Serie TV > Il Tredicesimo Apostolo
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Autore: DirceMichelaRivetti    08/10/2014    2 recensioni
Isaia non vuole uccidere Gabriel, ma non può neppure correre il rischio che la profezia si realizzi. Deve trovare un'altra strada...dovrà, però, scendere a patti proprio con Serventi.
Gabriel, intanto, prosegue la sua vita con Claudia e a Capo del Direttorio. Una gran noia la burocrazia della Congregazione, finché a smuovere la routine interviene l'eccentrica sorella di Isaia, che cerca il fratello.
Caso strano, Stefano riceverà l'incarico di fare una verifica proprio su di lei.
Presto tutti quanti i personaggi dovranno riunirsi per vedere se è possibile trovare una soluzione pacifica a tutte le divergenze.
Gabriel non sarà affatto felice di rivedere Isaia, che afflitto dal dolore deve costantemente ricordarsi di Dio, per potersi concentrare sulla sua missione.
Serventi non si fiderà delle proposte.
Il resto .... ve lo lascio leggere. Ho accennato qui ad alcuni dei punti di maggior rilievo di questa storia, ma non ci sarà solo questo.
Il tutto sarà condito da speculazioni esoteriche-filosofiche-teologiche. Probabilmente anche un po' di romanticismo, ma non sarà il tema centrale.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabriel Antinori, Nuovo personaggio, Padre Isaia, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gabriel si svegliò di pessimo umore. Ancora una volta aveva sognato di essere insieme a Claudia, che lei gli sorridesse, che assieme passeggiassero, tenendosi per mano; aveva sognato gli abbracci, le carezze ed era immensamente felice, appagato, sentiva di non aver bisogno di nient’altro … e poi si era svegliato e aveva dovuto fare i conti con l’amara realtà. Ciò che lo stava rendendo tanto felice era unicamente un’illusione e lui si trovava solo nel lettuccio di casa sua.

Erano diverse notti che sognava Claudia e ogni mattino quello era il suo risveglio. Detestava le proprie giornate, non vedeva l’ora di poter dormire perché, almeno lì, Claudia era ancora accanto a lui e lo amava e, soprattutto, lui poteva amarla. Già, forse sarebbe stato disposto a rinunciare all’amore di Claudia, ma di certo non poteva fare a meno dell’amore per Claudia. L’unica cosa che gli dava forza era la speranza che lei tornasse o che, al meno, gli permettesse di avvicinarsi di nuovo a lei. Ah, quante volte era stato tormentato dall’indecisione! Chiamarla o non chiamarla? Scriverle una lettera? Mandarle dei fiori? Non sapeva. Da una parte avrebbe voluto essere romantico, dall’altra temeva di infastidire la donna ed essere tacciato di stalking. Era tutto così dannatamente difficile!

Gabriel si sforzò di alzarsi e prepararsi per andare in Congregazione, pensò al lavoro che lo aspettava, alle pile di segnalazioni … d’improvviso gli venne il buon umore: aveva voglia di trovare succubi da rispedire all’Inferno.

Si stupì della violenza del proprio pensiero. Ricordò con orrore la sera in cui, da semiubriaco, aveva massacrato quelle prostitute e avrebbe avuto voglia di ucciderne ancora. Si sentì di nuovo orribilmente.

Forse, la cosa migliore da fare era una confessione, confidare a qualcuno tutti i suoi rimorsi, dubbi e problemi, ma a chi? Claudia non c’era più per lui. Isaia … Gabriel aveva paura e si vergognava a parlarne con lui, non si aspettava un tradimento da parte dell’amico, ma troppa severità. Quella severità e disciplina che erano sempre mancate nella vita di Gabriel e a cui lui era insofferente.

Ad Alonso, invece, non aveva mai confidato nulla, al di fuori delle verifiche, per cui non gli sembrava opportuno raccontargli tutto quanto. Stefano, invece, era troppo giovane per poter essere suo confidente e, inoltre, doveva essere lui il suo maestro e non viceversa.

Gabriel si rassegnò a tenersi tutto dentro, d’altra parte era convinto che nessuno potesse capirlo.

Antinori andò in Congregazione, parlò con un paio di Monsignori del Direttorio, prese le scartoffie dal suo ufficio e si mise a leggerle in biblioteca. Non gli piaceva essere relegato nel proprio studiolo: in biblioteca c’era più gente e questo gli teneva un po’ su il morale. Isaia aveva capito che l’amico aveva bisogno, per cui si era messo anche lui a lavorare tra i banchi della biblioteca per stargli vicino e fargli compagnia. C’era anche Stefano che ci teneva a stare vicino al proprio maestro: gli era dispiaciuto molto vederlo stravolto, un paio di giorni prima, alla villa di Serventi.

Erano tutti immersi nelle loro ricerche, quando Gaspare fece il proprio ingresso in biblioteca. Era come suo solito elegante e disinvolto.

Isaia, vedendolo, si preoccupò un poco, interrogandosi sul motivo di quella visita. Stefano si innervosì parecchio e dovette trattenere l’ira. Gabriel, invece, era stupito e per nulla contento della presenza del fratello, soprattutto perché gli era da poco tornata in mente la strage che gli aveva permesso di fare.

“Buongiorno! Che facce severe!” commentò Gaspare, ironico, guardandoli “Nessuno è felice di vedermi? Né il mio futuro cognato, né il mio fratellino?”

“Ehi, com’è che il tuo rapporto con mia sorella si evolve a vista d’occhio?!” sbottò Isaia, meravigliato.

“Quando due anime si trovano, il tempo viene annullato. Ieri è stata adorabile, quando ha detto che mi ama, con quel suo visetto tenero e dolce.”

Stefano digrignò i denti e lo guardò con maggior ferocia e sentì l’orgoglio fremere: lui l’aveva vista dolce e tenera senza bisogno di spezzarne lo spirito.

“Sono qui per questo.” proseguì Gaspare “Io e Giuditta ci teniamo ad invitare i nostri fratelli a cena, presso la villa di mio padre. Tutto sarà preparato da lei.”

“Lei è d’accordo?!” si meravigliò Stefano.

“Certamente; mi ha detto che da tanto tempo ha voglia di organizzare una cena in grande stile, ma non ne ha avuto l’opportunità.”

“Sì, è vero.” confermò Isaia “Nostra madre le ha trasmesso questa passione.”

“Bene, vi aspettiamo entrambi domani sera alle venti. Ci sarete, vero?”

“Veramente …” tentò di dire Antinori.

“Isaia, faccio affidamento su di te per portare Gabriel, mi raccomando!” lo interruppe Gaspare, lasciando intuire al gesuita che si trattava di un ordine a cui non poteva disobbedire.

“Isaia non è tenuto a fare quel che gli dici tu e io non sono tenuto a fare ciò che mi dice Isaia.” puntualizzò Gabriel, un po’ irritato, per nulla contento di quell’invito e di quella disinvoltura e sicurezza.

Gaspare gli lanciò un’occhiata molto eloquente e gli disse: “Fratellino, vieni, facciamo due passi, voglio parlarti e preferirei che non ci siano altri e, credo, lo preferisci anche tu.”

Gabriel si alzò in piedi, si sforzò di sorridere, per non far insospettire o preoccupare gli altri e rispose: “Certo, andiamo.”

I due fratelli uscirono dal palazzo della Congregazione e, appena fu certo di non essere sentito da conoscenti, Gabriel disse: “Io non voglio avere più nulla a che fare, con te! L’ultima volta mi hai permesso di uccidere delle donne!”

“Erano puttane e, se anche ti avessi riportato a casa, eri talmente arrabbiato che saresti andato comunque, da solo, ad ammazzare donne, sicuramente in numero maggiore, probabilmente anche brave ragazze. Ti ho assecondato, è vero, ma solo per limitarti.”

Gabriel rifletté su quelle parole e dovette ammettere che i ragionamento era assolutamente logico.

“Piuttosto, perché non pensi al fatto che ti ho permesso anche di vincere un mucchio di soldi, quella volta?”

“Barando!” protestò Antinori.

“Avresti preferito lasciarli al proprietario del casinò, già schifosamente ricco?”

“Non che io sia povero e ne abbia bisogno.”

“Che cosa ne hai fatto di quei soldi?”

“Li ho devoluti in beneficenza.”

“Ecco, visto che si è fatto qualcosa di buono?”

“Che cosa vuoi?” chiese seccato Gabriel.

“Nulla di ché. Semplicemente voglio dirti che tengo davvero molto a che tu venga domani sera alla cena.”

“Ci penserò …”

“Davvero, riflettici, abbiamo la possibilità di formare e consolidare una famiglia, potremo essere uniti, contenti. Non mi risulta che Claudia abbia una famiglia alle spalle. Certo, non metto in dubbio che tu, lei e vostro figlio, o i vostri figli, sarete felici da soli, assieme … sì, sono sicuro che lei tornerà da te. Immagina, però, la differenza nel festeggiare il Natale, o nell’andare in vacanza tra voi soli o assieme a zii, cugini … Non sarebbe bello essere uniti?”

“Penso di sì …” rifletté Gabriel, un po’ confuso: non si aspettava un simile ragionamento e, senza dubbio, aveva toccato tasti per lui importanti: quello della solitudine, quello della famiglia, famiglia numerosa.

“Allora non sprecare questa opportunità! Non ti stiamo chiedendo chissà cosa, semplicemente di venire ad una cena, fare due chiacchiere: che fatica ti costa? Fa un tentativo, mal che vada avrai perso una serata, ma se dovesse andare bene guadagneresti moltissimo.”

“Sei un gesuita o un avvocato mancato?: la tua capacità di persuasione è davvero eccellente. Verrò.” si rassegnò Gabriel, ma con un sorriso.

“Ho una cosa per te.” disse l’uomo, frugandosi in tasca.

Tirò fuori uno yo-yo di legno, vecchio, ma ben conservato, lo porse ad Antinori, dicendogli: “Era un nostro gioco da bambini. L’ho conservato per ricordarmi di te in questi anni in cui siamo stati separati, per sentirti vicino, ma ora che possiamo essere di nuovo fratelli non ne ho più bisogno e voglio che lo riabbia tu.”

Gabriel si commosse, quasi pentito di avere pensato cose brutte su quell’uomo. Sentiva l’affetto che gli voleva e gli faceva molto piacere, tanto che gli pareva impossibile che fosse figlio anche di Serventi. Lo ringraziò di tutto cuore, si fece dare i dettagli della cena e poi lo salutò per rientrare in Congregazione.

Tornando in biblioteca, Gabriel era sorridente e, quindi, i suoi amici non gli fecero domande. Si rimise al lavoro, ma non poteva fare a meno di pensare a quello yo-yo, mentre leggeva le segnalazioni, involontariamente portava sempre la mano alla tasca dove teneva il giocattolo.

Gabriel sentiva crescere dentro di sé il desiderio di ricordare qualcosa, di sapere di più di com’era stata la sua vita fino a dieci anni; qualcosa la sapeva già, ma non era abbastanza.

Da quando aveva deciso di lasciare la Chiesa e costruirsi una nuova vita con Claudia, Gabriel aveva deciso di chiudere definitivamente col proprio passato, di non pensarci più, essere totalmente un uomo nuovo. Non gli era stato però permesso: ciò che era non lo poteva cambiare e il suo essere si portava dietro il passato e molte altre conseguenze e implicazioni. Gabriel si rendeva sempre più conto di non poter non essere l’Eletto. Lui aveva quei poteri, lui era quella strana entità che non capiva, non poteva separarlo da sé, non poteva rinunciarvi; l’unica cosa che poteva scegliere era come essere l’Eletto. Stava finalmente capendo ciò che per molto tempo non gli era stato chiaro: il suo dono non lo condizionava, ma gli dava delle opportunità esclusive, in lui stava la scelta di quali usare, come e perché.

Era questo che stava imparando, ultimamente, pur rimanendo comunque molto spaventato dalla propria capacità di riuscire a comandare i demoni: quello continuava a sembrargli qualcosa di oscuro.

Gli era quindi tornato il desiderio di scoprire di più su di sé, sulla propria infanzia e il regalo che gli aveva fatto Gaspare stava aumentando a dismisura la sua curiosità, tanto che non riusciva a concentrarsi sul lavoro e i suoi pensieri correvano al passato avvolto dall’oblio.

Un’ora dopo aver visto il fratello, Gabriel aveva piantato il lavoro, per tornarsene qualche ora a Villa Antinori, nella speranza di ricordare qualche cosa.

Appena arrivato, andò subito a dare un saluto alle tombe dei genitori, da quando era morta sua madre non ci era più tornato. Faticava a considerare quel luogo la propria casa, dato che non ricordava nulla, spesso si dimenticava di possederla, per questo lui e Claudia non erano andati ad abitare lì, nonostante qualche volta il pensiero di inaugurare la nuova vita nella villa di famiglia lo avesse sfiorato.

Guardò le due lapidi dei genitori, che erano come fantasmi per lui … fantasmi … ricordò che aveva visto lo spettro di suo padre, cioè di Sebastiano Antinori, la prima volta che era tornato lì. Chissà se il fantasma era ancora lì, chissà se Stefano, con la sua affinità con gli spettri avrebbe potuto contattarlo, mettersi in comunicazione con lui.

Gabriel iniziò a sentirsi solo, era come se per la prima volta realizzasse davvero nella sua mente che suo padre, sua madre e suo zio fossero morti; si era sempre sentito orfano, privo della famiglia, ma in quel momento si sentiva più che mai solo, aveva come la consapevolezza che quelle poche persone che erano state testimoni del suo passato non c’erano più e, non ricordando lui nulla, era come se per dieci anni non fosse esistito.

No, non era del tutto così: non erano tutti morti, rimanevano Serventi e Gaspare, non era certo il massimo, ma erano i soli che conoscevano la sua infanzia, quella parte di vita così importante per la formazione del carattere e dello spirito di una persona.

Gabriel andò nell’atrio davanti al portone della villa, mise la mano in tasca per prendere le chiavi e sfiorò lo yo-yo. Lo prese in mano, lo guardò ancora, sorrise; passò l’anellino di corda nell’indice e iniziò a farlo salire e scendere: era così rilassante! Chiuse gli occhi e gli parve di sentire delle risate risuonare nella sua mente; poi si compose un’immagine del giardino che aveva effettivamente davanti a sé, ma era innevato … era un ricordo: stava rivedendo e risentendo ciò che aveva vissuto un tempo. Vide varie immagini: sua madre, suo padre e poi un altro bambino, con cui stava facendo a pallate di neve: era forse Gaspare? Sì, ne era certo.

Iniziò a rivedere nella propria mente vari momenti di sé stesso, da bambino, in quel giardino. Vi vide anche Serventi e lo sentiva parlare.

Gabriel, le persone sognano la grandezza e la gloria, tu ce l’hai alla tua portata. Non hai bisogno di desiderare alcunché, perché ciò che vuoi lo puoi ottenere senza sforzo. Parla, ordina e il mondo prenderà le forme che tu comandi.

Tutti i discorsi che Antinori iniziava a ricordare erano di questo tipo.

Gabriel aprì gli occhi, rinfilò lo yo-yo in tasca e finalmente entrò nella villa. Il flusso di ricordi, però, non lo aveva abbandonato: ovunque si voltasse vedeva un frammento della propria infanzia.

Cosa gli stava accadendo? Perché di improvviso riusciva a ricordare?

Beh, dire che riuscisse a ricordare non era corretto, poiché non era lui a deciderlo o a volerlo, bensì era investito da quelle immagini e da quelle voci.

Non gli dispiaceva però, quella situazione, anzi gli faceva molto piacere. Girovagò per la casa per oltre due ore, ritornando anche più volte nelle stesse stanze per visualizzare ricordi differenti. Era emozionato e felice, nonostante ancora non avesse una chiara scansione temporale di quei fatti.

Aveva rivisto molti dei momenti con Gaspare, loro madre, Sebastiano e Serventi.

Accidenti! Nell’arco di poche ore, Gabriel ricordava perfettamente tutti loro, non erano estranei per lui, adesso li sentiva estremamente vicini a sé. Era una sensazione strana: persone che fino a poche ore prima erano sconosciute e per alcune delle quali provava antipatia, d’improvviso gli erano diventate care, le sentiva come quelle che lo avevano cresciuto, che gli avevano infuso coraggio, che lo avevano aiutato e rassicurato; qualsiasi avversione avesse prima, ora si era dissolta.

Gabriel era molto confuso, non aveva idea di come affrontare ora il Candelaio, ora che non riusciva più a vederlo come un nemico e un pericolo. Effettivamente, però, alla grigliata, avevano sancito, se non una pace, almeno una tregua e, comunque, Bonifacio non aveva mai voluto fargli del male, ma soltanto spingerlo a fare qualcosa che a lui non era ancora chiaro.

Gabriel decise di rimanere nella sua villa per la notte e anche la mattinata successiva: sentiva il bisogno di riordinare le idee e non era affatto semplice.

Si presentò in Congregazione dopo pranzo; Isaia si era un poco preoccupato e come prima cosa volle accertarsi che tutto andasse bene. Gabriel gli fece cenno al fatto di aver ricordato qualcosa, ma non entrò nello specifico e rimase sul vago.

Il loro pomeriggio trascorse piuttosto rapidamente e già alle 18 sospesero il lavoro per prepararsi alla cena da Serventi, entrambi non sapevano se sospettare qualcosa, oppure attendersi un serata tranquilla.

Arrivarono puntuali alle 20 e nella sala d’ingresso trovarono Temistocle e Bonifacio che chiacchieravano, in attesa degli ospiti. I due sopraggiunti si accomodarono, dopo qualche momento di silenzio (Gabriel non voleva riconoscere di essersi ricordato della propria infanzia), Serventi cominciò a parlare, qualche convenevole, qualche frase più o meno studiata, rivolta ora a uno, ora all’altro. Non passarono dieci minuti e, per fortuna, arrivò il maggiordomo ad informarli che la cena era pronta e si poteva andare a tavola.

Si diressero tutti e quattro in sala da pranzo, dove gli altri convitati erano già seduti attorno ad una tavola rotonda, apparecchiata in maniera elegante ed impeccabile.

“Ben venuti. Presumo che mio padre vi abbia già accolti a dovere, per cui non mi perdo in formalità, del tutto sconvenienti in una situazione come questa.” esordì Gaspare “Fratellino, siedi accanto a me e tu, Isaia, accomodati vicino a Giuditta, ad ogni modo troverete il vostro segnaposto.”

Tutti i commensali presero posto e iniziarono a sbocconcellare. Per antipasto tartine e bruschette con condimenti di vario tipo: pomodori, funghi, paté d’olive, salume, lardo e salmone. C’era un certo silenzio, dettato dal fatto che né Gabriel, né Isaia si sentissero propriamente a loro agio. Gaspare, allora, si diede da fare per riuscire a imbastire qualche conversazione e, citando ora il tal fatto, ora la tal frase, riuscì ad avviare un dialogo tra i presenti.

Finiti gli antipasti, Giuditta portò via i vassoi e i piattini in cui si era sbriciolato. Isaia fu sorpreso di questo: credeva ci sarebbero stati dei camerieri come la volta precedente.

Giuditta tornò con una teglia di lasagne, servì tutti i commensali, tornò in cucina ad appoggiare il tegame e poi si rimise a sedere con gli altri e si mise a mangiare anche lei. Fu allora che, dopo un paio di sguardi scambiati con Gaspare, Annibale domandò: “Giuditta, ma sei sicura di aver messo tutto nel ragù?”

“Sì, certo!” rispose sicura la donna, che poi si preoccupò: “Perché?”

“Non sa di niente.” sentenziò Annibale, posando la forchetta, lasciando il piatto quasi pieno.

“Non può essere. Ho seguito la ricetta ed è un piatto che cucino da anni..!” la ragazza era certa di aver eseguito tutto correttamente e, quindi, quella critica la stava spiazzando molto e la spaventava.

Gaspare, con tono tranquillissimo, quasi gioviale, la guardò e le disse: “Invece sì che può essere, Giudittina. Concordo con Annibale: l'ingrediente chiave della lasagna, ovvero il ragù, non sa di niente, speravo fosse solo una mia impressione e, invece ... grazie al Cielo gli altri sono stati così gentili da non lamentarsi.” sospirò deluso “Dov'eri con la testa, mentre cucinavi?”

La donna fissava il vuoto, cercando di capire che cosa avesse sbagliato.

Isaia, invece, era esterrefatto: quelle lasagne erano ottime! Trovava estremamente ingiusto quel rimprovero.

Gabriel, al contrario, anche se non aveva nulla da ridire sul cibo, trovava estremamente godibile quel rimprovero. Da quando era rispuntata fuori, quella ragazza non aveva fatto altro che criticarlo e trattarlo come un incompetente, per cui decise di togliersi lo sfizio di osservare: “So che ti è difficile da credere, Giuditta, ma anche tu hai dei limiti e delle attività in cui sei incapace.”

Intanto, Gaspare, con fare pentito, proseguì: “Evidentemente, la sola idea di cucinare una gran cena ti ha montato la testa, distraendoti dai fornelli. Infatti, guarda come hai ridotto questo povero ragù, per non parlare della sfoglia che, al contrario, è troppo salata. Le spezie esistono, cara mia, e son fatte apposta per insaporire il cibo e il sale va dosato per evitare che faccia salire la pressione alle stelle.” sospirò nuovamente “Forse, ho sbagliato a lasciarti da sola in cucina, infondo sei solo una ragazzina, avresti avuto bisogno di una guida, nonostante siano ricette semplicissime.” scosse il capo, poi con tono severo, come se fosse stato ferito, spiegò: “Sai, tengo moltissimo al fatto che questo piatto sia preparato nel migliore dei modi: è il mio preferito e anche perché mi ricorda mia, anzi” appoggiò una mano sulla spalla di Gabriel “Nostra madre. Perché mi sono illuso che tu ne fossi all’altezza? Ecco come rovinare una cena e mettere tutti di cattivo umore. Pur non portandoti fuori, sei riuscita a farmi vergognare.”

Isaia era furioso: come si permetteva, quell’uomo, di umiliare sua sorella in quella maniera e senza un concreto motivo, per di più! L’ira non lo alterò, rimase calmo, ma con voce glaciale e terribile disse: “Ora basta, Gaspare. Rispetta mia sorella, specialmente in mia presenza. Ora lasciala in pace ...”

Giuditta posò una mano sul braccio del fratello e lo interruppe: “No, Isaia, lui ha ragione.”

“Ma ...”

“Questa è stata la prima volta che ho preparato io la besciamella, anziché usare quella già pronta, ho sbagliato nel farla. Abbiamo invitato della gente a cena e non sono stata capace di offrire del buon cibo: lui ha perfettamente ragione a sgridarmi.”

Gaspare la guardò con dispiacere, questa volta sincero: non gli piaceva vederla così triste, soprattutto perché sapeva bene che lei era stata brava. Riaffiorò però subito il piacere della consapevolezza di essere lui a poter decidere dell’umore della giovane. Assunse un tono severo e le ordinò: “Adesso, in piedi e chiedi scusa a tutti per il guaio che hai combinato, signorinella.”

Giuditta si alzò, era estremamente mortificata per non aver saputo soddisfare il palato degli ospiti e aver deluso Gaspare, oltre ad aver fatto fare brutta figura anche a lui. Con le lacrime agli occhi, disse: “Vi … Vi chiedo scusa per gli errori che ho fatto con le lasagne. Starò più attenta, la prossima volta.”

Isaia era truce in volto: ecco come erano gli equilibri in quel rapporto! E forse ciò era avvenuto proprio a causa sua, quando aveva consigliato alla sorella di abbandonasi a quell’uomo.

Gabriel, dopo aver visto quella scena, si pentì e si vergognò per ciò che aveva detto poco prima.

Gaspare fece un cenno di soddisfazione con la testa, fece sedere la ragazza e disse: “Per questa volta passi, ma se si ripeterà ti farò cucinare tutto di nuovo. Ricorda che il cucinare è una forma d’amore.”

La cena proseguì e si concluse, per fortuna, senza altri inconvenienti, anzi, sia Gabriel che Bonifacio si complimentarono per il dolce.

La sera proseguì, spostandosi tutti quanti nel salotto col tavolo da bigliardo, qualcuno si mise a giocare, altri si sedettero sui divani a chiacchierare, tutti sorseggiando qualche liquore, offerto dal padrone di casa. A loro si unì anche Jacopo, lamentandosi di non essere stato invitato alla cena; prese una stecca da bigliardo e del cognac e si comportò con la sua solita rozza naturalezza.

Dopo una mezzoretta, Gaspare invitò Gabriel a fare due passi all’aperto.

“Sei stato molto severo con Giuditta, prima.” Gabriel aveva spezzato un lungo silenzio con quell’osservazione “In realtà, le lasagne mi sembravano ottime.”

“Può essere, ma lei ha bisogno di essere tenuta in riga. Hai ben notato anche tu che i suoi difetti sono l’orgoglio e la superbia, per cui è bene che le si faccia notare ogni errore. È per il suo bene, capisci? Da quando è qui, ha fatto passi da gigante.”

“Ho visto, non mi pareva neppure lei! Sono contento che tu le abbia insegnato l’umiltà. Voi, quindi, vi amate?”

“È la mia donna, sì, tuttavia non ti importa di questo. C’è altro di cui vorresti parlarmi, ma non sai come cominciare, vero?”

Gabriel si sorprese e chiese: “Cosa te lo fa pensare?”

“È palese. Emani titubanza come un faro. Dimmi tutto.”

Antinori sospirò, insicuro, guardò il fratello e lo trovò rassicurante, per cui sospirò ancora e iniziò a dire: “Ieri, dopo che ci siamo visti, ho iniziato a ricordare alcune cose … però non so che dire.”

“Non ti è sorta nessuna domanda?”

“No … anzi, forse solo una: perché, dopo la caduta dal tetto, Bonifacio ha deciso di sparire e portarsi via anche mia madre e te? Perché ha voluto che restassi solo?”

“Eh … glielo chiesi anch’io, a suo tempo non capivo. Per essere breve, mio padre temeva che con una vita normale tu non sentissi la vocazione per la Chiesa. Lui non crede nell’esistenza degli uomini di Dio, lui vede nel clero solamente uomini avidi e bramosi di potere, oppure disperati in cerca di una fuga o conforto. Un’inclinazione del primo tipo non sembrava consentire il realizzarsi della profezia, per cui mio padre ritenne opportuno farti sentire solo, reietto quasi … per fortuna non c’è riuscito o, per lo meno, adesso tu non mi pari certo così.”

“Beh, l’adolescenza non è certo stata semplice, tuttavia l’ho superata e ormai sto benissimo da parecchi anni. Avevo, inoltre, accanto a me Demetrio e poi anche Isaia a sostenermi.”

“Beh, cos’hai ricordato? Nostra madre l’hai vista?”

“Sì, è stato stupendo. Ho ricordato anche momenti con Bonifacio e i suoi insegnamenti. Ecco, quando ho perso la memoria, non gli è dispiaciuto ch’io scordassi tutto ciò che mi aveva trasmesso?”

“No, questo no. Mio padre è convinto che ti sia tutto rimasto a livello inconscio e che ti abbia lo stesso influenzato. Per questo è convinto che tu finirai col dargli ragione … evidentemente non si rende conto che una persona, in venticinque anni, cambia.”

Gaspare parlava per rassicurare Gabriel, per mostrarsi disinteressato alla faccenda della profezia, per non mettergli pressione addosso e farlo sentire tranquillo e, soprattutto, libero.

“Sono felice di averti reincontrato e di essermi ricordato di te.” Gabriel era un poco commosso “In un certo senso mi sento meno solo.”

“Non dovresti sentirti solo: hai molti amici, da quello che ho potuto vedere.”

Gabriel sospirò: “Mah, diciamo che sono socievole, parlo tranquillamente con moltissime persone, mantengo vivi i rapporti ma … è sempre tutto molto superficiale, o almeno così mi sembra. Gli altri si confidano con me, io invece non ci riesco. Solo con Isaia e Claudia riesco un po’ a mostrare la mia anima e nemmeno per intero.”

“Evidentemente hai paura, o di te stesso o degli altri, temi che il confidarti possa in un qualche modo farti male. Scusa se mi intrometto, ma temi il loro allontanamento, nell’apprendere qualcosa di te, oppure che loro usino contro di te le tue confidenze?”

“Non ne ho idea, non ci ho mai pensato. Forse anche perché Demetrio, l’unico con cuoi parlassi, non mi ha mai dato ascolto e ha sempre cercato di manipolarmi, anche se me ne sono reso conto molto tardi.”

“Perché me ne parli?”

“Beh, con te è diverso, tu sei mio fratello. È strano, ma ora che mi ricordo di te, mi viene spontaneo parlarti a cuore aperto.”

“Mi fa senza dubbio piacere, penso, però che anche i tuoi amici meritino questa tua fiducia, forse più di me, poiché ti sono stati vicini in tutti questi anni.”

Gabriel sorrise: Gaspare era davvero una brava persona.

“Pensi davvero quello che hai detto ieri? Che potremmo davvero sentirci una famiglia, tutti assieme?”

“Certo, perché no?”

“Chissà che ne penserà Claudia, quando riuscirò a pacificarmi con lei e glielo dirò.” Gabriel si sforzò di ridere, nonostante il solo pensiero di essere lontano dalla donna lo rattristasse.

“Capirà e, quando ci avrà conosciuto meglio, ne sarà contenta. In fondo, nostra madre, credeva profondamente in lei e nel vostro amore, giusto? Si metterà tutto a posto, ne sono certo.”

Ci fu un momento di silenzio, poi Gaspare disse: “Adesso sarebbe meglio rientrare, almeno per me che ho organizzato la serata. Se tu vuoi restare ancora un poco a pensare, fa pure.”

Gabriel annuì e restò solo nel giardino. Quella serata gli stava davvero piacendo e lui per la prima volta da molti giorni si sentiva finalmente piuttosto tranquillo. Guardò il paesaggio attorno a sé, sentì la brezza … gli venne in mente un altro ricordo.

Gli tornò alla mente una gita fatta per il suo nono compleanno. Erano andati in montagna, avevano fatto una bella escursione nei boschi e poi erano andati in uno chalet, dove avevano cenato con pietanze prelibate e avevano mangiato la torta, la sua preferita, quella con la crema di burro e caffè con le mandorle tritate; lui aveva poi aperto i regali … C’erano sua madre, Demetrio, Gaspare e Bonifacio. Mancava suo padre … o, per correttezza, Sebastiano Antinori. All’epoca era morto da un paio di mesi. Gabriel ricordava che in quel periodo ne sentiva terribilmente la mancanza e che soffriva parecchio. Infatti non riusciva ad essere felice neppure per il compleanno e per quella splendida festa. Sua madre l’aveva capito e gli si era avvicinata per parlargli e lui le aveva confidato tutta la sua tristezza.

“Piccolo mio, so che è difficile, anch’io sono molto triste per papà, ma non per la sua morte, bensì per la sua debolezza. So che non dovrei parlare male di lui davanti a te, ma devi capire. Sia io che te gli volevamo bene e anche lui ce ne voleva, ma non riusciva a capire …”

“Che cosa mamma?”

“Che tu non sei figlio nostro, ma figlio del mondo. Tu sei l’Eletto, lo sai.”

“Sì, Bonifacio lo dice sempre … ma che cosa vuol dire?”

“Vuol dire che sei speciale, che hai dentro di te la possibilità di fare qualsiasi cosa.”

“Davvero?”

“Sì e questo è un dono che non devi assolutamente sprecare. Ci sono molti uomini che potrebbero essere grandi, ma che per pigrizia, paura, ignoranza, egoismo o altro non mettono a frutto le proprie capacità e rimangono piccoli. Sarebbe un vero peccato se anche a te capitasse così. Tu puoi essere il più grande di tutti, un leader impareggiabile, se accetterai di essere ciò che sei.”

Gabriel bambino si era soffermato a pensare e poi aveva chiesto: “È come dice lo zio Demetrio? Lui parla spesso della parabola dei servi a cui il padrone aveva dato dei talenti e quando è tornato si è complimentato con chi li aveva messi a frutto e aumentati e si è arrabbiato con quello che non li aveva impiegati.”

“Sì, è proprio così!” gli aveva sorriso Clara “Devi mettere a frutto i tuoi talenti e ogni cosa sarà tua.”

“Io, però, ho paura.”

“E di cosa, piccolo mio?”

“Dei miei poteri … voi mi dite che sono belli, mi dite bravo quando riesco ad usarli, però mi dite che non devo usarli quando non ci siete. Una volta che mi è capitato, i miei compagni di classe si sono spaventati e poi mi hanno preso in giro … è stato Gaspare a farli smettere. Io non capisco, sono buoni? O sono un mostro come dicevano i miei compagni? Cosa sono? Papà si è ucciso per questo?”

“NO! Non lo devi pensare, MAI! Tu sei straordinario e va bene così! I mediocri, gli incapaci invidiano e hanno paura delle persone migliori e quindi le insultano e cercano di tenerle il più in basso possibile. Tu sei nato ad essere grande, la gente cercherà di ostacolarti, non vorranno che tu sbocci, forse tenteranno anche di eliminarti, ma tu non devi aver paura, devi credere in te, avere fiducia nei tuoi poteri, poiché essi sono la tua forza, il tuo talento, e ti permetteranno di realizzarti. Sono i tuoi migliori alleati, non temerli e non dare retta a chi ti vuole impedire di essere grande. Il mondo è per te e tu sei per il mondo: tu sei l’Eletto.”

“Ma io non so controllare i miei poteri … fanno da soli.” il piccolo Gabriel era rattristato.

“Sei ancora un bambino, crescendo imparerai. Bonifacio è qui per aiutarti, lui ti vuole bene, lui vuole che tu raggiunga il massimo delle tue potenzialità. Ti insegnerà come attingere ai tuoi poteri e a domarli. Bonifacio ha a cuore la gente come noi, vuole renderci liberi, vuole che non siamo più costretti a nasconderci. Tu lo aiuterai? Quando sarai grande, lo aiuterai a combattere per la libertà e la felicità di tutte le persone con dei poteri?”

“Sì!” le aveva sorriso Gabriel, entusiasta; poi chiese incuriosito: “Ma tu come lo hai conosciuto? Eravate amici da piccoli come io e Gaspare?”

Clara aveva sospirato e, dopo aver guardato un poco il vuoto, rispose: “No. L’ho conosciuto circa una quindicina d’anni fa, prima di papà. Anch’io ero spaventata dai miei poteri, mi sentivo triste, sola, fuori luogo, credevo di essere sbagliata, pensavo che non fossi adatta e degna di stare al mondo. Stavo molto male, ma non avevo il coraggio di dire a nessuno la verità, mi portarono in un ospedale, sperando che i medici potessero trovare il modo di farmi tornare il sorriso.”

“Ci sono riusciti?”

“Non i medici, ma Bonifacio sì. Lo conobbi in quell’ospedale. Aveva intuito che io avevo dei poteri e mi è stato vicino. Io subito non mi fidavo, come di nessun altro, ma poi ho imparato che non dovevo avere paura di lui: lui era buono, lui era come me. Mi insegnò a non temere i miei poteri, ad apprezzarli, ad amarli, a capire che non mi rendevano un mostro, ma una persona speciale e unica. Mi ha fatto sentire apprezzata, accettata e io ero contenta.” Clara si era interrotta, come per dirsi di non rivelare troppo, poi proseguì: “Scoprii presto che lui era riuscito a rendere serene come me, molte altre persone dotate di poteri, me le fece conoscere e divennero i miei amici.”

“Giuseppe, Sara, Marco, Luigi, Lucia e gli altri che ogni tanto andiamo a trovare?”

“Sì, loro e moltissimi altri. Tutti quanti eravamo soli, tristi e disperati, ci odiavamo, poi è arrivato Bonifacio a portare luce nelle nostre vite, a rassicurarci, a dirci che non eravamo meno degli altri, anzi siamo qualcosa di più. Ci ha insegnato ad accettarci e a vivere una vita degna di questo nome.”

“È bravo Bonifacio, gli voglio bene!”

“Il lavoro, però, è ancora tanto da fare. Lui è riuscito a trovare solo una piccola parte di noi, ce ne sono molti altri per il mondo, che soffrono, vengono oppressi, maltrattati e anche uccisi. Bonifacio è riuscito a raccoglierci in piccole comunità, ma non può insegnare alle persone normali a non odiarci e ad accoglierci tra di loro. Questo spetta a te.”

“A me?”

“Sì, se lo vorrai, potrai. Vuoi?”

“Sì, certo, mamma! Tutti quanti devono essere felici e amici!”

Clara gli aveva sorriso di nuovo: “Allora ascolta Bonifacio, ti insegnerà lui, finché non sarai in grado di agire da solo.”

Gabriel aveva le lacrime agli occhi: quel ricordo lo aveva fortemente commosso.

Negli ultimi due anni, da quando aveva scoperto della profezia, si era spesso chiesto come sua madre fosse entrata in contatto col Candelaio, perché avesse accettato di entrare nella setta e collaborare fino a quel punto. Ora lo sapeva.

Non aveva mai immaginato che sua madre avesse subito una simile esperienza, tanto meno avrebbe supposto che Serventi l’avesse riportata alla felicità e, così come con lei, aveva fatto con molte altre persone.

Gabriel si rese conto di non aver mai compreso, fino a quel momento, gli intenti del Candelaio. Sì, gliene avevano parlato alla grigliata ma, allora, non aveva capito o non aveva voluto crederci. Adesso, invece, gli era chiaro e non poteva che condividere.

Cosa c’entrava, però, il rovesciamento della Chiesa con tutto ciò? Non lo sapeva e, sinceramente, non gli importava.

Ora, come quella sera della sua infanzia, sentiva che Bonifacio era nel giusto e lui voleva aiutarlo.

Gabriel rientrò nella villa e raggiunse gli altri, voleva parlare col padrone di casa, ma non voleva che Isaia sentisse: non era certo che l’amico avrebbe compreso, nonostante si fosse pacificato con la gente dotata di poteri.

Per fortuna, Isaia si era lasciato coinvolgere in una partita a bigliardo con Gaspare, mentre Bonifacio era seduto in poltrona dalla parte opposta, scambiando due parole con Temistocle. Gabriel gli si avvicinò e lo guardò. Serventi comprese e con un cenno congedò il figlio e fece accomodare Antinori vicino a sé.

“Allora, Gabriel, che cosa vuoi dirmi?”

“Voglio essere l’Eletto.”

“Lo sei già.”

“Posso scegliere se accettare di esserlo, oppure seguire altre strade. Io non sarò l’Eletto perché devo esserlo, lo sarò perché voglio esserlo. La mia è una libera scelta, non un subire la profezia.”

“D’accordo, a me non cambia nulla.”

Gabriel era un po’ esitante, in realtà non aveva un quadro chiaro della situazione, chiese: “Mi insegnerai a dominare il mio potere?”

“Mi risulta che tu abbia già iniziato a controllarlo, devi solo fare esercizio, anche perché ormai il tempo è alla fine.”

“In che senso?”

“Gli indugi sono rotti, presto tutto si compirà.”

Gabriel non capiva, avrebbe voluto saperne di più, ma Bonifacio si alzò in piedi e andò verso il tavolo da bigliardo.

La serata si protrasse ancora per un’oretta, poi Gabriel ed Isaia presero congedo e tornarono in Congregazione.

 

   
 
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