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Autore: Shade Owl    02/10/2014    1 recensioni
Sconfiggere il destino è un'ardua battaglia. Lo sa bene Nathan Clarke, il quale si è preso sulle spalle più di un fardello, il più recente dei quali lo ha trovato in un bosco durante la caccia. Ma lui ha qualcosa che molti sembrano considerare solo una mera illusione, e che secondo il suo giudizio può portare enormi cambiamenti nel futuro: ha una speranza.
E la speranza di un uomo da sola dovrà tenere testa a mille difficoltà, sostenendo la piccola Athena attraverso un mondo ostile a chi, come lei, sembra avere un solo cammino davanti: quello della morte.
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STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A prescindere dalla durata, che pur non potendo essere misurata con precisione fu sicuramente lunga, quel viaggio nei cunicoli fu tutt’altro che divertente: l’atmosfera non migliorò di una virgola, e fu con grande sollievo che Athena, alla fine, riuscì a vedere un tenue bagliore rischiarare l’aria dopo l’ennesima svolta.
Per tutto il tempo non aveva fatto altro che incespicare e arrancare nella scia di Kibir, non potendo vedere nemmeno dove metteva i piedi, ma finalmente intravedeva la fine di tutto quel buio. Era anche ora, in effetti.
- Siamo arrivati?- chiese speranzosa, non appena comparvero le prime lamelle di luce.
Kibir, ovvero l’alta sagoma scura davanti a lei, annuì.
- Siamo entrati nel territorio di Llenxia. Troveremo una scorta ad attenderci, ci porteranno immediatamente dalla Ilharess.-
Per un attimo Athena fu sul punto di chiedere come facessero a sapere del loro arrivo, ma in fondo non era stata in grado di scorgere nulla durante il percorso. Probabilmente c’erano sentinelle ovunque, in quei tunnel.
Pochi minuti dopo raggiunsero l’ultima svolta ed arrivarono in vista della città di Llenxia. A quel punto Athena si fermò, sollevando il braccio per ripararsi gli occhi, infastiditi dopo la prolungata oscurità; quando se la sentì di guardare, vide che erano entrati in una caverna. Una enorme, gigantesca caverna, dal soffitto così alto che a fatica riusciva a distinguerlo. Colonne di pietra naturali si ergevano nella parte più esterna della sua circonferenza, e qualche stalagmite faceva capolino qua e là sul terreno roccioso. Incrostazioni cristalline si affacciavano su numerose superfici verticali, riflettendo luce da una fonte sconosciuta: probabilmente era così che quell’antro altrimenti nero come i corridoi che avevano appena attraversato veniva illuminato.
Al centro esatto della grotta era stata costruita una città, che nulla aveva da invidiare a quelle di superficie: c’erano abitazioni e botteghe, suoni di molte voci che animavano le sue vie di ciottoli e che uscivano dalle finestre aperte, odori di cibo cotto e, ogni tanto, le grida di qualcuno. Pur non essendo nelle immediate vicinanze del confine cittadino, Athena poteva chiaramente distinguere gli abitanti che camminavano per le strade, da soli o in compagnia, o addirittura seguiti da creature simili a lucertole. Qualcuno era a piedi, altri invece cavalcavano animali che non aveva mai visto prima di allora, e che a quella distanza non riusciva a identificare bene: somigliavano vagamente ai Lindorm, ma erano più piccoli, oltre che un po’ più alti da terra.
Al centro esatto della città c’era un grande palazzo di pietra levigata, tanto che sovrastava tutti gli altri edifici, molto simile ai castelli che aveva visto disegnati nei libri che Nate le aveva fatto leggere durante l’infanzia, con gli stendardi del casato che penzolavano da alcune delle finestre e dalle nicchie sotto il tetto. Ciononostante, non le ricordava alcun esempio di architettura umana. Certo, lei non era un’esperta, e non avrebbe saputo riconoscere la differenza tra una colonna e un pilastro, ma c’era qualcosa, nell’aspetto di quel castello, che le diceva chiaramente “io non sono come quelli che conosci”.
Poi, mentre Margareth la liberava dalla corda (non si era accorta di essersi imbambolata lì dov’era) il suo sguardo fu catturato dal piccolo gruppo di Drow poco più avanti: erano in quattro, e ognuno di loro indossava armature leggere sopra le vesti, e un mantello identico a quello di Kibir. Appese al fianco avevano delle corte spade ricurve, e portavano piccoli scudi la cui forma ricordava quella di una goccia (o di una foglia, difficile dirlo) con due punte.
Kibir si avvicinò a loro, e quello che sembrava il capo, un Drow dai capelli grigi, fece un passo avanti portandosi una mano su cuore e facendo un breve inchino.
- Gre’as’anto, Qu’abban.- disse.
Kibir rispose al saluto senza inchinarsi e cominciò a parlare in Drowish, in modo deciso e diretto, come se stesse dando degli ordini. Il Drow annuì un paio di volte, poi si voltò verso uno dei suoi uomini e gli disse qualcosa. Subito, quello fece un cenno militare e si allontanò di corsa.
- Cosa fa?- chiese Athena.
- Corre ad annunciarci.- rispose Margareth - La Ilharess non si aspettava l’arrivo di un Architetto, né di umani in genere. E poi, le notizie che portiamo non sono proprio… ehm… piacevoli, sai…-
A quel punto Kibir fece loro cenno di seguirlo e si avviò. I soldati aspettarono che lo raggiungessero, poi si accodarono alla loro scia, camminando in silenzio. Ormai Athena si stava chiedendo se fosse un’usanza dei Drow quella di non parlare con nessuno.
Fu tuttavia costretta a ricredersi presto quando entrarono a Llenxia e cominciarono a camminare per la via principale, seguendo il tragitto più breve per il palazzo che vedevano in lontananza: le persone che aveva intorno, a parte l’aspetto, non avevano nulla di diverso dagli esseri umani o dalle altre razze che vivevano in superficie. C’erano bambini che giocavano agli angoli delle strade, e uomini o donne alle bancarelle o nei negozi, che trattavano l’acquisto di questo e quello. Due Drow stavano discutendo nel loro dialetto madre, ma Athena non riuscì a comprendere il motivo; una donna, apparentemente piuttosto ricca e importante, stava dicendo qualcosa a un uomo Drow che, sicuramente, era il suo servo, e a giudicare dalla sua faccia era piuttosto scontenta.
- Potrebbe tagliargli la mano.-
Athena sussultò sentendo la voce di Kibir. Si voltò verso di lui, e si accorse che aveva seguito il suo sguardo. Era serio come al solito, e osservava la scena senza mostrare emozioni.
- Quella è una Yatharil, una sacerdotessa votata al culto di Eilistraee. Il suo servo ha perduto una missiva importante. Temo che gli taglierà la mano, e dovrà ritenersi fortunato.-
- Gli taglierà la mano? Per così poco?- esclamò Athena.
- Funziona così, da queste parti.- disse Margareth, scrollando le spalle - E prima che tu dica altro, accetta un consiglio: non contestare usanze che non conosci, soprattutto quando sei ospite. Eviterai di farti un sacco di nemici. Soprattutto qui.-
Athena si rimangiò la replica e sbuffò.
 
Quando raggiunsero il palazzo, le guardie che le avevano accompagnate si fermarono all’entrata mentre loro, invece, proseguirono su per la piccola rampa di gradini grigi e poi attraverso i corridoi, sempre seguendo Kibir. Il Drow si fermò dopo lunghi minuti, davanti a un portone di legno laccato e decorato, incassato in un arco levigato, composto da mattoni di pietra in rilievo su cui era stato inciso più e più volte l’emblema della casata alternato con altri di più difficile identificazione, simili a foglie secche dagli orli appuntiti.
- Ora verremo ricevuti dalla Ilharess Shi’nil De’Drextan.- disse Kibir, rivolgendosi ad Athena - A rischio di apparire indelicato, ti chiedo di comportarti di conseguenza.-
- Chiaro.- disse Athena, alzando un sopracciglio ma senza commentare - Quindi quale di tutte quelle assurdità è il suo nome?- mormorò a Margareth mentre Kibir bussava lentamente.
La compagna roteò gli occhi sospirando.
- Sai, credo che fosse questo che intendeva Kibir.- sussurrò di rimando lei, mentre la porta si apriva - Ilharess è il titolo, te l’ho già detto. Chiamala così, oppure “Matriarca”, o “Grande Shi’nil”. Andrà più che bene. Ma, per l’amor di tutto ciò che è sacro, non irritarla. Fare arrabbiare una Matriarca Drow potrebbe essere l’ultima cosa che fai nella vita.-
- Già, perché ho davvero voglia di dare a qualcun altro un motivo per uccidermi.- biasciò mentre seguivano Kibir nella stanza.
 
La sala delle udienze si rivelò più piccola di quanto Athena avesse immaginato, anche se al suo interno avrebbe potuto accogliere facilmente una casa di modeste dimensioni. Arazzi color porpora o viola scuro erano appesi lungo le pareti, e sopra vi era ancora una volta impresso l’emblema della casata. Non c’erano altre decorazioni nella stanza, anche se la struttura appariva elaborata ed esteticamente molto curata.
Sul pavimento era steso un lungo tappeto nero che smorzava il suono dei loro passi e arrivava fino in fondo alla sala, dove una pedana rialzata di pietra ospitava un divanetto di marmo foderato da cuscini rossi e drappi purpurei. E, sopra di esso, era sdraiata una donna.
Era una Drow, e se Athena non avesse saputo che era impossibile stabilirne l’età solo con uno sguardo avrebbe pensato che fosse una coetanea di Nate: non c’erano quasi rughe sul suo viso color ossidiana, e la sua pelle era liscia come velluto. Una catena dorata le circondava la fronte, sparendo poi sotto i lunghi e morbidi capelli corvini che le scendevano lungo le spalle. Un’ambra a forma di goccia era appesa al centro esatto dell’ornamento, sopra i suoi penetranti occhi grigi, e sembrava quasi avere un terzo occhio arancione.
Portava un abito nero e rosso con ricami viola acceso, e infilato all’indice sinistro aveva un grande anello d’oro a forma di ragno, i cui occhi erano dei minuscoli smeraldi.
La donna li attese in silenzio, mentre la porta si richiudeva dietro di loro, e quando furono arrivati Kibir portò una mano al petto e s’inginocchiò con riverenza.
- Gre’as’anto, jatha’la Ilharess Shi’nil.-
- Gre’as’anto, Qu’abban Kibir.- rispose lei. Alzò poi gli occhi su di loro, soffermandosi per un istante su Athena, che sostenne il suo sguardo senza cedere né mostrare emozioni - Gre’as’anto anche a te, Margareth Orwell. È passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo viste.-
Margareth fece un profondo ma breve inchino.
- Sono onorata di incontrarla di nuovo, mia signora. Mi permetta di presentarle la mia compagna, Athena Asimov.-
Le diede leggermente di gomito, e Athena le lanciò uno sguardo fugace. Muovendo solo gli occhi, Margareth le fece capire che doveva inchinarsi.
- Oh, ehm… sì, piacere di conoscerla, Matriarca Shi’nil.- disse in fretta, chinando la schiena più che poteva.
- Rialzati, Kibir, e riferisci.- disse la Matriarca senza risponderle - Cosa hai scoperto durante la tua missione in superficie? Mi viene detto che le tue notizie non sono buone.-
- Invero non lo sono.- rispose lui, tornando in posizione eretta - La vicina città di Viniva ha subito una tragica sorte per mano di coloro che portano il P’obon Axsa.-
- Marchio maledetto.- tradusse in un sussurro Margareth.
La Matriarca chiuse gli occhi come se stesse riflettendo e, con un unico movimento fluido, fece scivolare a terra le gambe. I piedi nudi toccarono terra quasi senza un suono, e la donna si alzò subito.
- Raccontatemi tutto.- disse - E non tralasciate alcun dettaglio in proposito.-

Scusate se ci ho messo un po', il capitolo era pronto da due giorni, ma o mi scordavo di postarlo o non avevo il tempo di mettermi al computer (nè le forze, in quei casi). Come se non bastasse, adesso mi ritrovo con un raffreddore di quelli seri, e se non mi passa entro subito esplodo.
Ringrazio come al solito sempre grazie a Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa KIUUBY, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, i lettori che mi stanno seguendo. A presto!

   
 
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