fratellino che gli trapanava le orecchie, ora in ginocchio davanti a lui a tenersi la gamba dolente.

Questi tentò di cercare nel suo viso un barlume di sanità mentale, ma non vide altro che vuoto nei suoi occhi.

Non avrebbe mai fatto una cosa simile, mai. Non il suo niisan. Quello vero, quello con cui rideva e giocava.

Cominciarono, davanti agli occhi di Al, davanti alle palpebre chiuse dal dolore, a mostrarsi, uno per uno, i migliori momenti passati col fratello. Che, terribilmente, si affiancarono alla figura tremolante del nuovo Edward che gli si parava di fronte.

Totalmente differente.

Non esisteva più nulla di quel fratello che da piccolo gli dava i colpi alla testa perché geloso delle attenzioni che la mamma dava solo a lui, non c'era più niente dei giochi nel fango e delle lotte per conquistare Winry, nulla dell'affetto che gli aveva avvolti e protetti da ogni male fino a qualche tempo prima.

Ora c'era solo uno sconosciuto con una spranga in mano.

E lui voleva solo scappare.

Provò a strisciare verso il ragazzo, trascinandosi e stringendo i denti contro il labbro dal dolore.

"L-lasciami..."

Edward si chinò, sorridendo. Gli baciò una gota bagnata, facendolo rabbrividire.

“Posso anche lasciarti andare, ma non credo andresti molto lontano, messo così, tesoro mio…”

Carezze di lunghe e scheletriche dita. Stessa sensazione di paura ed orrore immobilizzante.

Alphonse si lasciò scivolare a terra, reggendosi la gamba dolente, cercando di allontanarsi da quell'estraneo.

Il busto era scosso da singhiozzi di sofferenza - il dolore fisico, quello dell'anima che vorticavano insieme lungo ogni sua fibra.

"Lasciami..." ripeté ancora, con un filo di voce.

“No. Non ti lascerò mai, fratellino adorato.”

Gli baciò la fronte, con amore affettato.

“Vuoi che ti vada a prendere qualcosa, per quella brutta ferita? Non vorremo mai che non guarisse mai più, vero…?”

Al si limitò al silenzio, stringendo le dita attorno ai pantaloni macchiati di sangue.
Sentiva un leggero sfarfallio nella testa, probabilmente colpa del dolore.
Pregò che qualcuno venisse presto in casa loro, a chiedere come stavano, come mai non si facevano vivi da giorni.
Ma a giudicare dalla sua fortuna, non sarebbe venuto nessuno.

 

  
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