Non volli
capire. Non volli. Non poteva essere. Non poteva! Tutta la mia rabbia, la mia
terribile furia dolorosa, di dissolse in un vago
sentore d’incredulità. Fu un colpo troppo grande, che oserei paragonare solo al momento in cui Tijorn mi diede la
lettera di Akita, e solo a quello. Solo in quegli attimi mi ero sentita vacua,
vuota e confusa, come lo ero in quell’esatto momento, separata da un muro
di cotone dalla mia restante ragionevolezza. Il mondo girava per me al
contrario. “la Regina?”. Domandai, fissando la figura tremante e
singhiozzante di Chekaril. Quasi non me ne accorsi, ma tremavo anche io. Avevo
freddo, tanto freddo, e mi sentivo il capo leggero. Ero scossa. E scossa
è dir poco. “la mia signora, Chekaril? Cos’è, uno
scherzo?”. Mi costrinsi a ridere, ma la risata che finsi risultò
sgradevole e stridula. Mi sentivo legata mani e piedi.
Non era possibile… allora… Chekaril non mi aveva mai amata? Ero stata
solo uno strumento, una pedina? Mi sentii malissimo: lo stomaco si torse con
violenza inaudita, e fu solo la mia volontà ad impedirmi di crollare a
terra. Ciò che seguì ancora mi tormenta. Quella confessione
ancora mina il mio animo. Il Principe mi
guardò, il viso pallido, sfatto, inondato di lacrime. Sentivo, come
provenienti da un'altra dimensione, i singhiozzi soffocati di Aevo. Chekaril
deglutì, una volta, facendo un debole segno di diniego. Per poco la gambe non mi ressero. Perché? Perché
proprio io? Che avevo fatto di male? Io ero nata Spia, ed avevo svolto ogni mia
missione con egregia puntualità e perfezione! Avevo versato sangue,
sudore, lacrime, per la mia sovrana! Avevo mangiato la polvere migliaia e
migliaia di volte per lei! Avevo perso tutti, solo per esaudire ogni suo
desiderio! Qual era il mio peccato, allora? Cos’avevo fatto per meritarmi
un trattamento del genere? Mi sentii, più che mai, tradita, e smarrita,
come una bambina in una piazza affollata. Lainay, fino a quel momento, era
stata il mio più importante punto di riferimento. Lei disponeva della
mia vita a suo piacimento. Io le avevo donato fedeltà assoluta ed
incondizionata, come un cane verso la sua padrona. E lei? Lei cosa aveva fatto,
per me? Mi aveva sfigurata. Mi aveva reso l’essere più immondo e
viscido di questa terra. Mi ero fidata di lei, dei
suoi ordini, delle sue storie! E venivo ripagata con
delle bugie, delle ferite, usata come uno straccio, da buttare quando smette di
servire. Pensavo la mia Regina mi tenesse in considerazione, pensavo che mi
rispettasse come sua fedelissima servitrice, come un’eroina! No, non era
così. Né lo sarebbe mai stato. Io… io ero stata usata. Era
stata lei a sfigurarmi, per poi disprezzarmi, come se l’errore fosse
stato mio? Ed era una cosa troppo terribile, troppo scioccante da pensare.
Erano troppi i dubbi, per non esprimerli a parole. Mi dovevo sfogare. Ma non ne
avevo la forza. Mi guardai attorno, smarrita. Cominciavo a sentirmi debole.
Poi, in uno stato di vacuità tremante, rivolsi i miei occhi di nuovo
verso Chekaril. Non potevo neppure immaginare lui mi avesse presa in giro,
ottenebrando la mia ragione, ubriacandomi di baci, di carezze e vane promesse,
fino a farmi dimenticare il mio stesso essere Spia. Non potevo pensarci. C’erano
troppi punti oscuri. La matassa doveva essere sbrogliata. Dovevo domandare, per
mettermi l’anima in pace, o distruggerla. Cominciai dalla cosa che mi
premeva di più. E da lì, tutto si fa ovattato. Come se io non
fossi stata altro che entità eterea. Ero troppo scioccata per rendermi
conto di avere una mente ed un corpo. “allora…
Chekaril…”. Esordii. Con una voce pigolante, che non riuscivo a
riconoscere come mia. “tu… non mi hai mai…
davvero…”. Il Principe mi guardò, serio, arricciando la
bocca, in un gesto contrito. Dopo una brevissima pausa, in cui spostò lo
sguardo verso Aevo, figura scioccata e tremolante a cui
non feci più caso, per poi riportarlo su di me, si decise a parlare.
Esitante. “io….Lsyn…”. Soffiò, con voce ancora
un po’ incrinata, per poi mordersi il labbro inferiore. Ebbi paura di
ciò che stava per dire, sebbene, in un certo verso, lo presagissi
già. La sua fama di adescatore e frivolo donnaiolo era stata, allora,
già più che consolidata. Finalmente, dopo un ennesimo sospiro,
Chekaril si decise a confessare. E nessuno lo fermò più. La sua
voce si fece sempre più urgente durante il racconto, sempre più
rapida. Si fermava solo per riprendere fiato, trascinandomi nel più
brutto incubo ad occhi aperti che io abbia mai avuto.
Mi guardò per tutto il tempo con occhi imploranti, ed io lo odiai
più che mai si può, dall’amore,
passare all’odio più assoluto? Oh, si. Si può. Stupido,
debole, elfo. “eri bella, Lsyn. Molto bella. Avevo sentito parlare delle
tue gesta, e Lainay mi raccontava di te. Eri una Spia potente, allora, e volli
conoscerti”. Un sorriso triste affiorò sul suo bel volto, un
sorriso che mi fece venir voglia di dargli un calcio, di fargli del male. Viscido
bastardo. Poi lui riprese a parlare, rapido, dopo aver tirato un profondo
respiro, come se quella confessione gli costasse molto. “e quando ti
vidi, per la prima volta…”. Scosse la testa, come un cane bagnato,
ancora incredulo. “dei, Lsyn…non penso ti
sia mai accorta dell’effetto che avevi su elfi ed umani. Il fascino di
ciò che non si può avere, hai presente? Ed io ti desiderai, Lsyn,
desiderai averti tutta per me. Eri un Cane della Regina, il Cane più
attraente sul quale io avessi mai posato gli occhi. Tu
eri un gioiello, per me, il gioiello più inestimabile del proibito
tesoro reale. Il più bello. Volli averti ad ogni costo, volli
conquistarti con ogni mezzo. Perché non è mai stato da me perdere
una sfida. Una tresca nascosta: esisteva un invito più allettante, per
me? Lainay non doveva sapere: sarebbe stato troppo pericoloso, ed avrei osato
troppo. Fu proprio quello, stranamente, a fungere da pungolo, sai? Eri una
preda difficile, lo ammetto. Circuire una nobile sciocca non era per nulla difficoltoso…ma
una Spia? Avrebbero funzionato le strategie di seduzione che affinavo da
secoli? Non sai che gioia, fu, vedere che tu ricambiavi il mio interesse! Non
sai che soddisfazione, fu il vederti accettare il mio invito, donandoti a me
con tutta te stessa!”. Ero sempre, sempre più sbalordita,
arrabbiata e ferita. Mi aveva presa in giro, nel modo più atroce che mai
avesse potuto escogitare. Lui non voleva altro, come
un cacciatore che appende le teste delle sue prede al
muro di casa sua, vantarsi con sé stesso di aver posseduto una Spia, di
essersi preso gioco della sua stessa sorella! Ed io mi ero abbandonata al suo
amore con la fiducia di un’infante. Non riuscii a crederci. Dovetti
fermarmi, dovetti farmi quasi violenza, per non uccidere seduta stante quel
vile essere, che mi guardava, con fare colpevole. “sono stato meschino,
Lsyn, sono stato un bastardo!”. Ringhiò, digrignando i denti, come
se quella confessione gli costasse molto. Soffriva. La cosa mi fece piacere.
“chi avrebbe pensato che tu ti fossi davvero innamorata? Perché
non avevo contato la tua relativa gioventù?”. Il ghigno doloroso
si trasformò in un repellente sorriso dolce, che mi fece andare con la
memoria a tempi più felici, che, in quel momento, mi facevano venire i
brividi. “perché tu sei più giovane di me,
Lsyn….tanto più giovane… e sebbene Spia… ancora non
hai capito come va il mondo. Sei così ingenua, una bambina nel mondo dei
sentimenti… e per me era facile…così facile…”.
Mi lasciai sfuggire un ringhio involontario, e vidi
l’espressione di Chekaril farsi preoccupata. Sapevo benissimo quanto fossi ingenua, grazie. “se non la smetti di chiamarmi
ingenua, ti ucciderò qui, seduta stante”. Mormorai, tremando di
rabbia. Avevo una volta provato amore per quell’essere viscido. Ora godevo
nel vederlo tremare di paura. “ma forse, se continui a spiegare, ti
risparmierò la vita”. Chekaril mi guardò, deglutendo, e poi
riprese a parlare, tremando leggermente, con voce malferma. “per me,
Lsyn…eri…solo un giocattolo. Uno dei tanti. Certo, tra quelli
più belli, la creatura più affascinante sulla quale io abbia mai posato gli occhi, ma… eri solo un
giocattolo. Ti avrei abbandonata non appena avessi trovato un obiettivo
più…goloso, diciamo così…”. Solo gli dei sapevano quanto quelle parole, casuali, veritiere e
ciniche, mi stessero ferendo. Solo un giocattolo. Un gioiello prezioso, una
preda golosa. Ero considerata così dall’unica creatura che mi ero
permessa di amare davvero. Chekaril fece una smorfia amara. “tuttavia…”.
Disse, esitando. “quando tornai all’alba, il giorno in cui dovevi
partire per la missione, trovai Lainay ad attendermi nelle mie stanze”.
Oh, no. Era stata quella sua mossa a svelare tutto. Non avrei mai saputo nulla,
se solo non fosse venuto a casa mia, per salutarmi, e vedermi un’ultima
volta. Sarei rimasta sana, intatta ed innocente. Il Principe chiuse gli occhi,
sospirando di nuovo. Sembrava gli costasse molto parlare di quelle cose.
“la prima cosa che fece…fu quella di domandarmi se mi ero
divertito, con te, quella notte”. Lui digrignò di nuovo i denti.
“mi piombò il mondo addosso, davvero…cercai di negare, di
proteggerti, d’inventarmi una falsa amante… ma
lei fu irremovibile”. Scosse il capo. Ero incredula: messa nel sacco come
una novellina. “mi aveva fatto seguire dal primo momento, non appena si
era resa conto che io avevo posato gli occhi su di te. Ci aveva fatto spiare, e
sapeva tutto di noi. Tutto”. Ed io non mi ero mai resa conto di nulla.
Davvero, davvero, un’ottima Spia. La voce di Chekaril, in quel momento,
s’incrinò ancora di più, e lui, aprendo gli occhi, mi
guardò, con lo stesso atteggiamento disperato di prima.
“lei…lei mi pose davanti ad una scelta, Lsyn”. Il tono
divenne più amaro. “e sai cosa mi disse? Lo sai? Lo sai che mi
disse, con quella voce insopportabilmente dolce che si ritrova? Ovviamente, non posso evitare che tu corra
dietro a tutte le sottane che si muovono, Chekaril, ignorando i rischi che
comporta tale atteggiamento, per la nostra stirpe, e per la tua fama regale. Il
tuo atteggiamento non è degno. Tuttavia…potrei soprassedere, se tu
non avessi circuito la mia migliore Spia. E qui sorrise, Lsyn, davvero,
come se godesse dal farmi male! Mi guardava come una gatta guarda la sua preda,
Lsyn…tu non puoi capire…”. Mi diedero enormemente fastidio
quelle parole. Chi credeva io fossi? Un’infante?
Lainay mi aveva guardato più di una volta in quel modo, come un felino
che si lecca i baffi. Ed avevo sempre temuto quello sguardo. Conoscevo fin
troppo bene sua sorella per non interpretarlo come presagio di guai certi. Feci
per parlare, quando Chekaril alzò una mano verso di me, implorandomi di
lasciarlo continuare. Lo lasciai fare. Chi lo avrebbe più fermato? I
segreti, il dolore di una vita intera, sembravano tradursi un quel fiume
inarrestabile di parole. Compresi perfettamente il motivo del suo sguardo
sparuto, e colpevole. Soffriva per me. Lui riprese così a parlare.
“Lsyn…mi diede un ultimatum. Lsyn
mi è preziosa. Non posso permettere che tu la distragga. Avevo intenzione di ucciderla, Chekaril,
a dirti la verità…ma poi…ho
cambiato idea. Lei potrebbe essermi utile anche in un altro modo. E lei mi
sorrise di nuovo, Lsyn…mi sorrise di nuovo! Sapevo che mi stava per
tirare un terribile colpo, e così fu, sai? Si fece seria, tanto
seria… e come ricordo bene le sue parole! Resta con lei, Chekaril. Non osare
lasciarla. Devi farlo per me. So quanto tu la
consideri, e come la consideri, ma lei è troppo preziosa. Sai che sono
sterile. Io ho bisogno di un erede, e tu puoi darmelo. Voi potete darmelo. Lsyn
può avere figli, ed è di sangue nobile. Non saprebbe mai la fine
di suo figlio, perché imbastiremo una sceneggiata, in modo che lei creda
sia andato alle Spie. Lo alleveremo nel castello, Chekaril, e sarai il padre
della prossima stirpe di re! Cercai di obiettare, cercai di difenderti. Non
volevo usarti in quel modo orrendo! Non volevo, lo giuro!”. Supplice
schifoso. Lo odiavo. Lo odiavo! Tremai di rabbia, per la smania di ammazzarlo,
alla quale per poco non soccombetti. Ma i miei interrogativi dovevano essere
sopiti. Dopo avrei pensato a come fargli del male. Chekaril riprese a parlare,
con voce supplichevole, e rapida. “lei sai cosa mi rispose? O quello, Chekaril, o darò
l’ordine di ammazzarla. Datemi un erede, e tu potrai tradire quante volte
vuoi. Cosa potevo fare, secondo te? Mi ripugnava l’idea di toccarti,
baciarti, amarti, solo per quell’obiettivo. Avrei, tanto, voluto
lasciarti. Ma Lainay mi assicurò che, se fossi stata tu a
lasciarmi…non sarebbe successo nulla”. Di nuovo un sorriso amaro
affiorò su quei lineamenti sconvolti. “cosa potevo fare, secondo
te? Al tuo ritorno, mi diedi da fare per farmi odiare. Divenni violento,
possessivo, incomprensibile, come mai lo ero stato. Tu mi amavi lo stesso.
Cercai di rendere più visibili possibile i miei
tradimenti, le mie tresche, ma tu non mollavi. Hai mai capito la forza
dell’amore? Lainay lo sapeva, ti conosceva benissimo. Sapeva che non mi
avresti mai lasciato di tua spontanea volontà. Mi terrificava l’essere
così manesco, distruttivo, rovinare un fiore dai rari colori, solo per
non farlo cogliere da altri. Ma dovevo farlo. Non volevo tu fossi solo uno
strumento del Regno! Eri stata mia! Le cose mie non si toccano!”. Dei, quanto mi faceva schifo, con quel suo sorriso dolce, ed
il comportamento ferito. Dei…lo odiavo. Non volli fermare quel flusso di
parole abiette, solo per curiosità. Dovevo sapere, e torturarmi. Povera me.
“Ed immagini quanto la notizia della tua gravidanza mi abbia sconvolto? Lainay
avrebbe avuto quello che voleva! Da un mio giocattolo! Quasi inammissibile. Cercai
di non far trapelare la notizia, ricordi? Provai in ogni modo a convincerti di
disfarti del bambino. Ma tu…nulla. Tu mi amavi. Tu eri…tu eri felice! E fosti tu a chiedermi di donare
nostro figlio a Lainay, come un’offerta votiva! A lei! A quella sadica
maledetta! Mia sorella non è conscia della reale superiorità elfica.
Mia sorella è solo una pazza dalle orecchie a punta. Lei non sa nulla
della reale potenza della nostra razza piena di grazia! Lei non lo sa! Ma io
devo obbedirle!”. Come no. E lui lo sapeva. Guardai brevemente Aevo. Ero quasi
sicura di trovarla schifata quanto me. Invece no. Lei fissava suo marito quasi
con pietà, ed amore incredibile. Non sembrava nemmeno sorpresa. Sospettai
che lei sapesse già tutto. “quando nacque
Roxen…Lainay era la creatura più felice del mondo. Vedeva il suo sangue
salvo. E quando la ebbe al castello…lei era la sua bambola. Vedi, mia
sorella ha sempre desiderato avere figli. Sempre. Sua nipote era il suo strumento
preferito, e già pensava a come farla crescere, viziata, coccolata, nel
rispetto delle più rigide regole di allevamento elfiche. Io ne ero disgustato, e chiesi di essere
lasciato fuori da tutto. Non volli più vedere
la nostra bambina. Volli dimenticare della sua esistenza, e m’immersi in
una vita di scontri. E fu lì che la mia vita cambiò”. Di nuovo
lo sguardo si fece duro, e cattivo. Quasi seppi cosa stava per dire. Benedetto Regis.
“quel bastardo di umano…quello schifoso mortale…mi ha reso
invalido agli occhi degli elfi. Agli occhi di Lainay. Ai suoi occhi non servii
più ai combattimenti. Ero un giocattolo difettoso. Venni da lei
etichettato, così,immediatamente, come
allevatore. Il clima di corte stava diventando troppo rovente, e la bambina non
era più al sicuro. Così… una notte, fece sparire me, Roxen e
la sua dama di compagnia, nascondendo tutte le tracce…”. Lo sguardo
si posò su Aevo. Uno sguardo tenero, pieno d’amore. Toh. Tu guarda.
Dei, io avrei ucciso quell’elfa! Poco, ma sicuro. L’avrei torturata sotto gli occhi del
marito, per poi fargli mangiare il cuore. Bastarda. “un drappello di
guardie ci condusse in una casa isolata sulla costa, e lì vivemmo per
qualche anno. Sapevo, ho sempre saputo, che tu mi avresti dato la caccia. Della
trappola ero quasi all’oscuro: Lainay mi aveva solo detto che aveva un
modo per tenerti a bada”. La mia Regina…parlava in questo modo di
me? Tirai su con il naso. Avevo una terribile smania di piangere, di sfogarmi. Ma
non potevo. Non di fronte a loro. “beh…sai com’è…vivemmo
dieci anni in quella casetta. Lì la vita mi ha insegnato molto. Benedissi
il momento in cui mi desti Roxen. Era il mio unico
amore, la mia unica luce. Me ne innamorai, vivendo e parlando con lei. Realizzai
solo in quel momento fosse mia figlia. E poi…”. Un sorriso, rivolto
ad Aevo, un sorriso complice. “un giorno, capii cosa fosse davvero l’amore”.
Oh. Bastardo. A cosa serviva evitare di parlare di certe cose, se mi aveva
già uccisa con quello detto prima, esposto con
tanta cinica sincerità? Ipocrita. Chekaril, riguadagnato un tono
più sereno, mi guardò, e poi alzò regalmente il mento,
grattandosi il naso. Era a disagio. Doveva aver capito i pensieri che si
agitavano in me. “così, chiesi a Lainay di andare in un posto
tranquillo, per godermi un po’ di vita serena, prima che Roxen fosse diventata adulta. E, alla nascita del piccolo
Chekaril, il permesso mi fu dato. Mia sorella era davvero contenta. Un maschio:
quale gioia migliore, per lei?”. Chekaril? aveva
dato il suo nome a suo figlio? Cos’era, matto? O forse un po’
egocentrico. Forse ambedue le cose. “Ed il resto penso che lo indovini da
sola, no?”. Oh, dei. Anche idiota. Fece una smorfia disgustata. Mi disse
il resto con rapidità allucinante, come se volesse togliersi un peso. “tuttavia,
non ha mai smesso di controllarci. Ad intervalli periodici ha mandato Spie per
controllarmi, per vedere se stessi tenendo fede alla
parola data. Tu sei una di quelle, presumo. Perciò ti aspettavamo. Hai visto
il cadavere e la bambola meccanica, giù alla radura, vero?”. Annuii,
stupefatta. Il puzzle si stava ricomponendo. E le tessere non mi piacevano. Per
nulla. Né mi piacque il sorriso obliquo ed estraneo di Chekaril. “quello
era un Immortale che si stava comportando male. Era un generale, un ufficiale di
altissimo rango, fedele a Lainay fino alla morte. Tuttavia…”. Scosse
il capo, con rassegnazione. Tutto ciò mi fece capire quanto poco
conoscessi Chekaril. Avevo amato un mostro. “il potere può dare
alla testa un po’ a tutti, no? Era venuto a controllarmi, ma si era
lasciato prendere dalla sete di sangue. Prese ad uccidere i paesani,
indiscriminatamente, fino a quando io, spazientito non lo sfidai. Non so per
quale miracolo sia riuscito ad ucciderlo, tuttavia, ci
riuscii. Lainay approvò il mio gesto, soprattutto perché,
così facendo, mi guadagnai la gratitudine di tutta Gerinti, e la
fiducia, che ancora non mi è stata tolta. Tutti
qui sanno la mia vera identità. E tutti mi amano, e ci proteggono,
indiscriminatamente. Diciamo…che sto facendo propaganda per il Regno!”.
No. Quella risata stridula non gli apparteneva. Né quello sguardo
gelido. Ma allora che avevo conosciuto? Chi avevo amato? Una bestia mi mangiava
il cuore, divorandolo a gran bocconi. Vendetta, odio, rabbia, gelosia,
delusione. Una bestia dai mille volti. “ed ecco tutto, Lsyn. Questo è
tutto. Non sono mai sparito, nessuno mi ha rapito. Tornerò,
tornerò nel Regno, quando Roxen sarà grande. Hai un Comunicatore?
Potresti chiedere a Lainay la conferma della mia storia, e dire che è
tutto a posto…”. Ecco! Il Comunicatore! Si accese qualcosa in me. Quelle
parole cordiali accesero qualcosa in me. Il fuoco atroce della vendetta. Avevo sete
di sangue, sete di morte. Ed ebbi via libera verso l’abisso.