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Autore: Dregova Tencligno    14/10/2014    1 recensioni
Sono la figlia di una strega, sono dotata di poteri che in molti non riuscirebbero nemmeno a immaginare. Vivo ricordi che non sono i miei ma sono gli unici indizi che ho per capire la mia natura. Sono stata una figlia, un’oggetto, un'anima, un fantasma. Se i nomi definiscono chi siamo sono stata Pulce, Piccola, Emma, Custode, Amore… Ma solo ad un nome, che ho perso molti anni fa, posso rispondere con certezza… nessuno me lo potrà togliere perché con quello sono morta e sono rinata.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi perdo nel ricamo del ragno sognando di creare un abito con quella leggera e resistente tela. Un abito bianco da poter mettere in qualsiasi occasione. Mi perdo nel suo ricamo di pizzo e immagino che sia il mio personale labirinto di cui solo io conosco la strada per uscire e nel quale sarei al sicuro. Stacco il corpo dal pavimento per volteggiare nello spazio sopra di me e tendo una mano per sfiorare la fragile dimora dell’aracnide quando un rumore di passi mi riscuote.
Possibile che sia già di ritorno? Sono un po’ trepidante per l’attesa di vedere cosa mi ha portato, ma presto capisco che i passi non sono i suoi. Questi sono striscianti e lenti, tremanti, ogni singolo passo è calcolato per non far rumore, come se questo potesse essere utile contro di me, e, la cosa più esaltante, non sono di una sola persona.
-Buon compleanno…- mi dico perché so che mi divertirò.
Esmeralda non sarebbe d’accordo normalmente, ma quando non è in casa mi ha dato il permesso di spaventare i curiosi che si avvicinano troppo. Solitamente si tratta di giovani coppiette che, cercando un luogo per appartarsi, fanno finta di ignorare le voci che aleggiano circa la mia casa; altre volte sono ragazzi stupidi che organizzano ancor più stupide prove di coraggio, l’ultimo a uscire senza le braghe bagnate dimostra di avere più fegato degli altri. Cosa che non accade mai.
Sono questi ultimi quelli che mi divertono di più, è crudele, ne sono consapevole, ma quando si è morti sono rare le occasioni per farsi quattro risate.
Lascio che il mio corpo si tramuti.
Gli abiti che indosso si inceneriscono liberando nell’aria della neve nera e luccicante di rosso, torno ad avere il mio aspetto naturale, quello con cui sono venuta al mondo la seconda volta. Una ragazza semitrasparente senza un abito ben definito, i capelli svolazzanti e gli occhi iridescenti che leggono ciò che alberga nelle anime dei Viventi. Il fantasma della casa nel bosco. Il mostro che infesta i cuori impavidi di chi ha il coraggio di farsi avanti per sfidarla.
Mi affaccio alla finestra e vedo con piacere che un gruppo di ragazzi, tre in tutto, si sta avvicinando furtivamente pensando, forse sperando, che non lo abbia ancora scoperto mentre si addentra nella mia dimora.
Con un gesto della mano spengo le candele. È giunto il momento dello spettacolo e come da copione i tre ragazzi entrano in casa.
Per loro c’è troppo buio per distinguere qualcosa e spesso vanno a urtare contro la mobilia imprecando a bassa voce, i loro passi sono incerti e il pavimento scricchiola sotto di loro. Un rumore che mi fa pregustare il tremolio delle loro ossa, quindi un suono magnifico alle mie orecchie.
-Secondo me è solo una stupidaggine. Non esistono i fantasmi.-
-Come sei fifone.-
-E ti sei anche arruolato! Tu che dici Zephyro?-
Non gli risponde nessuno.
Che il sipario si apra.
Uno schiocco di dita e le candele si accendono lanciando in aria lingue di fuoco. La luce è talmente accecante che per un attimo non riesco a vedere i loro volti, solo dopo che il bagliore scema li vedo accovacciati a terra. Uno di loro si tiene la testa fra le mani.
Muovo una mano e i coltelli iniziano a volare in aria facendo una macabra danza.
Un altro schiocco di dita e il fuoco sotto al pentolone nel camino si accende e lo stufato ricomincia a puzzare di bruciato.
Il ragazzo magrolino dal nasone a punta è il primo a scappare via a gambe levate.
Adesso il pezzo forte.
Appaio a un metro dagli ultimi due ragazzi. Uno di loro, robusto e dalle spalle larghe, fa da scudo all’altro che gli sta dietro e lo tiene per un braccio. Mi osserva mentre l’altro cerca di nascondersi. Posso percepire la loro paura, ma non si muovono, continuano a osservarmi.
Sopra le nostre teste i coltelli continuano a ondeggiare riflettendo la luce del fuoco, ma i loro sguardi sono fissi sulla mia figura, non mostrano il minimo accenno di fuga.
Non mi sono mai trovata in una situazione simile e questo mi spinge ad arrivare al limite di quello che sono disposta a compiere.
Schiocco le dita un’ennesima volta e i coltelli iniziano a cadere conficcandosi nel pavimento, l’ultimo a un pelo del ragazzo bruno. Quello dietro di lui emette un gridolino soffocato. Continuano a non muoversi.
Spengo le luci e l’ombra mi riavvolge nel suo manto.
-Firo, andiamocene.-
Sento il rumore di passi che si allontanano, poi la porta si apre e si richiude.
Fine dello spettacolo. Di nuovo sola.
Un po’ mi sono divertita, anche se la loro fermezza mi ha un po’ disorientata.
Forse sto perdendo il tocco. Naaa…
Riaccendo le candele e faccio tornare tutto al proprio posto.
-Ecco il tuo regalo.- dico a bassa voce.
Riacquisto la mia corporeità e indosso un abito azzurro. È vero, sono diventata più forte.
Mi siedo per terra e giocherello con un batuffolo di polvere. Soffio e vedo quanto lontano riesco a mandarlo.
L’orologio appeso alla parete mostra il passare del tempo e mi chiedo come mai Esmeralda non sia ancora tornata. Le sarà capitato qualcosa?
Scuoto la testa. Mi preoccupo troppo. È forte e poi ha in circolo la mia energia, se la saprà cavare. Mi sdraio e cerco di rilassarmi.
Per me è impossibile dormire ma tento di rammentare cosa si provi a farlo.
Quando ero viva per me il momento più bello era andare a letto. La mia famiglia non era ricca e abitavamo in una casa più o meno come questa in cui mi trovo.
Io e mio fratello dormivamo nella stessa stanza, quando faceva particolarmente freddo ci abbracciavamo per trovare conforto. Mio fratello….
Non mi accorgo neppure di aver incominciato a piangere.
Mi fa male ricordare la vita che ho perso, tutto quello che avevo non c’è più e mi sono ridotta ad allietare alcune serate spaventando gli umani.
I singhiozzi si fanno più forti e il dolore che di solito provo al ventre mi arriva alla testa. Il cervello sembra sul punto di scoppiare.
Gli occhi mi fanno male e urlo con tutto il fiato che ho in corpo.
 
‘Non vedo più niente.
Da lontano sento giungere una voce, penso sia la canzone di questa mattina, ma mi sbaglio. È una voce maschile e non canta, ripete solo una parola: aiuto. In continuazione, tanto da affollare la mia mente. Poi, dalla più completa oscurità, appare una figura rannicchiata a terra. Sento distintamente il rumore della pioggia. Ci sono tante pozzanghere, ma quella che mi spaventa è dove c’è un corpo. Un misto di terra, pioggia e sangue.
La figura volta il corpo in uno spasmo di dolore e anche se è distante vedo il suo volto come se fosse davanti a me.
È il volto di un ragazzo che mi sembra di riconoscere ma c’è qualcosa che mi blocca, un velo invisibile che mi rende difficile ricordarmi di lui. Piange, ma non scorrono lacrime, ma sangue. E gli occhi… sono vitrei e si muovono confusi in cerca di qualcosa.
Sono paralizzata dalla paura e dalla confusione. È una nuova sensazione che non avrei mai voluto provare, è come se un reticolo di fili invisibili cercasse di stringere ogni muscolo immobilizzandomi.
Due mani appaiono e l’immagine diventa confusa come quando ci si specchia sulla superficie di un lago che viene increspata dal vento trasformano l’immagine in una chimera. Un’illusione ancora più oscura.
Annaspo in cerca di un appiglio a cui attaccarmi con tutte le mie forze e quelle mani fanno al caso mio. Le afferro e mi sollevo verso di loro.’
 
In quel momento la visione libera i miei occhi e mi ritrovo davanti Esmeralda che mi osserva incuriosita e, dopo qualche secondo di incertezza, mi abbraccia con veemenza. Non lo hai mai fatto con tanto trasporto.
-Lo sapevo che era questione di poco ormai. Tra un po’ sarai abbastanza forte.-
-Abbastanza forte per cosa?- dico con difficoltà.
Mi aiuta ad alzarmi. -Non devi preoccuparti.-
Ho il respiro ancora spezzato. Sorreggendomi accompagna il mio corpo al giaciglio che di solito lei occupa, la mia mente è ancora persa nel ricordo di quello che ho visto. Sono incapace di distogliere lo sguardo da quel volto che mi osserva supplichevolmente traviato dal dolore. Vorrei considerarlo solo uno scherzo della mente, ma non ci riesco perché sento che questa scena impressa nelle retine è reale, e per questo ho paura.
È sempre strano trovarsi a provare un sentimento da umana, anche se lo sono stata un tempo, e ogni volta mi rendo conto che sono talmente lontana da quella me del passato che ogni emozione mi atterrisce perché mi rendo conto di non sapere più come gestirla.
Alla paura subentra la confusione. Come è possibile che una sola persona possa provare tutto questo tormento?
Esmeralda mi posa sulle spalle una coperta, anche se sa che è inutile dato che il mio tremare non è causato dalla temperatura. Confondo il caldo col freddo, posso soltanto cercare di ricordare cosa si provi in quelle condizioni.
-Cosa vuol dire?- non sembra neanche la mia voce, è distorta e risuona nelle mie orecchie come un flebile sussurro proveniente da molto lontano.
-Questo è il primo attacco.-
-Di cosa?-
-Adesso è stato violento, poi le avrai senza sentire dolore.-
-Va bene, ma cos’era?-
-Hai avuto la tua prima premonizione.-
-La mia prima…-
-… premonizione.- Esmeralda finisce la frase al posto mio.
-E come…?-
-Come hai fatto? È strano invece che sia uscita allo scoperto così tardi. Di solito è uno dei primi poteri che uno come te sviluppa.-
-E come faccio a smettere di averle?-
-Smettere di averle? Non puoi. È una parte di te.-
-Ma io non voglio.-
-È stato così terribile?-
Non riesco a descrivere quello che ho provato perché ogni volta mi si forma un groppo in gola che mi impedisce di parlare. Esmeralda lo comprende o, almeno, sembra farlo.
Comincia a pettinarmi i capelli con le dita e poi mi massaggia la schiena.
Continuo ad avere un senso di paura opprimente nello stomaco anche se non è come prima e riesco a mantenermi calma, stringo con forza il bordo della coperta, l’ancora che lentamente mi riporta alla realtà anche se le nocche cominciano a farmi male.
È strano. I fantasmi non sentono il dolore, almeno è quello che Esmeralda mi ha detto il giorno della mia nascita, ma posso provarlo se a farmi male sono me stessa. Secondo la mia strega questo potrebbe essere dovuto al fatto che tento di nuocere volontariamente alla mia anima. Il dolore è un segnale di allarme che mi porta a smettere di farmi del male da sola.
Se è veramente una premonizione tutto deve ancora accadere e poi non è detto che si avveri. Smettila di agitarti! Il destino non è mai scritto con inchiostro indelebile. Fin da quando il nostro cuore compie il suo primo battito siamo NOI, con le nostre scelte e le nostre azioni, con tutto quello che ci definisce e maledice, che lo scriviamo di nostro pugno modificandolo ogni volta. Una buona dose di caso e il nostro libro del destino verrà scritto. Ma… solo la morte è certa… BASTA! Non esiste un solo futuro, ce ne sono a miliardi di possibili futuri solo per una persona.
-Ti senti meglio?-
No. –Sì.-
Mi stacco da lei e mi metto in piedi. La testa mi gira ancora un po’ ma sono sicura che presto mi sentirò meglio. È solo una cosa passeggera, giusto?
Esmeralda si alza dal giaciglio e dal suo baule prende una leggera vestaglia bianca. Ho ancora impressa nella testa l’immagine del ragazzo immerso nel sangue e i suoi occhi che cercano qualcuno che possa aiutarlo.
Conficco le unghie nelle mie braccia sperando che il dolore scacci via questa visione, non funziona, tutto piroetta intorno al ragazzo.
Mi asciugo le lacrime che mi scivolano sul viso e cerco di distrarmi come posso.
-Com’è andata?-
Esmeralda mi guarda e sorride –Benissimo.-
-Cos’hai mangiato?-
-Sono andata alla taverna giù in paese e mi sono dovuta accontentare del menù del giorno. Ho mangiato una fettina di carne di cervo con delle patate arrosto come contorno.-
-Sei andata sul leggero.-
Voglio parlare di altro per dimenticarmi di tutto. E distrarmi mi fa sentire meglio.
-Invidio come riesci a tenerti in forma.-
Esmeralda sorride.
-È il vantaggio di essere una strega. Pensa a come sarei grassa se fossi umana. Terribile!- mi fa l’occhiolino. –Usare la magia mi fa consumare molte delle calorie che traggo dai pasti.-
Mi fa ridere immaginarla grossa fino ad assomigliare a una palla.
Lascio cadere a terra la coperta, mi avvicino a lei e le accarezzo il volto.
I suoi occhi verdi sono magnetici e dei fili argentati li rendono ancora più attraenti.
Mi prende per i fianchi e mi avvicina a lei; sento la sua fragranza e il suo fiato sul mio collo.
Mi cinge la vita con un braccio mentre con una mano mi accarezza il viso, le braccia, la schiena.
Mi stringo a lei e scorrono le sue forme sotto le mie mani. Sospira e mi bacia il collo mentre sotto le sue dita la mia pelle scricchiola elettrizzata.
Sono nuda. Lo sono sempre quando simulo una forma corporea dove rinchiudo la mia anima.
Ci sdraiamo, lei sopra di me. Mi tiene le mani bloccate sopra la testa e mi guarda con la strana luce negli occhi che ho imparato ad amare. Puro desiderio.
-Sei bellissima.- dice strappandomi un bacio e basta questo semplicissimo tocco per far fluire dal mio corpo il calore del mio potere che la deve ringiovanire, esso prende forma e consistenza al mio interno fino a conquistarmi completamente. Voglio che continui sempre a guardarmi in questo modo, ad accarezzarmi così delicatamente, mi fa sentire importante, speciale.
Faccio un po’ di resistenza perché so che le piace e le leggo ora sul suo viso il piacere che le dà avere il controllo.
Stranamente mi lascia. Normalmente questi momenti degenerano in altro, ma la passione fugge dai suoi occhi.
-Cos’hai?-
Si aggiusta una ciocca di capelli dietro un orecchio e mi lascia completamente libera.
-Sono molto stanca, per andare e venire dal paese ho dovuto usare un incantesimo di occultamento e sai quanto mi costa.-
Mi lancia un abito che poi mi aiuta a indossare.
-Sarà per un’altra volta.-
Si distende sul suo giaciglio. –Tu, invece, come hai ammazzato il tempo?-
È un’espressione che mi fa ridere per la sua innocente indelicatezza crudele perché, in realtà, è stato il tempo a uccidere me tanto tempo prima e trova sempre modo di ricordarmelo. Anche lei.
-Sono venuti a farci visita dei ragazzi. Li ho spaventati, ma non è stato come al solito. Uno, sì, è scappato a gambe levate appena ho incominciato a fare i miei giochetti, gli altri due, invece, sono rimasti fino alla fine dello spettacolo. Tu che ne dici?- ma quando mi volto a guardarla lei sta dormendo. Non ha sentito nulla di quello che le ho detto.
   
 
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