Gabriel
si svegliò di pessimo umore. Ancora una volta aveva sognato di essere insieme a
Claudia, che lei gli sorridesse, che assieme passeggiassero, tenendosi per
mano; aveva sognato gli abbracci, le carezze ed era immensamente felice,
appagato, sentiva di non aver bisogno di nient’altro … e poi si era svegliato e
aveva dovuto fare i conti con l’amara realtà. Ciò che lo stava rendendo tanto
felice era unicamente un’illusione e lui si trovava solo nel lettuccio di casa
sua.
Erano
diverse notti che sognava Claudia e ogni mattino quello era il suo risveglio.
Detestava le proprie giornate, non vedeva l’ora di poter dormire perché, almeno
lì, Claudia era ancora accanto a lui e lo amava e, soprattutto, lui poteva
amarla. Già, forse sarebbe stato disposto a rinunciare all’amore di Claudia, ma
di certo non poteva fare a meno dell’amore per Claudia. L’unica cosa che gli
dava forza era la speranza che lei tornasse o che, al meno, gli permettesse di
avvicinarsi di nuovo a lei. Ah, quante volte era stato tormentato
dall’indecisione! Chiamarla o non chiamarla? Scriverle una lettera? Mandarle
dei fiori? Non sapeva. Da una parte avrebbe voluto essere romantico, dall’altra
temeva di infastidire la donna ed essere tacciato di stalking.
Era tutto così dannatamente difficile!
Gabriel
si sforzò di alzarsi e prepararsi per andare in Congregazione, pensò al lavoro
che lo aspettava, alle pile di segnalazioni … d’improvviso gli venne il buon
umore: aveva voglia di trovare succubi da rispedire all’Inferno.
Si
stupì della violenza del proprio pensiero. Ricordò con orrore la sera in cui,
da semiubriaco, aveva massacrato quelle prostitute e avrebbe avuto voglia di
ucciderne ancora. Si sentì di nuovo orribilmente.
Forse,
la cosa migliore da fare era una confessione, confidare a qualcuno tutti i suoi
rimorsi, dubbi e problemi, ma a chi? Claudia non c’era più per lui. Isaia …
Gabriel aveva paura e si vergognava a parlarne con lui, non si aspettava un
tradimento da parte dell’amico, ma troppa severità. Quella severità e
disciplina che erano sempre mancate nella vita di Gabriel e a cui lui era
insofferente.
Ad
Alonso, invece, non aveva mai confidato nulla, al di fuori delle verifiche, per
cui non gli sembrava opportuno raccontargli tutto quanto. Stefano, invece, era
troppo giovane per poter essere suo confidente e, inoltre, doveva essere lui il
suo maestro e non viceversa.
Gabriel
si rassegnò a tenersi tutto dentro, d’altra parte era convinto che nessuno
potesse capirlo.
Antinori
andò in Congregazione, parlò con un paio di Monsignori del Direttorio, prese le
scartoffie dal suo ufficio e si mise a leggerle in biblioteca. Non gli piaceva
essere relegato nel proprio studiolo: in biblioteca c’era più gente e questo
gli teneva un po’ su il morale. Isaia aveva capito che l’amico aveva bisogno,
per cui si era messo anche lui a lavorare tra i banchi della biblioteca per
stargli vicino e fargli compagnia. C’era anche Stefano che ci teneva a stare
vicino al proprio maestro: gli era dispiaciuto molto vederlo stravolto, un paio
di giorni prima, alla villa di Serventi.
Erano
tutti immersi nelle loro ricerche, quando Gaspare fece il proprio ingresso in
biblioteca. Era come suo solito elegante e disinvolto.
Isaia,
vedendolo, si preoccupò un poco, interrogandosi sul motivo di quella visita.
Stefano si innervosì parecchio e dovette trattenere l’ira. Gabriel, invece, era
stupito e per nulla contento della presenza del fratello, soprattutto perché
gli era da poco tornata in mente la strage che gli aveva permesso di fare.
“Buongiorno!
Che facce severe!” commentò Gaspare, ironico, guardandoli “Nessuno è felice di
vedermi? Né il mio futuro cognato, né il mio fratellino?”
“Ehi,
com’è che il tuo rapporto con mia sorella si evolve a vista d’occhio?!” sbottò
Isaia, meravigliato.
“Quando
due anime si trovano, il tempo viene annullato. Ieri è stata adorabile, quando
ha detto che mi ama, con quel suo visetto tenero e dolce.”
Stefano
digrignò i denti e lo guardò con maggior ferocia e sentì l’orgoglio fremere:
lui l’aveva vista dolce e tenera senza bisogno di spezzarne lo spirito.
“Sono
qui per questo.” proseguì Gaspare “Io e Giuditta ci teniamo ad invitare i
nostri fratelli a cena, presso la villa di mio padre. Tutto sarà preparato da
lei.”
“Lei
è d’accordo?!” si meravigliò Stefano.
“Certamente;
mi ha detto che da tanto tempo ha voglia di organizzare una cena in grande
stile, ma non ne ha avuto l’opportunità.”
“Sì,
è vero.” confermò Isaia “Nostra madre le ha trasmesso questa passione.”
“Bene,
vi aspettiamo entrambi domani sera alle venti. Ci sarete, vero?”
“Veramente
…” tentò di dire Antinori.
“Isaia,
faccio affidamento su di te per portare Gabriel, mi raccomando!” lo interruppe
Gaspare, lasciando intuire al gesuita che si trattava di un ordine a cui non
poteva disobbedire.
“Isaia
non è tenuto a fare quel che gli dici tu e io non sono tenuto a fare ciò che mi
dice Isaia.” puntualizzò Gabriel, un po’ irritato, per nulla contento di
quell’invito e di quella disinvoltura e sicurezza.
Gaspare
gli lanciò un’occhiata molto eloquente e gli disse: “Fratellino, vieni,
facciamo due passi, voglio parlarti e preferirei che non ci siano altri e, credo,
lo preferisci anche tu.”
Gabriel
si alzò in piedi, si sforzò di sorridere, per non far insospettire o
preoccupare gli altri e rispose: “Certo, andiamo.”
I
due fratelli uscirono dal palazzo della Congregazione e, appena fu certo di non
essere sentito da conoscenti, Gabriel disse: “Io non voglio avere più nulla a
che fare, con te! L’ultima volta mi hai permesso di uccidere delle donne!”
“Erano
puttane e, se anche ti avessi riportato a casa, eri talmente arrabbiato che
saresti andato comunque, da solo, ad ammazzare donne, sicuramente in numero
maggiore, probabilmente anche brave ragazze. Ti ho assecondato, è vero, ma solo
per limitarti.”
Gabriel
rifletté su quelle parole e dovette ammettere che i ragionamento era
assolutamente logico.
“Piuttosto,
perché non pensi al fatto che ti ho permesso anche di vincere un mucchio di
soldi, quella volta?”
“Barando!”
protestò Antinori.
“Avresti
preferito lasciarli al proprietario del casinò, già schifosamente ricco?”
“Non
che io sia povero e ne abbia bisogno.”
“Che
cosa ne hai fatto di quei soldi?”
“Li
ho devoluti in beneficenza.”
“Ecco,
visto che si è fatto qualcosa di buono?”
“Che
cosa vuoi?” chiese seccato Gabriel.
“Nulla
di ché. Semplicemente voglio dirti che tengo davvero molto a che tu venga
domani sera alla cena.”
“Ci
penserò …”
“Davvero,
riflettici, abbiamo la possibilità di formare e consolidare una famiglia,
potremo essere uniti, contenti. Non mi risulta che Claudia abbia una famiglia
alle spalle. Certo, non metto in dubbio che tu, lei e vostro figlio, o i vostri
figli, sarete felici da soli, assieme … sì, sono sicuro che lei tornerà da te.
Immagina, però, la differenza nel festeggiare il Natale, o nell’andare in
vacanza tra voi soli o assieme a zii, cugini … Non sarebbe bello essere uniti?”
“Penso
di sì …” rifletté Gabriel, un po’ confuso: non si aspettava un simile
ragionamento e, senza dubbio, aveva toccato tasti per lui importanti: quello
della solitudine, quello della famiglia, famiglia numerosa.
“Allora
non sprecare questa opportunità! Non ti stiamo chiedendo chissà cosa,
semplicemente di venire ad una cena, fare due chiacchiere: che fatica ti costa?
Fa un tentativo, mal che vada avrai perso una serata, ma se dovesse andare bene
guadagneresti moltissimo.”
“Sei
un gesuita o un avvocato mancato?: la tua capacità di persuasione è davvero
eccellente. Verrò.” si rassegnò Gabriel, ma con un sorriso.
“Ho
una cosa per te.” disse l’uomo, frugandosi in tasca.
Tirò
fuori uno yo-yo di legno, vecchio, ma ben conservato, lo porse ad Antinori,
dicendogli: “Era un nostro gioco da bambini. L’ho conservato per ricordarmi di
te in questi anni in cui siamo stati separati, per sentirti vicino, ma ora che
possiamo essere di nuovo fratelli non ne ho più bisogno e voglio che lo riabbia
tu.”
Gabriel
si commosse, quasi pentito di avere pensato cose brutte su quell’uomo. Sentiva
l’affetto che gli voleva e gli faceva molto piacere, tanto che gli pareva
impossibile che fosse figlio anche di Serventi. Lo ringraziò di tutto cuore, si
fece dare i dettagli della cena e poi lo salutò per rientrare in Congregazione.
Tornando
in biblioteca, Gabriel era sorridente e, quindi, i suoi amici non gli fecero
domande. Si rimise al lavoro, ma non poteva fare a meno di pensare a quello
yo-yo, mentre leggeva le segnalazioni, involontariamente portava sempre la mano
alla tasca dove teneva il giocattolo.
Gabriel
sentiva crescere dentro di sé il desiderio di ricordare qualcosa, di sapere di
più di com’era stata la sua vita fino a dieci anni; qualcosa la sapeva già, ma
non era abbastanza.
Da
quando aveva deciso di lasciare la Chiesa e costruirsi una nuova vita con
Claudia, Gabriel aveva deciso di chiudere definitivamente col proprio passato,
di non pensarci più, essere totalmente un uomo nuovo. Non gli era stato però
permesso: ciò che era non lo poteva cambiare e il suo essere si portava dietro
il passato e molte altre conseguenze e implicazioni. Gabriel si rendeva sempre
più conto di non poter non essere l’Eletto. Lui aveva quei poteri, lui era
quella strana entità che non capiva, non poteva separarlo da sé, non poteva
rinunciarvi; l’unica cosa che poteva scegliere era come essere l’Eletto. Stava
finalmente capendo ciò che per molto tempo non gli era stato chiaro: il suo
dono non lo condizionava, ma gli dava delle opportunità esclusive, in lui stava
la scelta di quali usare, come e perché.
Era
questo che stava imparando, ultimamente, pur rimanendo comunque molto
spaventato dalla propria capacità di riuscire a comandare i demoni: quello
continuava a sembrargli qualcosa di oscuro.
Gli
era quindi tornato il desiderio di scoprire di più su di sé, sulla propria
infanzia e il regalo che gli aveva fatto Gaspare stava aumentando a dismisura
la sua curiosità, tanto che non riusciva a concentrarsi sul lavoro e i suoi
pensieri correvano al passato avvolto dall’oblio.
Un’ora
dopo aver visto il fratello, Gabriel aveva piantato il lavoro, per tornarsene
qualche ora a Villa Antinori, nella speranza di ricordare qualche cosa.
Appena arrivato, andò subito a dare un
saluto alle tombe dei genitori, da quando era morta sua madre non ci era più
tornato. Faticava a considerare quel luogo la propria casa, dato che non
ricordava nulla, spesso si dimenticava di possederla, per questo lui e Claudia
non erano andati ad abitare lì, nonostante qualche volta il pensiero di
inaugurare la nuova vita nella villa di famiglia lo avesse sfiorato.
Guardò le due lapidi dei genitori, che
erano come fantasmi per lui … fantasmi … ricordò che aveva visto lo spettro di
suo padre, cioè di Sebastiano Antinori, la prima volta che era tornato lì. Chissà
se il fantasma era ancora lì, chissà se Stefano, con la sua affinità con gli
spettri avrebbe potuto contattarlo, mettersi in comunicazione con lui.
Gabriel iniziò a sentirsi solo, era come
se per la prima volta realizzasse davvero nella sua mente che suo padre, sua
madre e suo zio fossero morti; si era sempre sentito orfano, privo della
famiglia, ma in quel momento si sentiva più che mai solo, aveva come la
consapevolezza che quelle poche persone che erano state testimoni del suo
passato non c’erano più e, non ricordando lui nulla, era come se per dieci anni
non fosse esistito.
No, non era del tutto così: non erano
tutti morti, rimanevano Serventi e Gaspare, non era certo il massimo, ma erano
i soli che conoscevano la sua infanzia, quella parte di vita così importante
per la formazione del carattere e dello spirito di una persona.
Gabriel andò nell’atrio davanti al
portone della villa, mise la mano in tasca per prendere le chiavi e sfiorò lo
yo-yo. Lo prese in mano, lo guardò ancora, sorrise; passò l’anellino di corda
nell’indice e iniziò a farlo salire e scendere: era così rilassante! Chiuse gli
occhi e gli parve di sentire delle risate risuonare nella sua mente; poi si
compose un’immagine del giardino che aveva effettivamente davanti a sé, ma era
innevato … era un ricordo: stava rivedendo e risentendo ciò che aveva vissuto
un tempo. Vide varie immagini: sua madre, suo padre e poi un altro bambino, con
cui stava facendo a pallate di neve: era forse Gaspare? Sì, ne era certo.
Iniziò a rivedere nella propria mente
vari momenti di sé stesso, da bambino, in quel giardino. Vi vide anche Serventi
e lo sentiva parlare.
Gabriel, le persone sognano la grandezza
e la gloria, tu ce l’hai alla tua portata. Non hai bisogno di desiderare alcunché,
perché ciò che vuoi lo puoi ottenere senza sforzo. Parla, ordina e il mondo
prenderà le forme che tu comandi.
Tutti i discorsi che Antinori iniziava a
ricordare erano di questo tipo.
Gabriel aprì gli occhi, rinfilò lo yo-yo
in tasca e finalmente entrò nella villa. Il flusso di ricordi, però, non lo
aveva abbandonato: ovunque si voltasse vedeva un frammento della propria
infanzia.
Cosa gli stava accadendo? Perché di
improvviso riusciva a ricordare?
Beh, dire che riuscisse a ricordare non
era corretto, poiché non era lui a deciderlo o a volerlo, bensì era investito
da quelle immagini e da quelle voci.
Non gli dispiaceva però, quella
situazione, anzi gli faceva molto piacere. Girovagò per la casa per oltre due
ore, ritornando anche più volte nelle stesse stanze per visualizzare ricordi
differenti. Era emozionato e felice, nonostante ancora non avesse una chiara
scansione temporale di quei fatti.
Aveva rivisto molti dei momenti con
Gaspare, loro madre, Sebastiano e Serventi.
Accidenti! Nell’arco di poche ore,
Gabriel ricordava perfettamente tutti loro, non erano estranei per lui, adesso
li sentiva estremamente vicini a sé. Era una sensazione strana: persone che
fino a poche ore prima erano sconosciute e per alcune delle quali provava
antipatia, d’improvviso gli erano diventate care, le sentiva come quelle che lo
avevano cresciuto, che gli avevano infuso coraggio, che lo avevano aiutato e
rassicurato; qualsiasi avversione avesse prima, ora si era dissolta.
Gabriel era molto confuso, non aveva
idea di come affrontare ora il Candelaio, ora che non riusciva più a vederlo
come un nemico e un pericolo. Effettivamente, però, alla grigliata, avevano
sancito, se non una pace, almeno una tregua e, comunque, Bonifacio non aveva
mai voluto fargli del male, ma soltanto spingerlo a fare qualcosa che a lui non
era ancora chiaro.
Gabriel decise di rimanere nella sua
villa per la notte e anche la mattinata successiva: sentiva il bisogno di
riordinare le idee e non era affatto semplice.
Si presentò in Congregazione dopo pranzo;
Isaia si era un poco preoccupato e come prima cosa volle accertarsi che tutto
andasse bene. Gabriel gli fece cenno al fatto di aver ricordato qualcosa, ma
non entrò nello specifico e rimase sul vago.
Il loro pomeriggio trascorse piuttosto
rapidamente e già alle 18 sospesero il lavoro per prepararsi alla cena da
Serventi, entrambi non sapevano se sospettare qualcosa, oppure attendersi un
serata tranquilla.
Arrivarono puntuali alle 20 e nella sala
d’ingresso trovarono Temistocle e Bonifacio che chiacchieravano, in attesa
degli ospiti. I due sopraggiunti si accomodarono, dopo qualche momento di
silenzio (Gabriel non voleva riconoscere di essersi ricordato della propria
infanzia), Serventi cominciò a parlare, qualche convenevole, qualche frase più
o meno studiata, rivolta ora a uno, ora all’altro. Non passarono dieci minuti
e, per fortuna, arrivò il maggiordomo ad informarli che la cena era pronta e si
poteva andare a tavola.
Si diressero tutti e quattro in sala da
pranzo, dove gli altri convitati erano già seduti attorno ad una tavola
rotonda, apparecchiata in maniera elegante ed impeccabile.
“Ben venuti. Presumo che mio padre vi
abbia già accolti a dovere, per cui non mi perdo in formalità, del tutto
sconvenienti in una situazione come questa.” esordì Gaspare “Fratellino, siedi
accanto a me e tu, Isaia, accomodati vicino a Giuditta, ad ogni modo troverete
il vostro segnaposto.”
Tutti i commensali presero posto e
iniziarono a sbocconcellare. Per antipasto tartine e bruschette con condimenti
di vario tipo: pomodori, funghi, paté d’olive, salume, lardo e salmone. C’era
un certo silenzio, dettato dal fatto che né Gabriel, né Isaia si sentissero
propriamente a loro agio. Gaspare, allora, si diede da fare per riuscire a
imbastire qualche conversazione e, citando ora il tal fatto, ora la tal frase,
riuscì ad avviare un dialogo tra i presenti.
Finiti gli antipasti, Giuditta portò via
i vassoi e i piattini in cui si era sbriciolato. Isaia fu sorpreso di questo:
credeva ci sarebbero stati dei camerieri come la volta precedente.
Giuditta tornò con una teglia di
lasagne, servì tutti i commensali, tornò in cucina ad appoggiare il tegame e
poi si rimise a sedere con gli altri e si mise a mangiare anche lei. Fu allora
che, dopo un paio di sguardi scambiati con Gaspare, Annibale domandò: “Giuditta, ma sei sicura di aver
messo tutto nel ragù?”
“Sì,
certo!” rispose sicura la donna, che poi si preoccupò: “Perché?”
“Non sa di niente.” sentenziò
Annibale, posando la forchetta, lasciando il piatto quasi pieno.
“Non può essere. Ho seguito la ricetta
ed è un piatto che cucino da anni..!” la ragazza era certa di aver eseguito
tutto correttamente e, quindi, quella critica la stava spiazzando molto e la
spaventava.
Gaspare, con tono tranquillissimo,
quasi gioviale, la guardò e le disse: “Invece sì che può essere, Giudittina. Concordo con Annibale: l'ingrediente chiave
della lasagna, ovvero il ragù, non sa di niente, speravo fosse solo una mia
impressione e, invece ... grazie al Cielo gli altri sono stati così gentili da
non lamentarsi.” sospirò deluso “Dov'eri con la testa, mentre cucinavi?”
La donna
fissava il vuoto, cercando di capire che cosa avesse sbagliato.
Isaia, invece, era esterrefatto:
quelle lasagne erano ottime! Trovava estremamente ingiusto quel rimprovero.
Gabriel, al contrario, anche se non
aveva nulla da ridire sul cibo, trovava estremamente godibile quel rimprovero.
Da quando era rispuntata fuori, quella ragazza non aveva fatto altro che
criticarlo e trattarlo come un incompetente, per cui decise di togliersi lo
sfizio di osservare: “So che ti è difficile da credere, Giuditta, ma anche tu
hai dei limiti e delle attività in cui sei incapace.”
Intanto,
Gaspare, con fare pentito, proseguì: “Evidentemente, la sola idea di cucinare
una gran cena ti ha montato la testa, distraendoti dai fornelli. Infatti,
guarda come hai ridotto questo povero ragù, per non parlare della sfoglia che,
al contrario, è troppo salata. Le spezie esistono, cara mia, e son fatte
apposta per insaporire il cibo e il sale va dosato per evitare che faccia
salire la pressione alle stelle.” sospirò nuovamente “Forse, ho sbagliato a
lasciarti da sola in cucina, infondo sei solo una ragazzina, avresti avuto
bisogno di una guida, nonostante siano ricette semplicissime.” scosse il capo,
poi con tono severo, come se fosse stato ferito, spiegò: “Sai, tengo moltissimo
al fatto che questo piatto sia preparato nel migliore dei modi: è il mio
preferito e anche perché mi ricorda mia, anzi” appoggiò una mano sulla spalla
di Gabriel “Nostra madre. Perché mi sono illuso che tu ne fossi all’altezza?
Ecco come rovinare una cena e mettere tutti di cattivo umore. Pur non
portandoti fuori, sei riuscita a farmi vergognare.”
Isaia era
furioso: come si permetteva, quell’uomo, di umiliare sua sorella in quella
maniera e senza un concreto motivo, per di più! L’ira non lo alterò, rimase
calmo, ma con voce glaciale e terribile disse: “Ora basta, Gaspare. Rispetta
mia sorella, specialmente in mia presenza. Ora lasciala in pace ...”
Giuditta posò una mano sul braccio del
fratello e lo interruppe: “No, Isaia, lui ha ragione.”
“Ma ...”
“Questa è stata la prima volta che ho
preparato io la besciamella, anziché usare quella già pronta, ho sbagliato nel
farla. Abbiamo invitato della gente a cena e non sono stata capace di offrire del
buon cibo: lui ha perfettamente ragione a sgridarmi.”
Gaspare la guardò con dispiacere,
questa volta sincero: non gli piaceva vederla così triste, soprattutto perché
sapeva bene che lei era stata brava. Riaffiorò però subito il piacere della
consapevolezza di essere lui a poter decidere dell’umore della giovane. Assunse
un tono severo e le ordinò: “Adesso, in piedi e chiedi scusa a tutti per il
guaio che hai combinato, signorinella.”
Giuditta si alzò, era estremamente
mortificata per non aver saputo soddisfare il palato degli ospiti e aver deluso
Gaspare, oltre ad aver fatto fare brutta figura anche a lui. Con le lacrime
agli occhi, disse: “Vi … Vi chiedo scusa per gli errori che ho fatto con le
lasagne. Starò più attenta, la prossima volta.”
Isaia era truce in volto: ecco come
erano gli equilibri in quel rapporto! E forse ciò era avvenuto proprio a causa
sua, quando aveva consigliato alla sorella di abbandonasi a quell’uomo.
Gabriel, dopo aver visto quella scena,
si pentì e si vergognò per ciò che aveva detto poco prima.
Gaspare fece un cenno di soddisfazione
con la testa, fece sedere la ragazza e disse: “Per questa volta passi, ma se si
ripeterà ti farò cucinare tutto di nuovo. Ricorda che il cucinare è una forma
d’amore.”
La
cena proseguì e si concluse, per fortuna, senza altri inconvenienti, anzi, sia
Gabriel che Bonifacio si complimentarono per il dolce.
La
sera proseguì, spostandosi tutti quanti nel salotto col tavolo da bigliardo,
qualcuno si mise a giocare, altri si sedettero sui divani a chiacchierare,
tutti sorseggiando qualche liquore, offerto dal padrone di casa. A loro si unì
anche Jacopo, lamentandosi di non essere stato invitato alla cena; prese una
stecca da bigliardo e del cognac e si comportò con la sua solita rozza
naturalezza.
Dopo
una mezzoretta, Gaspare invitò Gabriel a fare due passi all’aperto.
“Sei
stato molto severo con Giuditta, prima.” Gabriel aveva spezzato un lungo
silenzio con quell’osservazione “In realtà, le lasagne mi sembravano ottime.”
“Può
essere, ma lei ha bisogno di essere tenuta in riga. Hai ben notato anche tu che
i suoi difetti sono l’orgoglio e la superbia, per cui è bene che le si faccia
notare ogni errore. È per il suo bene, capisci? Da quando è qui, ha fatto passi
da gigante.”
“Ho
visto, non mi pareva neppure lei! Sono contento che tu le abbia insegnato
l’umiltà. Voi, quindi, vi amate?”
“È
la mia donna, sì, tuttavia non ti importa di questo. C’è altro di cui vorresti
parlarmi, ma non sai come cominciare, vero?”
Gabriel
si sorprese e chiese: “Cosa te lo fa pensare?”
“È
palese. Emani titubanza come un faro. Dimmi tutto.”
Antinori
sospirò, insicuro, guardò il fratello e lo trovò rassicurante, per cui sospirò
ancora e iniziò a dire: “Ieri, dopo che ci siamo visti, ho iniziato a ricordare
alcune cose … però non so che dire.”
“Non
ti è sorta nessuna domanda?”
“No
… anzi, forse solo una: perché, dopo la caduta dal tetto, Bonifacio ha deciso
di sparire e portarsi via anche mia madre e te? Perché ha voluto che restassi
solo?”
“Eh
… glielo chiesi anch’io, a suo tempo non capivo. Per essere breve, mio padre
temeva che con una vita normale tu non sentissi la vocazione per la Chiesa. Lui
non crede nell’esistenza degli uomini di Dio, lui vede nel clero solamente
uomini avidi e bramosi di potere, oppure disperati in cerca di una fuga o conforto.
Un’inclinazione del primo tipo non sembrava consentire il realizzarsi della
profezia, per cui mio padre ritenne opportuno farti sentire solo, reietto quasi
… per fortuna non c’è riuscito o, per lo meno, adesso tu non mi pari certo
così.”
“Beh,
l’adolescenza non è certo stata semplice, tuttavia l’ho superata e ormai sto
benissimo da parecchi anni. Avevo, inoltre, accanto a me Demetrio e poi anche
Isaia a sostenermi.”
“Beh,
cos’hai ricordato? Nostra madre l’hai vista?”
“Sì,
è stato stupendo. Ho ricordato anche momenti con Bonifacio e i suoi
insegnamenti. Ecco, quando ho perso la memoria, non gli è dispiaciuto ch’io
scordassi tutto ciò che mi aveva trasmesso?”
“No,
questo no. Mio padre è convinto che ti sia tutto rimasto a livello inconscio e
che ti abbia lo stesso influenzato. Per questo è convinto che tu finirai col
dargli ragione … evidentemente non si rende conto che una persona, in
venticinque anni, cambia.”
Gaspare
parlava per rassicurare Gabriel, per mostrarsi disinteressato alla faccenda della
profezia, per non mettergli pressione addosso e farlo sentire tranquillo e,
soprattutto, libero.
“Sono
felice di averti reincontrato e di essermi ricordato
di te.” Gabriel era un poco commosso “In un certo senso mi sento meno solo.”
“Non
dovresti sentirti solo: hai molti amici, da quello che ho potuto vedere.”
Gabriel
sospirò: “Mah, diciamo che sono socievole, parlo tranquillamente con moltissime
persone, mantengo vivi i rapporti ma … è sempre tutto molto superficiale, o
almeno così mi sembra. Gli altri si confidano con me, io invece non ci riesco.
Solo con Isaia e Claudia riesco un po’ a mostrare la mia anima e nemmeno per
intero.”
“Evidentemente
hai paura, o di te stesso o degli altri, temi che il confidarti possa in un
qualche modo farti male. Scusa se mi intrometto, ma temi il loro
allontanamento, nell’apprendere qualcosa di te, oppure che loro usino contro di
te le tue confidenze?”
“Non
ne ho idea, non ci ho mai pensato. Forse anche perché Demetrio, l’unico con
cuoi parlassi, non mi ha mai dato ascolto e ha sempre cercato di manipolarmi,
anche se me ne sono reso conto molto tardi.”
“Perché
me ne parli?”
“Beh,
con te è diverso, tu sei mio fratello. È strano, ma ora che mi ricordo di te,
mi viene spontaneo parlarti a cuore aperto.”
“Mi
fa senza dubbio piacere, penso, però che anche i tuoi amici meritino questa tua
fiducia, forse più di me, poiché ti sono stati vicini in tutti questi anni.”
Gabriel
sorrise: Gaspare era davvero una brava persona.
“Pensi
davvero quello che hai detto ieri? Che potremmo davvero sentirci una famiglia,
tutti assieme?”
“Certo,
perché no?”
“Chissà
che ne penserà Claudia, quando riuscirò a pacificarmi con lei e glielo dirò.”
Gabriel si sforzò di ridere, nonostante il solo pensiero di essere lontano
dalla donna lo rattristasse.
“Capirà
e, quando ci avrà conosciuto meglio, ne sarà contenta. In fondo, nostra madre,
credeva profondamente in lei e nel vostro amore, giusto? Si metterà tutto a
posto, ne sono certo.”
Ci
fu un momento di silenzio, poi Gaspare disse: “Adesso sarebbe meglio rientrare,
almeno per me che ho organizzato la serata. Se tu vuoi restare ancora un poco a
pensare, fa pure.”
Gabriel
annuì e restò solo nel giardino. Quella serata gli stava davvero piacendo e lui
per la prima volta da molti giorni si sentiva finalmente piuttosto tranquillo.
Guardò il paesaggio attorno a sé, sentì la brezza … gli venne in mente un altro
ricordo.
Gli
tornò alla mente una gita fatta per il suo nono compleanno. Erano andati in
montagna, avevano fatto una bella escursione nei boschi e poi erano andati in
uno chalet, dove avevano cenato con pietanze prelibate e avevano mangiato la
torta, la sua preferita, quella con la crema di burro e caffè con le mandorle
tritate; lui aveva poi aperto i regali … C’erano sua madre, Demetrio, Gaspare e
Bonifacio. Mancava suo padre … o, per correttezza, Sebastiano Antinori.
All’epoca era morto da un paio di mesi. Gabriel ricordava che in quel periodo
ne sentiva terribilmente la mancanza e che soffriva parecchio. Infatti non
riusciva ad essere felice neppure per il compleanno e per quella splendida
festa. Sua madre l’aveva capito e gli si era avvicinata per parlargli e lui le
aveva confidato tutta la sua tristezza.
“Piccolo
mio, so che è difficile, anch’io sono molto triste per papà, ma non per la sua
morte, bensì per la sua debolezza. So che non dovrei parlare male di lui
davanti a te, ma devi capire. Sia io che te gli volevamo bene e anche lui ce ne
voleva, ma non riusciva a capire …”
“Che
cosa mamma?”
“Che
tu non sei figlio nostro, ma figlio del mondo. Tu sei l’Eletto, lo sai.”
“Sì,
Bonifacio lo dice sempre … ma che cosa vuol dire?”
“Vuol
dire che sei speciale, che hai dentro di te la possibilità di fare qualsiasi
cosa.”
“Davvero?”
“Sì
e questo è un dono che non devi assolutamente sprecare. Ci sono molti uomini
che potrebbero essere grandi, ma che per pigrizia, paura, ignoranza, egoismo o
altro non mettono a frutto le proprie capacità e rimangono piccoli. Sarebbe un
vero peccato se anche a te capitasse così. Tu puoi essere il più grande di
tutti, un leader impareggiabile, se accetterai di essere ciò che sei.”
Gabriel
bambino si era soffermato a pensare e poi aveva chiesto: “È come dice lo zio
Demetrio? Lui parla spesso della parabola dei servi a cui il padrone aveva dato
dei talenti e quando è tornato si è complimentato con chi li aveva messi a
frutto e aumentati e si è arrabbiato con quello che non li aveva impiegati.”
“Sì,
è proprio così!” gli aveva sorriso Clara “Devi mettere a frutto i tuoi talenti
e ogni cosa sarà tua.”
“Io,
però, ho paura.”
“E
di cosa, piccolo mio?”
“Dei
miei poteri … voi mi dite che sono belli, mi dite bravo quando
riesco ad usarli, però mi dite che non devo usarli quando non ci siete. Una
volta che mi è capitato, i miei compagni di classe si sono spaventati e poi mi
hanno preso in giro … è stato Gaspare a farli smettere. Io non capisco, sono
buoni? O sono un mostro come dicevano i miei compagni? Cosa sono? Papà si è
ucciso per questo?”
“NO!
Non lo devi pensare, MAI! Tu sei straordinario e va bene così! I mediocri, gli
incapaci invidiano e hanno paura delle persone migliori e quindi le insultano e
cercano di tenerle il più in basso possibile. Tu sei nato ad essere grande, la
gente cercherà di ostacolarti, non vorranno che tu sbocci, forse tenteranno
anche di eliminarti, ma tu non devi aver paura, devi credere in te, avere
fiducia nei tuoi poteri, poiché essi sono la tua forza, il tuo talento, e ti
permetteranno di realizzarti. Sono i tuoi migliori alleati, non temerli e non
dare retta a chi ti vuole impedire di essere grande. Il mondo è per te e tu sei
per il mondo: tu sei l’Eletto.”
“Ma
io non so controllare i miei poteri … fanno da soli.” il piccolo Gabriel era
rattristato.
“Sei
ancora un bambino, crescendo imparerai. Bonifacio è qui per aiutarti, lui ti
vuole bene, lui vuole che tu raggiunga il massimo delle tue potenzialità. Ti
insegnerà come attingere ai tuoi poteri e a domarli. Bonifacio ha a cuore la
gente come noi, vuole renderci liberi, vuole che non siamo più costretti a
nasconderci. Tu lo aiuterai? Quando sarai grande, lo aiuterai a combattere per
la libertà e la felicità di tutte le persone con dei poteri?”
“Sì!”
le aveva sorriso Gabriel, entusiasta; poi chiese incuriosito: “Ma tu come lo
hai conosciuto? Eravate amici da piccoli come io e Gaspare?”
Clara
aveva sospirato e, dopo aver guardato un poco il vuoto, rispose: “No. L’ho
conosciuto circa una quindicina d’anni fa, prima di papà. Anch’io ero
spaventata dai miei poteri, mi sentivo triste, sola, fuori luogo, credevo di
essere sbagliata, pensavo che non fossi adatta e degna di stare al mondo. Stavo
molto male, ma non avevo il coraggio di dire a nessuno la verità, mi portarono
in un ospedale, sperando che i medici potessero trovare il modo di farmi
tornare il sorriso.”
“Ci
sono riusciti?”
“Non
i medici, ma Bonifacio sì. Lo conobbi in quell’ospedale. Aveva intuito che io
avevo dei poteri e mi è stato vicino. Io subito non mi fidavo, come di nessun
altro, ma poi ho imparato che non dovevo avere paura di lui: lui era buono, lui
era come me. Mi insegnò a non temere i miei poteri, ad apprezzarli, ad amarli,
a capire che non mi rendevano un mostro, ma una persona speciale e unica. Mi ha
fatto sentire apprezzata, accettata e io ero contenta.” Clara si era
interrotta, come per dirsi di non rivelare troppo, poi proseguì: “Scoprii presto
che lui era riuscito a rendere serene come me, molte altre persone dotate di
poteri, me le fece conoscere e divennero i miei amici.”
“Giuseppe,
Sara, Marco, Luigi, Lucia e gli altri che ogni tanto andiamo a trovare?”
“Sì,
loro e moltissimi altri. Tutti quanti eravamo soli, tristi e disperati, ci
odiavamo, poi è arrivato Bonifacio a portare luce nelle nostre vite, a
rassicurarci, a dirci che non eravamo meno degli altri, anzi siamo qualcosa di
più. Ci ha insegnato ad accettarci e a vivere una vita degna di questo nome.”
“È
bravo Bonifacio, gli voglio bene!”
“Il
lavoro, però, è ancora tanto da fare. Lui è riuscito a trovare solo una piccola
parte di noi, ce ne sono molti altri per il mondo, che soffrono, vengono
oppressi, maltrattati e anche uccisi. Bonifacio è riuscito a raccoglierci in
piccole comunità, ma non può insegnare alle persone normali a non odiarci e ad
accoglierci tra di loro. Questo spetta a te.”
“A
me?”
“Sì,
se lo vorrai, potrai. Vuoi?”
“Sì,
certo, mamma! Tutti quanti devono essere felici e amici!”
Clara
gli aveva sorriso di nuovo: “Allora ascolta Bonifacio, ti insegnerà lui, finché
non sarai in grado di agire da solo.”
Gabriel
aveva le lacrime agli occhi: quel ricordo lo aveva fortemente commosso.
Negli
ultimi due anni, da quando aveva scoperto della profezia, si era spesso chiesto
come sua madre fosse entrata in contatto col Candelaio, perché avesse accettato
di entrare nella setta e collaborare fino a quel punto. Ora lo sapeva.
Non
aveva mai immaginato che sua madre avesse subito una simile esperienza, tanto
meno avrebbe supposto che Serventi l’avesse riportata alla felicità e, così
come con lei, aveva fatto con molte altre persone.
Gabriel
si rese conto di non aver mai compreso, fino a quel momento, gli intenti del
Candelaio. Sì, gliene avevano parlato alla grigliata ma, allora, non aveva
capito o non aveva voluto crederci. Adesso, invece, gli era chiaro e non poteva
che condividere.
Cosa
c’entrava, però, il rovesciamento della Chiesa con tutto ciò? Non lo sapeva e,
sinceramente, non gli importava.
Ora,
come quella sera della sua infanzia, sentiva che Bonifacio era nel giusto e lui
voleva aiutarlo.
Gabriel
rientrò nella villa e raggiunse gli altri, voleva parlare col padrone di casa,
ma non voleva che Isaia sentisse: non era certo che l’amico avrebbe compreso,
nonostante si fosse pacificato con la gente dotata di poteri.
Per
fortuna, Isaia si era lasciato coinvolgere in una partita a bigliardo con
Gaspare, mentre Bonifacio era seduto in poltrona dalla parte opposta,
scambiando due parole con Temistocle. Gabriel gli si avvicinò e lo guardò.
Serventi comprese e con un cenno congedò il figlio e fece accomodare Antinori
vicino a sé.
“Allora,
Gabriel, che cosa vuoi dirmi?”
“Voglio
essere l’Eletto.”
“Lo
sei già.”
“Posso
scegliere se accettare di esserlo, oppure seguire altre strade. Io non sarò
l’Eletto perché devo esserlo, lo sarò perché voglio esserlo. La mia è una
libera scelta, non un subire la profezia.”
“D’accordo,
a me non cambia nulla.”
Gabriel
era un po’ esitante, in realtà non aveva un quadro chiaro della situazione,
chiese: “Mi insegnerai a dominare il mio potere?”
“Mi
risulta che tu abbia già iniziato a controllarlo, devi solo fare esercizio,
anche perché ormai il tempo è alla fine.”
“In
che senso?”
“Gli
indugi sono rotti, presto tutto si compirà.”
Gabriel
non capiva, avrebbe voluto saperne di più, ma Bonifacio si alzò in piedi e andò
verso il tavolo da bigliardo.
La
serata si protrasse ancora per un’oretta, poi Gabriel ed Isaia presero congedo
e tornarono in Congregazione.