Dodicesimo capitolo – Tutto
fuori
16
Novembre 2001
“Volvo?” Vide
Rosalie dal basso all’alto, allungando un po’ la testa per
rivolgerle un sorriso.
“Non è
mia.” Rispose, scendendo e chiudendo la macchina. Erano le nove, aveva
appena portato le bambine a scuola ed ora era fuori al
MoMa.
“Lo so.” Le
disse, accennando una mezza risata.
Era da un po’ che
non andavano
d’accordo, cioè da quando il suo Capo aveva visto Edward
accompagnare la sua dipendente a lavoro, una mattina.
Da lì
c’erano state molte frecciatine in direzione della bruna, con altrettante
allusioni e battute sarcastiche, che effettivamente erano sarcastiche soltanto per Rosalie.
Bella non le rispose, ed insieme entrarono dentro l’edificio.
Hanna aveva già
aperto da un po’, occupandosi di accendere le luci e di sistemare ogni
piccola imprecisione.
Il Capo non arrivava mai
puntuale, invece Bella aveva un permesso che le permetteva di poter
accompagnare prima Emma e Mia a scuola.
“Hanna,
alle dieci ho una visita, manda direttamente nel mio ufficio. Bella, tu occupati delle ultime
spedizioni.” Con passo felino e tacco dodici si
diresse verso la porta bianca del suo ufficio, senza nemmeno preoccuparsi di
chiuderla con cautela.
“Giornata no?” Chiese la
segretaria.
“E’ sempre
una giornata no per lei.”
Peccato che per Bella non era una giornata No, e non se la sarebbe fatta rovinare
da nessuno.
Ormai andava quasi tutto
nel verso giusto: aveva un lavoro che le piaceva e ben retribuito, le bambine
erano sempre più felici ed in splendida forma,
i suoi migliori amici stavano benissimo, specialmente Angela che era guarita
del tutto.
E poi, c’era
Edward. Quel Dio greco che poteva vedere tutte le mattine nel suo letto, appena
sveglia.
Tutto andava nel verso
giusto. Tutto. O quasi.
“Buongiorno. Dovrei
vedere Rosalie Hale.”
“Lei
è?” Domandò Hannah, mentre Bella
seguiva la conversazione da lontano.
“Tanya. Tanya Denali.”
“Sono stanca
morta.”
“Lo ripeti tutti i
giorni.” Disse Edward, continuando a massaggiare le spalle di Bella.
“Mi fanno male i
piedi.”
“Anche questo, lo
ripeti tutti i giorni. E come tutti i giorni, io ti dico che non devi indossare
quelle scarpe.”
“Non capisci
niente.” Sbadigliò, girandosi verso di lui. “Devo per forza
indossare ‘queste’
scarpe, Edward. Dovevi vedere l’amica di Rosalie, oggi. Una bionda alta almeno due metri, con gambe chilometriche.”
“Oh, invidi una
bionda ora?”
“Mmh.”
Edward le stampò un bacio sulle labbra, staccandosi poco dopo.
C’erano le bambine in giro per casa, Emma al piano di sopra e Mia a
giocare sul suo tappeto dei giochi.
“Non possiamo
andare avanti così.”
“Avremo mai un
momento di pace? Un giorno, quando mi dirai ‘Edward,
adoro stare così. Facciamo sesso sfrenato.’”
“Spiritoso.”
Bella fece un sorriso di circostanza, dandogli una leggera spinta
per spostarlo. Dopo si alzò, per controllare il pollo che era nel forno.
“Infatti
sono serio, Isabella.” Disse, alzando le mani al cielo, ormai arreso.
“Dobbiamo dire
qualcosa alle bambine. Dobbiamo per forza dire qualcosa ai tuoi genitori.”
“I miei ormai sanno
tutto.” Rubò una patata dal forno aperto, portandosela alla bocca.
Poco dopo, diventò tutto rosso.
“Ti sta bene,
idiota.”
“Idiota?”
Edward unì entrambe le sopracciglia, ma il suo sguardo era divertito. E
lei sapeva benissimo che gliel’avrebbe fatta pagare,
quella sera stessa.
“Mia ci ha sputtanati in
quattro e quattr’otto.”
“Che tignifica stuppanati?”
Entrambi si voltarono,
guardando la bambina ferma sullo stipite della porta che dondolava da un piedi all’altro.
“Niente, tesoro. Non significa niente.”
“Allola pecché tio Edward lo dice, se non significa nente?”
Giusta osservazione, tesoro.
“Perché zio
Edward dice tante cose che hanno significato,
amore.” Edward le diede un pizzicoto sul
fianco, facendola saltare.
“Ripeto:
idiota.” Sussurrò, alzando gli occhi al cielo.
“Ho tame.”
“La cena è
quasi pronta, tesoro. Dov’è Emma?”
“Non mangia.”
“Perché?”
Domandò Edward, iniziando ad apparecchiare la tavola.
“Non
scende. Si lagna in camera tua.”
Disse con naturalezza, sedendosi al suo posto. Mentre Edward lasciava gli
ultimi piatti in mano a Bella, per dirigersi al piano superiore e vedere
perché Emma si lagnava.
“Non
ti stai lagnando.
Sei disperata.” Annunciò Edward, entrando
nella camera di sua nipote e trovandola seduta per terra, con i suoi pupazzi preferiti
sparsi intorno ed un libro sulle sue gambe.
“Che succede,
tesoro?” Domandò, sedendosi accanto a lei, e sopra a due orsetti
di peluche.
Quello che aveva in mano
non era un libro, ma era un album
fotografico.
“Hey.” Edward le accarezzò i capelli dolcemente,
per poi farle posare la testa sulla sua spalla.
“Domenica è
il mio compleanno.” Singhiozzò, nascondendo il capo nella maglia
bianca di lui.
“Lo so, tesoro. Faremo una bellissima festa dai nonni, no?”
“Mi portavano a
Disneyland!” Sbruffò arrabbiata, ancora tra le lacrime.
“Mamma e papà. Hanno detto che mi portavano a
Disneyland, per il mio ottavo compleanno!” Questa volta si alzò in
piedi, e nella sua mini-statura ora raggiungeva la testa di Edward, che era
seduto per terra. “L’hanno promesso! E ora non ci sono
più! Se ne sono andati! E no, zio Edward, non mi dire che sono in un
posto migliore, e che stanno meglio. Mi
hanno lasciata qui, da sola!”
“Hey.”
Sussurrò appena Edward, prendendola tra le braccia.
“Non lo so dove sono, tesoro. E non ti
dirò che sono in paradiso. Però ora mamma e papà sono
insieme, e sono anche sicuro al cento per cento che sono felici.”
“E
io? Io non sono felice! Chi ci pensa a me?”
“Ci penso io a te,
tesoro. Ci pensa zia Bella, i nonni, James e Laurent,
Leah, Jake e i gemellini. Tutti pensiamo a te. E tu, ovviamente, devi
pensare a noi.”
“Io ci penso a
voi.” Sussurrò appena, tirando su col naso. “Però
mi hanno fatto una promessa. E mantengono sempre le promesse.”
Disse, deglutendo rumorosamente e posando di nuovo la testa sulla spalla di
Edward.
“Non possiamo andarci domenica, ma ti ci porto io, a Disneyland.
Ti prometto che ci andiamo insieme.”
“Io
e te da soli?”
“Zia Bella e
Mia?”
“Oh, ma lasciamole
a casa per una buona volta!” Disse, facendo spuntare un sorriso a suo
zio.
“Aggiudicato. Ci
andremo da soli, tesoro. Ora, perché non andiamo a lavare questo bel
faccino, che la cena è pronta?”
“Io non ho
fame.”
“Zia Bella ha fatto
il pollo con le patate al forno.”
“Forse un po’
di fame.” Disse, con un’espressione da birbante sul viso. “Me
lo lavo da sola, sono grande.”
“Ti aspetto
giù?”
“Sì.”
Disse, scendendo dalle gambe di Edward e dirigendosi verso il bagno. Mentre lui
richiuse l’album, per riportarlo al piano inferiore.
“Ah, Zio
Edward?”
“Sì?”
“Ti mancano mamma e
papà?” Domandò innocentemente, senza tracce di lacrime
negli occhi.
“Da morire, tesoro. Mi mancano
tantissimo.”
Quando si voltò
per uscire, trovò Bella appoggiata su lo stipite della porta con gli
occhi lucidi, e Mia con la testa posata nell’incavo del suo collo, con le
guancette rosse e il labbro inferiore
all’infuori.
“Va bene se
restiamo qui?”
“Mmh. Certo.”
“Vuoi che vada a
prendere i tuoi cuscini?”
“No.”
“Vai tu o vado io a dare la buonanotte alle bambine?”
“Io.”
“Ho vinto un
milione di dollari alla lotteria.”
“Cosa?” Bella alzò
finalmente lo sguardo, puntandolo su Edward.
“Oh, finalmente
ricevo qualcosa di più di semplici versi e monosillabi. Vai avanti
così da quando è iniziata la cena. Mi spieghi
che c’è che non va?”
“Niente.”
“Non dirmi cazzate,
Isabella.” Disse, infilandosi la maglia blu che usava per dormire.
Avevano deciso di dormire
in camera di Edward da una settimana. Perché lui non si spostava dal suo
amato materasso, ma voleva avere Bella accanto. Non era un problema per le
bambine, che ormai da tempo non si alzavano più
durante la notte.
“Sono una
stronza.” Annunciò infine Bella, passandosi le mani fra i capelli
e fermandosi prima di aprire la porta ed uscire.
“Cosa?”
“Sono una stronza,
Edward. Sono una delle persone più egoiste di
questo mondo. Penso solo a me stessa.”
“Fermati. Fermati
adesso, e siediti qui con me.” Non era una semplice richiesta, e lo
sapevano entrambi. Bella si sedette, e aspettò. “Che succede,
ora?”
“Alice era la mia
migliore amica. Ed anche Jasper. Ma cazzo, Edward!
Alice era tua sorella. Sangue del tuo sangue! Ci sei
cresciuto insieme, era tua sorella! Ed io mi sono presentata in questa casa con
pretese alte, mi sono incazzata con te ogni santo
giorno, ti ho pianto addosso. Per la mia migliore amica. E tu, non hai fatto
nulla. Non ti sei incazzato, non hai sbattuto la porcellana per terra, e non ci
hai lasciate. Non ti ho dato la possibilità di
arrabbiarti, di sfogarti. Non me ne è fregato
niente Edward, se non di me stessa.”
Edward allungò una
mano, accarezzandole la testa lentamente.
“Tesoro, io sto b-”
“No, cazzo! Non
dirmi che stai bene, Edward. Non dirlo.”
“Cosa
vuoi sentirti dire, Isabella? Che Alice era una rompipalle di prima
categoria, e che mi manca ogni giorno di più? Che mi manca anche vedere
Jasper la mattina al Bar, prima di andare a lavoro? Vuoi sentirti dire questo? E’ ovvio, Isabella. E’ ovvio
che mia sorella mi manchi, e così anche mio cognato. Che ogni volta che
vedo Mia ed Emma rivedo loro due, ogni santo
giorno.” Sussurrò fra i denti, indicando la porta chiusa a pochi
metri da loro, dove le bambine stavano ormai dormendo.
“Volevo che
buttassi tutto fuori. Non stai bene, Edward. Non stai bene, quando ti tieni
tutto dentro. E devi sapere una cosa: puoi dirmi tutto,
qualsiasi cosa. Possiamo parlare, dobbiamo parlare.
Dei nostri problemi, e di quello che è successo. Perché è
stato pochi mesi fa, ed è ancora una ferita aperta.
Promettimi che d’ora in poi tireremo fuori tutto.”
“Devo addirittura
promettertelo?” Ormai Edward non la guardava più negli occhi, ma
un punto indefinito dietro a lei. Troppo colpevole di non stare affatto bene, nascondendo gli occhi lucidi dalla
vista di Isabella.
“Promettimelo.”
Allungò una mano, e lentamente tirò su il suo viso dal mento. Gli
accarezzò una guancia ormai resa ruvida dalla barba, e poi vi
posò un bacio sopra. Un bacio casto, che diceva molto di più di
tutte le notti che avevano passato insieme.
“Te lo prometto. Giuro. Niente
più segreti, tesoro.”