4-5 Bambini e Lenzuola
Re Maurice camminava lungo i corridoi del suo palazzo, il peso degli anni e la stanchezza sembravano farsi sempre più forti sulle sue spalle. Erano giorni grigi e tristi come pochi ne aveva vissuti in passato. Perfino i raggi solari che attraversavano le alte vetrate e inondavano di luce il suo palazzo, sembravano sbiadire di fronte a tutto il dolore che il re provava in quel momento. Con lentezza, arrivò alla porta serrata della stanza dove dormiva la sua unica figlia.
Bussò. “Belle? Posso entrare?”
Non ottenne risposta. L’uomo sospirò e trattenne le lacrime, ricordando i giorni in cui le risate e la serenità avevano accompagnato quegli stessi gesti.
Pochi anni prima re Maurice camminava lungo quegli
stessi, diretto alle
stanze della sua adorata figlia. Con andatura incerta e dondolante,
passeggiava
fra le mura
regalmente adornate e
illuminate grazie al sole che filtrava dalle ampie finestre. Era stata
sua
moglie, a volere che le stanze della bambina fossero tutte sul lato
più
soleggiato del palazzo, e lui aveva acconsentito di buon grado, volendo
per
entrambe solo il meglio.
Arrivò alla porta della camera di Belle
e bussò; qualcuno rispose
dall’interno.
“Si, chi è?” disse
la piccola Belle con la sua voce acuta e flebile.
“Sono il re. Vorrei se possibile,
chiedere di essere ricevuto da
vossignoria.” Non gli sfuggì la risatina
proveniente da dietro la porta,
seguita da un rumore di passi leggeri.
Poi un’altra voce femminile meno
infantile e più sicura, rispose
“Permesso accordato, potete entrare.”
Re Maurice aprì la porta e si
fece avanti guardandosi intorno. Fu leggermente stupito di non scorgere
alcuna
figura umana, ad una prima occhiata. Aveva chiaramente udito le risate
e le
voci di sua moglie e di sua figlia da dietro la porta, quindi non si
spiegava
come mai non ci fosse nessuno.
Tuttavia, notò che diversi oggetti
all’interno della camera, non erano al
loro consueto posto: le due ampie poltrone, solitamente di fronte al
caminetto,
erano state spostate vicino alla finestra ed il letto era completamente
disfatto ed in disordine, senza cuscini e senza lenzuola. Alcune
coperte erano
ammucchiate ai piedi del materasso, mentre un amplio lenzuolo bianco
era stato
steso fra le due poltrone, fissato grossolanamente agli schienali.
Il re udì una breve risatina che
apparentemente, proveniva proprio da
sotto quel lenzuolo, che creava una specie di tenda casalinga.
“Venga pure avanti messere,
così che possiamo scorgere al meglio la sua
possente figura.” A re Maurice non sfuggì il riferimento sarcastico
alla propria
corporatura, e dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere.
“Chiedo umilmente di poter parlare con
Vostra Maestà, la Regina Ginevra,
e con la principessa Belle, senza l’interposizione di
barriere.”
“Cosa vuol dire interposizione,
mamma?”
“Sssh! Belle, suvvia cerca di mantenere
un comportamento decoroso!”
disse Ginevra fra le risate, cercando senza successo di mantenere un
tono
serio.
Maurice a questo punto, fu praticamente certo che
la sua solare figlia,
stesse trattenendo le risa, solo tappandosi la bocca con una mano. Lo
faceva
spesso e puntualmente, non resisteva mai più di cinque
secondi.
Sollevò il telo dalle poltrone, e
avrebbe voluto fissare per l’eternità
quell’immagine: sua moglie sedeva su un cuscino a gambe
incrociate, con un
libro in grembo e lo guardava estremamente divertita, mentre sua figlia
Belle,
di soli cinque anni, le sedeva accanto e tutta rossa in volto, si
tappava la
bocca con entrambe le mani. Tuttavia, appena vide suo padre,
riuscì più a
trattenersi “Ciao Babbo!” disse a fatica, fra una
risata e l’altra. Dio solo
sapeva come facesse la piccola Belle, a ridere così di gusto
per ogni
sciocchezza.
“Stai forse ridendo di me,
Belle?” disse lui, incrociando le braccia al
petto e fingendosi offeso.
“Mmh... Un po’,
forse.” Rispose la piccola, riprendendo rumorosamente
fiato. “Cosa vuol dire interpostizione, mamma?”
“Interposizione, Belle. Vuol dire che due
cose sono separate da una
terza, Belle. Come il lenzuolo, che separava noi da tuo
padre.” Ginevra sorrise
con amore alla sua unica figlia.
“Aah!”
Belle era la copia sputata di sua madre: perfino il
loro sorriso furbo
e gli sguardi luminosi erano identici.
Con quel unico, piccolo ricordo nel cuore (madre e figlia sedute per terra che gli sorridevano radiose), il re si fece coraggio e dopo aver abbassato la maniglia, spinse la porta per entrare.
La stanza non era più inondata di luce come avrebbe voluto la sua amata Ginevra, perché le tende erano quasi completamente chiuse e solo un paio di sottili fili di sole filtravano nella stanza.
L’uomo chiamò sua figlia a voce alta, ma non ottenne risposta.
Non era giusto che una bambina di soli tredici anni, dovesse subire certi dolori. E non era giusto che un padre fosse costretto ad assistere alle sofferenze della propria figlia senza potervi porre rimedio.
Maurice udì un singhiozzo nel buio. Poi dopo qualche secondo, un altro. Seguì le tracce di quel tenue suono fino ad arrivare alla sua fonte: una esile e tremante sagoma umana era distinguibile al di sotto di un lenzuolo bianco.
“Belle tesoro, cosa stai facendo?”
Dopo qualche secondo, fra un singhiozzo e l’altro, sua figlia rispose “Voglio che ritorni indietro papà... Voglio che ritorni lei, con la sua voce ed i suoi sorrisi. Voglio tornare a quando mi leggeva le storie e mi spiegava le cose, nel nostro rifugio sicuro.”
“Non è possibile tesoro, mi dispiace.” Re Maurice non si era mai sentito così inutile: sua figlia era seduta per terra a piangere, cercando disperatamente di tornare all’infanzia ed ai momenti spensierati, e lui non poteva nemmeno sedersi di fianco a lei ed abbracciarla... era troppo grasso e vecchio, i suoi acciacchi non glielo permettevano.
Cercò di fare ciò che era in suo potere con le parole, ma anche in questo, la sua Ginevra era sempre stata molto più brava di lui “Bambina mia... mi dispiace non poterti dare ciò che chiedi, ma se vuoi, proverò a dirti cosa ti direbbe la mamma se fosse qui.” Si sedette sul bordo del letto, lo sguardo ancora rivolto alla sagoma di Belle sotto il lenzuolo. “Ti direbbe che lei sarà sempre con te, dovunque tu vada, qualunque cosa tu faccia... Sarà nel tuo cuore e nei tuoi ricordi, sorriderà ad ogni tuo sorriso e ti consolerà ad ogni pianto. Veglierà su di te nell’ora più buia, come in quella più luminosa... Ti sarà accanto con i suoi silenzi, quando serviranno, e allo stesso modo con tutti gli insegnamenti che ti ha dato, quando avrai bisogno di consigli. Forse non sarà fisicamente qui ogni giorno, ma ci sarà quando avremo più bisogno di lei.”
***
“Babbo.” Chiamò una
voce flebile da sotto un mare di coperte di lana
grezza.
Rumplestiltskin accorse, per quanto gli fosse
permesso dalla sua
zoppia, e si sedette sul bordo del letto, accarezzando la fronte di suo
figlio.
Scottava molto.
“Dimmi Bea, come ti senti?”
“Ho sete.”
Rumple prese un bicchiere dal tavolino di fianco al
letto e lo portò
alle labbra di suo figlio.
“Grazie.” Disse il bambino,
quando ebbe finito di bere.
“Passerà Bea... è
solo un po’ di febbre, e sono sicuro che guarirai
presto.” Rumplestiltskin avrebbe voluto poter fare di
più, ma non potevano
permettersi un medico.
Bea aveva gli occhi chiusi e la fronte imperlata di
sudore. Restò ad
osservarlo per qualche minuto e per un attimo, pensò che
finalmente si fosse
addormentato, ma poi parlò “Babbo...”
“Dimmi Bealfire, sono qui. Di cosa hai
bisogno?” e poi pregò con tutto
il cuore di potergli dare ciò che stava per chiedergli, di
qualunque cosa si
trattasse.
“Fai la scenetta?”
Rumple sorrise sollevato: si, questo poteva farlo.
Cose alla cassapanca
in cucina, la aprì e ne estrasse un lenzuolo logoro. Se lo
mise rapidamente in
testa e ricomparve da suo figlio ondeggiando in modo goffo.
“Uuuuh-Uuuh! Sono il fantasma Senza
Testa! Uuuh!”
Bealfire scoppiò a ridere
“Ciao fantasma! Cosa vuoi da me?”
Rumplestiltskin fece un gesto buffo con la mano che
spuntava dal
lenzuolo “Non ho una testa, non hai forse una testa che ti
avanza da darmi?”
“No!”
“Oh...” disse cercando una voce
delusa “Allora... Non vorresti darmi la
tua?”
“No!” ripeté il
bambino, continuando a ridere.
“Oh... Bèh allora vuol dire...
che me la prenderò con la forza!” Detto
questo, si buttò sul letto con tutto lo slancio concessogli
dalla gamba
malconcia e cominciò a fare in solletico a suo figlio, che
rideva a crepapelle.
Rumple aprì gli occhi di scatto. Sapeva di aver sognato qualcosa, ma no ricordava di preciso di cosa si trattasse.
Sentiva il corpo caldo di sua moglie dietro di lui: svegliarsi con quella sensazione era una delle cose più belle che avesse mai sperimentato. Sentiva anche la sua mano abbracciagli il petto, come se temesse che scivolasse via da lei. Ma lui non ne aveva la minima intenzione.
Si voltò nell’abbraccio di Belle per guardala in volto e lei mugugnò, quando lui si mosse.
“Mmh... Rumple.”
“Dimmi sweetheart.” Disse, mentre le depositava un lieve bacio sulla fronte.
“Niente...” Rumple dovette trattenere una risata: Belle era evidentemente ancora nel mondo dei sogni e neanche si rendeva conto di quello che diceva. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e per tutta risposta, lei si voltò a pancia in su, allontanandosi da lui “Lasciami dormire...”
“E’ mattina Belle, dobbiamo alzarci...”
“No, non voglio... Resta ancora un po’ qui con me, sotto le coperte, al calduccio...” detto questo, tornò ad accoccolarsi al petto di lui, stringendolo forte.
Lui si arrese, come in fondo faceva molto spesso quando si trattava di Belle. Si mise un po’ più comodo stringendola fra le braccia ed iniziò a far scorrere le dita sulla schiena della moglie, massaggiandola delicatamente.
“mmh... Smettila Rumple...” Lui si mise a ridacchiare sommessamente. Belle sbuffò, a metà fra il divertito e l’offeso, perché il suo sonno era stato irrimediabilmente compromesso dall’alzarsi e l’abbassarsi rapido del petto di suo marito e dal rombo della sua risata, che risuonava dalla cassa toracica di lui, direttamente nell’orecchio della ragazza. E poi doveva ammetterlo, forse era anche un po’ eccitata, perché sentiva la pelle diventare più calda e sensibile nei punti della schiena in cui lui continuava imperterrito ad accarezzarla.
Appoggiò il mento sul suo petto che continuava a tremare per le risate, e aprì gli occhi per guardarlo in faccia: “Sei un elemento di disturbo, signor Gold.”
“Buongiorno! Ti sei svegliata, finalmente.” Ghignò lui divertito, poi si spostò un po’ più in basso sul materasso, per arrivare all’altezza del suo viso e baciarla. Il bacio durò diversi minuti e si faceva sempre meno casto ad ogni secondo. Poi lui passò a baciarle e morderle il collo, mentre lei non poté fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata “Dovresti provare a svegliarmi sempre così, d’ora in poi.”
“Ogni tuo desiderio è un ordine, sweetheart.” Rispose mentre tirava le lenzuola sopra le loro teste, coprendoli entrambi completamente.
**
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N.A: Ammetto che non avevo la
più pallida idea di cosa scrivere per il prompt Bambini...
anzi, avevo così tante idee che non sapevo da dove
cominciare, per cui ho deciso di facilitarmi il lavoro scrivendo
un'unica storia >_< Si, mi chiamano scansafatiche di
secondo nome.
E poi ho una cosa da dirvi... purtroppo non riuscirò a
completare la Rumbelle week, i miei giorni di vacanza sono giunti al
termine e non ho più tempo di scrivere :'(
Spero che almeno abbiate apprezzato questa ultima storia, a presto,
Rusty :)
p.s: quasi dimenticavo di ringraziare tutt* coloro che hanno letto/recensito/seguito/preferito questa raccolta (xD Grazie!) e poi ringrazio anche i lettori silenziosi. La Rumbelle week è stata un'iniziativa meravigliosa e avrei tanto voluto riuscire a parteciparvi con più costanza (ma mi divertirò molto anche a leggere le storie altrui;)).