Serie TV > The 100
Segui la storia  |       
Autore: Little Redbird    29/09/2014    2 recensioni
Poco tempo dopo l'atterraggio di ciò che rimane dell'Arca, Clarke fa una scoperta che la porta a scappare nella foresta, e indovinate un po' chi le correrà dietro?
La fissò intensamente, com’era solito fare quando voleva comunicarle quello che succedeva nella sua testa ma che non era in grado di dire. Clarke lo guardò ferita. In qualche modo, lo sguardo di Bellamy riusciva sempre a ferirla.
 [I] Walking out into the dark  
 [II] It matters all the heart 
 [III] The night was all you had 
[IV] You ran into the night; you can't be found
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[IV] You ran into the night; you can't be found



Bellamy le accarezzò i capelli con gentilezza e Clarke lo guardò col cuore in gola. Quei tocchi improvvisi le mettevano ansia. Ansia che tutto potesse finire. Gli sorrise, sfiorandogli un braccio.
Bellamy si voltò dall’altra parte, custodendo quel tocco delicato sotto gli strati di pelle, nel sangue, nelle ossa. Portava con sé tutte le volte in cui si sfioravano e vi si aggrappava quando il mondo diventava pesante.
“Oh, per l’amor del cielo, prendetevi una tenda!”
Bellamy lanciò un’occhiata scherzosamente infastidita a sua sorella. Non poteva darle completamente torto: lei stava parlando e loro si distraevano toccandosi a vicenda. Ma in fondo sapeva che Octavia era felice di vederlo stare finalmente bene.
“Sta’ zitta” le rispose mentre Clarke si voltava dall’altra parte, il viso in fiamme.
Octavia rise e li lasciò soli.
“Forse ha ragione” disse a Clarke. “Dovremmo prenderci una tenda, non ti pare?” fece ammiccando.
Ma Clarke non stava ascoltando, guardava dall’altra parte del campo, dove Raven si massaggiava la schiena dolorante.
“Clarke?”
“Devo chiederglielo” sussurrò senza voltarsi.
Bellamy annuì e fece per seguirla, ma Clarke lo fermò.
“No” disse. “Voglio parlarle da sola.”
Si allontanò per raggiungere Raven e non la rivide fino a sera.
 

Nella tenda che le era stata assegnata con Finn, Raven aveva tutto quello che poteva servirle. Portare in grembo il primo bambino che sarebbe nato sulla Terra sembrava averla privilegiata un po’.
Finn non era lì, come al solito. L’aveva visto raramente negli ultimi tempi, ma non le importava. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Giusto?
“Come va?” chiese a Raven.
La ragazza la stava guardando con uno sguardo risentito che fece accapponare la pelle sulle braccia di Clarke.
“Annoiata” rispose, continuando a squadrarla.
Clarke si guardò la maglietta sporca di terra. Era da poco tornata dalla caccia con Bellamy ed altri ragazzi, non pensava che a Raven importasse così tanto come si presentasse. Spazzò via con la mano un po’ di polvere dai pantaloni, ma servì a poco o nulla.
“Ti invidio” le disse l’altra.
Clarke non capì.
“Sono diventata una sforna bambini” chiarì Raven. “Non mi fanno fare niente, per paura che mi ammali, mi stanchi o chissà quali altre sciocchezze. Come se fossi l’unica con un utero, qui in giro.”
Espirò, palesemente innervosita, per prendersi una pausa.
“Invidio la tua libertà di andartene in giro.”
Clarke le sorrise debolmente, cercando un modo carino di rispondere.
“Tornerai presto libera anche tu.”
Raven scosse la testa e fece un sorriso amaro. “Già” rispose soltanto.
Restarono in silenzio per qualche minuto, senza mai incrociare i loro sguardi.
“Te ne vai in giro con Bellamy ora, eh?”
Clarke non si aspettava quella frecciatina, ma le fu grata per aver introdotto l’argomento. Non voleva semplicemente chiederle “dimmi se quello che porti in grembo è il figlio di Bellamy”, voleva che fosse sincera, e attaccarla non avrebbe aiutato.
“È da quando siamo atterrati qui che vado in giro con lui” rispose.
Raven si voltò dall’altra parte con un sorrisetto divertito sulle labbra.
“Già. La differenza è che ora vi piace andarvene in giro da soli.”
Clarke non ribatté. La guardò seria, lasciandole intendere che non avrebbe discusso della sua vita sentimentale con lei.
“In realtà sono qui proprio per questo” disse.
Raven alzò le sopracciglia. Sorpresa, ma non troppo.
“Raven” disse, sedendosi finalmente su una rozza panca di legno. “Devo sapere la verità. Il bambino è di Bellamy?”
Raven la guardò, non lasciando intendere nessuna emozione.
“Lui aveva troppa paura della risposta per venire?” chiese, eludendo la domanda.
“No” rispose Clarke. “Sono stata io a chiedergli di venire da sola. Avevo troppa paura della mia reazione alla tua risposta.”
Quell’eccesso di sincerità spiazzò per un attimo la futura mamma.
“No” disse. “Non è suo. Sono sicura.”
La sua voce era fredda e incolore.
Clarke annuì, ingoiando il groppo che aveva in gola.
“Grazie” disse alzandosi.
Doveva uscire da lì il più in fretta possibile e non si voltò nemmeno a salutare.
Uscì dalla tenda e poi dal campo. Allontanandosi il più possibile, ma restando dove Bellamy poteva trovarla in caso di emergenza. Si ritrovò così sotto un altissimo albero dalla chioma quasi spoglia. Si portò le ginocchia al petto, concentrandosi sui suoni che la circondavano e sull’aria che lentamente entrava ed usciva dai suoi polmoni, sul ritmo del suo cuore e sulla scomodità della terra sotto il sedere.
Aveva bisogno di assimilare bene la notizia, di riflettere su quello che stava provando e cercare di seppellirlo.
Il tono della sua voce, le poche parole che aveva usato, il modo in cui aveva portato le mani sulla pancia, a proteggere il bambino: tutto in Raven suggeriva che stava mentendo. Raven aveva mentito. Nemmeno lei sapeva di chi fosse la vita che le cresceva dentro, ma aveva fatto una scelta, e se fosse giusta o meno non stava a Clarke deciderlo. Finn sarebbe stato il padre di quella creatura.
Solo due persone sapevano la verità: Raven e Clarke. E nessuna delle due aveva intenzione di perdere l’uomo che amavano.
Clarke poggiò la testa contro la dura corteccia dell’albero, lasciando che i capelli si impigliassero senza badarci. Si lasciò andare ad un pianto silenzioso, che diventò molto più doloroso poco tempo dopo.
Sfogati, si disse. Butta tutto fuori e non pensare mai più a quel bambino.
Le lacrime le bagnarono le guance, il collo, le ginocchia, ma nessuno l’avrebbe notato: anche il cielo piangeva.
Lasciò che la pioggia lavasse via le scie salate dalla sua pelle e si alzò, con le gambe tremanti e l’anima a pezzi.
Non le restava nient’altro, solo Bellamy, con le sue braccia forti e le mani grandi, che avrebbero rimesso a posto il suo cuore, pezzo per pezzo.
 
 
Nella tenda, l’unica luce proveniva dai fuochi notturni al centro del campo.
Clarke aspettò che Bellamy entrasse e si stendesse sul letto al suo fianco. L’abbracciò, facendo aderire i loro corpi, quasi ermeticamente. Aveva bisogno di sentirlo vicino, solido e protettivo. Sentiva di volerlo baciare, per essere sicura che non avesse solo sognato la pressione impaziente delle sue labbra contro le proprie. Voleva che la abbracciasse, voleva sentire la stretta delle sue mani sui fianchi, addome contro addome, il petto contro i suoi seni.
Era vero. Il corpo, il peso, la presenza di Bellamy, premevano prepotenti contro di lei, e Clarke pensò che non ci fosse sensazione più bella al mondo.
Gli lasciò un bacio dietro l’orecchio, dove sapeva che l’avrebbe fatto impazzire.
Lui aspettava che gli dicesse qualcosa, che si arrabbiasse e lo lasciasse.
Ma Clarke si limitò a dire: “Complimenti. Non diventerai papà”.
Bellamy la strinse, sospirando sollevato.
“Stavo per fare voto di castità.”
Clarke rise. “Proprio ora che ho deciso di passare qui la notte?”
Stavo per, principessa. Sono ancora un libertino” mormorò baciandola.
Clarke lo lasciò fare. Voleva sentire il suo sapore, il peso del suo corpo sul proprio, le sue mani ruvide sulla pelle. Voleva saperlo suo. Suo e di nessun altro.
Nessuna ragazza e nessun bambino le avrebbe portato via Bellamy, decise. E quella notte suggellò quella promessa nell’unico modo in cui poteva: amando Bellamy fino allo sfinimento del corpo e dell’anima. Quell’anima che, come previsto, guariva un po’ di più ad ogni suo bacio.
 
 
 



 

So, here we are. The end.
Finalmente, direte voi. E c’avete ragione. Finalmente è finita questa fic un po’ rozza, scritta più per dar sfogo ai feels che per creare un capolavoro.
Spero vi sia piaciuta lo stesso, anche se un po’ “arronzata”.
 
A presto,
Red.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: Little Redbird