Avevo ancora quella
sensazione, sapevo che non c’era solo la luna ad ascoltarmi, ma non appena lo
pensai, mi sentì stupido, ancora una volta, un illuso. Mi alzai, era quasi
arrivato il momento delle premiazioni, tirai un sospiro, e impugnando la mia
chitarra mi recai in mezzo alla folla. Il mio manager stava imprecando tutti
gli dei, per il mio comportamento, ma volevo godermi la mia libertà, e non mi interessava quello che pensava lui. mentre
osservavo tutte quelle belle ragazzine vestite bene, allegre e sorridenti che
frivole chiacchieravano fra di loro, notai una ragazza, vestita in nero, forse
l’unica, i lunghi capelli neri le coprivano parte del viso, ma subito capì che
era diversa dalle altre. Se ne stava con la schiena contro un
albero, e una sigaretta alla bocca, in lontananza guardava la scena. mi andai a sedere al posto che mi era stato assegnato, stava
iniziando la cerimonia. Ma c’era una cosa che mi tormentava, ed era sapere che
facesse quella ragazza, perché stava li da sola, la
distanza mi impediva di guardarle gli occhi, ma ogni tanto avevo bisogno di
vedere, tra la folla, la sua figura.
Era strano, ma la mia mente si era
completamente svuotata, l’avevo sentito suonare, e questo poteva
significare solo due cose, o quella canzone era abbastanza famosa, ed io non la
conoscevo, oppure il mio vicino era alla cerimonia. Mi stavo
estraniando da tutto, in quell’istante la mia mente
era rivolta a quella melodia, e a quelle parole. Appoggiata ad un muro,
guardavo a distanza la cerimonia, tutti si erano zittiti, in silenzio
ascoltavano le parole del preside, si stava avvicinando il momento in cui
avrebbe aperto la busta e annunciato il vincitore del concorso, ed io iniziavo a rendermi sempre più assente dalle sue parole. Ero
entrata in un mondo composto da me, quella melodia, e
lui. Quando ad un certo punto mi sentii osservata,
tornai alla realtà, e mi resi conto che non era solo la mia impressione, così
sentì il preside ripetere il mio nome al microfono. Avevo vinto il concorso, la
mia tela era risultata la migliore, tutti mi
applaudirono, Hitoshi, Fujio,
Arata e Kenjiro addirittura si alzarono in piedi, e
con loro iniziarono a farlo tutti, mi guardavano ed applaudivano, dopodichè mi
invitarono a salire sul palco, ero estasiata, non ci potevo credere, ed il
massimo che riuscivo a fare era sorridere.
Mostrarono a tutti la
mia tela, e poi mi diedero il premio, da sopra al palco, guardavo il
pubblico, e con uno sguardo imbarazzato provavo ad immaginare quel mio vicino,
che mi osservava ed insieme a tutti applaudiva per me. Del mio palazzo non
conoscevo nessuno, e quindi non avevo indizi, ritirai il premio, e scesi dal
palco, andandomi a sedere di fianco ad alcuni ospiti importanti. Mentre mi
accomodavo, facendo attenzione a non rovinare il
vestito,
notai
che qualcuno in particolare, non molto distante da me, mi stava osservando,
quella stessa persona si diresse sul palco, insieme ad una chitarra.
Si mise al centro del palco, e solo dopo
che spensero tutte le luci, iniziò a picchiare la chitarra le lunghe dita, fu
in quel momento che nel buio, notai tre lettere sulle lunghe dita affusolate.
Da qualche parte le avevo già viste, ma non riuscivo a capire dove, al bar
vedevo sempre tanta gente, ma ero sicura che mai nessuno, che avevo servito, avesse così tanti
tatuaggi sulle dita. Un faro
faceva
luce su di lui. Dei lineamenti del viso leggeri, disegnati quasi, e un paio di occhi dolci, che io in qualche modo sapevo di aver già
visto. Il primo brano che suonò lo conoscevo, era un
brano che da poco girava per radio, lui picchiava quella chitarra con
entusiasmo, e con una grande forza portava la sua musica nel cortile.
Suonò alcuni pezzi che non avevo mai
sentito prima, ma la cosa che mi colpì, fu vedere il suo entusiasmo, era
davvero invidiabile.
La gente sembrava
apprezzare la sua musica, ma i cattivi commenti sul suo abbigliamento, da parte
dei vicini, non sfuggirono al mio udito. Ci fu un attimo di buio e di
silenzio, e poi, sempre nel buio, iniziai a sentire quelle note, non era un
sogno, le stava davvero suonando lui. Stentavo a crederci, quel musicista non
era solo il padrone di quella melodia, ma era anche il mio vicino di casa. In
me cresceva la voglia di conoscerlo. Aspettai la fine della festa, quando tutti
erano in procinto di andare via, e lui invece sistemava con cura il suo
strumento.
Torturavo le dita, facendole schioccare
una ad una, e mentre lo guardavo di spalle avanzando
piccoli passi, pensavo a cosa gli avrei detto.
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Salve, prima di tutto mi dovrei scusare
con i miei pochi lettori, che non avranno dormito la notte, non saranno
riusciti a dare esami, e magari mentre erano in situazioni piacevoli si sono
distratte pensando a quando cavolo avrei continuato…*coff coff ehm ehm*
ok la smetto di dire cretinate…è breve ma
presto continuerò. Baci.