Dov’erano
rimasti?
Era
il primo bacio che
riceveva con la consapevolezza, e non solo la percezione, che Thomas
provava per
lei un affetto profondo, tanto che la definiva “la
sua ragazza”
e dimostrava una gelosia irritante ma
anche
lusinghiera nei suoi confronti.
Lo
strinse a sé, passando le
mani sulla sua schiena nuda, avvertendo il suo petto umido che le
bagnava la
maglia e i suoi capelli che le gocciolavano addosso.
Si
sentì pervadere da una
sensazione di benessere e gioia, le sembrava di essere in una bolla di
sapone
che la proteggeva da ogni preoccupazione e le permetteva di essere
puramente,
completamente felice.
Allontanandosi
da quella bocca
tentatrice per riprendere fiato, mentre Thomas scendeva sul suo collo e
si
soffermava su quel punto che amava tormentare, Allie si rese conto che
anche
lui era felice. Non solo emotivamente. Non l’aveva mai visto,
o sentito, così felice.
A story of everyday life
Capitolo 9
Allie
trattenne il respiro,
sorpresa da quell’inaspettato contatto. Lui non
sembrò accorgersene, troppo
concentrato ad assaporare la sua pelle. Ritornò sulla sua
bocca, richiedendo un
altro bacio che Allie non si sognò nemmeno di rifiutare, ma
che dovette
interrompere quando lui si pressò nuovamente addosso a lei,
permettendole di
sentirlo ancora una volta.
«Thomas»
boccheggiò, spostando
le labbra sulla sua guancia. Lui si scostò appena, giusto i
centimetri
necessari per allontanare quella parte del suo corpo da lei.
«Scusa»
mormorò, incapace di
fornire altre giustificazioni.
Allie
scosse appena la testa,
rassicurandolo, prima di baciarlo di nuovo. Era rimasta stupita
perché non
aveva pensato a quell’evenienza, non perché fosse
qualcosa di inopportuno.
Thomas era in bagno, nudo, coperto solo da un asciugamano, e la stava
baciando
con passione dopo averle detto che, per lui, lei era molto
più che un’amica. La
sua era una reazione naturale e impossibile da biasimare, tanto
più che nemmeno
Allie poteva dire di non trovare tremendamente eccitante quella
situazione.
La
loro relazione però era
appena cominciata, era troppo presto per fare un simile passo e, anche
se così
non fosse stato, quello non era certo il luogo né il momento
adatto.
«Ti
aspetto in camera» lo
avvertì, staccandosi dalle sue labbra e guardandolo negli
occhi. «C’è una
sorpresa» annunciò, sorridente.
«Cosa?»
domandò lui, incuriosito. Non era
nuova, tra loro, l’usanza di fare una sorpresa, ma fino a
quel momento era
sempre stato lui l’artefice e lei la beneficiaria.
«È
una sorpresa» ripeté,
sgusciando fuori dalla sua presa e poi dal bagno. Prese la borsa, che
aveva
lasciato in camera di Dafne, e attraversò il corridoio per
sedersi sul letto di
Thomas. Sentiva ancora l’aspirapolvere in funzione,
evidentemente Martha stava
facendo delle grandi pulizie, perché era già da
un bel po’ che Allie si trovava
lì. Sapeva che non sarebbe potuta rimanere ancora a lungo,
non se voleva
evitare di far crescere in lei dei sospetti. L’armadio di
Dafne non era poi
così grande e non conteneva così tanti vestiti da
richiedere più di un’ora di
ispezione per trovare un semplice capo. Aveva ancora del tempo,
però, e voleva
sfruttarlo tutto.
Thomas
arrivò subito, aveva
indossato un paio di jeans e una maglietta, i capelli ancora umidi.
«Adesso
mi dici di che si
tratta?» domandò, sedendosi dinanzi a lei.
Sorridendo,
Allie estrasse la
vaschetta dalla borsa e la posò tra di loro, togliendo il
coperchio. «Li ho
fatti prima di venire qui» rivelò, osservando la
sua reazione.
«Non
hai detto che non sai
cucinare?» chiese, corrugando la fronte.
Allie
annuì. «Ho voluto
provare comunque» rispose, alzando le spalle. «Vuoi
assaggiare?» propose,
prendendo un biscotto uno e alzandolo davanti alla sua faccia.
Senza
smettere di guardarla,
Thomas diede un morso. Il suo sguardo era così intenso che,
per un attimo,
Allie temette di arrossire.
«È
buoniffimo»
approvò, ancora con la bocca piena, rubandole
l’altro
pezzetto dalle mani per ingoiarlo.
«Non
ne hai mangiato uno?» le
domandò, prendendone un altro dalla vaschetta.
Allie
scosse il capo, mentre
lo osservava avvicinare la mano a lei, imboccandola a sua volta.
«Come
mai hai deciso di
provare proprio ora? Speravi di addolcirmi con i biscotti?»
«Quello
è uno dei motivi, sì»
annuì.
«Ce
ne sono altri?»
«Volevo
farti capire che ci tengo
a te, che mi dispiace di aver sbagliato» spiegò,
prima di concludere: «Questo
non toglie che una parte della colpa sia anche tua.»
«Che
ho fatto?» Il suo tono
era genuinamente sorpreso, non pensava di aver fatto nulla di male.
Riteneva
più che giusta la sua reazione.
«Non
mi hai dato il tempo di
parlare e dirti come stavano le cose. Se avessi aspettato un momento,
invece di
scappare via subito, questo non sarebbe stato necessario.»
«Ma
non ci saremmo chiariti
davvero, non come abbiamo fatto questa mattina» le fece
notare. Ed era vero. Se
la questione si fosse risolta la sera precedente, con ogni
probabilità non
sarebbero arrivati al punto di definire il loro rapporto di coppia.
«E poi, non
mi avresti fatto i biscotti, quindi ci ho guadagnato il
doppio» rise,
afferrandone un altro.
Allie
si unì alla sua risata e
lo spinse giocosamente, facendo cadere di schiena sul letto. Lui
però fu veloce
e le afferrò il polso, costringendola a seguirlo,
rovesciando i biscotti sul
lenzuolo.
«Guarda
che disastro!» lo rimproverò,
incapace di arrabbiarsi davvero. Sentiva la felicità
scorrerle nelle vene,
un’energia vitale che non aveva mai sentito prima.
«Ssh»
la zittì lui, posandole
un dito sulle labbra e tendendo l’orecchio.
Ora
che stava prestando
attenzione, anche Allie si rese conto di non sentire più
l’aspirapolvere, ma
anzi dei passi che salivano le scale. Si alzò di scatto e,
afferrata la borsa,
si precipitò in camera di Dafne, senza nemmeno controllare
se Martha avesse
potuto scorgerla in corridoio. Si risistemò i capelli che, a
seguito dei loro
movimenti, non erano più in ordine e infilò una
maglia in borsa. Uscì dalla
stanza proprio mentre la donna stava mettendo piede sul pianerottolo.
«Oh,
Allie!» esclamò,
trovandosela davanti. «Hai trovato ciò che
cercavi?»
«Sì,
certo» annuì, aprendo la
zip della borsa per farle vedere il tessuto della maglia.
«Era finita dentro un
cardigan di Dafne, assurdo!» inventò, cominciando
a scendere le scale e notando
che Martha la stava seguendo. Doveva essere salita solo per assicurarsi
che
fosse ancora viva, dopotutto ci aveva messo davvero troppo tempo. Un
po’ le
dispiaceva raggirarla in quel modo ma si consolò con il
pensiero che, una volta
scoperta la verità, sarebbe stata talmente felice per lei e
Thomas che non se
ne sarebbe curata.
Thomas.
Per la fretta di non farsi beccare, non l’aveva
nemmeno salutato. Ormai era arrivata davanti alla porta
d’ingresso e stava per
augurare buona giornata alla donna prima di uscire, quando decise che,
se
doveva mentire, almeno doveva farlo per bene.
«Che
idiota!» disse,
enfatizzando la sua falsa sorpresa. «Ho dimenticato il
cellulare in camera di
Dafne» raccontò, «faccio una corsa a
prenderlo» concluse, guardando Martha.
Salì
di corsa le scale ed
entrò in camera di Thomas, senza preoccuparsi di bussare,
non ne aveva il
tempo.
«Dimenticato
qualcosa?»
domandò, voltandosi verso di lei. Aveva già
raccolto le briciole dal letto e
aveva sistemato la vaschetta mezza vuota sulla scrivania.
«Sì»
assentì, afferrandolo per
il colletto della maglia. «Bacio»
sussurrò, sporgendosi verso di lui.
Forse
a un occhio estraneo
quel comportamento poteva apparire stupido, più adatto a una
tredicenne che a
una ragazza matura; ma ora che era certa del suo affetto, Allie sentiva
il
bisogno di baciarlo, di stringerlo a lei.
Thomas
non si fece pregare,
posando le labbra sulle sue in un bacio veloce ma pieno di passione.
«Ciao»
mormorò Allie, prima di
baciarlo di nuovo e decidersi a scendere una volta per tutte.
Salutò
Martha, forse troppo
bruscamente, e si rinchiuse in macchina. Solo allora emise un profondo
sospiro,
cercando di metabolizzare ciò che era successo quella
mattina.
Non
avrebbe dovuto ignorare le
parole di Dafne. L’aveva avvertita, quando si trovavano
ancora in vacanza e tra
lei e Thomas non c’erano che telefonate e promesse, che la
tendenza a farsi
scoprire nei momenti intimi era una caratteristica di famiglia. Se
già
rischiavano di essere beccati in momenti così tranquilli,
non osò immaginare
cosa sarebbe successo quando la loro relazione fosse arrivata agli
stadi
successivi.
*
* *
La
mattinata era stata insolitamente calma, quasi nessuno
si era presentato in negozio e Dafne aveva potuto approfittare di
quella
tranquillità per scrivere. L’ispirazione
l’aveva colpita mentre si trovava in
discoteca. Ed era strano perché non c’era nulla
che collegasse la storia che si
delineava piano piano nella sua mente con la vista della barista che si
mangiava con gli occhi un ragazzo seduto su un divanetto. Era la prima
volta
che, invece di una storia romantica o profondamente introspettiva,
creava un
giallo. Sarebbe potuto diventare un vero e proprio romanzo, data la sua
propensione alla loquacità e i più insignificanti
dettagli che già le si
presentavano davanti.
Non
aveva detto niente a nessuno, nemmeno ad Allie che
era sempre stata la sua prima lettrice. Voleva essere certa di poter
portare a
termine, o perlomeno iniziare, questo lavoro prima di farne parola con
qualcuno. Aveva una strana sensazione, un presentimento che non aveva
mai
provato prima, come se sentisse dentro di sé che quella
storia poteva diventare
davvero qualcosa di importante.
Stava
tracciando su un foglio i lineamenti che avrebbero
dovuto appartenere alla protagonista, il cui nome doveva ancora essere
deciso,
quando sentì la campanella sopra la porta suonare.
Alzò lo sguardo e si trovò
davanti un giovane dagli occhi d’un verde intenso che la
fissava.
«Posso
aiutarla?» chiese, riponendo l’album e la matita
dentro un cassetto, prima di alzarsi.
«Sì,
grazie. Avrei bisogno di alcune fototessere per il
passaporto.»
«Ha
già delle foto che vuole ristampare o ne vuole di
nuove?» si informò, osservandolo.
«Vorrei
farle adesso» rispose, avvicinandosi alla
rientranza dallo sfondo azzurro dov’era posta la sedia che
veniva utilizzata in
quelle occasioni. Si era mosso senza nemmeno aspettare un suo invito,
doveva
essere un cliente abituale.
Dafne
prese la macchina fotografica e si passò il cordino
dietro il collo. Accese il faretto, cercando la posizione migliore per
illuminare il suo volto.
«Deve
partire per un viaggio?» domandò, per riempire il
silenzio. Si sentiva sempre in imbarazzo quando si trovava sola con un
cliente
senza aver nulla da dire.
«Sì,
vado a Brasile» rivelò lui con un sorriso,
sistemandosi meglio sulla sedia.
«Lavoro
o piacere?» Quasi esultò quando riuscì
a trovare
la luce perfetta: quel faretto era ormai vecchio e faticava a restar
fermo,
avrebbe dovuto dire a sua zia di sostituirlo.
«Piacere»
replicò, trattenendo una risata. Dafne non capì
quel comportamento ma non se ne curò, doveva sbrigarsi per
evitare di perdere
altri cinque minuti a ritrovare la posizione.
«Sorrida»
disse, prima di iniziare a scattare. Era
fotogenico, lo notò subito. Già nella prima foto
era venuto bene, ma le avevano
insegnato a scattarne almeno una decina, così che il cliente
potesse scegliere
quella che preferiva. Continuò quindi il suo lavoro,
finché non vide il sorriso
sul volto dell’uomo restringersi. I muscoli facciali dovevano
dolergli dopo
tutto quel tempo.
«Abbiamo
finito?» chiese, massaggiandosi la mascella.
Forse era stata un tantino troppo cauta.
«Sì»
annuì, inserendo la scheda della memoria nel
computer. «Ora mi dica quale preferisce.»
«Hai
intenzione di darmi del lei ancora per molto?»
domandò, avvicinandosi. «Non sono poi
così vecchio.»
Dafne
lo osservò: aveva i capelli corti e accuratamente
pettinati, una barbetta appena accennata che evidenziava i lineamenti
regolari
del suo volto, lunghe ciglia scure che circondavano gli occhi di quel
colore
intenso che aveva già notato. Nonostante l’aria
curata e matura, non doveva avere
più di venticinque anni.
«Di
solito non do del tu ai clienti» si giustificò,
concentrandosi sul computer.
«Ma
te lo sto chiedendo io» le fece notare. «Per
favore»
aggiunse, con un tono più dimesso e speranzoso.
«D’accordo»
acconsentì, mentre apriva la prima foto. «Qui
sei venuto bene» commentò, facendosi da parte
perché anche lui potesse vedere
lo schermo.
«È
un complimento?» ribatté lui, facendola pentire
delle
sue parole. Avrebbe dovuto capire da subito, da quando lui le aveva
chiesto di
trattarlo in modo più informale, che era un tipo espansivo e
che non si sarebbe
lesinato ogni frecciatina possibile. Un
po’ come Michael, pensò. Ma Michael era
diverso: sapeva scherzare e
divertirsi, sì, ma aveva un animo profondo che
l’aveva colpita, era in grado di
riflettere e agire in modo coscienzioso.
«Qui
invece no» continuò, fingendo di non aver sentito.
In quella seconda foto aveva gli occhi leggermente chiusi e il suo
volto
attraente ne risentiva molto.
«Tu
dici? A me sembra di avere uno sguardo enigmatico»
scherzò,
mentre muoveva l’indice sullo schermo.
«No,
assolutamente no» rise Dafne, più per il tono
della
sua voce che per le parole pronunciate, proseguendo con la sequenza.
«Quale
mi consigli?» le domandò, fissandola tanto
intensamente da costringerla a voltarsi e incontrare i suoi occhi.
«La
prima è decisamente la migliore» rispose Dafne,
ritornando alla foto.
«Allora
mi fido» annuì, spostandosi per permetterle di
alzarsi.
«Tu
non sei d’accordo?» Dopotutto il cliente era lui,
avrebbe dovuto essere una sua scelta e lei non voleva intromettersi.
«Credo
che, se tu l’hai preferita, debba andar bene»
insisté, aprendo il portafoglio. «Quanto ti
devo?»
«Quattro
sterline» gli comunicò, prendendo le foto dalla
stampante e infilandole in una bustina trasparente con il logo del
negozio.
«Sei
qui da sola?» Quella domanda la spiazzò, incapace
di
comprendere cosa volesse sapere realmente.
«No…
la proprietaria è nel laboratorio»
spiegò, indicando
la porta alle sue spalle con un cenno del capo.
«E
puoi prenderti una pausa?»
«Come?»
Lo stava osservando appoggiata al bancone, la
bocca non era spalancata solo perché aveva ancora del
contegno dalla sua parte.
Aveva avuto una brutta sensazione quando si era informato sulla
presenza di
qualcun altro in quel luogo, come se avesse bisogno di solitudine per
qualche
motivo poco raccomandabile. Si diede subito dell’idiota,
perché ora era chiaro
che le sue intenzioni erano meno moleste di quanto si aspettasse. Non
si stupì,
quindi, quando lui le pose un’altra domanda.
«Posso
offrirti un caffè?»
«Perché
dovresti?» ribatté
subito, ritrovando lo spirito che pensava di aver lasciato a Rodi. Lui
non le
piaceva, per quanto fosse bello non riusciva ad attrarla, ma era
ciò di cui
aveva bisogno. Qualcuno che la sfidasse, che la facesse mettere in
gioco, che
tirasse fuori l’ironia e il sarcasmo con cui era solita
rispondere ad approcci
tanto diretti e improbabili. Proprio come
aveva fatto Michael.
«Sei
una bella ragazza, perché
non dovrei?» replicò, sorridente.
«Ti
rendi conto che tutto
finirebbe con quel caffè, vero? Non ci sarebbe nessun dopo.» Decise di essere onesta,
ma questo non sembrò scoraggiarlo.
«Quindi
vieni a prendere un
caffè con me?»
Dafne
abbassò lo sguardo
mentre la sua fermezza vacillava. Forse non era tornata proprio come
prima, ma
di certo aveva ritrovato parte di quel suo carattere così
particolare. Lui era
riuscito a farla reagire solo perché le ricordava Michael,
se n’era resa conto,
e non sarebbe stato giusto sfruttarlo per questo. Ma dopotutto si
trattava solo
di un caffè ed era una sua offerta… Seguendo
l’istinto, sebbene il suo cervello
le urlasse di fare il contrario, accettò.
Andò
ad avvisare sua zia della
sua intenzione di prendersi una piccola pausa e la donna non fece
obiezioni:
era una mattinata calma e poteva badare da sola al negozio per un
po’.
I
due uscirono quindi in
strada, diretti al primo bar sul loro cammino che non distava
più di un paio di
minuti dal negozio.
«Cosa
posso portarvi?» Una
cameriera si materializzò davanti a loro silenziosamente,
prima ancora che si
fossero sistemati sulle sedie.
«Un
caffè?» La proposta
dell’uomo, rivolta a Dafne, trovò un rifiuto.
«Un
cappuccino, grazie»
rispose invece, mentre lui ripeteva la sua scelta senza nemmeno
pensarci.
«Non
lavori lì da molto, non
ti ho mai vista prima» notò, prendendo una
sigaretta dalla tasca della giacca e
accendendola.
«No,
ho iniziato da meno di
due settimane» confermò, osservando la spirale di
fumo che si alzava nell’aria.
«Ne
vuoi una?» le domandò,
accortosi del suo sguardo.
Dafne
scosse la testa, ripensando
alle parole di Michael. “Sai, se
proprio
vuoi morire conosco metodi più rapidi e indolori del cancro
ai polmoni.”
«Quanti
anni hai?»
«Non
lo sai che non si domanda
l’età a una donna?» rimbeccò
Dafne, prima di sorridere alla cameriera che le
stava riportando l’ordine.
«Non
sei certo abbastanza
anziana da aver paura di rivelare la tua età» si
giustificò.
Con
un sospiro, Dafne cedette
e confessò: «Quasi diciannove.» Poi,
incuriosita, ricambiò. «Tu?»
«Ventisei»
ammise, guardando
la sua reazione. Era più vecchio di quanto si aspettasse, ma
non di molto. Non
diede a vedere la sua lieve sorpresa, nascondendo il viso dietro la
tazzina.
«Cosa
stavi disegnando quando
sono entrato?»
«Mi
hai vista?» Dafne si
ritrovò a pronunciare quella domanda inutile, sperando che
si fosse dimenticato
di quel momento. Stava abbozzando l’immagine della
protagonista di quello che
avrebbe potuto essere il suo primo romanzo, era una cosa personale di
cui
nessuno era a conoscenza, non voleva che lui fosse il primo a venirne a
conoscenza. «Nulla, non stavo disegnando nulla»
negò, nonostante fosse evidente
che mentiva.
Lui
però sembrò capire che non
era intenzionata a parlare e cambiò discorso, non volendo
forzarla.
«Cosa
ti ha spinto a lavorare
come fotografa?»
«In
realtà è solo un modo per
guadagnare un po’ di soldi. Mi piace, certo, ma non
è la mia vera passione»
minimizzò.
«E
qual è la tua vera
passione, allora?»
Dafne
lo guardò, resistendo
appena all’impulso di scuotere la testa. Aveva sbagliato.
Aveva creduto che
uscire con lui le avrebbe fatto bene, che l’avrebbe distratta
dal pensiero
ricorrente di Michael, che l’avrebbe aiutata a fare un
piccolo passo avanti
verso la libertà da quel legame a distanza che le impediva
di essere felice.
Aveva torto. Non faceva che ripensare a lui,
a ciò che gli aveva detto e che non si sentiva di ripetere a
colui che aveva
davanti. Ed era assurdo, perché aveva condiviso pochi giorni
con Michael e non
si era fatta problemi a rivelargli ogni suo più intimo
segreto. Sin da subito
c’era stata un’attrazione fatale che li aveva
uniti, che aveva abbattuto ogni
barriera dettata dalla convenienza.
«Io
scrivo» ammise, per poi
guardare l’orologio che teneva al polso.
«Cosa?»
«Un
po’ di tutto» disse, senza
dar peso alle suo parole. Stava per alzarsi, non riuscendo
più a star seduta lì
sapendo che pensava a Michael.
«Sei
innamorata?»
Dopo
quella domanda improvvisa
e inaspettata, fu il suo turno di chiedere delucidazioni.
«Cosa?»
«Hai
sempre lo sguardo perso,
sembri essere su un altro pianeta e ogni tanto sorridi senza rendertene
conto,
di sicuro non per quello che ti dico io» spiegò.
Le
guance di Dafne assunsero
un colorito più rosato e lei dovette trattenersi dal
coprirle con le mani.
Odiava arrossire in pubblico.
«Come
pensavo» annuì lui, con
un sorriso. «Temo di dover rinunciare subito. O forse ho
qualche possibilità di
vincere?»
Dafne
scosse il capo,
mordendosi le labbra. «Temo di no» rispose, mentre
si sollevava. Aprì la zip
della borsa ed estrasse il portafoglio per pagare il cappuccino, ma lui
la
bloccò.
«No,
offro io.»
«Sicuro?»
Lui
annuì di nuovo con un
cenno del capo.
«Grazie»
mormorò, infilandosi
gli occhiali da sole, prima di allontanarsi.
* * *
Dafne
ci aveva pensato per
ore, da quando era tornata dal bar dove aveva lasciato
quell’uomo non aveva
fatto altro. Si era resa conto che non sapeva nemmeno il suo nome.
Nella
speranza di dimenticare Michael, anche solo per un po’, era
uscita con uno
sconosciuto. Era stato inutile, perché il loro carattere era
così simile che
per tutto il tempo le erano passati per la mente i ricordi di quegli
intensi
dieci giorni. Fisicamente non si assomigliavano affatto: Michael era
più
giovane, aveva un sorriso più fresco e abbagliante, gli
occhi più grandi e la
carnagione più abbronzata. Era anche più basso
dell’uomo che aveva conosciuto
quella mattina, tanto che la superava solo di pochi centimetri. Se
fossero
stati una coppia e avessero avuto l’occasione di frequentarsi
a lungo termine,
Dafne avrebbe dovuto rinunciare ai tacchi, non le piaceva
l’idea di essere la
più alta. Sarebbe stato un sacrificio fatto con piacere, pur
di avere la
possibilità di averlo vicino.
Invece
di svagarsi, aveva
finito per pensare sempre più a lui, tanto che ora se ne
stava seduta sul letto
a gambe incrociate con il cellulare tra le mani. Aveva sotto gli occhi
la
rubrica, per la precisione il numero di Michael evidenziato in giallo.
Voleva
chiamarlo, ogni cellula
del suo corpo fremeva per il bisogno di sentire la sua voce, unico
mezzo per
fingere di averlo più vicino. Non avrebbe potuto toccarlo,
stringerlo,
baciarlo. Non avrebbe potuto vederlo, osservare la sua reazione,
sorridere e
perdersi nei suoi occhi. Ma avrebbe potuto immaginarlo. Poteva fingere
che lui
fosse sdraiato al suo fianco, che le sussurrasse
all’orecchio, che le sue mani
le accarezzassero la vita mentre i loro respiri si confondevano.
Premette
il pollice sul suo
numero e attese. Il telefono cominciò a squillare un
po’ in ritardo, forse per
la distanza che li separava. Solo dopo quattro bip, quando cominciava a
perdere
le speranze e riattaccare, sentì un rumore gracchiante.
«Dafne.»
La voce di Michael,
solare e decisa proprio come la ricordava, le diede un sollievo immenso.
«Ciao»
lo salutò, mentre un
sorriso si formava sulle sue labbra.
«Come
stai?» Adesso? Ora che ti sento e
so che non mi hai
già dimenticato? Ora che posso finalmente udire di nuovo la
tua voce? O nei
giorni passati? In tutti i momenti in cui ti penso e non ci sei? Quando
mi
chiedo perché sono salita su quell’aereo?
«Bene»
sospirò, limitandosi a
quella risposta impersonale. «Tu?»
«Non
mentire» l’ammonì
dolcemente. «Come mai mi hai chiamato?»
«Ho
sbagliato?» domandò,
temendo davvero di aver agito male. Si erano ripromessi di mantenere i
contatti, di restare amici e informarsi l’uno
sull’altro; ma si erano anche
giurati di andare avanti, di non rimanere bloccati in quella
sottospecie di
relazione durata poche ore.
«No,
assolutamente no» la
rassicurò. «Mi fa piacere sentirti, non pensare
neanche al contrario. Volevo
dire: cosa ti ha spinto a chiamarmi adesso?»
Dafne
avrebbe voluto apparire
forte e sicura, ma non voleva mentire. Così scelse
l’unica risposta onesta che
si sentiva di dare, l’unica affermazione che racchiudeva
tutti i suoi
sentimenti, i suoi dubbi e le sue paure.
«Mi
manchi» disse solamente la
ragazza, stringendosi un cuscino al petto.
Lo
sentì sospirare e la sua
voce, quando rispose, risultò più flebile.
«Mi manchi anche tu, tanto.»
Dafne
si morse il labbro
inferiore, sforzandosi di trattenere le lacrime che iniziavano a
velarle gli
occhi. Non voleva piangere, non voleva comportarsi come una bambina;
era adulta
e doveva imparare a controllare le sue emozioni. Emozioni complicate,
contrastanti; emozioni che le riempivano l’anima e non le
permettevano di
respirare. Era così felice di sentire nuovamente la sua
voce, di poter parlare
con lui e ridere insieme, ma allo stesso tempo la consapevolezza che
non poteva
fare altro, che non poteva vederlo o toccarlo le faceva male.
Michael
si schiarì la voce
prima di riprendere a parlare, formulando una domanda meno impegnativa
che
lasciasse loro il tempo di rasserenarsi. «Allora, hai
iniziato a lavorare da
tua zia?»
«Sì,
già da un bel po’. Il
tempo di disfare la valigia ed ero già da lei. Mi sta
piacendo,» raccontò,
mentre i battiti del suo cuore rallentavano a poco a poco,
«è un’attività
interessante che mi permette di allenare la mia creatività.
Non è il lavoro dei
miei sogni, ma è bello.»
«A
proposito di quello, mi
devi mandare qualcuno dei tuoi scritti. Non mi hai fatto leggere nulla
e sono curioso»
la incitò.
«No,
per favore» negò,
scuotendo la testa sebbene lui non potesse vederla.
«Perché
no?»
«È…»
si bloccò, alla ricerca
della parola più adatta per descrivere la sensazione che le
impediva di
condividere le sue creazioni. «È imbarazzante.
Tutto ciò che scrivo è
personale, mi sembrerebbe di rivelare una parte troppo grande di
me.»
«Io
conosco già buona parte di
te» le fece notare, ridendo, riferendosi a
quell’ultima notte di passione che
avevano condiviso.
«Michael!»
lo richiamò,
stizzita, ma senza trattenere un sorriso.
«Seriamente,
non ti fidi di
me?» le domandò, con voce ilare ma meno maliziosa.
«Certo
che mi fido di te, non
è quello il problema…»
«Ma
non abbastanza da farmi
leggere ciò che scrivi» la interruppe.
Dafne
sbuffò, cedendo alla sua
richiesta. «Va bene, ti manderò qualcosa. Ma sei
sleale, non dovresti
raggirarmi così!» lo rimproverò.
Sembravano aver recuperato una certa
tranquillità, avendo accantonato la critica questione della
lontananza che pur
rimaneva sempre in fondo ai loro cuori. Una questione che
ritornò presto in
superficie con le parole di Michael, che senza pensarci se ne
uscì con un
proverbio ricco di significati.
«In
guerra e in amore, tutto è lecito.»
Dopo
quelle parole il silenzio
cadde tra loro.
Dafne
si era appena ripresa da
quel “Mi manchi anche tu”
e quella
citazione non l’aveva aiutata. La loro relazione era
complicata, senza una
definizione, ma una cosa era certa: non era guerra. Si trattava allora
di
amore? Non poteva essere, non doveva.
Erano lontani, troppo lontani perché un sentimento simile
non li ferisse
gravemente.
Michael,
d’altro canto, si
stava dando dell’idiota. Avrebbe potuto ribattere con
centinaia di battute
diverse, cosa l’aveva spinto a pronunciare proprio quella?
Nulla avrebbe potuto
essere più fuori luogo data la loro situazione. Ora non
sapeva come rimediare,
cosa dire per farsi perdonare quell’indelicatezza e farle
tornare quel
bellissimo sorriso che, lo sapeva, se n’era andato dal suo
volto.
Al
contrario di ogni
previsione, fu Dafne a riprendere la parola. «Tu hai trovato
lavoro, invece?»
«Ho
un colloquio proprio
domani» le rivelò, tirando un sospiro di sollievo.
«Non c’è ancora nulla di
sicuro, ma ho una bella sensazione.»
«Di
che si tratta?»
«Un
villaggio turistico sta
cercando un bagnino. Quello che c’è adesso sta per
sposarsi e poi si trasferirà
sul continente, quindi hanno un posto vacante»
spiegò.
«Davvero?»
Poteva avvertire la
felicità nella sua voce e la consapevolezza che una notizia
simile la
entusiasmasse tanto gli riempiva il cuore di gioia. «Spero
che ti assumano.
Posso già immaginarti come bagnino!»
Michael
rise, cogliendo il
tono di quelle parole.
Nonostante
i ricordi che si
ripresentavano prepotenti alle loro menti, portando con sé
un’amara tristezza
per il passato, quella telefonata rese entrambi più sereni.
Parlarono per più
di un’ora, finché la linea non si interruppe per
la fine del credito. A Dafne
non importò, l’unico rimpianto fu quello di non
averlo potuto salutare per
bene, impreparata a quella brusca fine di chiamata. Stesa sul letto,
ora più
calma e rilassata, fu certa di aver agito nel modo migliore. Sapere che
anche
lui pensava così spesso a lei, che serbava con ardore le
memorie di quei giorni
stupendi la rendeva immensamente felice. Pensò che avrebbe
potuto farcela, che
con il supporto di qualche chiamata occasionale il suo cuore sarebbe
guarito –
lentamente, certo, non si illudeva di tornare in piena forma in poco
tempo – e
un giorno avrebbe potuto essere di nuovo spensierata. Ancora stentava a
credere
che avrebbe potuto provare quelle emozioni con un uomo che non fosse
Michael,
ma si convinse che con lo scorrere dei giorni – delle
settimane o dei mesi – ci
sarebbe riuscita.
Per
la prima volta dopo tanto
tempo, si addormentò con il sorriso.
Voglio
ringraziarvi tutti, perché
sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivo mi fa sempre
piacere e mi aiuta nei
momenti in cui la stanchezza e la frustrazione mi spingerebbero
altrimenti a
mollare tutto.
Ringrazio
in particolar modo coloro
che dedicano qualche minuto della loro vita per farmi sapere
ciò che pensano
dei capitoli, riuscite sempre a strapparmi un sorriso.
Nei
primi capitoli pubblicati c’è
il link a un gruppo facebook che non esiste più, ho scelto
di eliminarlo perché
i membri seguivano una storia di un paio di anni fa e purtroppo non
sono in
contatto con loro da molto tempo.
Qui
potete trovare il mio account
facebook, aggiungetemi :)
Stavo
pensando di aprire un nuovo
gruppo dedicato solo a “Bolle di
felicità”, quindi fatemi sapere se vi piace
l’idea e se vorreste farne parte. Scrivetemi anche per
messaggio privato se non
vi va di lasciare una recensione completa, non c’è
nessun problema per me.
Spero
che questo capitolo vi sia
piaciuto, nel frattempo vi lascio il solito spoiler che spero vi
incuriosisca:
«A
cosa stai pensando?» Le parole
di Thomas la riportarono alla realtà, richiamandola da
quella momentanea sosta
nel passato.
«Mio
padre insiste per sapere chi è
il misterioso ragazzo che mi porta in giro senza il suo
permesso» raccontò.
«Dovrei
avere il suo permesso?»
domandò, mentre si voltava a guardarla per un secondo.
Allie
scosse la testa. «Devi avere
solo il mio, di permesso» lo corresse, prima di sospirare.
«Non credi che sia
arrivato il momento di dirlo ai nostri genitori?»
Il
prossimo capitolo arriverà tra
una settimana, mercoledì 22
ottobre.
Buona
giornata :)