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Autore: Taila    07/10/2008    2 recensioni
Cent'anni dopo il mitico scontro tra il Signore degli Inganni e Jerle Shannara, Allanon si presenta a Cho Black, una ragazza che da sei anni vive da sola isolata dal resto della civiltà, nelle Foreste di Streleheim: ha bisogno del suo potere per sconfiggere Sorgon, un essere magico più antico del Re del Fiume Argento, che, alla testa di un formidabile esercito di Incubi, sta progettando la conquista delle Quattro Terre.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allanon, Altro Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Mi scuso per questo enorme ritardo, ma sto scrivendo la tesina per la triennale… che stressssss!!!!!!!! >.< Voglio ringraziare come sempre Stefania: sono molto contenta che ti sia piaciuto l’altro capitolo, ho avuto un po’ di difficoltà a scriverlo perché mi sembrava un po’ pesante, quindi sono contenta che ti sia sembrato ben scritto! ^^ Vedrai che ti combino con Graham e Cho *.* poveri Allanon e Mael che dovranno fare da paciere ^^’’’ Scommetti che Allanon li ucciderà prima di arrivare all’Oasi? -__^ Questo capitolo è ancora ambientato a Storlok, il prossimo sarà a Varfleet ^^; Alaide: il mio ego sta saltellando tutto allegro per il tuo commento, sai?! -_^ Scherzi a parte: sono sempre sollevata quando mi dicono che sto facendo un buon lavoro con Allanon e la storia tutta, perché ho sempre paura di fare qualcosa di sbagliato e scadere nel ridicolo, quindi grazie di cuore ^^ Sono contenta anche che ti piaccia Cho (sono molto affezionata a lei ^^) e ti ringrazio per aver inserito questa fic tra i tuoi preferiti ^^ ; Ringrazio anche Vodia che ha inserito la fic tra i suoi preferiti, e tutti coloro che hanno letto fin qua e leggeranno e commenteranno questo capitolo! ^^
Non mi resta che augurarvi buona lettura, alla prossima gente \^o^/



Capitolo 6.



La pioggia scrosciava pacata dalle grosse nubi grigie che coprivano il villaggio da un orizzonte all’altro, squarciate ad intervalli irregolari da lampi che le tagliavano illuminando per un attimo tutt’attorno, mentre in lontananza si udiva il minaccioso brontolio dei tuoni. Nonostante fosse metà mattina, la luce era bassa e cupa, quasi crepuscolare, mentre un leggero velo di nebbia si iniziava a sfumare i contorni delle case e degli alberi; l’aria era impregnata dell’odore di legno ed erba umida. A tratti un vento gelido e penetrante spazzava il villaggio, facendo piegare pericolosamente in avanti gli alberi e sollevando piccoli vortici di umide foglie gialle. L’autunno era infine giunto a reclamare quello che gli spettava.
Cho stava seduta sulla sponda del laghetto che si trovava ai margini di Storlok, a gambe incrociate e mani abbandonate il grembo, apparentemente inconsapevole della temporale che la stava infradiciando. Osservava apaticamente le acque appena increspate del ritmico tamburellio della pioggia, come se non le stesse guardando davvero, ignorando i vestiti umidi ed il fango che le si attaccavano addosso rubandole calore: era come se in quel momento non fosse realmente li.
Un lampo illuminò la campagna a giorno, seguito dal rimbombo di un tuono così forte che fece tremare il terreno sotto di lei; come se questo l’avesse destata, Cho sollevò lentamente il viso verso il cielo, i capelli fradici incollati ai lati del viso e del collo, a formare intricati arabeschi neri, in uno strano contrasto con il colore abbronzato della sua pelle, socchiudendo le palpebre e lasciando che le gocce le scorressero sulla pelle come affilate lame ghiacciate.
Si sentiva sbattuta e persa esattamente come quelle foglie si salice cadute sulla superficie del laghetto che venivano sballottate da un lato all’altro dalla furia del vento…
… Si sentiva come se stesse cadendo a corpo libero in una voragine immensa e buia ed attendesse soltanto di arrivare alla fine…
Una sensazione di soffocamento le stringeva la gola, strappandole tutta l’aria dai polmoni; le vertigini la colpivano all’improvviso accompagnate da un violento senso di nausea, che la sommergevano piegandola in due e le rivoltandole lo stomaco con contrazioni dolorose.
Per la prima volta nella sua vita si sentiva persa e confusa, non riusciva a risollevare le sue difese, a scacciare i cattivi pensieri per concentrarsi solo su quello che l’attendeva da quel momento in poi; le sembrava di essere attraversata dalle scariche di corrente dei fulmini, di essere percorsa da una sottile ansia, come se fosse in attesa di qualcosa che sarebbe dovuta accadere da un momento all’altro…
Che mi sta succedendo? Non poté fare a meno di chiedersi, scoprendo quanto fosse cambiata, in peggio, da quando aveva lasciato le foreste di Streleheim. Era come se fosse ritornata la bambina spaurita che sei anni prima aveva abbandonato Varfleet…
Quella mattina era uscita dal suo alloggio molto presto e, ignorando la debolezza che sentiva ancora piegarle le gambe e le nubi che minacciavano piogge, aveva iniziato a vagabondare per le strade del villaggio in cerca di un luogo in cui stare sola e pensare un po’. E poi, per caso, si era imbattuta in quel laghetto, la cui superficie liscia ed immobile sembrava un enorme specchio di metallo incassato nel terreno, un solo, vecchio e saldo salice tendeva il suo tronco arcuato verso le sue acque, mentre i lunghi rami pendenti ne sfioravano appena le acque. Le era bastato avvicinarsi a quel luogo e poggiare il palmo di una mano su quel tronco per capire che quel luogo l’aveva invocata da quando aveva messo piede al villaggio.
Per questo si era seduta sull’erba fredda ed umida, e si era messa in paziente attesa di quella calma che sempre la colmava quando si trovava in luoghi mistici come quello; una calma che in quel momento tardava ad arrivare. Di solito le bastava abbandonarsi alla natura per poter ritrovare se stessa, perché dubbi e paure svaporassero da dentro di lei come nebbia al sole…
… Eppure quella volta i pensieri sembravano davvero troppi e tenaci, sembravano aver messo salde radici dentro di lei e si rifiutavano di abbandonarla…
Quella volta sembrava che quel legame che riusciva sempre a creare tra sé e la natura non servisse a nulla…
Si era spesso chiesta da dove venisse quella strana sensazione di poter far parte del mondo naturale, era un qualcosa che aveva sempre provato, a volte era così tangibile da convincerla che era nient’altro che la rosa avviticchiata al muro che stava guardando, altre volte era solo un debole sussurro, una labile voce dentro di lei simile all’eco di passato lontano…
… come una canzone, una melodia dolce ed intensa che le vibrava sottopelle, allargandosi in modo ritmico e regolare a tutto il corpo, sprofondando in ogni recesso della sua mente e della sua anima, sprofondandola in un torpore ipnotico e viscoso…
Non sapeva nemmeno come funzionasse per la verità, era come un qualcosa che si accendeva dentro di lei senza alcun preavviso né controllo; all’inizio l’aveva spaventata, come per ogni altro aspetto del suo potere magico, ma col tempo aveva imparato a conviverci ed a trovarla decisamente piacevole, come sensazione.
Aveva provato a chiedere consiglio al vecchio Baruk una volta, ma anche lui non aveva saputo darle una vera e propria spiegazione, l’aveva ascoltata a lungo, attentamente, descrivere in modo confuso tutto quello che provava in quei momenti di intontimento ed abbandono totali, prima di ipotizzare una possibile influenza di quella parte del suo sangue che ancora derivava dalle fate. Infondo anche se erano passate troppe generazioni, la magia del mondo fatato influenzava ancora gli eredi della famiglia Black con la magia, perché non poteva incidere su di loro anche in altri modi?
Una raffica gelida la investì violentemente alle spalle increspando la sua pelle umida in decine di brividi. Cho riaprì gli occhi ed abbassò lentamente il volto fissando i rami del salice dondolare violentemente e le foglie sbattere l’una contro l’altra producendo un piacevole suono secco e vuoto.
Un’abitante del mondo fatato ed un essere umano.
Come era potuta avvenire un’unione simile?
Le avevano sempre raccontato che le fate non si mescolavano con gli esseri umani, erano creature superiori dedite solo alla cura della natura, legate esclusivamente alla propria natura puramente magica che li aveva messi su un piano più elevato rispetto a quello umano, quasi immateriale…
… Gli esseri umani appartenevano ad una razza inferiore nella loro natura tangibile che non permetteva loro di elevarsi al di sopra della propria condizione, erano i responsabili delle catastrofi che avevano causato gli sconvolgimenti di quel mondo e che erano arrivati a modificarne addirittura la geografia…
Appartenevano a due mondi diversi ed incompatibili tra loro, per questo le era sempre sembrata un’unione impossibile!
Se non ci fosse stata la prova tangibile ed inconfutabile dei suoi poteri, avrebbe creduto che fosse solo una leggenda, niente più di una delle favole che la mamma le raccontava prima di andare a dormire…
… Invece il sangue fatato era una realtà, una terribile eredità che ogni Black doveva affrontare, accettare e sopportare senza potersi ribellare.
Se ora si trovava in quella situazione lo doveva alla scelta dei suoi antenati, pensò con un moto di rabbia immotivata; il suo potere terribile ed innocente insieme, il peso che ora portava sulle spalle e la minaccia sempre presente del suo doppio… doveva tutto a loro!
Chinò la testa in avanti, come in un inconscio atto di resa, lasciando che la pioggia le bagnasse la nuca e scivolasse lungo la sua schiena, sperando quasi che quei brividi potessero scuoterla in qualche modo dallo stato depressivo in cui era piombata.
Troppe domande senza risposta si affollavano attorno a lei, assediandola, soffocandola con la loro impalpabile, onnipresente presenza. La paura stava lentamente prendendo possesso di lei, confondendola sempre di più, impedendole di ragionare razionalmente.
Si sentiva come se si trovasse in piedi sull’orlo sdrucciolevole di un profondo abisso e non ci fosse nessuno che potesse aiutarla a salvarsi.
Si sentiva spaventata ed infinitamente sola.
Tutto il mondo spiegato davanti a lei, in tutta la sua vastità e pericolosità, e nessuno al suo fianco che potesse indicarle la via per percorrerlo indenne.
Il morbido ripetersi dei rumori di quell’acquazzone fu interrotto da un altro rumore diverso, per nulla intonato agli altri: era come il fruscio di una veste appesantita dall’umidità.
A Cho bastò chiudere gli occhi per capire chi fosse il disturbatore delle sue riflessioni.
- Ti prenderai un malanno se continuerai a restare sotto la pioggia.- l’avvertì, infatti, la voce secca e disinteressata di Allanon.
La ragazza riaprì gli occhi tenendoli sempre puntati nel grigio cupo delle acque dello stagno. Come faceva a comparire sempre nei momenti in cui stava peggio? Era un caso oppure possedeva un vero sesto senso che lo portava nel posto giusto al momento giusto? Preferì non rispondere a quella domanda, il solo pensare che avesse una simile qualità l’irritava! La vedeva come una violazione della sua intimità, una limitazione ai suoi diritti di stare da sola con se stessa, di sentirsi male…
Vedendo che la ragazza continuava a restare in silenzio osservando qualcosa di indefinito davanti a sé, il Druido sospirò di fronte alla sua cocciutaggine, per poi spostarsi accanto a lei e sedersi sull’erba opportunamente avvolto nel suo mantello.
Osservò il volto di Cho di sottecchi e scoprì nei suoi lineamenti tirati e pallidi un tormento straziante che minacciava di farla annegare nella disperazione; non era rimasto quasi nulla della ragazzina ferita ma serena che si nascondeva nelle Streleheim.
Davanti quegli occhi verdi cupi e persi, i suoi sospetti che fosse accaduto qualcosa di grave a Paranor prima del suo arrivo si acuirono fino a diventare delle certezze. Durante lo scontro con gli Incubi era accaduto qualcosa che aveva mutato qualcosa dentro di lei, qualcosa che la stava corrodendo dall’interno lentamente ed inesorabilmente.
E poi quella domanda che gli aveva fatto il giorno prima sulla vera natura degli Incubi…
… ancora non era riuscito a trovare una spiegazione logica al come lo avesse saputo, era un segreto che i Druidi avevano celato gelosamente per secoli e che persino a lui era stato svelato da un riluttante Bremen poco prima che lasciasse il Perno dell’Ade…
Dal modo in cui aveva posto la domanda sembrava che Cho sapesse solo che originariamente erano esseri umani e questo poteva essere un male: le mezze verità erano ancora più dannose delle verità più sconvolgenti apprese per intero!
Gli mancava un tassello del mosaico per capire appieno cosa le stesse accadendo e lui, in quel momento, capì di odiare il non poter far nulla per lei, odiava vederla in quello stato!
Avrebbe potuto chiederle cosa le stesse accadendo, ma sapeva già che non avrebbe ottenuto alcuna risposta, quella mocciosa era così ostinata che era sicuro che avrebbe cercato di risolvere tutto da sola, rifiutandosi di chiedere aiuto anche quando si sarebbe trovata impossibilitata a procedere…
- Allanon – la voce di Cho lo raggiunse attutita dallo scrosciare della pioggia e dall’ululato del vento, dopo un lungo, pesante silenzio – La mia magia è malvagia?- gli chiese con una nota di esitazione a velarle la voce.
Il Druido osservò a lungo il suo profilo teso ed inquieto, ostinatamente tenuto fermo davanti a sé, cercando di comprendere cosa si nascondesse in realtà dietro quella domanda: sapeva che era uno dei nodi fondamentali che la stavano torturando, per questo non avrebbe mai osato sperare di arrivarci così presto, era stato più propenso a credere che avesse deciso di dare da sola una spiegazione a quella domanda, anche se avesse dovuto pagarne il prezzo in lacrime e sangue. Allanon spostò lo sguardo verso il laghetto, voleva concedersi qualche momento per ponderare accuratamente le parole con cui risponderle; perché lui aveva visto cos’era capace di fare quando dava ascolto alla metà sbagliata del suo potere, cosa potesse diventare quando cadeva preda di quella furia gelida ed implacabile. Un brivido gli serpeggiò lungo la schiena al ricordo di quegli occhi neri gelidi ed oleosi, annuncio di una morte imminente e per nulla pietosa; occhi di demone!
- La magia non è mai buona o cattiva, è solo se stessa!- rispose alla fine, con un lungo sospiro, scandendo bene le parole.
- Questa non è una risposta!- protestò debolmente Cho.
- È l’unica che posso darti.- rispose lui con calma tornando a voltarsi verso di lei.
Il Druido vide Cho chiudere gli occhi, come se volesse allontanarsi da tutto e tutti, trovare un angolo di pace dalla tempesta che la stava straziando dentro e fuori, per potersi permettere di riflettere con tranquillità. L’intensità della pioggia diminuì non riuscendo più a stemperare il soffio gelido e rabbioso del vento che in quel momento aveva ricominciato a soffiare; il velo di nebbia continuava a sollevarsi in banchi sempre più grossi e spessi, dando l’idea di enormi batuffoli di cotone che si stavano sfilacciando nella campagna circostante.
Cho risollevò le palpebre e riportò lo sguardo sul Druido, svelando il verde dei suoi occhi che poteva rivaleggiare con quello puro dell’erba, al cui interno vorticavano dolorosamente in tortuosi arabeschi luminosi, lampi dalla malia quasi ipnotica.
- Mi stai dicendo che la natura della magia è data dall’uso che se ne fa?- chiese in un basso mormorio che lo raggiunse a fatica.
Allanon non riuscì a riconoscere il tono di voce che aveva usato: c’era sicuramente ansia, ed anche speranza, ma gli altri sentimenti che l’avevano tinta a spesse pennellate cos’erano?
- Esatto! La magia è un’energia che nasce e si sviluppa dalle forze naturali, se ne può attingere un po’ alla volta e con grande attenzione, perché è altamente instabile e si rigenera con lentezza; depredare la terra di quest’energia provocherebbe danni quasi irreparabili, porterebbe ad un’alterazione del delicato equilibrio che regola questo mondo. Per questo motivo se si usa la magia in rispetto delle sue leggi allora può essere definita buona; se invece se ne fa l’uso contrario, sovvertendo qualsiasi legge e controllo, questa è una magia malvagia. Ma allo stato naturale la magia non ha alcun carattere, è solo se stessa, un concentrato di energia che può essere plasmato in migliaia di modi differenti, ma sempre con cautela perché l’uso della magia comporta sempre un prezzo da pagare.- .
- … Già…- rispose Cho con un piccolo sorriso ironico sulle labbra.
Al Druido diede l’impressione di sapere esattamente cosa volesse dire con quelle parole…
… che stesse già pagando il suo prezzo?
Una raffica di vento li colpì di fronte, facendogli scivolare il cappuccio del mantello dalla testa e sollevando ed ingarbugliando i lunghi capelli neri di Cho, che rimase impassibile, come se quelle invisibile dita gelide non le scivolassero lungo la pelle strappandole brividi e calore; quando il vento si allontanò da loro continuando la sua corsa più lontano, la pioggia cessò quasi completamente di cadere, lasciando che poche gocce continuassero a scendere su di loro aritmicamente. Le nuvole cominciarono a diradarsi perdendo il loro colore grigio cupo, permettendo così alla luce di filtrare più carica, facendo scintillare di deboli riflessi argentei le gocce di pioggia intrappolate sulle foglie e tra i fili d’erba.
Sotto lo sguardo indefinibile di Allanon, Cho si rimise in piedi vacillando un po’, intorpidita dalla posizione tenuta a lungo e dal freddo che si era impossessato dei suoi arti. Riportò lo sguardo sul Druido ancora seduto sull’erba ed un pallido sorriso le stirò le labbra, illuminando appena il suo sguardo; un sorriso così diverso da quello entusiasta, da bambina che aveva appena ricevuto il regalo che desiderava da tanto tempo, che gli aveva rivolto a Paranor…
- Grazie!- mormorò senza distogliere lo sguardo dal suo.
Uno sguardo privo di imbarazzo, che parlava più di un discorso intero, carico di significati e sottintesi, uno sguardo con cui cercava di raccontargli tutto quello che stava provando e niente in particolare.
Mentre si allontanava ad Allanon sembrò che le sue spalle fossero innaturalmente curvate in avanti, come se stesse sopportando un peso così gravoso da non riuscire a sorreggerlo completamente.

Controllò per l’ultima volta il contenuto della sua sacca quindi tirò il laccio e lo chiuse con un solido nodo. Lasciò la sacca sul letto e si volse per prendere il cinturone che legò in vita sopra la camicia scura da cacciatore; agganciò i due foderi di cuoio duro alla cintura ed impugnò uno alla volta i suoi due coltelli, si assicurò che le lunghe lame fossero sufficientemente affilate passandoci il polpastrello del pollice su, quindi li infilò nei foderi. Infilò un altro paio di pugnali negli stivali alti fino al ginocchio, quindi afferrò il mantello e, passandoselo attorno alle spalle con un ampio volteggio, se lo chiuse sul collo con la solida spilla a forma di aquila, che brillò debolmente quando fu colpita dalla luce perlacea di quella debole alba. Osservò il suo riflesso nello specchio dell’armadio di fronte al letto: era sempre la stessa, era sempre lei, eppure ad un’occhiata più attenta si potevano notare sottili ma innegabili differenze, soprattutto nello sguardo ora più cupo e meno sereno; era cambiata, un cambiamento più profondo e meno visibile, ma che l’aveva inevitabilmente cambiata. Quante volte ancora sarebbe mutata prima della fine di quella storia? Sospirò chiedendosi se alla fine sarebbe riuscita a riconoscere ancora il suo riflesso…
Si guardò un’ultima volta intorno per assicurarsi che ogni cosa fosse in ordine e che avesse preso tutto, sollevò il cappuccio sulla testa fin quasi a coprire il viso ed uscì da quell’alloggio che l’aveva ospitata fino a quel minuto prima; si richiuse la porta alle spalle senza fare rumore, mentre il cuore le martellava nel petto impaurito da quello che l’attendeva al di fuori di essa.
La ghiaia umida che ricopriva la via scricchiolava sotto i suoi passi, sulla sua testa il cielo era ancora coperto da pesanti nuvole grigie, ma sembravano non minacciare pioggia, almeno per il momento.
I suoi compagni di viaggio l’attendevano già all’ingresso di Storlok, per un istante si chiese cosa provassero nell’iniziare quel viaggio che sembrava solo un incosciente salto nel vuoto.
- Alla buon’ora! Cos’è, non riuscivi a svegliarti stamattina?!- chiese sarcastico Graham appena avvertì il suo arrivo.
- Sono arrivata perfettamente puntuale, né un minuto in più né uno in meno!- rispose lei con una leggera sfumatura d’irritazione nella voce, senza distogliere lo sguardo da quello del Nano.
Immobili l’uno di fronte all’altro, i loro occhi fiammeggianti e fieri piantati in quelli dell’altro, affrontandosi e provocandosi in una sfida su chi avrebbe ceduto per primo all’altro; nessuno dei due aveva accettato completamente la presenza dell’altro, per motivi diversi ma ugualmente tenaci, ed entrambi erano più che disposti a sfruttare qualsiasi occasione per ribadirlo.
- Su, su: non iniziate già di prima mattina!- si intromise Mael, con il suo solito sorriso dolce e rassicurante.
Cho distolse lo sguardo da quello dell’altro sbuffando sonoramente; Graham incrociò le braccia nodose al petto borbottando animatamente.
Allanon sospirò vedendoli, chiedendosi per l’ennesima volta se avesse fatto la cosa giusta a metterli nello stesso gruppo; di sicuro c’era che lui e l’elfo avrebbero avuto un gran daffare a tenerli a bada.
- Se avete finito con i vostri battibecchi…- esclamò ironicamente il Druido indicando la strada che si snodava davanti a loro che avrebbero dovuto percorrere.
Lanciandosi di sottecchi sguardi rabbiosi, incolpandosi a vicenda di quel rimprovero, i due si aggiustarono la sacca in spalla e si incamminarono precedendo gli altri.
Cho non si voltò mai, continuò a tenere lo sguardo fisso in avanti: i dubbi e le paure non erano spariti, anzi, continuavano a restare ben presenti e radicati dentro di lei, ma aveva promesso a se stessa che avrebbe dato una risposto ad ognuno di quei quesiti che le stavano marcendo dentro.

  
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