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Autore: Juu_Nana    12/10/2008    3 recensioni
Dagli abissi della memoria riaffiorò un ricordo, un volto. Un numero. 21.
Conscio di doversi ricongiungere alla sorella, C-17 si rivolgerà proprio a 21, una giovane Cyborg dal passato oscuro pure a lui. Ma i due verranno trascinati in una battaglia che li vedrà prima nemici e poi alleati con Trunks, ormai prossimo alla partenza, ma che, dopo aver incrociato gli occhi di ghiaccio di 21 si vedrà costretto a prendere una scelta più che difficile.
Quella che da battaglia di sangue diventerà una battaglia di cuori sarà lo sfondo per nuove amicizie e sentimenti celati, mentre il giovane Trunks e il Cyborg numero 17 percorreranno un cammino decisamente fuori dagli schemi.
Genere: Generale, Romantico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: 17, Altri, Nuovo personaggio, Trunks, Vegeta
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ehilà gente! Come va? Forse a quest'ora nessuno si metterà a leggere CM, ma siccome mi sento potente vista l'ora in cui sono qua e ho appena finito, mi sono detta "Ma perchè no?"
Avverto, all'inizio il capitolo doveva essere parecchio più lungo, ma poi mi sono accorta che se lo allungavo dopo non ci stavo più coi progetti che mi ero prefissata e quindi ho dovuto tagliare... però il prossimo dovrebbe venire lunghetto o quantomeno molto piacevole (è uno dei capitoli che più mi piace di questa storia), quindi non credo ci metterò tantissimo a scriverlo...
Ah, temo come già avrete capito che ormai i miei orari sono da un pezzo andati a farsi benedire, quindi pubblico quando riesco a trovare il tempo e la voglia di aprire il file e mettermi a scrivere.
Ringrazio di cuore:
scImMIA
Umpa_Lumpa
Red Diablo

Che hanno recensito lo scorso capitolo e tutti quelli che hanno messo questa storie tra le preferite.
Ora vi lascio, buona notte!


Capitolo XXI - Transizione


Videro Trunks sparire oltre il bordo del tetto con un mezzo sorriso incredulo ed entrambi non seppero cosa pensare. Sul volto di lui si formò un’espressione di irritata sufficienza, lei invece continuava a non capirci nulla, pensava solo a quanto fossero complicati gli esseri umani...
- Credo che dovremmo andare anche noi... - disse semplicemente la ragazza alzandosi in piedi, ma non ebbe il tempo di saltare dabbasso che si vide comparire il braccio teso di 17 a pochi centimetri dal volto.
Reika spostò lo sguardo sul volto del moro che la fissava, e non molto benignamente bisogna aggiungere.
La saiyan sbatté un paio di volte le palpebre, confusa.
E 17 si aprì in un sorriso a labbra chiuse inclinando leggermente la testa.
- Prego madamigella - disse scherzosamente invitando la ragazza ad accomodarsi sulla sua spalla. Lei emise un risolino divertito prima di compiere un piccolo salto e appollaiarsi sulla spalla dell’amico che chiuse il braccio in modo da cingerle il ginocchio, mentre lei gli faceva passare il braccio intorno alla spalla.
Poi il moro si diede una piccolissima spinta e iniziò a planare lentamente, mentre i capelli di entrambi si agitavano debolmente.
- Dove sei stato tutto il giorno? Ci saremmo divertiti di più in tre... - con queste parole la Cyborg spezzò il silenzio che si era venuto a creare, quando ancora erano a neanche metà tragitto.
L’espressione serena di 17 scomparve subito, mentre le rivolgeva una rapida e furtiva occhiata triste. Riabbassò gli occhi con un’espressione cupa prima di rispondere.
- Ho pensato di fare un salto a casa -
Al che Reika voltò di scatto lo sguardo sul volto di lui, con un’espressione tra lo stupito e il mezzo sconvolto.
- Casa casa o casa laboratorio...? -
- Casa casa. Almeno, suppongo che una volta quella fosse stata la mia casa - rispose lui in un soffio mettendosi in modo che solo un’ombra scura si notasse a livello degli occhi.
- Sei... sei riuscito a ricordare qualcosa? -
- ... no -
Cadde un silenzio pesante dopo quella patita parola mormorata.
Sapevano entrambi che sia il ragazzo sia sua sorella non avevano ricordi della loro vita passata da quando erano entrati nell’istituto di ricerca sulle montagne del Nord.
Erano a conoscenza che lì vicino sorgesse un’imponente città, potevano vederla indistintamente le rare volte che il dottore dava loro il permesso di uscire.
17 era andato lì, ipotizzando che probabilmente era da lì che era stato portato via.
- Mi... mi dispiace tanto -
- No, non è colpa tua. Non dispiacerti per questo - cercò di usare un tono che suonasse meno dolente possibile.
- Non intendevo solo per questo -
L’androide si fermò e voltò verso l’amica con un barlume di curiosità, notando che aveva voltato lo sguardo in modo da non guardarlo direttamente.
- Mi dispiace da morire che io... io possa ancora sapere tutto del mio passato e tu invece non possa ricordare nulla - aveva un tono così abbattuto e mortificato che 17 si ritrovò a sorridere con fraterna e intenerita comprensione in modo quasi involontario.
- Ti ripeto che tu non hai colpe, l’unico a doversi dispiacere è quel caprone di Gero... -
Sentì la stretta sulla sua spalla accentuarsi un po’ di più al suono di quel nome.
- Non riesco a non dispiacermi lo stesso -
- Ehi, ehi! -
La ragazza si voltò finalmente verso 17, sentendo il suo tono crescere.
- Qua quello depresso dovrei essere io, non dovresti essere tu a cercare di tirare su me, invece del contrario? - usò un tono seccato, ma la sua espressione dolce era tutto fuorché irritata e questo fece apparire un sorriso, seppur lieve sul volto della ragazza.
- Hai ragione. Scusa -
- E piantala di scusarti per tutto. Stare tutto un giorno con quel damerino ti ha ridotto in questo stato di ameba? -
La saiyan si aprì in una breve risata e si affrettò a negare riacquistando un po’ della sua allegria.
Dopo di che il ragazzo riprese a scendere, voltando di nuovo gli occhi a terra, ma un paio di secondi dopo sentì un qualcosa appoggiarsi sulla sua testa.
Realizzò un attimo dopo di avere una guancia di Reika tra i capelli e sentì la mano di lei serrarsi dolcemente sulla sua scapola, senza fargli male.
Sentì qualcosa dentro di lui agitarsi un po’, ma riuscì a contenere una qualsiasi reazione sulla faccia. Almeno fino a...
- Ti voglio bene 17 - sussurrato appena, con un tono che alle orecchie del ragazzo sembrava una carezza.
Ma che fu anche un combustibile perfetto per le sue guance...
Lievemente imbarazzato, non scollò gli occhi dal terreno, e vi atterrò un istante dopo con un leggero tonfo.
Reika scese giù e varcò la finestra, dopo essersi gettata un’occhiata alle spalle e aver constatato che nessuno li stava guardando.
L’altro Cyborg le scoccò un’occhiata indecifrata, mentre lei si avviava verso la cucina.
Perché quella frase piazzata così?
Dopotutto non aveva fatto pressoché nulla, nulla almeno da guadagnarsela.
Per la prima volta dopo un tempo che non sarebbe mai stato in grado di definire, Reika gli apparve di nuovo com’era all’inizio, quando si erano conosciuti: estremamente, innegabilmente fragile.
Poteva stamparsi in faccia tutti i sorrisi che voleva, a lui non la dava a bere.
Non sarebbe mai riuscita a convincerlo che qualcosa la tormentava, che aveva paura di nuovo.
E per la prima volta si rese conto che l’essere fuggito dal laboratorio e averla liberata non significava automaticamente essere liberi.
Certo, aveva spezzato delle catene, ma altre si erano venute a formare: la necessità di un tetto, un posto dove andare, una vita intera da prendere in mano e plasmare.
17 si fissò una mano senza emozione apparente, se non un velo di triste malinconia.
Poteva avere poteri che un normale essere umano nemmeno si immaginava, ma gli erano perfettamente inservibili per dargli un’esistenza normale, per aiutarlo a dimenticare quello che era stato e per gettare le fondamenta per un nuovo e decente futuro.
Forse era questo di cui Reika aveva paura.
Paura di ricominciare in un mondo per lei quanto meno assurdo e dalle regole sconosciute.
E come al solito lui non era in grado di sorreggerla.
Scoprì i denti, sentendosi per l’ennesima volta così schifosamente inutile.
Non era stato in grado di aiutare sua sorella. Aveva messo a repentaglio la propria esistenza e quella della terra facendosi assorbire come un’idiota. Per colpa sua Reika per poco non veniva ammazzata. E ora non era neanche in grado di garantirle qualunque cosa e non aveva uno straccio di mezzo per ritrovare la sua gemella.
Inutile, inutile, inutile!!
Schiantò un pugno sul davanzale della casa, facendo correre parecchie crepe, ma non se ne curò.
E poi c’era il problema di quell’altro bamboccio e dei suoi sentimenti verso Reika. Ora che però ci pensava, anche se faceva un male cane, sarebbe stato meglio che fosse stato lui ad avere la meglio in quello “scontro”. Almeno lui i mezzi per sostenerla li aveva e le avrebbe garantito una vita serena e tranquilla.
No, era comunque infattibile.
Prescindendo dal fatto che mai avrebbe permesso una cosa del genere, quell’altro di lì a un giorno o due se ne sarebbe andato e quindi non si poteva fare nulla.
Stava ancora rimuginando quando l’improvviso trillo del telefono lo riscosse facendolo sobbalzare leggermente.
“Al diavolo tutte queste congetture” si disse varcando con un balzo la finestra.
“Ci penserò domani, intanto non ho davvero voglia di rompermi la testa e deprimermi in questo modo. Domani si vedrà. E comunque, finora la sorte mi ha riservato in un due giorni tanta roba che se ne potrebbe scrivere una storia (sapessi 17, sapessi... ndA), quindi chissà cosa potrebbe succedere”
L’ultima cosa che sentì prima di varcare la porta della cucina e mettersi al lavoro fu la voce di Trunks che rispondeva all’apparecchio.

***

Subito dopo aver lasciato di corsa la CC e la città dell’Ovest in generale, C-17 si era appollaiato, accavallando gambe, su un’altura sperduta non so a quale distanza dalla suddetta città. Aveva incrociato anche le braccia e si era messo a riflettere su 100 e 1 modi per distruggere quella megera starnazzante della signora Brief.
Poi, finita la lista per cui ci volle neanche mezz’ora, si mise seriamente a pensare a qualcosa da fare evitando naturalmente quell’abominevole presenza.
Zero.
Nisba.
Nada.
Non gli venne in mente nulla.
Nulla se non tornare in quella maledetta, odiata...! casa.
Il ragazzo levò la testa, alzando il naso all’insù e interruppe le sue idee, colpito da quella parola che gli aveva attraversato il cervello.
Casa.
Lui non aveva un posto da chiamare così.
Anzi, non aveva niente in generale.
Ma siccome non aveva nulla da fare e andare da Reika equivaleva a buttarsi in bocca a quella dannata, il ragazzo si era tirato in piedi, si voltò verso nord e dopo un secondo netto perso a fissare il vuoto, era partito a razzo in quella direzione.
Era atterrato neanche un’ora dopo in un vicoletto deserto e pieno di bidoni straripanti di ogni genere di ciarpame. Aveva rivolto un’occhiata di silenzioso calcolo intorno a sé, poi era uscito e si era messo a passeggiare con un espressione vuota, con le mani ficcate in tasca e lo sguardo fisso davanti a sé.
Percorse decine di vie, senza meta, fermandosi solo di tanto in tanto per fissare il proprio riflesso in una vetrina o sbirciando in qualche viuzza secondaria e malmessa, nella speranza che potesse suggerirgli qualcosa, qualunque cosa.
Ma dopo 4 ore di vagabondaggi senza meta e con il morale che sfiorava terra per essersi illuso che bastasse vedere qualche strada per ricordarsi di una vita (sempre ammesso che avesse vissuto lì prima di essere stato sbattuto nel gelo del laboratorio).
Così si era diretto verso la periferia e dopo essersi assicurato che nessun occhio indiscreto lo stesse guardando, era nuovamente sparito nel cielo ormai screziato di arancio ed era tornato alla Città dell’Ovest.

Questo fu ciò che raccontò a Reika, quando dopocena si videro in camera di lui e chiacchierarono per un po’, prima che lei si congedasse e andasse a dormire.

Nessuno entrò nella stanza di un altro.
Tutti dormirono per tutta la notte con l’unica compagnia di loro stessi e dei propri sogni.
Anche se non per tutti furono esattamente tranquilli.

  
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