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Autore: _Aras_    15/10/2014    2 recensioni
I sentimenti che uniscono Allie e Thomas hanno cominciato a farsi sentire proprio mentre erano ai lati opposti dell'Europa e ora che sono di nuovo vicini devono scoprire se possono creare una relazione duratura.
I sentimenti di Dafne e Michael sono nati improvvisamente quand'erano insieme, ma il loro tempo era limitato e, ora che sono ai lati opposti dell'Europa, devono tentare di andare avanti e dimenticarsi.
I sentimenti di Alice invece sono bloccati, nascosti sotto una cortina di timidezza e paura che le impedisce di essere felice. Riuscirà a uscirne, con l'aiuto di un'amica?
Dal capitolo 5:
«Com’è andata la tua sessione di studio?»
«Abbastanza producente, anche se ogni tanto tendevo a distrarmi» rivelò, avvicinandosi appena a lei.
«Forse dovresti prendere del… come si chiama quella cosa che aiuta ad aumentare la concentrazione?»
«Fosforo?» ipotizzò Thomas. «Non credo sarebbe utile nel mio caso.»
«No?» lo stuzzicò lei, sorridendo.
Lui scosse la testa. «Avrei bisogno di qualcosa di più… umano» disse, mentre le posava una mano sul collo con un tocco delicato. Allie abbassò appena gli occhi, osservando la misera distanza che li separava e avvertendo il calore della sua pelle irradiarsi in lei.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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cap 9

Dov’erano rimasti?

Era il primo bacio che riceveva con la consapevolezza, e non solo la percezione, che Thomas provava per lei un affetto profondo, tanto che la definiva “la sua ragazza” e dimostrava una gelosia irritante ma anche lusinghiera nei suoi confronti.
Lo strinse a sé, passando le mani sulla sua schiena nuda, avvertendo il suo petto umido che le bagnava la maglia e i suoi capelli che le gocciolavano addosso.
Si sentì pervadere da una sensazione di benessere e gioia, le sembrava di essere in una bolla di sapone che la proteggeva da ogni preoccupazione e le permetteva di essere puramente, completamente felice.
Allontanandosi da quella bocca tentatrice per riprendere fiato, mentre Thomas scendeva sul suo collo e si soffermava su quel punto che amava tormentare, Allie si rese conto che anche lui era felice. Non solo emotivamente. Non l’aveva mai visto, o sentito, così felice.

Bolle di felicità

A story of everyday life





Capitolo 9

Allie trattenne il respiro, sorpresa da quell’inaspettato contatto. Lui non sembrò accorgersene, troppo concentrato ad assaporare la sua pelle. Ritornò sulla sua bocca, richiedendo un altro bacio che Allie non si sognò nemmeno di rifiutare, ma che dovette interrompere quando lui si pressò nuovamente addosso a lei, permettendole di sentirlo ancora una volta.

«Thomas» boccheggiò, spostando le labbra sulla sua guancia. Lui si scostò appena, giusto i centimetri necessari per allontanare quella parte del suo corpo da lei.

«Scusa» mormorò, incapace di fornire altre giustificazioni.

Allie scosse appena la testa, rassicurandolo, prima di baciarlo di nuovo. Era rimasta stupita perché non aveva pensato a quell’evenienza, non perché fosse qualcosa di inopportuno. Thomas era in bagno, nudo, coperto solo da un asciugamano, e la stava baciando con passione dopo averle detto che, per lui, lei era molto più che un’amica. La sua era una reazione naturale e impossibile da biasimare, tanto più che nemmeno Allie poteva dire di non trovare tremendamente eccitante quella situazione.

La loro relazione però era appena cominciata, era troppo presto per fare un simile passo e, anche se così non fosse stato, quello non era certo il luogo né il momento adatto.

«Ti aspetto in camera» lo avvertì, staccandosi dalle sue labbra e guardandolo negli occhi. «C’è una sorpresa» annunciò, sorridente.

«Cosa?» domandò lui, incuriosito. Non era nuova, tra loro, l’usanza di fare una sorpresa, ma fino a quel momento era sempre stato lui l’artefice e lei la beneficiaria.

«È una sorpresa» ripeté, sgusciando fuori dalla sua presa e poi dal bagno. Prese la borsa, che aveva lasciato in camera di Dafne, e attraversò il corridoio per sedersi sul letto di Thomas. Sentiva ancora l’aspirapolvere in funzione, evidentemente Martha stava facendo delle grandi pulizie, perché era già da un bel po’ che Allie si trovava lì. Sapeva che non sarebbe potuta rimanere ancora a lungo, non se voleva evitare di far crescere in lei dei sospetti. L’armadio di Dafne non era poi così grande e non conteneva così tanti vestiti da richiedere più di un’ora di ispezione per trovare un semplice capo. Aveva ancora del tempo, però, e voleva sfruttarlo tutto.

Thomas arrivò subito, aveva indossato un paio di jeans e una maglietta, i capelli ancora umidi.

«Adesso mi dici di che si tratta?» domandò, sedendosi dinanzi a lei.

Sorridendo, Allie estrasse la vaschetta dalla borsa e la posò tra di loro, togliendo il coperchio. «Li ho fatti prima di venire qui» rivelò, osservando la sua reazione.

«Non hai detto che non sai cucinare?» chiese, corrugando la fronte.

Allie annuì. «Ho voluto provare comunque» rispose, alzando le spalle. «Vuoi assaggiare?» propose, prendendo un biscotto uno e alzandolo davanti alla sua faccia.

Senza smettere di guardarla, Thomas diede un morso. Il suo sguardo era così intenso che, per un attimo, Allie temette di arrossire.

«È buoniffimo» approvò, ancora con la bocca piena, rubandole l’altro pezzetto dalle mani per ingoiarlo.

«Non ne hai mangiato uno?» le domandò, prendendone un altro dalla vaschetta.

Allie scosse il capo, mentre lo osservava avvicinare la mano a lei, imboccandola a sua volta.

«Come mai hai deciso di provare proprio ora? Speravi di addolcirmi con i biscotti?»

«Quello è uno dei motivi, sì» annuì.

«Ce ne sono altri?»

«Volevo farti capire che ci tengo a te, che mi dispiace di aver sbagliato» spiegò, prima di concludere: «Questo non toglie che una parte della colpa sia anche tua.»

«Che ho fatto?» Il suo tono era genuinamente sorpreso, non pensava di aver fatto nulla di male. Riteneva più che giusta la sua reazione.

«Non mi hai dato il tempo di parlare e dirti come stavano le cose. Se avessi aspettato un momento, invece di scappare via subito, questo non sarebbe stato necessario.»

«Ma non ci saremmo chiariti davvero, non come abbiamo fatto questa mattina» le fece notare. Ed era vero. Se la questione si fosse risolta la sera precedente, con ogni probabilità non sarebbero arrivati al punto di definire il loro rapporto di coppia. «E poi, non mi avresti fatto i biscotti, quindi ci ho guadagnato il doppio» rise, afferrandone un altro.

Allie si unì alla sua risata e lo spinse giocosamente, facendo cadere di schiena sul letto. Lui però fu veloce e le afferrò il polso, costringendola a seguirlo, rovesciando i biscotti sul lenzuolo.

«Guarda che disastro!» lo rimproverò, incapace di arrabbiarsi davvero. Sentiva la felicità scorrerle nelle vene, un’energia vitale che non aveva mai sentito prima.

«Ssh» la zittì lui, posandole un dito sulle labbra e tendendo l’orecchio.

Ora che stava prestando attenzione, anche Allie si rese conto di non sentire più l’aspirapolvere, ma anzi dei passi che salivano le scale. Si alzò di scatto e, afferrata la borsa, si precipitò in camera di Dafne, senza nemmeno controllare se Martha avesse potuto scorgerla in corridoio. Si risistemò i capelli che, a seguito dei loro movimenti, non erano più in ordine e infilò una maglia in borsa. Uscì dalla stanza proprio mentre la donna stava mettendo piede sul pianerottolo.

«Oh, Allie!» esclamò, trovandosela davanti. «Hai trovato ciò che cercavi?»

«Sì, certo» annuì, aprendo la zip della borsa per farle vedere il tessuto della maglia. «Era finita dentro un cardigan di Dafne, assurdo!» inventò, cominciando a scendere le scale e notando che Martha la stava seguendo. Doveva essere salita solo per assicurarsi che fosse ancora viva, dopotutto ci aveva messo davvero troppo tempo. Un po’ le dispiaceva raggirarla in quel modo ma si consolò con il pensiero che, una volta scoperta la verità, sarebbe stata talmente felice per lei e Thomas che non se ne sarebbe curata.

Thomas. Per la fretta di non farsi beccare, non l’aveva nemmeno salutato. Ormai era arrivata davanti alla porta d’ingresso e stava per augurare buona giornata alla donna prima di uscire, quando decise che, se doveva mentire, almeno doveva farlo per bene.

«Che idiota!» disse, enfatizzando la sua falsa sorpresa. «Ho dimenticato il cellulare in camera di Dafne» raccontò, «faccio una corsa a prenderlo» concluse, guardando Martha.

Salì di corsa le scale ed entrò in camera di Thomas, senza preoccuparsi di bussare, non ne aveva il tempo.

«Dimenticato qualcosa?» domandò, voltandosi verso di lei. Aveva già raccolto le briciole dal letto e aveva sistemato la vaschetta mezza vuota sulla scrivania.

«Sì» assentì, afferrandolo per il colletto della maglia. «Bacio» sussurrò, sporgendosi verso di lui.

Forse a un occhio estraneo quel comportamento poteva apparire stupido, più adatto a una tredicenne che a una ragazza matura; ma ora che era certa del suo affetto, Allie sentiva il bisogno di baciarlo, di stringerlo a lei.

Thomas non si fece pregare, posando le labbra sulle sue in un bacio veloce ma pieno di passione.

«Ciao» mormorò Allie, prima di baciarlo di nuovo e decidersi a scendere una volta per tutte.

Salutò Martha, forse troppo bruscamente, e si rinchiuse in macchina. Solo allora emise un profondo sospiro, cercando di metabolizzare ciò che era successo quella mattina.

Non avrebbe dovuto ignorare le parole di Dafne. L’aveva avvertita, quando si trovavano ancora in vacanza e tra lei e Thomas non c’erano che telefonate e promesse, che la tendenza a farsi scoprire nei momenti intimi era una caratteristica di famiglia. Se già rischiavano di essere beccati in momenti così tranquilli, non osò immaginare cosa sarebbe successo quando la loro relazione fosse arrivata agli stadi successivi.

* * *

La mattinata era stata insolitamente calma, quasi nessuno si era presentato in negozio e Dafne aveva potuto approfittare di quella tranquillità per scrivere. L’ispirazione l’aveva colpita mentre si trovava in discoteca. Ed era strano perché non c’era nulla che collegasse la storia che si delineava piano piano nella sua mente con la vista della barista che si mangiava con gli occhi un ragazzo seduto su un divanetto. Era la prima volta che, invece di una storia romantica o profondamente introspettiva, creava un giallo. Sarebbe potuto diventare un vero e proprio romanzo, data la sua propensione alla loquacità e i più insignificanti dettagli che già le si presentavano davanti.

Non aveva detto niente a nessuno, nemmeno ad Allie che era sempre stata la sua prima lettrice. Voleva essere certa di poter portare a termine, o perlomeno iniziare, questo lavoro prima di farne parola con qualcuno. Aveva una strana sensazione, un presentimento che non aveva mai provato prima, come se sentisse dentro di sé che quella storia poteva diventare davvero qualcosa di importante.

Stava tracciando su un foglio i lineamenti che avrebbero dovuto appartenere alla protagonista, il cui nome doveva ancora essere deciso, quando sentì la campanella sopra la porta suonare. Alzò lo sguardo e si trovò davanti un giovane dagli occhi d’un verde intenso che la fissava.

«Posso aiutarla?» chiese, riponendo l’album e la matita dentro un cassetto, prima di alzarsi.

«Sì, grazie. Avrei bisogno di alcune fototessere per il passaporto.»

«Ha già delle foto che vuole ristampare o ne vuole di nuove?» si informò, osservandolo.

«Vorrei farle adesso» rispose, avvicinandosi alla rientranza dallo sfondo azzurro dov’era posta la sedia che veniva utilizzata in quelle occasioni. Si era mosso senza nemmeno aspettare un suo invito, doveva essere un cliente abituale.

Dafne prese la macchina fotografica e si passò il cordino dietro il collo. Accese il faretto, cercando la posizione migliore per illuminare il suo volto.

«Deve partire per un viaggio?» domandò, per riempire il silenzio. Si sentiva sempre in imbarazzo quando si trovava sola con un cliente senza aver nulla da dire.

«Sì, vado a Brasile» rivelò lui con un sorriso, sistemandosi meglio sulla sedia.

«Lavoro o piacere?» Quasi esultò quando riuscì a trovare la luce perfetta: quel faretto era ormai vecchio e faticava a restar fermo, avrebbe dovuto dire a sua zia di sostituirlo.

«Piacere» replicò, trattenendo una risata. Dafne non capì quel comportamento ma non se ne curò, doveva sbrigarsi per evitare di perdere altri cinque minuti a ritrovare la posizione.

«Sorrida» disse, prima di iniziare a scattare. Era fotogenico, lo notò subito. Già nella prima foto era venuto bene, ma le avevano insegnato a scattarne almeno una decina, così che il cliente potesse scegliere quella che preferiva. Continuò quindi il suo lavoro, finché non vide il sorriso sul volto dell’uomo restringersi. I muscoli facciali dovevano dolergli dopo tutto quel tempo.

«Abbiamo finito?» chiese, massaggiandosi la mascella. Forse era stata un tantino troppo cauta.

«Sì» annuì, inserendo la scheda della memoria nel computer. «Ora mi dica quale preferisce.»

«Hai intenzione di darmi del lei ancora per molto?» domandò, avvicinandosi. «Non sono poi così vecchio.»

Dafne lo osservò: aveva i capelli corti e accuratamente pettinati, una barbetta appena accennata che evidenziava i lineamenti regolari del suo volto, lunghe ciglia scure che circondavano gli occhi di quel colore intenso che aveva già notato. Nonostante l’aria curata e matura, non doveva avere più di venticinque anni.

«Di solito non do del tu ai clienti» si giustificò, concentrandosi sul computer.

«Ma te lo sto chiedendo io» le fece notare. «Per favore» aggiunse, con un tono più dimesso e speranzoso.

«D’accordo» acconsentì, mentre apriva la prima foto. «Qui sei venuto bene» commentò, facendosi da parte perché anche lui potesse vedere lo schermo.

«È un complimento?» ribatté lui, facendola pentire delle sue parole. Avrebbe dovuto capire da subito, da quando lui le aveva chiesto di trattarlo in modo più informale, che era un tipo espansivo e che non si sarebbe lesinato ogni frecciatina possibile. Un po’ come Michael, pensò. Ma Michael era diverso: sapeva scherzare e divertirsi, sì, ma aveva un animo profondo che l’aveva colpita, era in grado di riflettere e agire in modo coscienzioso.

«Qui invece no» continuò, fingendo di non aver sentito. In quella seconda foto aveva gli occhi leggermente chiusi e il suo volto attraente ne risentiva molto.

«Tu dici? A me sembra di avere uno sguardo enigmatico» scherzò, mentre muoveva l’indice sullo schermo.

«No, assolutamente no» rise Dafne, più per il tono della sua voce che per le parole pronunciate, proseguendo con la sequenza.

«Quale mi consigli?» le domandò, fissandola tanto intensamente da costringerla a voltarsi e incontrare i suoi occhi.

«La prima è decisamente la migliore» rispose Dafne, ritornando alla foto.

«Allora mi fido» annuì, spostandosi per permetterle di alzarsi.

«Tu non sei d’accordo?» Dopotutto il cliente era lui, avrebbe dovuto essere una sua scelta e lei non voleva intromettersi.

«Credo che, se tu l’hai preferita, debba andar bene» insisté, aprendo il portafoglio. «Quanto ti devo?»

«Quattro sterline» gli comunicò, prendendo le foto dalla stampante e infilandole in una bustina trasparente con il logo del negozio.

«Sei qui da sola?» Quella domanda la spiazzò, incapace di comprendere cosa volesse sapere realmente.

«No… la proprietaria è nel laboratorio» spiegò, indicando la porta alle sue spalle con un cenno del capo.

«E puoi prenderti una pausa?»

«Come?» Lo stava osservando appoggiata al bancone, la bocca non era spalancata solo perché aveva ancora del contegno dalla sua parte. Aveva avuto una brutta sensazione quando si era informato sulla presenza di qualcun altro in quel luogo, come se avesse bisogno di solitudine per qualche motivo poco raccomandabile. Si diede subito dell’idiota, perché ora era chiaro che le sue intenzioni erano meno moleste di quanto si aspettasse. Non si stupì, quindi, quando lui le pose un’altra domanda.

«Posso offrirti un caffè?»

«Perché dovresti?» ribatté subito, ritrovando lo spirito che pensava di aver lasciato a Rodi. Lui non le piaceva, per quanto fosse bello non riusciva ad attrarla, ma era ciò di cui aveva bisogno. Qualcuno che la sfidasse, che la facesse mettere in gioco, che tirasse fuori l’ironia e il sarcasmo con cui era solita rispondere ad approcci tanto diretti e improbabili. Proprio come aveva fatto Michael.

«Sei una bella ragazza, perché non dovrei?» replicò, sorridente.

«Ti rendi conto che tutto finirebbe con quel caffè, vero? Non ci sarebbe nessun dopo.» Decise di essere onesta, ma questo non sembrò scoraggiarlo.

«Quindi vieni a prendere un caffè con me?»

Dafne abbassò lo sguardo mentre la sua fermezza vacillava. Forse non era tornata proprio come prima, ma di certo aveva ritrovato parte di quel suo carattere così particolare. Lui era riuscito a farla reagire solo perché le ricordava Michael, se n’era resa conto, e non sarebbe stato giusto sfruttarlo per questo. Ma dopotutto si trattava solo di un caffè ed era una sua offerta… Seguendo l’istinto, sebbene il suo cervello le urlasse di fare il contrario, accettò.

Andò ad avvisare sua zia della sua intenzione di prendersi una piccola pausa e la donna non fece obiezioni: era una mattinata calma e poteva badare da sola al negozio per un po’.

I due uscirono quindi in strada, diretti al primo bar sul loro cammino che non distava più di un paio di minuti dal negozio.

«Cosa posso portarvi?» Una cameriera si materializzò davanti a loro silenziosamente, prima ancora che si fossero sistemati sulle sedie.

«Un caffè?» La proposta dell’uomo, rivolta a Dafne, trovò un rifiuto.

«Un cappuccino, grazie» rispose invece, mentre lui ripeteva la sua scelta senza nemmeno pensarci.

«Non lavori lì da molto, non ti ho mai vista prima» notò, prendendo una sigaretta dalla tasca della giacca e accendendola.

«No, ho iniziato da meno di due settimane» confermò, osservando la spirale di fumo che si alzava nell’aria.

«Ne vuoi una?» le domandò, accortosi del suo sguardo.

Dafne scosse la testa, ripensando alle parole di Michael. “Sai, se proprio vuoi morire conosco metodi più rapidi e indolori del cancro ai polmoni.”

«Quanti anni hai?»

«Non lo sai che non si domanda l’età a una donna?» rimbeccò Dafne, prima di sorridere alla cameriera che le stava riportando l’ordine.

«Non sei certo abbastanza anziana da aver paura di rivelare la tua età» si giustificò.

Con un sospiro, Dafne cedette e confessò: «Quasi diciannove.» Poi, incuriosita, ricambiò. «Tu?»

«Ventisei» ammise, guardando la sua reazione. Era più vecchio di quanto si aspettasse, ma non di molto. Non diede a vedere la sua lieve sorpresa, nascondendo il viso dietro la tazzina.

«Cosa stavi disegnando quando sono entrato?»

«Mi hai vista?» Dafne si ritrovò a pronunciare quella domanda inutile, sperando che si fosse dimenticato di quel momento. Stava abbozzando l’immagine della protagonista di quello che avrebbe potuto essere il suo primo romanzo, era una cosa personale di cui nessuno era a conoscenza, non voleva che lui fosse il primo a venirne a conoscenza. «Nulla, non stavo disegnando nulla» negò, nonostante fosse evidente che mentiva.

Lui però sembrò capire che non era intenzionata a parlare e cambiò discorso, non volendo forzarla.

«Cosa ti ha spinto a lavorare come fotografa?»

«In realtà è solo un modo per guadagnare un po’ di soldi. Mi piace, certo, ma non è la mia vera passione» minimizzò.

«E qual è la tua vera passione, allora?»

Dafne lo guardò, resistendo appena all’impulso di scuotere la testa. Aveva sbagliato. Aveva creduto che uscire con lui le avrebbe fatto bene, che l’avrebbe distratta dal pensiero ricorrente di Michael, che l’avrebbe aiutata a fare un piccolo passo avanti verso la libertà da quel legame a distanza che le impediva di essere felice. Aveva torto. Non faceva che ripensare a lui, a ciò che gli aveva detto e che non si sentiva di ripetere a colui che aveva davanti. Ed era assurdo, perché aveva condiviso pochi giorni con Michael e non si era fatta problemi a rivelargli ogni suo più intimo segreto. Sin da subito c’era stata un’attrazione fatale che li aveva uniti, che aveva abbattuto ogni barriera dettata dalla convenienza.

«Io scrivo» ammise, per poi guardare l’orologio che teneva al polso.

«Cosa?»

«Un po’ di tutto» disse, senza dar peso alle suo parole. Stava per alzarsi, non riuscendo più a star seduta lì sapendo che pensava a Michael.

«Sei innamorata?»

Dopo quella domanda improvvisa e inaspettata, fu il suo turno di chiedere delucidazioni. «Cosa?»

«Hai sempre lo sguardo perso, sembri essere su un altro pianeta e ogni tanto sorridi senza rendertene conto, di sicuro non per quello che ti dico io» spiegò.

Le guance di Dafne assunsero un colorito più rosato e lei dovette trattenersi dal coprirle con le mani. Odiava arrossire in pubblico.

«Come pensavo» annuì lui, con un sorriso. «Temo di dover rinunciare subito. O forse ho qualche possibilità di vincere?»

Dafne scosse il capo, mordendosi le labbra. «Temo di no» rispose, mentre si sollevava. Aprì la zip della borsa ed estrasse il portafoglio per pagare il cappuccino, ma lui la bloccò.

«No, offro io.»

«Sicuro?»

Lui annuì di nuovo con un cenno del capo.

«Grazie» mormorò, infilandosi gli occhiali da sole, prima di allontanarsi.

* * *

Dafne ci aveva pensato per ore, da quando era tornata dal bar dove aveva lasciato quell’uomo non aveva fatto altro. Si era resa conto che non sapeva nemmeno il suo nome. Nella speranza di dimenticare Michael, anche solo per un po’, era uscita con uno sconosciuto. Era stato inutile, perché il loro carattere era così simile che per tutto il tempo le erano passati per la mente i ricordi di quegli intensi dieci giorni. Fisicamente non si assomigliavano affatto: Michael era più giovane, aveva un sorriso più fresco e abbagliante, gli occhi più grandi e la carnagione più abbronzata. Era anche più basso dell’uomo che aveva conosciuto quella mattina, tanto che la superava solo di pochi centimetri. Se fossero stati una coppia e avessero avuto l’occasione di frequentarsi a lungo termine, Dafne avrebbe dovuto rinunciare ai tacchi, non le piaceva l’idea di essere la più alta. Sarebbe stato un sacrificio fatto con piacere, pur di avere la possibilità di averlo vicino.

Invece di svagarsi, aveva finito per pensare sempre più a lui, tanto che ora se ne stava seduta sul letto a gambe incrociate con il cellulare tra le mani. Aveva sotto gli occhi la rubrica, per la precisione il numero di Michael evidenziato in giallo.

Voleva chiamarlo, ogni cellula del suo corpo fremeva per il bisogno di sentire la sua voce, unico mezzo per fingere di averlo più vicino. Non avrebbe potuto toccarlo, stringerlo, baciarlo. Non avrebbe potuto vederlo, osservare la sua reazione, sorridere e perdersi nei suoi occhi. Ma avrebbe potuto immaginarlo. Poteva fingere che lui fosse sdraiato al suo fianco, che le sussurrasse all’orecchio, che le sue mani le accarezzassero la vita mentre i loro respiri si confondevano.

Premette il pollice sul suo numero e attese. Il telefono cominciò a squillare un po’ in ritardo, forse per la distanza che li separava. Solo dopo quattro bip, quando cominciava a perdere le speranze e riattaccare, sentì un rumore gracchiante.

«Dafne.» La voce di Michael, solare e decisa proprio come la ricordava, le diede un sollievo immenso.

«Ciao» lo salutò, mentre un sorriso si formava sulle sue labbra.

«Come stai?» Adesso? Ora che ti sento e so che non mi hai già dimenticato? Ora che posso finalmente udire di nuovo la tua voce? O nei giorni passati? In tutti i momenti in cui ti penso e non ci sei? Quando mi chiedo perché sono salita su quell’aereo?

«Bene» sospirò, limitandosi a quella risposta impersonale. «Tu?»

«Non mentire» l’ammonì dolcemente. «Come mai mi hai chiamato?»

«Ho sbagliato?» domandò, temendo davvero di aver agito male. Si erano ripromessi di mantenere i contatti, di restare amici e informarsi l’uno sull’altro; ma si erano anche giurati di andare avanti, di non rimanere bloccati in quella sottospecie di relazione durata poche ore.

«No, assolutamente no» la rassicurò. «Mi fa piacere sentirti, non pensare neanche al contrario. Volevo dire: cosa ti ha spinto a chiamarmi adesso

Dafne avrebbe voluto apparire forte e sicura, ma non voleva mentire. Così scelse l’unica risposta onesta che si sentiva di dare, l’unica affermazione che racchiudeva tutti i suoi sentimenti, i suoi dubbi e le sue paure.

«Mi manchi» disse solamente la ragazza, stringendosi un cuscino al petto.

Lo sentì sospirare e la sua voce, quando rispose, risultò più flebile. «Mi manchi anche tu, tanto.»

Dafne si morse il labbro inferiore, sforzandosi di trattenere le lacrime che iniziavano a velarle gli occhi. Non voleva piangere, non voleva comportarsi come una bambina; era adulta e doveva imparare a controllare le sue emozioni. Emozioni complicate, contrastanti; emozioni che le riempivano l’anima e non le permettevano di respirare. Era così felice di sentire nuovamente la sua voce, di poter parlare con lui e ridere insieme, ma allo stesso tempo la consapevolezza che non poteva fare altro, che non poteva vederlo o toccarlo le faceva male.

Michael si schiarì la voce prima di riprendere a parlare, formulando una domanda meno impegnativa che lasciasse loro il tempo di rasserenarsi. «Allora, hai iniziato a lavorare da tua zia?»

«Sì, già da un bel po’. Il tempo di disfare la valigia ed ero già da lei. Mi sta piacendo,» raccontò, mentre i battiti del suo cuore rallentavano a poco a poco, «è un’attività interessante che mi permette di allenare la mia creatività. Non è il lavoro dei miei sogni, ma è bello.»

«A proposito di quello, mi devi mandare qualcuno dei tuoi scritti. Non mi hai fatto leggere nulla e sono curioso» la incitò.

«No, per favore» negò, scuotendo la testa sebbene lui non potesse vederla.

«Perché no?»

«È…» si bloccò, alla ricerca della parola più adatta per descrivere la sensazione che le impediva di condividere le sue creazioni. «È imbarazzante. Tutto ciò che scrivo è personale, mi sembrerebbe di rivelare una parte troppo grande di me.»

«Io conosco già buona parte di te» le fece notare, ridendo, riferendosi a quell’ultima notte di passione che avevano condiviso.

«Michael!» lo richiamò, stizzita, ma senza trattenere un sorriso.

«Seriamente, non ti fidi di me?» le domandò, con voce ilare ma meno maliziosa.

«Certo che mi fido di te, non è quello il problema…»

«Ma non abbastanza da farmi leggere ciò che scrivi» la interruppe.

Dafne sbuffò, cedendo alla sua richiesta. «Va bene, ti manderò qualcosa. Ma sei sleale, non dovresti raggirarmi così!» lo rimproverò. Sembravano aver recuperato una certa tranquillità, avendo accantonato la critica questione della lontananza che pur rimaneva sempre in fondo ai loro cuori. Una questione che ritornò presto in superficie con le parole di Michael, che senza pensarci se ne uscì con un proverbio ricco di significati.

«In guerra e in amore, tutto è lecito.»

Dopo quelle parole il silenzio cadde tra loro.

Dafne si era appena ripresa da quel “Mi manchi anche tu” e quella citazione non l’aveva aiutata. La loro relazione era complicata, senza una definizione, ma una cosa era certa: non era guerra. Si trattava allora di amore? Non poteva essere, non doveva. Erano lontani, troppo lontani perché un sentimento simile non li ferisse gravemente.

Michael, d’altro canto, si stava dando dell’idiota. Avrebbe potuto ribattere con centinaia di battute diverse, cosa l’aveva spinto a pronunciare proprio quella? Nulla avrebbe potuto essere più fuori luogo data la loro situazione. Ora non sapeva come rimediare, cosa dire per farsi perdonare quell’indelicatezza e farle tornare quel bellissimo sorriso che, lo sapeva, se n’era andato dal suo volto.

Al contrario di ogni previsione, fu Dafne a riprendere la parola. «Tu hai trovato lavoro, invece?»

«Ho un colloquio proprio domani» le rivelò, tirando un sospiro di sollievo. «Non c’è ancora nulla di sicuro, ma ho una bella sensazione.»

«Di che si tratta?»

«Un villaggio turistico sta cercando un bagnino. Quello che c’è adesso sta per sposarsi e poi si trasferirà sul continente, quindi hanno un posto vacante» spiegò.

«Davvero?» Poteva avvertire la felicità nella sua voce e la consapevolezza che una notizia simile la entusiasmasse tanto gli riempiva il cuore di gioia. «Spero che ti assumano. Posso già immaginarti come bagnino!»

Michael rise, cogliendo il tono di quelle parole.

Nonostante i ricordi che si ripresentavano prepotenti alle loro menti, portando con sé un’amara tristezza per il passato, quella telefonata rese entrambi più sereni. Parlarono per più di un’ora, finché la linea non si interruppe per la fine del credito. A Dafne non importò, l’unico rimpianto fu quello di non averlo potuto salutare per bene, impreparata a quella brusca fine di chiamata. Stesa sul letto, ora più calma e rilassata, fu certa di aver agito nel modo migliore. Sapere che anche lui pensava così spesso a lei, che serbava con ardore le memorie di quei giorni stupendi la rendeva immensamente felice. Pensò che avrebbe potuto farcela, che con il supporto di qualche chiamata occasionale il suo cuore sarebbe guarito – lentamente, certo, non si illudeva di tornare in piena forma in poco tempo – e un giorno avrebbe potuto essere di nuovo spensierata. Ancora stentava a credere che avrebbe potuto provare quelle emozioni con un uomo che non fosse Michael, ma si convinse che con lo scorrere dei giorni – delle settimane o dei mesi – ci sarebbe riuscita.

Per la prima volta dopo tanto tempo, si addormentò con il sorriso.

Voglio ringraziarvi tutti, perché sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivo mi fa sempre piacere e mi aiuta nei momenti in cui la stanchezza e la frustrazione mi spingerebbero altrimenti a mollare tutto.

Ringrazio in particolar modo coloro che dedicano qualche minuto della loro vita per farmi sapere ciò che pensano dei capitoli, riuscite sempre a strapparmi un sorriso.

Nei primi capitoli pubblicati c’è il link a un gruppo facebook che non esiste più, ho scelto di eliminarlo perché i membri seguivano una storia di un paio di anni fa e purtroppo non sono in contatto con loro da molto tempo.

Qui potete trovare il mio account facebook, aggiungetemi :)

Stavo pensando di aprire un nuovo gruppo dedicato solo a “Bolle di felicità”, quindi fatemi sapere se vi piace l’idea e se vorreste farne parte. Scrivetemi anche per messaggio privato se non vi va di lasciare una recensione completa, non c’è nessun problema per me.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nel frattempo vi lascio il solito spoiler che spero vi incuriosisca:

«A cosa stai pensando?» Le parole di Thomas la riportarono alla realtà, richiamandola da quella momentanea sosta nel passato.
«Mio padre insiste per sapere chi è il misterioso ragazzo che mi porta in giro senza il suo permesso» raccontò.
«Dovrei avere il suo permesso?» domandò, mentre si voltava a guardarla per un secondo.
Allie scosse la testa. «Devi avere solo il mio, di permesso» lo corresse, prima di sospirare. «Non credi che sia arrivato il momento di dirlo ai nostri genitori?»

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 22 ottobre.

Buona giornata :)


   
 
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