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Autore: DirceMichelaRivetti    15/10/2014    2 recensioni
Isaia non vuole uccidere Gabriel, ma non può neppure correre il rischio che la profezia si realizzi. Deve trovare un'altra strada...dovrà, però, scendere a patti proprio con Serventi.
Gabriel, intanto, prosegue la sua vita con Claudia e a Capo del Direttorio. Una gran noia la burocrazia della Congregazione, finché a smuovere la routine interviene l'eccentrica sorella di Isaia, che cerca il fratello.
Caso strano, Stefano riceverà l'incarico di fare una verifica proprio su di lei.
Presto tutti quanti i personaggi dovranno riunirsi per vedere se è possibile trovare una soluzione pacifica a tutte le divergenze.
Gabriel non sarà affatto felice di rivedere Isaia, che afflitto dal dolore deve costantemente ricordarsi di Dio, per potersi concentrare sulla sua missione.
Serventi non si fiderà delle proposte.
Il resto .... ve lo lascio leggere. Ho accennato qui ad alcuni dei punti di maggior rilievo di questa storia, ma non ci sarà solo questo.
Il tutto sarà condito da speculazioni esoteriche-filosofiche-teologiche. Probabilmente anche un po' di romanticismo, ma non sarà il tema centrale.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabriel Antinori, Nuovo personaggio, Padre Isaia, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo una decina di giorni dall’inspiegabile fuga di notizie, tutti i giornali parlavano ancora delle vicende legate a Calvi, Sindona e la miriade di intrighi ad essi collegati, era anche ritornata alla ribalta la teoria secondo cui Papa Giovanni Paolo II avesse finanziato la rivolta polacca contro l’URSS, provocando così, in fine, il crollo del Fronte Rosso.

Ovviamente non ci si limitava a scrivere articoli e fare inchieste, bensì erano sorti innumerevoli comitati e movimenti di protesta che esigevano indagini accurate, che manifestavano, che organizzavano sit-in, che invocavano l’abolizione dei privilegi del Vaticano, altri volevano imporgli una multa. Data l’atmosfera tumultuosa, anche il fratello di Manuela Orlandi per l’ennesima volta era partito alla carica per scoprire la verità sulla morte della sorella; alle proteste si erano aggregati, giusto per farsi forza spalleggiandosi a vicenda, anche comitati di protesta contro i preti pedofili e movimenti per il diritto di matrimonio agli omosessuali.

Si sa, quando l’elefante è ferito a morte, tutti i carnivori della savana si avvicinano, nella speranza di strappare qualche brandello di carne. Insomma, era proprio una gara per dare il calcio dell’asino[1], ormai.

Gruppi di atei e anticlericali erano spuntati come funghi su tutti i fronti e agivano in modi assai differenti, dalla raccolta firme ad atti violenti. Si era verificata già più di una sassaiola in piazza San Pietro e le guardie svizzere, per la prima volta a memoria d’uomo, avevano dovuto intervenire e combattere per contrastare gli assalti dei più feroci e invasati degli oppositori della Chiesa.

La situazione era molto confusa e pareva ormai fuori controllo, il Vaticano non aveva idea di come contenere le proteste, di come difendersi da quelle accuse, che ormai erano supportate da prove, e di come poter fare ammenda, senza perdere il proprio potere, per calmare la gente.

Numerosissimi, a centinaia, se non migliaia, si erano accampati nelle vie confinanti col Vaticano, per protestare, pronti a menare le mani alla prima occasione; la polizia non se la sentiva di allontanarli o di arrestarli per occupazione di suolo pubblico, come invece avrebbero potuto fare.

In tutta Italia, i vescovi e i cardinali si erano rinchiusi nei propri palazzi e non osavano mettere il naso fuori; i preti, alcuni si erano anch’essi rifugiati sotto l’ala episcopale, altri resistevano fieri nelle proprie parrocchie. Il solo organo che continuava ad andare avanti senza farsi spaventare era proprio la Congregazione della Verità.

Pronti a vendicare l’onore di San Pietro e a punire quei biliosi infedeli, c’erano i Templari.

Sartori, ormai preso completo possesso del comando dell’Ordine del Tempio, aveva recuperato le tre antiche reliquie, gelosamente custodite per nove secoli. Aveva deciso, anche, che era il momento di rivelarsi nuovamente al mondo.

Quel giorno, molti cittadini di Roma si meravigliarono nel vedere cavalcare per le strade della città una cinquantina di cavalieri che parevano usciti da un antico affresco. Uomini in cotta di maglia, rivestiti da una tunica bianca attraversata da una croce rossa, con spade appese al fianco, con gli scudi bianchi e neri, montanti nobili palafreni: ecco come sfilarono quel giorno i templari.

Non erano però soli, altri armati, vestiti in guisa di versa ma coi medesimi colori, li seguivano numerosi.

Sartori in testa al manipolo, teneva ben stretto in mano un alto e nodoso bastone, al suo fianco cavalcava l’unico uomo in abiti differenti, poiché non aveva armatura, ma una larga e vaporosa veste bianca, con una croce rossa sul torso, e con le maniche rosse. Dietro di loro una decina di cavalieri circondavano i due che trasportavano l’Arca dell’Alleanza, seguivano gli altri.

I Romani furono piuttosto stupiti nel vedere quel pittoresco corteo che sembrava sbucare dal nulla, in molti si misero a scattare fotografie coi cellulari e le condivisero su facebook e altri social network.

I cavalieri incedevano incuranti della gente attorno, proseguivano come se fossero soli. Infine arrivarono nei pressi di San Pietro, soltanto la massa di contestatori li separava dalla Cattedra Pontificia.

Fu allora che si scatenò l’orrore.

Senza un preavviso, senza un’intimazione di resa, i templari e i loro alleati sfoderarono le spade e si scagliarono contro la folla lì radunata. Rimasero indietro soltanto i due che reggevano l’Arca, Sartori e l’uomo che lo fiancheggiava. Sartori, però, pur restando fuori dalla mischia, non era inattivo, bensì, levato in alto il bastone, colpiva la gente con misteriose energie mistiche provenienti da chissà dove; insomma, magia!

Rendendosi conto di quel che stava accadendo, i contestatori iniziarono a correre in ogni direzione per mettersi in salvo, gridando, chiedendo aiuto, qualcuno tentando di chiamare polizia e ambulanze. I cavalieri cercarono di colpire la maggior parte di gente possibile: volevano sterminarli, non semplicemente allontanarli.

Venti minuti dopo, per le strade attorno al Vaticano, restavano solo i cadaveri della strage e i suoi autori; per fortuna, molti erano riusciti a scappare, ma dai tempi di Mario e Silla mai tanto sangue aveva bagnato i ciottoli di una via romana.

Sartori, poi, guidò i suoi dentro ai palazzi pontifici e si presentò davanti al Papa.

“Santità, la Chiesa è responsabile delle anime degli uomini, Gesù disse che ciò che noi leghiamo, sarà legato anche in Paradiso e ciò che noi sciogliamo, sarà sciolto pure in Cielo. Noi abbiamo delle responsabilità e non possiamo permettere che un branco di buzzurri, ignoranti e pretenziosi ci mettano in difficoltà!” così aveva parlato con decisione Monsignor Sartori, dinnanzi al Pontefice “La Chiesa ha sempre agito nel migliore dei modi e se ha dovuto operare in segreto non è stato perché ciò che facesse fosse male, bensì perché sapeva che il volgo ignorante non avrebbe potuto comprendere. Ora i nostri nemici ci aggrediscono da tutti i fronti, urlando senza sapere nulla e ci additano come il male, quando, invece, siamo la sola strada. Io, Santità, vi prego di accordarci il permesso di intervenire. Solo una vera lotta per la Fede e per la Chiesa ci può salvare. Gli illuministi e i razionalisti hanno gettato fango su di noi e acceso la rabbia. Noi siamo stati umili e ciò non ha fatto altro che accrescere la spavalderia degli stolti. È giunto il momento di reagire e di punire ed eliminare gli infedeli e i nemici della Chiesa.”

“Non so, se …”

“Santità, avete visto anche voi che cosa hanno osato fare! un affronto simile non è tollerabile, loro ci hanno dichiarato guerra e noi dobbiamo rispondere, altrimenti la Luce di Cristo rischia di sparire dal mondo. Noi dobbiamo eliminare la pula, affinché non soffochi il grano!”

“E va bene, vi concedo libertà d’azione.”

“Grazie, Santo Padre. Io, Monsignor Augusto Sartori, Gran Maestro dei Templari, porterò avanti la nuova crociata. Vi chiedo di mettere sotto il mio comando anche i Cavalieri di Malta e i Cavalieri del Santo Sepolcro. Ai miei ordini rispondono già i Cavalieri di Santo Stefano Papa e Martire, il cui Gran Maestro, il qui presente Sigismondo di Asburgo-Lorena, è mio primo aiutante.” accennò all’uomo che lo affiancava.

“D’accordo.” acconsentì il Pontefice “Emanerò una Bolla Papale che vi permetta di agire senza limitazioni.”

Il Papa prese carta e penna e compose un editto che firmò, contrassegnò col proprio sigillo e la consegnò a Sartori che ringraziò e poi aggiunse: “Farò qualunque cosa per difendere la Chiesa. Ora, come primo atto è necessario eliminare due nostri nemici che si celano proprio nel nostro cuore.”

Avendo il nulla osta della Santa Sede, Sartori prese una decina dei suoi templari e si diresse verso il palazzo della Congregazione.

Nella biblioteca della Congregazione, stavano tenendo una piccola riunione Gabriel, Isaia, Alonso e Stefano, ignari di quel che stava accadendo fuori da quelle mura. Si sentivano ormai certi di poter chiudere il capitolo succubi, non le avevano stante tutte e cento, ma almeno un buon numero e, quindi, ritenevano che potevano smettere di considerarle una priorità assoluta. Soltanto Isaia avrebbe continuato ad occuparsene assiduamente, mentre gli altri avrebbero ricominciato ad occuparsi dei soliti casi della Congregazione.

Mentre stavano discutendo di ciò, uno dei segretari della Congregazione entrò e, accostatosi a Gabriel, gli disse: “Signor Antinori, è appena sopraggiunto Monsignor Sartori, pare piuttosto belligerante ed è accompagnato da uomini in armi.”

Gabriel si stupì ed accigliò: che diamine poteva essere accaduto? Sartori, inoltre, doveva essere morto da tempo o, almeno, così credeva.

“Templari ...” disse Isaia, gravemente, con voce spenta.

“Che cosa?!” esclamò Stefano “Sono tutti morti! Li abbiamo visti sterminati!”

“Non tutti.” precisò Isaia “La notte in cui c’è stato il massacro, alcuni sono fuggiti.”

“D’accordo, ma cosa centra Sartori?!” chiese Gabriel.

“Anche lui è un templare!” spiegò Morganti “È stato lui a spingermi a indagare su Castello e … beh, ne parleremo, penso che ora sia più importate capire la faccenda attuale.”

“Non credo ce sia muy da capir!” intervene Alonso “Vengono por voi, seguramente!”

“Allora usciamo dalla biblioteca.” replicò Isaia “Se ci sarà uno scontro, i libri non devono essere danneggiati.”

Alonso sorrise, Stefano rimase perplesso che in un simile frangente Isaia riuscisse a preoccuparsi dei libri, ma immediatamente dovette riconoscere che tale apprensione era assolutamente giustificata data la rarità di quei volumi e provò ammirazione per il fatto che l’uomo avesse anteposto la cultura alla propria salvaguardia.

“Andiamogli incontro, allora.” propose Gabriel e si avviò verso la porta.

Gli altri tre lo seguirono senza indugio. Quando si trovarono a metà dello scalone che portava al pin terreno, si imbatterono in Sartori e i templari. Entrambi i gruppi si bloccarono per qualche secondo e rimasero a fissarsi interdetti, poi il Monsignore disse, con fierezza nella voce: “Ecco i nostri nemici peggiori! L’Eletto del Candelaio e il traditore che ha fatto sterminare i nostri fratelli!”

“Monsignore, cos’è questa follia?!” chiese Gabriel, che non riusciva a capacitarsi granché di quella situazione.

Sartori non gli diede ascolto e disse: “In nome di Domenidio, con l’autorità conferitami dall’Ordine del Tempio e il potere affidatomi da sua Santità, io vi condanno a morte!”

Detto ciò levò in alto il bastone e comparvero una miriade di falchi che si scagliarono contro Gabriel e i suoi amici, beccandoli e colpendoli con gli artigli, lasciando graffi profondi e cercando di strappare gli occhi. Dopo una manciata di secondi, l’Eletto, senza pensarci su un solo istante, fulminò tutti quanti i volatili. Dopo, guardò i templari per un istante e poi scagliò anche contro di loro la furia del proprio potere: non ebbe effetto. Il bastone magico di Sartori aveva formato una barriera protettiva attorno ai templari.

Isaia si accostò a Gabriel e gli disse: “Quella dev’essere la verga di Mosè, penso sia saggio allontanarci alla svelta e raggiungere Bonifacio.”

“Non faremo in tempo a fare due passi che loro ci saranno di nuovo addosso.” replicò Gabriel, che continuava a lanciare palle di fuoco e fulmini contro i templari.

Isaia dovette ammettere che l’amico aveva ragione. Che fare, allora? Mettersi a scagliare anche lui fulmini d’oro, come aveva fatto pochi giorni prima, quando Gabriel lo aveva attaccato?

No, non voleva. Una cosa, però, forse la poteva fare. Quando aveva scoperto di poter ricorrere ai fulmini anche non in presenza di demoni, Isaia aveva subito cercato di capire come impiegarli e si era dunque reso conto che non solo poteva scagliarli, ma anche plasmarli. Decise, quindi, di tentare un’idea che gli era venuta in mente, anche se non ne era certo. Isaia si chinò a terra, appoggiò i palmi sul pavimento e si concentrò; sentì l’energia attraversarlo la fece fuoriuscire dalle mani e iniziò a modellarla, dandole la forma di una gabbia di fulmini che andava creandosi attorno ai templari, che non sapevano come reagire.

In un paio di minuti la gabbia fu terminata. Gabriel e Isaia si scambiarono una rapida occhiata, poi guardarono gli altri due amici e infine si misero a correre verso il piano terreno, lasciandosi alle spalle Sartori e la sua combriccola che inveivano.

Arrivati fuori dal palazzo, ognuno prese il proprio veicolo e partirono per andare alla villa di Serventi; lo fecero sia per essere più sicuri in caso di inseguimento, sia perché non avevano idea di ciò che sarebbe stato e, dunque, era meglio non lasciare indietro nulla.

Per fortuna i templari non ebbero modo di rincorrerli e loro arrivarono a destinazione senza difficoltà. Quando suonarono il campanello, fu Temistocle ad aprire loro la porta, ma non fu affatto sorpreso di trovarseli davanti.

“Entrate. Alla televisione stanno dando notizie di quanto sta accadendo, immaginavamo sareste arrivati qui presto.” disse l’uomo.

“Grazie.” disse Gabriel, entrando “Non ci aspettavamo un attacco, siamo stati colti alla sprovvista. Aspetta, hai detto che ne stanno parlando in televisione?! Perché?! Che altro sta accadendo? Io credevo se la fossero presa solo con me ed Isaia!”

Anche gli altri tre rifugiati erano alquanto stupiti da quell’informazione: nella fretta non si erano accorti di nulla.

“Venite con me di là. Mio padre vi racconterà con precisione.”

Temistocle fece strada e condusse i quattro ospiti nel salotto dove già si trovavano i suoi fratelli, Bonifacio e Giuditta.

“Padre, sono arrivati esattamente come avevi previsto.”

Serventi sorrise e disse: “Ecco l’Eletto e i suoi compagni che finalmente hanno capito dov’è il male e, quindi, nel bisogno vengono a me.”

“Bonifacio, che succede?” chiese in fretta Gabriel, che non voleva stare a discutere.

“L’Apocalisse, nulla di più.” rispose l’uomo, tranquillamente.

Stupore e perplessità presero i quattro sopraggiunti, forse Isaia fu il meno sorpreso, perché ormai se lo aspettava, anche se non in quel modo.

“L’Anticristo è arrivato a portare l’Inferno in Terra.” Bonifacio continuò a spiegare.

“COSA?!” Gabriel era decisamente sorpreso “Io …”

“Non sei tu, l’Anticristo.” sentenziò Serventi.

“Come? E perché me lo hai fatto credere, allora?”

Pure Isaia era parecchio basito circa quest’affermazione.

“Gabriel, tu dovevi semplicemente rovesciare la Chiesa e l’hai fatto, lo sai bene; benché, lo ammetto, mi aspettavo una maniera differente.”

Gli altri tre non compresero, ma Antinori capì al volo che si trattava della faccenda dei segreti vaticani.

“Questo tuo gesto ha provocato la venuta dell’Anticristo e dell’Apocalisse, ma questo non deve preoccuparti: è l’occasione per eliminare ciò che c’è di male e ricominciare da capo e tu, Gabriel, tu guiderai questa purificazione e la rinascita: questo vuol dire essere l’Eletto.”

Antinori rimase ammutolito, colpito e incerto su questa rivelazione e responsabilità.

Padre Morganti non riusciva a capire e, perdendo un poco la pazienza, domandò seccamente: “Non capisco, chi è l’Anticristo, allora?!”

“Ancora non hai compreso, Isaia?” lo rimproverò Serventi “Non è da te; eppure Giacomo e Giuda parlano molto chiaramente.”

Morganti rifletté un attimo, per poi dire, turbato: “Entrambi sostengono che loro hanno la vera rivelazione di Cristo, mentre i Dodici hanno un’idea fallace perché rivolti al Creatore, un idolo.”

“Esatto. Dimmi, nei vangeli, quando viene usato il nome Pietro?”

“ … Quando l’apostolo dice qualcosa di sbagliato …” un’amara consapevolezza stava prendendo Isaia.

“Molto bene e se invece dice qualcosa di giusto, come viene chiamato?”

“Simone …”

“Questo non ti fa supporre che Pietro e la Chiesa siano in errore? Un’ultima domanda, che cosa ammette Papa Leone XIII nel suo esorcismo?”

“Che il drago antico siede nella cattedra di Pietro per corrompere la Chiesa e l’umanità …” Isaia era sconvolto e rattristato “Mi ero reso conto che la Chiesa adorasse il Creatore e non Dio, ma mi sembra eccessivo dire che …”

“ … la Chiesa sia l’Anticristo?” lo interruppe Bonifacio “Eppure è così.”

Gabriel, Isaia, Stefano e Alonso erano basiti e molto scossi: era difficile accettare una simile verità.

“Voi avete sempre creduto di essere dalla parte giusta e che io fossi cattivo, ma non è affatto così.” Serventi continuava “Avete dovuto sbatterci la testa, per comprendere, ma almeno alla fine vi siete resi conto della realtà delle cose.”

“Stai dicendo davvero che questa è l’Apocalisse?” Gabriel era ancora incredulo, ovviamente.

“Sì, ci sono anche i quattro cavalieri: templari, Cavalieri di Malta, del Santo Sepolcro e di Santo Stefano Papa e Martire.”

“Non può essere … se la prenderanno con noi e basta, ma non può esserci un’Apocalisse.”

“Sì, invece: loro distruggeranno e voi li fermerete e ricostruirete. Loro, ora, sentono minacciato il proprio potere e toglieranno di mezzo tutto ciò che si oppone. Ci sarà una tabula rasa, a voi decidere se il nuovo mondo sarà organizzato da loro o da noi.”

“Adesso basta!” sbottò Gabriel, frustrato “Sono tutte menzogne! A me non importa nulla dei tuoi deliri! Io voglio una vita normale!”

“L’altra sera avevi detto che accettavi la tua missione.”

“Ho accettato il mio potere, voglio aiutare la gente dotata di poteri ad avere una vita normale. Normale! Non voglio occuparmi di fine del mondo e così via.”

“Normale? Perché accontentarsi della mediocrità, se si può avere di più, essere di più, senza neppure un grande sforzo? Inoltre, la tua vita normale sarà molto triste, visto ch Claudia se n’è andata.”

“Questo non sarebbe successo se io fossi rimasto fuori da queste faccende, come avevo deciso.”

“Gabriel, queste cose sono reali e tu ne fai parte. Puoi cercare di non vedere, di non sentire, puoi impegnarti per ignorarle, ma esse ci sono comunque. Ora, i templari, la Chiesa, l’Anticristo, scateneranno la loro ferocia e porteranno avanti una tremenda mattanza, non solo di gente coi poteri, ma anche persone comuni, unicamente nel nome di un’inesistente punizione divina. Tu, certamente, puoi scegliere di non occupartene e cercare di vivere normalmente, così loro agiranno indisturbati. Io mi opporrò ai templari, i miei figli saranno al mio fianco e probabilmente anche Isaia, ma chissà se basterà. Tu e il tuo potere siete indispensabili per la vittoria. Scegli dunque ciò che vuoi, ma pensa alle conseguenze!”

Gabriel rimase in silenzio, pensieroso, per alcuni istanti; poi chiese, basito: “Tu hai voluto ch’io provocassi un’Apocalisse per poi farmela fermare???”

“Gabriel, loro hanno portato a sé stessi la propria rovina, tu gli hai dato solo una piccola spintarella: era necessario, altrimenti avrebbero continuato in eterno a portare avanti i loro soprusi!”

Dopo di ché Bonifacio li ragguagliò su quello che i templari avevano fatto appena giunti in città e quello che stavano iniziando a fare.

Alla fine di quel racconto, Antinori chiese: “Io, quindi, sono l’’unico in grado di fermarli?”

“Tu sei l’Eletto: è questo che devi fare. Sia noi che i tuoi amici siamo pronti a seguirti in questa lotta. Adesso, però, non sei pronto: hai appena accettato il tuo potere e dovrai imparare molto, prima di poterlo usare contro i nemici. Vi esorto tutti e quattro a rimanere qui, in attesa del momento dello scontro. Questo è il luogo più sicuro per voi, al momento.”

Tutti e quattro ne convennero, ma non fu con grande entusiasmo che accettarono l’invito a rimanere. Bonifacio diede ordine di preparare le loro stanze e, intanto, nell’attesa, fece servire del tè per tutti. Fu allora che Gaspare fece cenno a Stefano di mettersi un attimo in disparte per poter parlare. Trovatisi a quattr’occhi, lontano dagli altri, Gaspare iniziò: “Senti, Pigolo, mettiamo subito le cose in chiaro: anche se nei prossimi giorni vivrai con noi, devi stare lontano da Giuditta e non infastidirla. Tu mantieni le distanze e io ti lascerò tranquillo. Siamo d’accordo?”

“Io sono un suo amico e lei apprezza la mia compagnia.” ribatté Stefano, irritato.

“Ha voluto cancellarti dalla sua memoria.”

“No, quello lo hai voluto tu. Non crederò mai che sia stata lei a chiedertelo.”

“Resta il fatto che lei non si ricordi e che, quando è venuta a parlarti, l’hai solo fatta arrabbiare. Non vuole più avere a che fare con te e sai perché? Poiché, oltre ad essere insignificante e patetico, hai pure la sfacciataggine di odiare me: l’uomo che lei ama.”

“Impossibile.” sibilò Stefano, a denti stretti, guardando fisso negli occhi l’uomo.

“Ha detto apertamente di amarmi.”

“Non è amore! Al massimo, erroneamente crede lo sia, ma presto si accorgerà che non è così, quando le farò riscoprire che cosa vuol dire essere rispettata e apprezzata.”

Gaspare ridacchiò divertito, prima di dire: “Inutile che cerchi di prendertela: lei amerà soltanto me.”

Stefano si innervosì: “Non mi importa del suo amore, mi importa della sua felicità! Se davvero vuole stare con te, non sarò certo io ad impedirglielo: le ricorderò, però, che deve esigere rispetto.”

“Metterle stupide idee in testa non è un buon modo per impiegare le energie.”

“Non a mio avviso.”

“Dovresti dedicarti a qualcosa che sai fare e non importunare la gente, Pigolo. Abbiamo una grande biblioteca, qua, sono sicuro che ti ci troverai benissimo. Tu hai talento per quello, quindi sfruttalo. Credimi, se lei ti sta veramente a cuore, allora le starai lontano, perché io sono un maestro severo e punirò anche il minimo colpo di testa da parte sua, ci siamo intesi?”

Stefano non disse nulla, ma guardò con furia l’uomo.

Gaspare sogghignò e, prima di voltarsi ed andarsene, aggiunse: “Buona permanenza!”



[1] Favola di Fedro

   
 
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