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Autore: _White_    07/10/2014    1 recensioni
La vita di Irina potrebbe essere un racconto, infatti gli ingredienti necessari ci sono tutti: lei è la goffa eroina e vive accanto a Thomas, il classico bel ragazzo solitario e distaccato che la tratta come un suo pari. Ma si sa che le apparenze ingannano... Una piccola love story cresce sotto il cielo della Liverpool universitaria.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Prologo

 
- Papà, questo dove va? – urlò Irina, prendendo l’ultimo grosso scatolone dal bagagliaio dell’utilitaria del padre. Era stanca di sollevare i pacchi del trasloco e il caldo che si faceva sentire quel sabato pomeriggio di metà agosto non l’aiutava a recuperare le energie e la voglia, ma almeno aveva finito di svuotare l’auto.
- Guarda cosa c’è scritto sopra. – rispose Gerald Barnes, mentre si stava avvicinando alla vettura, pronto ad aiutare la figlia a portare il pesante carico dentro la sua nuova casa.
- Non c’è scritto nulla. – la ragazza controllò come meglio poteva i lati del contenitore, ma non trovò nessun indizio che potesse aiutarla a scoprirne il contenuto.
- Ah, ecco dov’erano le tende! Pensavo di averle dimenticate a casa. – la voce acuta ed entusiasta della madre si sovrappose prepotentemente, mettendo a tacere il mistero.
- Tende? Amore, sei sicura che siano necessarie? Philip mi ha assicurato che la villetta è già ammobiliata. – la faccia del marito impallidì all’improvviso, vedendo la donna correre a prendere il pacco.
- Sì, mi fido del tuo amico, però non del suo gusto per l’arredamento. – spiegò Marianne.
- A me piace come ha sistemato l’interno. – confessò Irina. Dopotutto, il nuovo inquilino di quella casa per i prossimi tre anni era lei. Si era innamorata di quella struttura già la prima volta che l’aveva vista qualche mese prima: i mattoni rossi a vista le ricordavano la casa in campagna della nonna paterna, dove da piccola era solita trascorrere l’estate. Per non parlare dell’architettura interna, così vittoriana con la sua solida scala in legno, un bellissimo parquet e una grande finestra in soggiorno che occupava due terzi della parete che dava sulla strada. Era la casa dei suoi sogni. Forse troppo grande per una diciottenne tutta sola, però lì si era sentita subito a proprio agio.
Era una fortuna che il proprietario dell’immobile fosse il professor Philip Hunt, collega e amico di suo padre. Quando aveva saputo che la figlia di Gerald avrebbe studiato a Liverpool, la sua città natale, si era subito offerto di affittarle la casa, disabitata da quando aveva accettato la cattedra di Chimica e Fisica Molecolare all’università di Nottingham. Era stato molto cortese a non richiedere una cifra mensile esagerata per le strette finanze dei Barnes, sebbene il valore della proprietà fosse di gran lunga superiore. Hunt non aveva mai accennato direttamente a questo favoritismo, ma il signor Barnes si era accorto immediatamente della faccenda e aveva deciso di compensare con cene offerte da lui e un passaggio tutti i giorni per andare al lavoro, offendendosi se l’amico cercava di pagargli la benzina o un caffè durante le pause tra una lezione e l’altra. Nonostante questo, i viveri e i cambiamenti d’arredo erano a carico della studentessa che si apprestava a viverci per i prossimi tre anni, ma a Irina non importava. Era troppo elettrizzata all’idea di abitare da sola, come un’universitaria che si rispetti.
- Mi raccomando, se ti senti troppo sola o ti manchiamo, non esitare a telefonarci a qualsiasi ora del giorno e della notte. – Marianne afferrò le spalle della sua unica figlia, in modo da poterla guardare negli occhi, e le fece questa strana richiesta, tipica delle madri che si apprestano a lasciar uscire di casa i propri pargoli. Sapeva che sarebbe arrivato il momento di separarsi dalla sua bambina, ma non era ancora pronta per quest’evento. Voleva ancora un altro anno, un altro mese e un altro giorno con la sua piccola Irina. Davanti a sé non la vedeva come la giovane donna che stava diventando, ma come la bambina di otto anni che s’impuntava per aiutarla a cuocere i biscotti e che passava il pomeriggio incollata alla televisione a guardare i cartoni animati. Avrebbe tanto voluto rivivere quei momenti all’infinito, ma non era possibile. Ora Irina era grande abbastanza per badare da sola a se stessa e Marianne doveva accettarlo. Così come avrebbe dovuto accettare il fatto che in futuro sua figlia avrebbe messo su famiglia e sarebbe diventata anche lei una madre. È proprio vero che i figli crescono troppo in fretta.
- Tranquilla, mamma, mi farò sentire. – la rassicurò la ragazza, agguantando la donna in un caloroso abbraccio. Le faceva una profonda tenerezza sua madre, così preoccupata e sentimentale nei suoi confronti, ma in fin dei conti non aveva tutti i torti ad esserlo. Anche Irina avrebbe sentito la mancanza dei genitori, soprattutto i primi mesi, essendo non ancora abituata al silenzio terrificante della sua nuova abitazione e non avendo ancora nessun amico su cui poter contare e che avrebbe alleviato in parte la solitudine.
Gerald avrebbe voluto anche lui unirsi all’abbraccio, ma qualcosa lo bloccò. Anzi qualcuno. Si stava guardando intorno per valutare la zona in cui avrebbe lasciato sua figlia, quando scorse quattro individui, tre uomini e una donna, uscire dalla villetta confinante, salutarli con la mano e dirigersi verso di loro. Barnes tossicchiò, segnalando alle sue donne la venuta dei vicini.
- Buon pomeriggio! Immagino voi siate i nuovi inquilini del professor Hunt. Ci aveva avvisati del vostro arrivo e così siamo venuti a darvi il benvenuto nel quartiere. Io sono Yuki Johnson, è un piacere conoscervi. – esclamò con notevole energia e un grande sorriso la vicina. Irina rimase subito affascinata da quella donna, così aperta e cordiale, non schiva e riservata come gli inglesi. Era diversa, lo si capiva non solo dalla felicità che emanava, ma anche dall’aspetto. Come suggeriva il nome di battesimo, Yuki era asiatica, più precisamente giapponese, di Osaka. Era impossibile definire con esattezza l’età anagrafica: non era presente alcun capello bianco nella sua folta chioma corvina e la sua pelle candida non mostrava alcuna ruga, macchia o segno del tempo. Non aveva nemmeno le zampe di gallina intorno agli occhi a mandola dalle grandi iridi color pece! Irina aveva sentito da qualche parte che per i giapponesi il processo d’invecchiamento fosse più lento rispetto agli occidentali, ma non immaginava fosse così miracoloso. Alla prima occhiata Yuki sembrava una donna di appena trent’anni, ma vedendola insieme al resto della famiglia si capiva che era impossibile che fosse così giovane.
L’uomo che le stava accanto era indubbiamente il marito. Ed era indubbiamente inglese, così rigido nel comportamento. Lui, al contrario della moglie, dimostrava i suoi cinquanta e passa anni, tuttavia era ancora un bell’uomo. Alto, spalle larghe, capelli castani un po’ brizzolati, occhi grigi. Portava un paio di occhiali da vista dalla montatura sottile che gli conferivano un’aria da intellettuale, da insegnante. In realtà era un ingegnere navale di una delle più grandi compagnie di costruzione navale del Regno Unito.
- Piacere, io sono Richard Johnson. Mia moglie Yuki si è già presentata e questi sono i nostri figli, Matthew e Thomas. – disse quell’uomo, indicando ogni membro della sua famiglia non appena lo citava. Irina seguì con lo sguardo la sua mano, soffermandosi sui volti di ognuno di loro, in particolare sui due fratelli. Loro erano pochi passi indietro ai genitori, quasi fossero timidi e allo steso tempo riluttanti all’idea di avere dei nuovi vicini rompiscatole. Il primo, Matthew, era il maggiore. Assomigliava molto al padre come corporatura, però era pallido come la madre. Portava i capelli neri corti con una lunga frangia. Irina immaginò che fosse uno di quei tagli da uomini d’affari, che si tengono i ciuffi lunghi per poi tirarli indietro con quintali di brillantina durante le cene d’affari e sul luogo di lavoro e in effetti Matt aveva proprio l’aspetto da uomo in carriera, con i suoi grandi e severi occhi grigi.
L’altro ragazzo, invece, aveva ereditato maggiormente i geni orientali della madre, ma questo non lo rendeva meno affascinante. Thomas era esile di costituzione, ma si notavano benissimo i piccoli rigonfiamenti muscolari delle braccia sotto la maglietta a maniche corte che indossava. Accanto al fratello, sembrava più insignificante, ma c’era qualcosa nel suo sguardo fiero e cupo che impediva a Irina di guardare altrove.
- Il piacere è tutto nostro. Noi siamo i Barnes. Io sono Gerald, questa è mia moglie Marianne, mentre lei è nostra figlia, Irina. Sapete, sarà lei ad abitare in questa casa. È una studentessa universitaria qui a Liverpool. È al primo anno. Io e Marianne l’abbiamo accompagnata soltanto per aiutarla con il trasloco. – spiegò Gerald.
- Benvenuta, Irina. Sappi che se avessi bisogno di qualcosa, siamo a tua completa disposizione! – disse Yuki, allegra come non mai. Irina la ringraziò timidamente. Non sapeva come comportarsi di fronte a tanta euforia, ma presto l’avrebbe apprezzata. – E siete tutti invitati a cena da noi stasera. – continuò la donna.

Il resto della serata trascorse tranquillo e vivace nel giardino posteriore dei Johnson. Tutta la famiglia si dimostrò cortese, disponibile e affabile, tanto che Marianne si sentì più rassicurata nel separarsi dalla figlia, conscia che si sarebbe trovata bene e in buone mani con i vicini di casa, che l’avevano presa assai volentieri sotto la loro ala protettrice. Dopotutto, Irina aveva già allacciato un buon rapporto con i genitori Johnson e una buona confidenza con Matt, che si era rivelato più estroverso e amichevole rispetto alla prima idea che si era fatta di lui. Lui l’aveva fatta sentire a casa, raccontandole tutto della sua vita e interessandosi anche a lei. Irina era venuta così a sapere che era all’ultimo anno di Legge all’università di Londra e nel frattempo svolgeva un tirocinio in uno dei più importanti studi legali della capitale e che era tornato a casa quel fine settimana soltanto per conoscerla. La ragazza restò colpita dalla sua curiosità di vederla: le ricordava l’ansia che aveva avuto il suo cuginetto quando sua zia stava aspettando il secondo figlio. Ecco, Matt era stato impaziente d’incontrarla come un bambino che non vede l’ora che nasca il suo fratellino e questo aveva intenerito Irina. Peccato che il giorno dopo lui dovesse ripartire. Era un peccato anche che fosse fidanzato da otto anni con una compagna del liceo, Eleanor, e che avesse deciso di continuare gli studi a Londra per poterle stare più vicino, visto che lei frequentava Oxford. Eleanor era davvero una ragazza fortunata, pensò Irina, perché Matt l’amava tanto e lo si sentiva attraverso le dolci parole che lui usava per descriverla e per gli occhi che brillavano ogni volta che la nominava. Anche la diciottenne avrebbe tanto voluto avere accanto un ragazzo come Matt, anche se teneva molto al suo Jeremy.
Al contrario del fratello, Thomas era rimasto in silenzio per quasi tutta la cena. Mentre il maggiore non aveva avuto difficoltà nel raccontare ogni aspetto della sua vita alla nuova vicina, lui non aveva aggiunto niente sulla sua. Mentre Matt era curioso di conoscerla, Thomas l’avvertiva come una seccatura. No, non era così. Lui aveva paura di lei. L’aveva osservata tutta la sera e per tutto il tempo aveva avvertito una scossa nello stomaco. Quella ragazza dai capelli biondi che risplendevano come il grano sotto il sole e dagli occhi così verdi da assomigliare a due smeraldi purissimi e pregiati gli aveva acceso qualcosa dentro, un sentimento diverso dalla semplice attrazione fisica. No, era qualcosa di molto più intenso. Lui voleva di più. Sapeva però che se avrebbe provato ad ottenere ciò che bramava, non sarebbe riuscito a viverle più accanto. E lei sarebbe rimasta nella villetta confinante per i prossimi tre anni. No, non poteva correre un rischio simile. L’avrebbe conosciuta e avrebbe cercato di essere un buon vicino, anche un amico se lei gliene avesse data l’occasione, però oltre non poteva andare. No, lei non poteva essere sua.

Irina sistemò le coperte sul suo nuovo letto e ci si sdraiò sopra. Fissò il soffitto per alcuni minuti, pensando a come poter rendere quel luogo suo. Avrebbe di sicuro ridipinto le paresti, visto che il proprietario le aveva dato il permesso di fare tutte le modifiche che voleva. Magari di lilla. Lei adorava qualsiasi tipo di viola. Avrebbe spostato la scrivania sotto la finestra per avere più luce quando studiava e avrebbe messo di fronte al letto una libreria. L’armadio l’avrebbe lasciato lì dov’era, come il letto. Bene, aveva già pianificato l’arredamento per la sua nuova camera da letto. Soddisfatta, spense la luce e cercò di addormentarsi, però la sua mente ancora vagava e ripensava ai Johnson. Era una famiglia davvero eccezionale, le avevano fatto una gran bella impressione. Però faceva fatica a inquadrare bene Thomas, così taciturno e solitario come si era presentato. Non riusciva davvero a immaginare come sarebbe stato vivergli accanto: chissà cosa sarebbe accaduto se non si fossero sopportati e si fossero totalmente ignorati o avessero litigato continuamente. Chissà se sarebbero diventati grandi amici, di quelli su cui si poteva sempre contare. Chissà.
   
 
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