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Autore: Akita    04/10/2008    3 recensioni
Storia in fase di profonda revisione ed aggiornamento
Lsyn è una Spia, legata al suo regno fino alla morte da un vincolo d'obbedienza più forte di ogni cosa. Un orribile incidente le ha stravolto la vita. Per cinquant'anni, allora, vaga, alla ricerca del Principe. La sua redenzione. O forse la sua rovina. Perchè il compimento del suo destino di avvicina. Lei però non lo sa. [...]Da quel momento in poi, mi sarei giocata la vita. Beh, non che m'importasse molto. La mia esistenza si era svolta sempre così, perennemente a contatto con la morte, giocandoci come con una vecchia amica venuta a prendere il tè. Che cosa buffa. Vivere, per prepararsi a morire. Lo fanno tutti, o è il destino di ogni Spia?[...]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie dei Rinnegati.'
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Non volli capire

Non volli capire. Non volli. Non poteva essere. Non poteva! Tutta la mia rabbia, la mia terribile furia dolorosa, di dissolse in un vago sentore d’incredulità. Fu un colpo troppo grande, che oserei paragonare solo al momento in cui Tijorn mi diede la lettera di Akita, e solo a quello. Solo in quegli attimi mi ero sentita vacua, vuota e confusa, come lo ero in quell’esatto momento, separata da un muro di cotone dalla mia restante ragionevolezza. Il mondo girava per me al contrario. “la Regina?”. Domandai, fissando la figura tremante e singhiozzante di Chekaril. Quasi non me ne accorsi, ma tremavo anche io. Avevo freddo, tanto freddo, e mi sentivo il capo leggero. Ero scossa. E scossa è dir poco. “la mia signora, Chekaril? Cos’è, uno scherzo?”. Mi costrinsi a ridere, ma la risata che finsi risultò sgradevole e stridula. Mi sentivo legata mani e piedi. Non era possibile… allora… Chekaril non mi aveva mai amata? Ero stata solo uno strumento, una pedina? Mi sentii malissimo: lo stomaco si torse con violenza inaudita, e fu solo la mia volontà ad impedirmi di crollare a terra. Ciò che seguì ancora mi tormenta. Quella confessione ancora mina il mio animo. Il Principe mi guardò, il viso pallido, sfatto, inondato di lacrime. Sentivo, come provenienti da un'altra dimensione, i singhiozzi soffocati di Aevo. Chekaril deglutì, una volta, facendo un debole segno di diniego. Per poco la gambe non mi ressero. Perché? Perché proprio io? Che avevo fatto di male? Io ero nata Spia, ed avevo svolto ogni mia missione con egregia puntualità e perfezione! Avevo versato sangue, sudore, lacrime, per la mia sovrana! Avevo mangiato la polvere migliaia e migliaia di volte per lei! Avevo perso tutti, solo per esaudire ogni suo desiderio! Qual era il mio peccato, allora? Cos’avevo fatto per meritarmi un trattamento del genere? Mi sentii, più che mai, tradita, e smarrita, come una bambina in una piazza affollata. Lainay, fino a quel momento, era stata il mio più importante punto di riferimento. Lei disponeva della mia vita a suo piacimento. Io le avevo donato fedeltà assoluta ed incondizionata, come un cane verso la sua padrona. E lei? Lei cosa aveva fatto, per me? Mi aveva sfigurata. Mi aveva reso l’essere più immondo e viscido di questa terra. Mi ero fidata di lei, dei suoi ordini, delle sue storie! E venivo ripagata con delle bugie, delle ferite, usata come uno straccio, da buttare quando smette di servire. Pensavo la mia Regina mi tenesse in considerazione, pensavo che mi rispettasse come sua fedelissima servitrice, come un’eroina! No, non era così. Né lo sarebbe mai stato. Io… io ero stata usata. Era stata lei a sfigurarmi, per poi disprezzarmi, come se l’errore fosse stato mio? Ed era una cosa troppo terribile, troppo scioccante da pensare. Erano troppi i dubbi, per non esprimerli a parole. Mi dovevo sfogare. Ma non ne avevo la forza. Mi guardai attorno, smarrita. Cominciavo a sentirmi debole. Poi, in uno stato di vacuità tremante, rivolsi i miei occhi di nuovo verso Chekaril. Non potevo neppure immaginare lui mi avesse presa in giro, ottenebrando la mia ragione, ubriacandomi di baci, di carezze e vane promesse, fino a farmi dimenticare il mio stesso essere Spia. Non potevo pensarci. C’erano troppi punti oscuri. La matassa doveva essere sbrogliata. Dovevo domandare, per mettermi l’anima in pace, o distruggerla. Cominciai dalla cosa che mi premeva di più. E da lì, tutto si fa ovattato. Come se io non fossi stata altro che entità eterea. Ero troppo scioccata per rendermi conto di avere una mente ed un corpo. “allora… Chekaril…”. Esordii. Con una voce pigolante, che non riuscivo a riconoscere come mia. “tu… non mi hai mai… davvero…”. Il Principe mi guardò, serio, arricciando la bocca, in un gesto contrito. Dopo una brevissima pausa, in cui spostò lo sguardo verso Aevo, figura scioccata e tremolante a cui non feci più caso, per poi riportarlo su di me, si decise a parlare. Esitante. “io….Lsyn…”. Soffiò, con voce ancora un po’ incrinata, per poi mordersi il labbro inferiore. Ebbi paura di ciò che stava per dire, sebbene, in un certo verso, lo presagissi già. La sua fama di adescatore e frivolo donnaiolo era stata, allora, già più che consolidata. Finalmente, dopo un ennesimo sospiro, Chekaril si decise a confessare. E nessuno lo fermò più. La sua voce si fece sempre più urgente durante il racconto, sempre più rapida. Si fermava solo per riprendere fiato, trascinandomi nel più brutto incubo ad occhi aperti che io abbia mai avuto. Mi guardò per tutto il tempo con occhi imploranti, ed io lo odiai più che mai si può, dall’amore, passare all’odio più assoluto? Oh, si. Si può. Stupido, debole, elfo. “eri bella, Lsyn. Molto bella. Avevo sentito parlare delle tue gesta, e Lainay mi raccontava di te. Eri una Spia potente, allora, e volli conoscerti”. Un sorriso triste affiorò sul suo bel volto, un sorriso che mi fece venir voglia di dargli un calcio, di fargli del male. Viscido bastardo. Poi lui riprese a parlare, rapido, dopo aver tirato un profondo respiro, come se quella confessione gli costasse molto. “e quando ti vidi, per la prima volta…”. Scosse la testa, come un cane bagnato, ancora incredulo. “dei, Lsyn…non penso ti sia mai accorta dell’effetto che avevi su elfi ed umani. Il fascino di ciò che non si può avere, hai presente? Ed io ti desiderai, Lsyn, desiderai averti tutta per me. Eri un Cane della Regina, il Cane più attraente sul quale io avessi mai posato gli occhi. Tu eri un gioiello, per me, il gioiello più inestimabile del proibito tesoro reale. Il più bello. Volli averti ad ogni costo, volli conquistarti con ogni mezzo. Perché non è mai stato da me perdere una sfida. Una tresca nascosta: esisteva un invito più allettante, per me? Lainay non doveva sapere: sarebbe stato troppo pericoloso, ed avrei osato troppo. Fu proprio quello, stranamente, a fungere da pungolo, sai? Eri una preda difficile, lo ammetto. Circuire una nobile sciocca non era per nulla difficoltoso…ma una Spia? Avrebbero funzionato le strategie di seduzione che affinavo da secoli? Non sai che gioia, fu, vedere che tu ricambiavi il mio interesse! Non sai che soddisfazione, fu il vederti accettare il mio invito, donandoti a me con tutta te stessa!”. Ero sempre, sempre più sbalordita, arrabbiata e ferita. Mi aveva presa in giro, nel modo più atroce che mai avesse potuto escogitare. Lui non voleva altro, come un cacciatore che appende le teste delle sue prede al muro di casa sua, vantarsi con sé stesso di aver posseduto una Spia, di essersi preso gioco della sua stessa sorella! Ed io mi ero abbandonata al suo amore con la fiducia di un’infante. Non riuscii a crederci. Dovetti fermarmi, dovetti farmi quasi violenza, per non uccidere seduta stante quel vile essere, che mi guardava, con fare colpevole. “sono stato meschino, Lsyn, sono stato un bastardo!”. Ringhiò, digrignando i denti, come se quella confessione gli costasse molto. Soffriva. La cosa mi fece piacere. “chi avrebbe pensato che tu ti fossi davvero innamorata? Perché non avevo contato la tua relativa gioventù?”. Il ghigno doloroso si trasformò in un repellente sorriso dolce, che mi fece andare con la memoria a tempi più felici, che, in quel momento, mi facevano venire i brividi. “perché tu sei più giovane di me, Lsyn….tanto più giovane… e sebbene Spia… ancora non hai capito come va il mondo. Sei così ingenua, una bambina nel mondo dei sentimenti… e per me era facile…così facile…”. Mi lasciai sfuggire un ringhio involontario, e vidi l’espressione di Chekaril farsi preoccupata. Sapevo benissimo quanto fossi ingenua, grazie. “se non la smetti di chiamarmi ingenua, ti ucciderò qui, seduta stante”. Mormorai, tremando di rabbia. Avevo una volta provato amore per quell’essere viscido. Ora godevo nel vederlo tremare di paura. “ma forse, se continui a spiegare, ti risparmierò la vita”. Chekaril mi guardò, deglutendo, e poi riprese a parlare, tremando leggermente, con voce malferma. “per me, Lsyn…eri…solo un giocattolo. Uno dei tanti. Certo, tra quelli più belli, la creatura più affascinante sulla quale io abbia mai posato gli occhi, ma… eri solo un giocattolo. Ti avrei abbandonata non appena avessi trovato un obiettivo più…goloso, diciamo così…”. Solo gli dei sapevano quanto quelle parole, casuali, veritiere e ciniche, mi stessero ferendo. Solo un giocattolo. Un gioiello prezioso, una preda golosa. Ero considerata così dall’unica creatura che mi ero permessa di amare davvero. Chekaril fece una smorfia amara. “tuttavia…”. Disse, esitando. “quando tornai all’alba, il giorno in cui dovevi partire per la missione, trovai Lainay ad attendermi nelle mie stanze”. Oh, no. Era stata quella sua mossa a svelare tutto. Non avrei mai saputo nulla, se solo non fosse venuto a casa mia, per salutarmi, e vedermi un’ultima volta. Sarei rimasta sana, intatta ed innocente. Il Principe chiuse gli occhi, sospirando di nuovo. Sembrava gli costasse molto parlare di quelle cose. “la prima cosa che fece…fu quella di domandarmi se mi ero divertito, con te, quella notte”. Lui digrignò di nuovo i denti. “mi piombò il mondo addosso, davvero…cercai di negare, di proteggerti, d’inventarmi una falsa amante… ma lei fu irremovibile”. Scosse il capo. Ero incredula: messa nel sacco come una novellina. “mi aveva fatto seguire dal primo momento, non appena si era resa conto che io avevo posato gli occhi su di te. Ci aveva fatto spiare, e sapeva tutto di noi. Tutto”. Ed io non mi ero mai resa conto di nulla. Davvero, davvero, un’ottima Spia. La voce di Chekaril, in quel momento, s’incrinò ancora di più, e lui, aprendo gli occhi, mi guardò, con lo stesso atteggiamento disperato di prima. “lei…lei mi pose davanti ad una scelta, Lsyn”. Il tono divenne più amaro. “e sai cosa mi disse? Lo sai? Lo sai che mi disse, con quella voce insopportabilmente dolce che si ritrova? Ovviamente, non posso evitare che tu corra dietro a tutte le sottane che si muovono, Chekaril, ignorando i rischi che comporta tale atteggiamento, per la nostra stirpe, e per la tua fama regale. Il tuo atteggiamento non è degno. Tuttavia…potrei soprassedere, se tu non avessi circuito la mia migliore Spia. E qui sorrise, Lsyn, davvero, come se godesse dal farmi male! Mi guardava come una gatta guarda la sua preda, Lsyn…tu non puoi capire…”. Mi diedero enormemente fastidio quelle parole. Chi credeva io fossi? Un’infante? Lainay mi aveva guardato più di una volta in quel modo, come un felino che si lecca i baffi. Ed avevo sempre temuto quello sguardo. Conoscevo fin troppo bene sua sorella per non interpretarlo come presagio di guai certi. Feci per parlare, quando Chekaril alzò una mano verso di me, implorandomi di lasciarlo continuare. Lo lasciai fare. Chi lo avrebbe più fermato? I segreti, il dolore di una vita intera, sembravano tradursi un quel fiume inarrestabile di parole. Compresi perfettamente il motivo del suo sguardo sparuto, e colpevole. Soffriva per me. Lui riprese così a parlare. “Lsyn…mi diede un ultimatum. Lsyn mi è preziosa. Non posso permettere che tu la distragga.  Avevo intenzione di ucciderla, Chekaril, a dirti la verità…ma poi…ho cambiato idea. Lei potrebbe essermi utile anche in un altro modo. E lei mi sorrise di nuovo, Lsyn…mi sorrise di nuovo! Sapevo che mi stava per tirare un terribile colpo, e così fu, sai? Si fece seria, tanto seria… e come ricordo bene le sue parole! Resta con lei, Chekaril. Non osare lasciarla. Devi farlo per me. So quanto tu la consideri, e come la consideri, ma lei è troppo preziosa. Sai che sono sterile. Io ho bisogno di un erede, e tu puoi darmelo. Voi potete darmelo. Lsyn può avere figli, ed è di sangue nobile. Non saprebbe mai la fine di suo figlio, perché imbastiremo una sceneggiata, in modo che lei creda sia andato alle Spie. Lo alleveremo nel castello, Chekaril, e sarai il padre della prossima stirpe di re! Cercai di obiettare, cercai di difenderti. Non volevo usarti in quel modo orrendo! Non volevo, lo giuro!”. Supplice schifoso. Lo odiavo. Lo odiavo! Tremai di rabbia, per la smania di ammazzarlo, alla quale per poco non soccombetti. Ma i miei interrogativi dovevano essere sopiti. Dopo avrei pensato a come fargli del male. Chekaril riprese a parlare, con voce supplichevole, e rapida. “lei sai cosa mi rispose? O quello, Chekaril, o darò l’ordine di ammazzarla. Datemi un erede, e tu potrai tradire quante volte vuoi. Cosa potevo fare, secondo te? Mi ripugnava l’idea di toccarti, baciarti, amarti, solo per quell’obiettivo. Avrei, tanto, voluto lasciarti. Ma Lainay mi assicurò che, se fossi stata tu a lasciarmi…non sarebbe successo nulla”. Di nuovo un sorriso amaro affiorò su quei lineamenti sconvolti. “cosa potevo fare, secondo te? Al tuo ritorno, mi diedi da fare per farmi odiare. Divenni violento, possessivo, incomprensibile, come mai lo ero stato. Tu mi amavi lo stesso. Cercai di rendere più visibili possibile i miei tradimenti, le mie tresche, ma tu non mollavi. Hai mai capito la forza dell’amore? Lainay lo sapeva, ti conosceva benissimo. Sapeva che non mi avresti mai lasciato di tua spontanea volontà. Mi terrificava l’essere così manesco, distruttivo, rovinare un fiore dai rari colori, solo per non farlo cogliere da altri. Ma dovevo farlo. Non volevo tu fossi solo uno strumento del Regno! Eri stata mia! Le cose mie non si toccano!”. Dei, quanto mi faceva schifo, con quel suo sorriso dolce, ed il comportamento ferito. Dei…lo odiavo. Non volli fermare quel flusso di parole abiette, solo per curiosità. Dovevo sapere, e torturarmi. Povera me. “Ed immagini quanto la notizia della tua gravidanza mi abbia sconvolto? Lainay avrebbe avuto quello che voleva! Da un mio giocattolo! Quasi inammissibile. Cercai di non far trapelare la notizia, ricordi? Provai in ogni modo a convincerti di disfarti del bambino. Ma tu…nulla. Tu mi amavi. Tu eri…tu eri felice! E fosti tu a chiedermi di donare nostro figlio a Lainay, come un’offerta votiva! A lei! A quella sadica maledetta! Mia sorella non è conscia della reale superiorità elfica. Mia sorella è solo una pazza dalle orecchie a punta. Lei non sa nulla della reale potenza della nostra razza piena di grazia! Lei non lo sa! Ma io devo obbedirle!”. Come no. E lui lo sapeva. Guardai brevemente Aevo. Ero quasi sicura di trovarla schifata quanto me. Invece no. Lei fissava suo marito quasi con pietà, ed amore incredibile. Non sembrava nemmeno sorpresa. Sospettai che lei sapesse già tutto. “quando nacque Roxen…Lainay era la creatura più felice del mondo. Vedeva il suo sangue salvo. E quando la ebbe al castello…lei era la sua bambola. Vedi, mia sorella ha sempre desiderato avere figli. Sempre. Sua nipote era il suo strumento preferito, e già pensava a come farla crescere, viziata, coccolata, nel rispetto delle più rigide regole di allevamento elfiche.  Io ne ero disgustato, e chiesi di essere lasciato fuori da tutto. Non volli più vedere la nostra bambina. Volli dimenticare della sua esistenza, e m’immersi in una vita di scontri. E fu lì che la mia vita cambiò”. Di nuovo lo sguardo si fece duro, e cattivo. Quasi seppi cosa stava per dire. Benedetto Regis. “quel bastardo di umano…quello schifoso mortale…mi ha reso invalido agli occhi degli elfi. Agli occhi di Lainay. Ai suoi occhi non servii più ai combattimenti. Ero un giocattolo difettoso. Venni da lei etichettato, così,immediatamente, come allevatore. Il clima di corte stava diventando troppo rovente, e la bambina non era più al sicuro. Così… una notte, fece sparire me, Roxen e la sua dama di compagnia, nascondendo tutte le tracce…”. Lo sguardo si posò su Aevo. Uno sguardo tenero, pieno d’amore. Toh. Tu guarda. Dei, io avrei ucciso quell’elfa! Poco, ma sicuro. L’avrei torturata sotto gli occhi del marito, per poi fargli mangiare il cuore. Bastarda. “un drappello di guardie ci condusse in una casa isolata sulla costa, e lì vivemmo per qualche anno. Sapevo, ho sempre saputo, che tu mi avresti dato la caccia. Della trappola ero quasi all’oscuro: Lainay mi aveva solo detto che aveva un modo per tenerti a bada”. La mia Regina…parlava in questo modo di me? Tirai su con il naso. Avevo una terribile smania di piangere, di sfogarmi. Ma non potevo. Non di fronte a loro. “beh…sai com’è…vivemmo dieci anni in quella casetta. Lì la vita mi ha insegnato molto. Benedissi il momento in cui  mi desti Roxen. Era il mio unico amore, la mia unica luce. Me ne innamorai, vivendo e parlando con lei. Realizzai solo in quel momento fosse mia figlia. E poi…”. Un sorriso, rivolto ad Aevo, un sorriso complice. “un giorno, capii cosa fosse davvero l’amore”. Oh. Bastardo. A cosa serviva evitare di parlare di certe cose, se mi aveva già uccisa con quello detto prima, esposto con tanta cinica sincerità? Ipocrita. Chekaril, riguadagnato un tono più sereno, mi guardò, e poi alzò regalmente il mento, grattandosi il naso. Era a disagio. Doveva aver capito i pensieri che si agitavano in me. “così, chiesi a Lainay di andare in un posto tranquillo, per godermi un po’ di vita serena, prima che Roxen fosse diventata adulta. E, alla nascita del piccolo Chekaril, il permesso mi fu dato. Mia sorella era davvero contenta. Un maschio: quale gioia migliore, per lei?”. Chekaril? aveva dato il suo nome a suo figlio? Cos’era, matto? O forse un po’ egocentrico. Forse ambedue le cose. “Ed il resto penso che lo indovini da sola, no?”. Oh, dei. Anche idiota. Fece una smorfia disgustata. Mi disse il resto con rapidità allucinante, come se volesse togliersi un peso. “tuttavia, non ha mai smesso di controllarci. Ad intervalli periodici ha mandato Spie per controllarmi, per vedere se stessi tenendo fede alla parola data. Tu sei una di quelle, presumo. Perciò ti aspettavamo. Hai visto il cadavere e la bambola meccanica, giù alla radura, vero?”. Annuii, stupefatta. Il puzzle si stava ricomponendo. E le tessere non mi piacevano. Per nulla. Né mi piacque il sorriso obliquo ed estraneo di Chekaril. “quello era un Immortale che si stava comportando male. Era un generale, un ufficiale di altissimo rango, fedele a Lainay fino alla morte. Tuttavia…”. Scosse il capo, con rassegnazione. Tutto ciò mi fece capire quanto poco conoscessi Chekaril. Avevo amato un mostro. “il potere può dare alla testa un po’ a tutti, no? Era venuto a controllarmi, ma si era lasciato prendere dalla sete di sangue. Prese ad uccidere i paesani, indiscriminatamente, fino a quando io, spazientito non lo sfidai. Non so per quale miracolo sia riuscito ad ucciderlo, tuttavia, ci riuscii. Lainay approvò il mio gesto, soprattutto perché, così facendo, mi guadagnai la gratitudine di tutta Gerinti, e la fiducia, che ancora non mi è stata tolta. Tutti qui sanno la mia vera identità. E tutti mi amano, e ci proteggono, indiscriminatamente. Diciamo…che sto facendo propaganda per il Regno!”. No. Quella risata stridula non gli apparteneva. Né quello sguardo gelido. Ma allora che avevo conosciuto? Chi avevo amato? Una bestia mi mangiava il cuore, divorandolo a gran bocconi. Vendetta, odio, rabbia, gelosia, delusione. Una bestia dai mille volti. “ed ecco tutto, Lsyn. Questo è tutto. Non sono mai sparito, nessuno mi ha rapito. Tornerò, tornerò nel Regno, quando Roxen sarà grande. Hai un Comunicatore? Potresti chiedere a Lainay la conferma della mia storia, e dire che è tutto a posto…”. Ecco! Il Comunicatore! Si accese qualcosa in me. Quelle parole cordiali accesero qualcosa in me. Il fuoco atroce della vendetta. Avevo sete di sangue, sete di morte. Ed ebbi via libera verso l’abisso.

 

 

 

  
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