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Autore: Mary P_Stark    29/09/2014    2 recensioni
Cecily Fairchild è l'insegnante di Inglese nel piccolo paesino costiero di Falmouth, Cornovaglia. Sbrigativa, spigliata, sincera e per nulla vanitosa, è amata dai suoi studenti e apprezzata dai suoi colleghi. Ma, cosa più importante, è Fenrir del Clan di Cornovaglia, la licantropa più forte dell'intero branco. Licantropa che, però, si ritroverà ad affrontare qualcosa per lei del tutto nuovo e inaspettato, e un uomo che la lascerà senza parole per la prima volta in vita sua. Un uomo che, tra l'altro, sembra nascondere una marea di segreti, sotto la sua eleganza e le sue buone maniere. Amore e mistero li accompagneranno verso un'avventura ai limiti del mondo... e forse anche oltre. SPIN-OFF "TRILOGIA DELLA LUNA" - 4° RACCONTO (riferimenti alla storia presenti nei 3 racconti precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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6.
 
 
 
 
L’alba si stava impadronendo del cielo, con i suoi tenui colori del rosso e dell’arancione, e il profumo del giorno pizzicava le nari con la sua fragranza.

Lassù sulla collina di Glastonbury, le pietre del Tor di Avalon scintillavano al tocco dei primi raggi del sole.

L’aria frizzante si incuneava tra le falde dell’abito in seta di ragno di Titania che, rabbrividendo leggermente, scrutò il viso del figlio per poi lanciare un’occhiata ai loro compagni.

Cecily e William, poco distanti, erano impegnati in un’accesa discussione con Cordelia, che stava caparbiamente sostenendo le proprie tesi.

Nessuno le avrebbe impedito di partecipare alla missione, a meno di imbavagliarla, legarla e inviarla via Fedex in Australia.

Per motivi simili e dissimili al tempo stesso, i due amanti stavano invece tentando di far ragionare la donna, che però non sembrava per nulla disposta a tornare sui suoi passi.

Fu l’arrivo di un’auto di grossa cilindrata a strapparli alla loro discussione.

Una muscolare Range Rover bianca si fermò a pochi passi da loro, sostando in uno sterrato poco oltre l’assito stradale.

Dall’auto a vetri oscurati uscirono tre persone e Cecily, più che mai sorpresa, esalò: “Non mi avevi detto che sarebbe venuto anche lui!”

Brianna sorrise all’amica, lieta di essere riuscita a sorprenderla.

Senza perdere altro tempo, corse ad abbracciarla e la strinse forte a sé.

“Volevo che fosse una sorpresa.”

“E lo è davvero” mormorò la donna, scostandosi dall’amica per sorridere ai due nuovi arrivati.

Tempest si avvicinò con un sorriso e abbracciò Cecily, prima di dedicare uno sguardo pieno d’amore a Hugh, che ricambiò.

Si limitarono a un bacio veloce, ma i loro occhi dissero molto di più.

Quando fu il turno del bambino alle loro spalle, però, l’atmosfera divenne quasi solenne.

A sorpresa, Cecily si inginocchiò a terra, meravigliando non solo William, ma anche Titania, Puck e Cordelia, che la fissarono a occhi sgranati.

Colma di reverenziale timore, la licantropa mormorò ossequiosa: “E’ un onore incontrarti, Padre Tutto, e sapere che ti unirai a noi in questa missione.”

Il biondo ragazzino scandinavo le sorrise e, presala per mano, la fece rialzare dinanzi a sé, scrutandola poi con i profondi e intelligenti occhi grigi.

“L’onore è tutto nostro, Fenrir di Cornovaglia. Si è entusiasti di partecipare a questa missione di salvataggio, e permettere a quest’uomo di rimanere ove il cuore desidera.”

Sentir parlare un ragazzino di otto anni a quel modo, fece sorgere più di un sorriso.

Ma a nessuno era sfuggito il modo in cui Cecily si era rivolta a lui.

Padre Tutto.

Solo un dio, nel pantheon norreno, meritava quell’epiteto.

William, fissando onorato quel bel ragazzino già alto quasi quanto Cecily, mormorò: “Ho capito bene, e dentro di lui alberga l’anima di Odino?”

La licantropa annuì al pari del berserkr che, sorridendo a Darcy, disse con tono squillante: “Siamo ciò che dici, e molto di più. Ma questo verrà spiegato in un’altra sede, lontano da occhi e orecchie curiosi.”

Ciò detto, lanciò un’occhiata a un gruppo di escursionisti, che si trovavano a poca distanza dalle loro auto.

Quello era il punto di partenza per svariati sentieri, che si inerpicavano verso il Tor e tutt’attorno alla zona di Glastonbury.

Non certo il luogo ideale per parlare di dèi viventi e leggende.

William annuì e Titania, inchinandosi graziosamente al bambino, asserì: “E’ un onore essere in tua presenza, Padre Tutto. Ho molto sentito parlare di te da mio marito.”

“La tua bellezza riempie le leggende di ogni luogo e ogni tempo, Splendente Titania, e siamo lieti di scoprire che, per una volta, esse corrispondono a verità” replicò il bambino, accennando un saluto col capo.

“Sei troppo gentile, Odino.”

Puck si esibì in uno svolazzante inchino, a quel punto e, con un sorriso ironico, disse: “Vi immaginavo più alto, Vostra Solennità.”

Il bambino scoppiò a ridere, una gaia risata fanciullesca e, mentre Titania dava una gomitata nel fianco del figlio, il giovane replicò divertito: “Scoprirai presto quanto siamo alti, giovane Robin Goodfellow.”

“Sarà un onore vedervi con i miei umili occhi, Allföðr.”

Brianna prese subito le redini della situazione, presagendo più chiacchiere di quanto non potessero farne in quel momento.

Nel lanciare uno sguardo spiacente a Puck, che scrollò le spalle, si rivolse infine a Cordelia e disse: “Io mi occuperò personalmente dell’incolumità di tua madre, William. Al resto, penseranno Tempest e Magnus.”

“Ti sono grato, Brianna. Questo mi rincuora un poco, visto che non sono riuscito a convincerla a desistere dal venire con noi” mormorò Darcy, assentendo con sollievo.

Cordelia sorrise alla giovane che, dandole una pacca sulla spalla, asserì: “So cosa vuol dire correre in aiuto dei propri cari, perciò è importante che lei venga con noi.”

Cecily a quel punto batté le mani e, rivolto uno sguardo volitivo verso il colle, dichiarò: “Incamminiamoci, allora. Bifröst ci attende.”

Il gruppo annuì all’unisono e, con passo lesto, si inerpicarono lungo l’erta sterrata che conduceva direttamente al Tor, ora illuminato pienamente dai raggi del sole.

Non occorse molto per raggiungerlo e, quando si furono sincerati che nessuno fosse in vista, Brianna sbirciò i suoi compagni e disse: “Un passo indietro, signori. Le nostre seconde forme sono un po’… ingombranti.”

Cecily fu lesta a trascinare con sé sia Cordelia che William, mentre Titania, Hugh e Puck non ebbero bisogno di sproni.

Si erano già scostati prima ancora che Brianna parlasse.

Pronta, mia cara?

“Quando vuoi, Fenrir.”

Sorridendo, Brie si inginocchiò a terra mentre Tempest, strette le braccia al petto, inspirò a pieni polmoni e serrò gli occhi.

Magnus, a differenza delle due donne, si limitò a reclinare in avanti il capo, il volto rilassato e gli occhi socchiusi.

Sotto gli sguardi strabiliati dei presenti, i corpi dei tre Guardiani mutarono forma, lasciando che Fenrir, Tyr e Odino prendessero il loro posto.

Vi furono sospiri di sorpresa, il fischio ammirato di Hugh e lo sgomento di William e Cordelia.

Prima ancora di poter dire qualsiasi cosa in merito a quello spettacolo insolito, però, Tyr esclamò lesto: “Oltre la barriera del Tor! Giungono dei mortali!”

Fenrir e i suoi quattro metri circa di zampe, pelo bianco e coda, passarono per primi.

A seguire, giunsero Odino e Tyr, a cui si accodò il resto del gruppo.

Nessun umano, a quel punto, avrebbe potuto scorgerli.

Il limbo che separava Midghard da Alfheimr era abbastanza spesso, perché nulla potesse essere scorto oltre la porta del Tor, se non il paesaggio che si trovava all’altro capo del colle.

Cioè prati, campi coltivati e boschi.

Solo occhi mistici, o consapevoli, avrebbero potuto scorgere la zona del limbo.

Limbo che si presentò ai loro occhi come una landa deserta, circondata da nebbie e dallo scintillare altalenante di piccole fate, non più grandi di una lucciola.

Poco oltre, al di sotto del ponte di pietra che si trovava dinanzi a loro, lo scorrere impetuoso di Bifröst.

Tyr e Odino, a quel punto, si strinsero in un abbraccio familiare mentre Fenrir, seduto sulle zampe posteriori, osservava la scena con quello che poteva apparire come un sorriso lupesco.

William, ancora basito di fronte a quella trasformazione, riuscì soltanto a dire: “E’… è semplicemente… inconcepibile.”

Non dissimile fu il commento di Cordelia, ferma accanto a Fenrir che, modesto, teneva la lingua ciondoloni per apparire il più possibile mansueto.

Fu la risata sguaiata di Odino ad attirare l’attenzione di tutti, però.

Si avvicinò a grandi passi a Fenrir e, battuta una mano sulla testa dell’enorme lupo, esclamò: “Non sembreresti pacifico neppure legato a un ceppo!”

“Ci sono già stato, Padre Tutto, legato a un ceppo, e non mi è piaciuto per nulla. E poi, la mia faccia è questa,… che posso farci?” replicò Fenrir, accigliandosi leggermente.

Odino allora tossicchiò imbarazzato, si passò una mano sulla barba bianca e ammise: “Scelta pessima di esempio, scusa. Comunque, per essere un lupo, non sei venuto male.”

Tyr tossicchiò, scoraggiato di fronte ai tentativi del padre di apparire simpatico e, sorridendo spiacente all’amico, disse: “Scusalo, Fenrir. Non è mai stato bravo a socializzare.”

“Lo so” assentì il lupo niveo, accoccolandosi a terra. “Cordelia, vuole accomodarsi sulla mia schiena? Nessuno oserà toccarla, quassù.”

La donna rise vagamente nervosa, ma acconsentì e Titania, sorridendo ai suoi illustri ospiti, mormorò ossequiosa: “Il Regno di Alfheimr è onorato di ospitarvi, signori di Asghard, indipendentemente da quello che dirà mio marito. Prego, seguitemi oltre il ponte. Vi farò strada.”

“E che gli dèi ce la mandino buona” sussurrò Puck, mettendosi al fianco del cugino, che annuì tetro.

Cecily, la mano stretta in quella di William, rabbrividì non appena oltrepassarono il ponte sotto cui scorreva Bifröst.

Calpestarono gioco forza alcune pozzanghere sulle pietre viscide del passaggio spazio-temporale, interamente bagnato dalla bruma sempre più fitta e umida e, terrorizzata, la licantropa esalò: “Non c’è più… è scomparsa…”

“Cosa, Ceel?” le chiese lui, turbato dal suo tono ansioso.

Lei levò due profondi e smarriti occhi blu sul suo viso e, tremando, mormorò: “I miei poteri. Non ci sono più.”

William allora levò lo sguardo a scrutare Hugh, che annuì preoccupato al loro fianco.

“Andati. E la cosa mi da’ un fastidio tremendo. Mi sembra di essere menomato.”

Titania li fissò spiacente. “Purtroppo, il potere della luna qui non ha alcun effetto.”

“Già” assentirono all’unisono i due licantropi.

Darcy strinse un braccio attorno alle spalle della sua compagna che, per la prima volta in vita sua, si sentì realmente smarrita e indifesa.

Certo, finché la prima mutazione non era avvenuta in lei, il suo corpo era stato umano non meno di quello degli altri.

Ma la sensazione di non avere più i suoi poteri, era ben diversa.

Era come se i suoi sensi, un tempo così sviluppati, fossero stati immersi nell’ovatta.

Il suo modo di percepire la terra sotto i piedi, o i profumi che li circondavano, non era neppure paragonabile a quello di un essere umano.

No, era come essere stati ridotti a una larva.

“L’effetto di estraniamento dovrebbe passare nel giro di qualche minuto. Brianna ci è già passata, e mi conferma che è un passaggio temporaneo quanto obbligatorio” intervenne Fenrir, cercando di rassicurare i due mannari.

“Spero davvero che sia temporaneo, perché mi sembra di avere i piedi di pastafrolla” brontolò Cecily, guardandosi le scarpe da ginnastica con fare accigliato.

William le sorrise comprensivo, accentuando la stretta sulle sue spalle e lei, nell’osservarlo dal basso, si strinse a lui e mormorò: “Al momento, sono molto arrabbiata, sappilo.”

“Morderai anche le mie, di chiappe?” ironizzò allora l’uomo, facendo sghignazzare Fenrir, Hugh e Tyr, ma lasciando confusa il resto della combriccola.

Lei gli mostrò la lingua per prima cosa poi, con un mezzo sorriso, asserì: “Potrebbe anche darsi, sai?”

“Potreste spiegare anche a noi? La faccenda mi pare interessante” intervenne Puck, lanciandosi in un sorriso entusiastico.

Cecily fece per parlare ma Fenrir, bloccando i suoi passi, appiattì le orecchie sul capo enorme e ringhiò, portando tutti ad allertarsi.

Cordelia, per sicurezza, strinse maggiormente le mani sul pelo candido del lupo mentre quest’ultimo, con la sua voce tonante, esclamò: “Ljósálfar!”

Tyr non si fece minimamente pregare e, estratta la sua spada con la mano sinistra – la destra mancava, tranciata millenni addietro dal morso di Fenrir – gridò: “Non un passo di più, elfi della luce!”

Odino non fu da meno e, imbracciata la sua fida lancia gungnir, ringhiò con ferocia: “Se non volete essere falciati dalla mia magia, arrestate la vostra avanzata. Odino di Asghard ve lo ordina!”

Il suo ordine venne fatto seguire da un rombo cupo nel cielo e, strizzato l’occhio a una preoccupata Titania, aggiunse solo per le sue orecchie: “La scena è tutto, in certi casi.”

“Quanto è vero!” esalò Puck, eccitato e strabiliato dalle doti magiche di Padre Tutto.

Avrebbe dato tutti suoi averi, pur di poter usare gungnir una sola volta!

La sua energia era così forte che, anche senza essergli accanto, poteva avvertirla sulla pelle come una scarica a basso voltaggio.

Un solo elfo della luce comparve nella radura antistante il ponte sul Bifröst.

Dopo un rapido sguardo allo strano gruppo di nuovi venuti, inchinò rispettoso il capo e mormorò: “Lady Titania, i miei ossequi. Sono restio a chiedervelo, ma dovreste venire con me. Lord Oberon è… piuttosto indispettito.”

La donna, ancora al fianco del possente e fiero Odino, che superava di molto i due metri di altezza, levò fiera il viso e replicò: “Con tutto dovuto il rispetto, comandante Oldar, non verrò. So benissimo che, non solo mio marito non è indispettito, ma furioso, ma vorrebbe anche il giovane che ho qui con me. Bene, come vedi con i tuoi occhi, ci sono ben tre divinità che lo proteggono. Penso che, dopotutto, proseguirò da sola verso la mia dimora.”

L’elfo allora lanciò uno sguardo accigliato al possente Odino, uno piuttosto dubbioso al biondo Tyr e uno terrorizzato verso i denti snudati del niveo Fenrir.

Assentendo, il comandante non poté che dire conciliante: “Se questo è il vostro desiderio, Lady Titania, allora potremmo scortarvi fino a palazzo, così entrambi avremmo ottemperato ai nostri rispettivi doveri… e voleri.

Titania rise sommessamente, annuì e infine disse: “Non sia mai che io ti procuri un danno consapevolmente, Oldar. So bene quanto può essere testardo, mio marito. E, poiché ho cara la vita dei miei soldati, così come dei miei ospiti, proseguiremo con voi,… ma non sotto la minaccia delle armi.

“Non mi permetterei mai di levare un’arma contro di voi, Lady Titania” replicò inorridito l’elfo, facendo tanto d’occhi.

“Un soldato leale” asserì Odino, compiaciuto, rivolgendosi a Titania, che annuì fiera.

La regina volse così lo sguardo verso i suoi soldati, ora comparsi oltre la coltre della foresta e, levate leggermente le vesti per meglio procedere, si mosse per prima.

“Dunque seguitemi, e non temete. La parola di Oldar è degna di essere rispettata. Non ci tradirà.”

Tyr rinfoderò allora la spada, Odino picchiò una sola volta la sua gungnir a terra per ridurla di volume e riporla alla cintura, da cui l’aveva afferrata in precedenza.

Fenrir si limitò a scrollare appena il muso, borbottando: “Il primo che si avvicinerà a me, lo mangerò.”

L’elfo allampanato assentì nervoso e, in fretta, elargì ordini specifici nella sua lingua aulica e musicale.

Cordelia, sorridendo di fronte a una simile reazione istintiva quanto preventiva, carezzò  il capo del bianco lupo, mormorando: “Lo faresti davvero?”

“Se provassero a toccarti? Senza alcun pentimento. Posso essere migliorato come comportamento e carattere, ma so ancora come si combatte. E si vince.”

Ghignò, mostrando la sua perfetta dentatura e Tyr, accanto a lui, scoppiò in una grassa risata.

Puck si unì alla risata e, nel dare una pacca sulla spalla al cugino, esclamò: “Aaah, non vedo l’ora di vedere la faccia di papà! Andrà su tutte le furie!”

William lo fissò preoccupato, e replicò: “E tu ne sei contento?”

Il cugino ghignò, chiosando: “Fa bene a tutti una sana arrabbiatura.”

Cecily scosse il capo al pari di Darcy e, torva, borbottò: “Perché questa cosa non mi piace per niente?”

“Perché sei una donna saggia. Manesca, ma saggia” motteggiò William, dandole un bacio sul capo prima di incamminarsi assieme agli altri.

 
§§§
 
Le alte finestre della sala del trono permettevano un’ampia veduta del cortile interno di palazzo e, poco oltre, della vasta foresta che li divideva da Bifröst.

Non rammentava neppure più le volte in cui si era rifugiata in quei boschi, in assorta contemplazione di Syldar e della sua arpa.

Secoli, millenni, un’eternità intera.

Non contava.

Il tempo non le aveva mai permesso di scalfire il cuore dell’elfo, così come la promessa di una vita piena di piaceri e dissolutezze.

Nulla aveva piegato l’animo di Syldar e, da quando era tornato da Midghard con il cuore colmo di amore, era stato ancora peggio.

Non aveva mai saputo chi fosse stata la mortale – perché su Midghard non esistevano più dee da amare – che gli aveva rubato il cuore, ma l’aveva odiata.

Pur senza conoscerla, aveva riversato su quella sconosciuta tutto il suo livore millenario, sognando giorno e notte di fargliela pagare.

E, grazie a quello sciocco ciarliero del figlio di Oberon, era infine riuscita a scoprire la verità, laddove la sua magia non era mai giunta.

Perché il cuore di Syldar aveva mantenuto intatto e puro il suo sentimento, barricandolo così bene da renderlo inaccessibile.

Farlo imprigionare era stata la prima mossa, assillarlo con le sue richieste, le sue profferte d’aiuto e le sue minacce, il seguito.

Ma nulla lo aveva scalfito. Si era limitato a rinnegarla come donna, come confidente e come consigliera di suo fratello, scacciandola ogni volta.

E, nel frattempo, Oberon aveva messo a ferro e fuoco ogni porta sui mondi per trovare sua moglie.

Titania.

Non le era mai piaciuta ma, in quanto regina degli elfi, aveva sempre dovuto riverirla come sua suddita.

Lei, Morgana, la più grande maga mai conosciuta, si era dovuta prostrare dinanzi a  quell’elfa senza nerbo.

Ma anche Titania, presto o tardi, avrebbe bevuto dall’amaro calice della sconfitta.

Quando fosse infine riuscita a convincere Oberon a scacciarla, lei avrebbe preso il suo posto.

E il potere.

Se non poteva avere Syldar, avrebbe almeno avuto la corona.

Sorrise bonaria, nel lanciare un’occhiata bramosa all’indirizzo del trono ma, quando riportò lo sguardo sulla foresta in lontananza, tremò.

I suoi occhi si spalancarono per la paura e, rabbrividendo, indietreggiò fino a urtare un bacile con l’acqua profumata, che crollò a terra con gran fragore.

Oberon, che era disteso sui suoi divani multicolori, attorniato da ninfe dei boschi, musici e cantori, la guardò accigliato e desideroso di spiegazioni.

“Siamo invasi, mio signore. E da creature che mai, nella vita, avrei immaginato di vedere” esalò, sinceramente preoccupata.

Non aveva mai visto la lancia di Odino ma, se quella brandita dall’uomo barbuto che aveva intravisto, era ciò che pensava, per lei erano guai seri.

Se nessuno poteva batterla, su Alfheimr, quanto a magia, il re di Asghard avrebbe potuto ridurla a brandelli solo schioccando le dita.

Oberon, dal suo divano, scrollò incurante una mano, replicando: “Come potrebbe essere, mia consigliera? Le trombe non stanno squillando, che io sappia.”

“Perché in testa al gruppo di invasori si trova vostra moglie, Lord Oberon” replicò piccata Morgana, disgustata dal fatto che lui non le credesse.

Oberon, a quel punto, si levò di colpo e, teleportandosi in un battito di ciglia fino alla finestra, guardò dabbasso con fare incredulo.

Un attimo dopo, imprecò ben poco signorilmente e, lanciato un grido a una delle sue guardie, ordinò che l’esercito si schierasse nel cortile di palazzo.

“Quella pazza scriteriata… avrei dovuto capirlo che sarebbe impazzita di nuovo.”

Morgana lo guardò prendere la via delle scale con passo affrettato, nervoso e, tra sé, sorrise.

Forse, quel capovolgimento dei suoi piani avrebbe potuto comunque tornarle utile.

Non si era certo aspettata che Titania riuscisse a trovare simili compagni di lotta, né che tornasse con degli umani, ma tant’era.

Non attese molto prima di lanciarsi all’inseguimento di Oberon, ben decisa ad assistere alla disfatta della regina.

 
§§§

Come previsto, l’arrivo al castello coincise con l’arresto dei loro passi.

Cecily si guardò attorno assieme a William, più interessata ai sistemi difensivi del maniero, che alla sua sopraffina bellezza strutturale, o alle sue alte torri merlate.

La pietra con cui era costruito era bianca, simile al gesso, ma molto più brillante, e stendardi dai colori brillanti sventolavano sulle più alte torri di guardia.

Un corno suonò, avvertendo della loro presenza e, quando i portoni di palazzo furono spalancati, Oberon fece la sua comparsa alla testa del plotone.

William, ancora a fianco di Cecily, la tenne saldamente per mano e Titania, sorridendogli, disse: “Non gli permetterò di fare alcunché, nipote, te lo prometto.”

Lui annuì ma, quando vide gli elfi schierati e le armi puntate verso di loro, deglutì a fatica.

Cecily allora si parò distrattamente dinanzi a lui, prima di rammentare di essere senza poteri.

Sospirò, levò gli occhi a guardarlo e mormorò: “Potrei fare ben poco, eh?”

“Prendere una freccia al posto mio, ma davvero non vorrei, Ceel” le sorrise lui, stringendole la vita e mantenendola dinanzi a sé.

Gli costò molto lasciarla esposta al pericolo, ma sapeva bene quanto la donna stesse soffrendo, all’idea di non avere più i suoi poteri.

Le baciò i capelli e mormorò: “Come stai? E’ passato lo stordimento?”

“Sto bene, ma vorrei poter brandire almeno un’arma” brontolò lei, rigida e nervosa.

Osservando lo schieramento nemico, William non poté che darle ragione e Hugh, che si trovava vicino a Tyr, brontolò: “Quanto vorrei una di quelle alabarde. Saprei ben io come usarla.”

“Proveremo a evitarlo, se possibile” mormorò Tyr in risposta, pur brandendo la sua spada.

Quando finalmente Oberon e Titania si fronteggiarono a metà strada, il re degli elfi fissò aspro la moglie e sbraitò: “Che ti è saltato in mente di portare qui quella… quella… feccia asghardiana?!”

Tyr e Odino borbottarono degli insulti, mentre Fenrir si esibiva in un ringhio ben poco rassicurante.

“Quella feccia, come la chiami tu, è qui per difendere nostro nipote dalla tua follia!” sbottò la regina, indicando William.

Lo sguardo di Oberon si spostò in fretta verso di lui e, accigliandosi, l’elfo replicò: “Follia? Solo perché voglio ricondurlo alla sua casa?”

“La sua casa è assieme a sua madre, ai suoi amici, alla sua donna! Non qui!” replicò con astio Titania, prima di inquadrare, a pochi passi da loro, la figura minuta e pallida di Morgana.

Aggrottando la fronte, l’elfa oltrepassò di buona andatura il marito e, senza dare alcun segnale delle proprie intenzioni alla maga, la prese per i capelli e la strattonò con forza.

Presa alla sprovvista, Morgana cercò di bloccarla con la sua magia, ma si ritrovò impossibilitata a lanciare qualsiasi malia.

Cadde così ginocchia a terra e, quando si guardò intorno per comprendere i motivi della sua menomazione, scorse gungnir puntata verso di lei.

Oltre al ghigno furbo dipinto sul volto di Odino.

“Che diamine combini, donna?! Lascia andare la mia consigliera!” sbottò Oberon, sempre più nervoso.

“Consigliera?! Sei davvero così cieco, marito, o le sue carni ti hanno così instupidito da non permetterti di vedere la verità?!” replicò la donna, vedendolo irrigidirsi.

Puck fischiò sorpreso e sì, abbastanza irritato, alla scoperta del tradimento subito dalla madre, ma lei non vi badò.

Continuò a guardare il marito, tenendo la sua amante per i capelli, e sibilò: “Pensi che non lo sappia? Che non abbia sentito il suo odore sulla tua pelle? Tra le mie lenzuola? Sciocco, a crederlo.”

“Qui si mette male” mormorò Cecily, ammirando affascinata la sfuriata della donna.

“In che senso?”

“Ho idea che Titania abbia apprezzato la nostra idea di venire qui, più di quanto non potessimo immaginare.”

William la fissò per un momento senza capire, prima di collegare i fatti.

“Oh… credi che, all’idea di poter avere un esercito così potente al suo fianco, le sia piaciuta soprattutto per dare una lezione al marito?”

“Una donna tradita è capace di tutto, William, quindi non mi stupirei se, oltre a difendere te, non abbia voluto anche punire Oberon” assentì Ceel, continuando a osservare la donna mentre enumerava le molteplici colpe del marito.

Più di un elfo dell’esercito, di fronte a quella scena imbarazzante, fu sul punto di abbandonare lo schieramento, ma Oberon pensò bene di rivolgere loro l’ordine di catturare Titania.

Mai scelta fu più dannosa, o pericolosa.

Tyr non perse tempo e, con poche, rapide falcate, fu dall’elfa.

Fenrir, al tempo stesso, balzò dinanzi allo schieramento nemico sfoderando le sue zanne e Odino, da ultimo, si portò innanzi a Oberon, puntando ora su di lui gungnir.

“Non apprezzo chi leva la voce su una donna, a maggior ragione se questa è sua moglie. Inoltre, se le sue accuse sono reali, non vedo il motivo di punirla per aver detto la verità.”

“Non sei nel tuo regno, Occhio Solo, e non hai potere di comandare sulle mie terre” replicò stizzito Oberon, fissandolo con astio nell’unico occhio buono.

Odino non apprezzò affatto quell’appellativo, per quanto onesto, e ringhiò: “Stai tentando di ferire una delle figlie della luna che, guarda caso, sono alleate dei miei figli… perciò capirai bene quanto il tuo comportamento mi tocchi.”

L’elfo allora passò lo sguardo da lui a Cecily, che ancora si trovava innanzi a William, e replicò: “La femmina dalla chioma rossa, eh? Chissà come dovrà sentirsi spaesata, senza i suoi poteri della notte.”

“Mordo anche in questa forma” ribatté la donna, mostrando i denti come avrebbe fatto da licantropa.

Oberon rise sprezzante, ma a Fenrir non piacque per nulla.

Si volse verso di lui, le fauci spianate e sibilò: “Una sola parola, elfo, e sbranerò uno dei tuoi. Non si offende così impunemente una mia figlia!”

“Mi permetto di fare come voglio, in casa mia, cane.”

“Oh oh” mormorarono all’unisono sia Hugh che Tyr.

“Dietro a Tyr, presto!” sussurrò lesta Cecily, afferrando William a una mano.

Hugh la imitò e Tyr, levando la sua spada, si mise in posizione di difesa, come preparandosi a dar battaglia.

Odino ghignò, indietreggiò di un passo e, lanciata un’occhiata all’enorme lupo, domandò: “Devo far discendere la nostra bella signora?”

“Sì” ringhiò Fenrir, snudando maggiormente le zanne.

Odino non se lo fece ripetere e, dopo aver dato una mano a Cordelia, prese sottobraccio Titania e l’allontanò a sua volta, borbottando: “Quel ragazzo ha sempre avuto un caratteraccio.”

L’elfa si volse a mezzo per capire cosa intendesse dire ma, quando scorse l’alone di luce avvampare attorno al lupo enorme, capì di non dover chiedere nulla.

Nel migliore dei casi, si sarebbe trattato di una cosa terrificante.




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N.d.A.: Che dite, è il caso che proprio Fenrir scateni la sua rabbia? ;-)
  
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