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Autore: Emily Liddell    08/10/2014    0 recensioni
Daisuke è un ragazzo indipendente che fugge da un delitto compiuto contro la sua volontà e si chiude in se stesso. Sakura è una ragazza apparentemente affetta da psicosi che cerca di riprendersi la sua vita.
I due coetanei sono destinati a incontrarsi in un mondo distorto dalle emozioni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Misi i vestiti sporchi in una busta e portai tutto in lavanderia. Scelsi il lavaggio da effettuare, e quando dall’enorme oblò della lavatrice metallica iniziarono a vedersi gli indumenti che giravano dentro la cesta in acciaio, mi misi a sedere. Mi ero portato un libro per studiare visto che il lavaggio avrebbe richiesto diverse decine di minuti. Due donne, probabilmente casalinghe, erano sedute davanti a me e scambiavano sottovoce, a testa bassa, qualche chiacchera. Ogni tanto una delle due alzava la testa e mi guardava, poi tornava a parlare con l’altra donna. Portavano entrambe t-shirt a maniche corte e gonne lunghe fino alle ginocchia. Entrambe avevano dei sandali con la zeppa in sughero. Sembravano essersi messe d’accordo la mattina stessa per uscire vestite all’unisono. Però fisicamente erano molto diverse. Una di loro aveva i capelli neri, tagliati corti e sulla fronte si poggiava una frangetta irregolare. Il viso, seppur la cui pelle appariva luminosa e idratata, non era appesantito dal trucco eccessivo. Portava un po’ di mascara e nient’altro. Era magra e portava una fede all’anulare sinistro. L’altra era più paffuta, aveva i capelli tinti color rame che teneva lunghi fino alle spalle. Gli occhi erano appesantiti da troppo trucco e le sopracciglia erano disegnate in modo molto marcato dando loro una forma originale e bizzarra. Non portava nessun anello al dito. Sembravano un duo comico.
Ma non mi soffermai molto a guardarle e a dar loro considerazione, così mi rimisi sul mio libro di inglese. Non ero una cima in inglese, non mi era mai piaciuta come lingua e non avevo una bella pronuncia. Studiavo il minimo indispensabile. Per ora non era tra le mie opzioni trasferirmi all’estero o fare la guida per turisti americani chiassosi.
“Ma se la polizia dovesse trovarmi, io resterò per sempre in Giappone?” pensai di colpo. Avevo una fitta al cuore. Se avessero scoperto ciò che avevo fatto, chissà come avrei passato il resto dei miei giorni. Scappare all’estero non se ne parlava. Non ero ricco e vivevo di una piccola eredità e di un stipendio da quattro soldi e ciò che guadagnavo lo risparmiavo per l’università e magari per qualche breve viaggio con gli amici.
Ma se dovessi scappare?
Il rombo della lavatrice sovrastò i bisbigli delle donne, tanto che iniziarono a parlare un po’ più forte. Stavano parlando di uno show televisivo comico andato in onda la sera prima. Io deglutì e strinsi con forza il libro di inglese, acciaccando le pagine che tenevo aperte. Seppur il rumore provocato dalle lavatrici era molto forte, la stanza mi apparve come ovattata. Le due donne sembravano pesci che boccheggiavano e dalle loro bocche non usciva il minimo suono. Mi sentivo solo al mondo. Era una sensazione terribile: era come se il mondo avesse iniziato a crollare, silenziosamente e lentamente. Era una situazione che si faceva sempre più pesante. La mia mente era attraversata da pensieri senza senso e da immagini della scena del giorno prima. L’uomo che si accascia a terra, ricoperto da una pozza di sangue. Il gatto che si avvicina col passo felpato. La vita oltre la viuzza che continuava a scorrere indisturbata. O meglio, il tempo continuava a scorrere indisturbato.
Quella mattina avevo acceso la radio per ascoltare i notiziari, ma non si accennò a nulla di simile e questa cosa mi procurò molto sollievo. Ma prima o poi si sarebbe scoperto.
Avevo gettato il coltello in un tombino lontano dalla scena del delitto. Forse nessuno l’avrebbe trovato, ma il senso d’ansia mi provocava una fitta allo stomaco tanto da farmi girare la testa.
Quando la lavatrice ebbe finito il lavaggio, le due donne sedevano ancora nella stessa posizione a chiacchierare di programmi tv di cui non avevo mai sentito parlare.
Dopo aver svuotato il cesto della lavatrice (per non destare sospetto, avevo messo a lavare altri indumenti come biancheria sporca e t-shirt), misi il tutto nell’asciugatrice e mentre aspettavo cercai di concentrarmi sul libro di inglese che mi ero portato.
Dopo che i vestiti si erano asciugati, misi tutto in un sacco che avevo preparato prima di andare e me ne andai. Uscito dalla lavanderia, alzai gli occhi al cielo, in cerca di qualcosa che non riuscivo a trovare.
Eppure continuavo ad osservare quel cielo denso di gas di scarico, tipico delle metropoli. Quel giorno faceva davvero caldo.
 
Le macchie erano andate via e la camicia sembrava come nuova. Evidentemente i consigli che avevo letto su internet e il lavaggio avevano fatto il loro dovere. Tirai un sospiro di sollievo e piegai gli indumenti. Dopo di che preparai l’acqua per un cup-ramen e nel mentre mi cambiavo. Mi guardai allo specchio che tenevo appeso in bagno, restando solo coi pantaloni addosso. Negli ultimi tempi mi guardavo spesso allo specchio. Mi sembrava che ogni mese crescessi sempre di più. Non facevo palestra, eppure avevo un corpo in forma e non avevo grasso superfluo. Gli unici esercizi erano quelli di stretching per i quali dedicavo dai dieci ai venti minuti al mattino. Mi aiutavano a non avere, o per lo meno diminuire, il mal di schiena (soprattutto quando lavoravo) e subito dopo aver fatto qualche esercizio, trovavo persino sollievo a livello psicologico, anche se non si poteva definire un allenamento vero e proprio. Con la punta del dito scorrevo lungo gli addominali, contandoli. Non erano pronunciati, ma si vedevano rendendo la mia figura quasi atletica.
Dopo che l’acqua iniziò a bollire, versai il contenuto nel contenitore e iniziai a mangiare. Un’altra cosa che mi stupiva del mio fisico, era il fatto che pur non mangiando in modo sano e regolare, non riuscivo ad ingrassare. Ero in forma, ma mangiavo spesso cibi spazzatura, visto che abitando da solo non avevo voglia di cucinare niente. Probabilmente era per via della nicotina che diminuiva il senso di fame, seppur non fumavo molto e cioè quattro o cinque sigarette al giorno. C’erano dei giorni in cui neppure fumavo. Il corpo, seppur oramai abbastanza sviluppato, restava per me un mistero.
Buttai il contenitore nella spazzatura, mi sistemai i capelli e presi portafogli, lettore mp3, chiavi, cellulare, sigarette e occhiali da sole.
Ogni volta che uscivo dall’appartamento avevo come un senso di vuoto e di timore. Mi tornava sempre alla mente che non ero colpevole concretamente della morte di mio padre, ma una parte di me credeva di averlo ucciso. Una sensazione che durava oramai da tre anni. Aprivo la porta e pensavo a quando avevo trovato mio padre con una corda al collo. Ma poi, dopo aver varcato la soglia, entravo in un mondo a me estraneo. Un’emozione nata da una serie di pensieri, fatti da paranoie e –inutili- sensi di colpa, che mi offuscavano la mente e che mi facevano tremare le mani. Dopo aver varcato la soglia mi pareva di cadere nel vuoto, esattamente come accadeva nel sogno a mia madre. Alla fine, però, era una sensazione che durava non più di qualche secondo, anche se la vivevo molto intensamente.
 
Dopo circa un’ora e mezza di viaggio, quando arrivai erano circa le dodici e quaranta.
Il quartiere dove abitava Arata era pulito e tranquillo. Egli viveva in un appartamento al terzo piano di un  palazzo di circa sei piani che si trovava infondo alla strada, di costruzione recente. Non era imponente ma visto dal basso appariva alto e grosso. Suonavo al campanello ma nessuno rispondeva. Dopo qualche minuto rispose una voce.
- Chi è? – la sua voce attraverso il microfono appariva più rauca
- Arata, sono Daisuke.
- Aspetta che ti apro. 
Quando riagganciò la cornetta, si sentì dal citofono un rumore sordo.
Il portone si aprì, salii le scale fino ad arrivare al terzo piano. Arata era sdraiato sul tatami a bere birra e Kamiya stava spaparanzato sul divano color beige che si trovata al centro del salotto. La radio in cucina era accesa. Arata era in blue jeans e canotta nera. Kamiya portava dei bermuda con fantasia militare e una t-shirt bianca neutra.
- Sembra un pigiama party.
- Shimizu, invece che fare lo spiritoso entra e chiudi la porta. – disse Arata scolandosi l’ultimo goccio di birra rimasto nella lattina che teneva in mano.
- Sei già ubriaco?
- Solo un po’. Ho bevuto tre lattine di birra, ma non sono del tutto brillo. Vero Kamiya?
- Ma se prima ti sei messo a contare quante dita dei piedi hai, perché eri sicuro di averne perso uno.
- Bisogna sempre controllare se si perdono o meno le dita dei piedi.
- Ho capito. – risposi ridacchiando
Alzai gli occhiali sulla fronte ed estrassi il cellulare dalla tasca.
- Vi devo fare una foto. Siete davvero divertentissimi.
- Shimizu Daisuke, se lo fa l’arresto.
- Te l’ho detto che è andato! – rispose Kamiya facendo cerchi nell’aria col dito.
- Kamiya, avresti potuto controllarlo.
- Io sono arrivato circa trenta minuti fa e si stava scolando la seconda lattina. Era già mezzo ubriaco.
- Shimizu, ma perché porti gli occhiali da sole in casa? Facci vedere i tuoi bellissimi occhi, uh uh.
Io e Kamiya scoppiammo a ridere. Avevo preso una lattina di birra dal frigo e mi sedetti sul divano, vicino a Kamiya. Arata continuava a stare steso sul tatami a pancia in su. 
- Fa fresco per terra?
- Molto.

Passammo il pomeriggio a bere birra, fumare e giocare alla play station. Le ore passavano velocemente. Arata ogni tanto aveva sforzi di vomito e alla fine riuscì a rimettere. Dopo essersi dato una sistemata, pulì la stanza, gettando le lattine sparse un po’ ovunque passando la scopa e si mise a giocare con me e Kamiya a Final Fantasy alla play station.
Mentre giocavo, mi tornava alla mente la figura di me stesso a dodici, tredici anni.
 
Ero sempre stato un ragazzo di poche parole, anche se riuscivo ad andare d’accordo con tutti. All’età di tredici anni mi dovetti trasferire in un’altra scuola media, perché un professore mi aveva accusato ingiustamente di aver partecipato ad una rissa. Mio padre per non creare altra confusione mi iscrisse in un altro istituto.
La nuova scuola media era diventata parte di me. Le persone erano più cordiali e i professori meno severi. Era stato in quella scuola che avevo conosciuto il mio primo amore.
 
Erano circa le sei di sera, quando qualcuno bussò alla porta. Fece qualche colpo, poi chiamò il nome di Arata.
Erano circa le sei di sera, quando qualcuno bussò alla porta. Fece qualche colpo, poi chiamò il nome di Arata.
- Chi è? – chiesi sorpreso.
- È il fattorino delle pizze. L’ho chiamato quando eri andato in bagno. Scommetto che avete fame. Io non so cucinare quindi vi accontentate della pizza. – rispose Arata ridacchiando.
- Ma dopo aver vomitato, come ti passa per la testa ingozzarti di pizza?
- Allora non mi conosci bene. E poi oramai sono passate circa due ore da quando ho vomitato.
Arata si alzò, prese il portafoglio dalla giacca appesa all’entrata e pagò il fattorino. Era un ragazzo probabilmente della nostra età se non con qualche anno in più. Era alto e un po’ in carne. Il viso era paffuto e sulla fronte scendeva qualche goccia di sudore.
Il ragazzo salutò con un inchino, Arata gli sorrise e chiuse la porta.
- Funghi e prosciutto.
- Sul serio, ma come ti va?
- Arata è ancora un mistero. – rispose Kamiya che continuava a giocare alla play station.
La pizza non era affatto male. Arata aveva ordinato due pizze, cosicché ognuno avrebbe potuto mangiare più di una fetta nel caso avesse voglia. La birra era quasi finita e ci dovemmo accontentare di quella tenuta in dispensa, oramai tiepida e meno dissetante.
Quando Kamiya finì di giocare alla play station iniziò a guardare le televisione, saltando da canale all’altro. Poi si fermò sul notiziario della NHK che in quel momento trasmetteva un servizio sulla borsa di Tokyo. Senza rendermene conto, le mani iniziarono a sudare.
-Kamiya, per quale motivo stai vedendo il telegiornale? – chiesi con voce arida.
Le mani continuavano a sudare. Quella mattina avevo ascoltato la radio, eppure una parte di me continuava a dirmi che forse si era scoperto qualcosa. Avevo una brutta sensazione, un brivido mai provato prima. Era un miscuglio di ansia e sorprendentemente, anche di sollievo.
- Francamente mi sono stufato di giocare alla play station e volevo vedere qualcosa in tv. Ma non fa nient’altro all’infuori del telegiornale. E poi ogni tanto guardo i notiziari per aggiornarmi. Diciamo che mi serve per staccare dal mondo dei sogni.
- Sembri un vecchio. – Arata gli diede una pacca sulla spalla facendogli quasi cadere la pizza dalle mani.
Il conduttore del telegiornale era vestito di tutto punto con la barba rasata e i capelli pettinati all’indietro. Immaginavo persino l’odore di dopobarba al muschio, dall’odore pungente che si sentiva anche a cinque metri di distanza. Noi tre, mangiando la pizza e bevendo birra, restammo a guardare lo schermo.
La notizia sulla situazione economica del Giappone finì e il conduttore, leggendo sul foglio tenuto in mano, annunciava già il prossimo servizio.
- Notizia dell’ultima ora! Alle 4 di questo pomeriggio è stato rinvenuto il cadavere di un uomo. Il corpo è stato trovato in un vicolo a Shinjuku da un senza tetto. L’identità dell’uomo, anch’egli un senzatetto, è ancora ignota. Si presume si tratti di una violenza avvenuta per un probabile furto. L’assassino potrebbe essere stato attaccato inizialmente dal senzatetto o viceversa. È stato ritrovato sventrato in una pozza di sangue. L’arma non è ancora stata trovata, ma si presume si tratti di un coltellino svizzero. L’uomo che ha trovato il cadavere è stato interrogato e sembra non aver niente a che vedere con l’omicidio. 
Ricordavo ancora la sensazione che provai in quel momento. Il cuore non aveva palpitato per qualche istante. La vista si annebbiò e io persi l’uso della voce. Le orecchie mi ronzavano, fino a quando mi parve di udire quella canzone. La canzone che avevo ascoltato per tutta la durata di quella giornata.
Era come se il mondo avesse iniziato a crollare, silenziosamente e lentamente.
 

 


 
  
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