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Autore: BellinianSwan    19/10/2014    3 recensioni
"Posò poi lo sguardo su di un ritratto che lo attrasse magneticamente con cieca irrazionalità. Vide due occhi neri fieri, apparentemente impregnati di uno scopo, di un mordente per cui vivere, allargò lo sguardo all'intera figura e si sentì ancora più solo al mondo, lei, chiunque fosse sembrava esperta dell'arte del vivere, quell'arte che era sempre stata refrattaria ad adattarsi alle sue sgradevoli sembianze. Eppure, uno sguardo più attento mise in luce gli angoli della sua bocca, carnosa e ben disegnata, leggermente piegati verso il basso, in un vano sforzo di resistere. [...] Sentì quella figura nel ritratto vicina, dannatamente vicina eppure distante anni luce, a causa di quella vaga luce che le ardeva negli occhi. Lei nonostante tutto aveva trovato un mordente, o forse indossava una maschera oramai divenuta un tutt'uno con il suo volto fiero."
- Gertrude Degl'Innocenzi è stata ispirata al personaggio protagonista del manga "La Rosa di Versailles", Lady Oscar -
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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"Chi si dà all'altro come un soldato si dà prigioniero deve prima consegnare tutte le armi. E così privato di ogni difesa, non può fare a meno di chiedersi quando arriverà il colpo."
M. Kundera - L'insostenibile leggerezza dell'essere






Giacomo la afferrò convulsamente stringendola a sé per allontanarla da quell'arma aguzza, pronta a dilaniare i suoi freschi tessuti. "Ora ho ragione di pensarlo. Non conto proprio nulla, a quanto pare..." mormorò in preda allo sconforto
Si sentì presa e tirata, all'improvviso, sentì il calore dell'altro e quelle braccia che, seppur esili, la stringevano con forza. Rimase inerme, con le palpebre spalancate e gli occhi velati dalle lacrime, arrossati di pianto. Lasciò scivolare lo spadino sull'erba e poggiò le mani sulle sue braccia, chinando il capo in avanti e piangendo come una bambina.
La strinse in un abbraccio forte, come la vita, rendendosi conto che era tutto ciò di cui la fanciulla aveva bisogno, tutto ciò che suo padre le aveva negato, ma anche ciò che Giacomo faceva fatica a dare non avendo mai conosciuto affetto. "Avete fatto una cosa bellissima, quando avete gettato quello spadino." Le sussurrò all'orecchio senza smettere di stringerla. "Anch'io sono solo al mondo ora. Non ho che voi" Aggiunse con voce tremolante.
Ansimò piano Alcide e si rivolse al dottore pronunciando a fatica ogni sillaba. "Dove.. dov'è mia figlia?"
Inspirò a fondo, quasi certo di non poter proseguire oltre. "Ho bisogno di lei" disse in un flebile gemito di sofferenza
“E' uscita un momento, Vostra Grazia, tornerà tosto…” rispose il medico, rincuorandolo. Gertrude sentì le parole del poeta. Non capiva. Cos'era che lo aveva fatto legare a lei in quel modo? Cos'era quella sensazione? “Giacomo... non lasciatemi mai.. vi scongiuro. Siete la persona più cara ch'abbia mai incontrato...”disse con una voce fioca, ancora tremante per il pianto. Si girò nell'abbraccio e lo guardò negli occhi, poi gli cinse i fianchi magri con le braccia, poggiando il capo sul suo ventre, mentre chiudeva gli occhi, abbandonandosi a lui
"Non comprendo come qualcheduno possa aver bisogno della mia presenza... ad ogni modo... Non vi lascerò ve lo giuro. Gertrude..." Aggiunse dolcemente "Sono certo che... vostro padre ha tanto bisogno di voi..."
sollevò lo sguardo “Io ho bisogno di voi...” gli prese le mani e le baciò dolcemente, poi si rialzò e si coprì con la giacca, infine cominciò ad incamminarsi a passo svelto verso il palazzo, asciugando le lacrime sulle maniche e tentando di placare gli ultimi singhiozzi
Rimase come pietrificato dal gesto della fanciulla che nessuno prima d'ora aveva osato compiere. Non disse nulla, per non guastare, con inutili parole quella sublime sensazione di sentirsi amato, la gioia di aver risparmiato un fresco bocciolo giglio dalle tremende forbici di un giardiniere spietato, un bocciolo che avrebbe risanato dalle radici la possente quercia che per anni gli aveva impedito di vedere il sole coprendolo con la sua ombra
Si voltò un'ultima volta prima di solcare l'entrata dal portone portone principale che dava accesso all'ingresso del palazzo e rivolse un ultimo sorriso al Conte, per poi raggiungere in fretta la stanza del padre
Alcide aprì a fatica gli occhi e la vide, pallida come la morte, resistente come la vita. Le sorrise appena, non aveva bisogno di altro, tutto ciò che voleva era sempre stato lì, ma non se ne era mai reso conto “Padre...” gli sorrise dolcemente stringendogli una mano e baciandola più volte “Che spavento mi avete fatto prendere...”
"Anch'io ho avuto tanta paura... mia cara, di non poterti rivedere mai più senza averti detto..." Gli mancò il respiro e boccheggiò "senza averti chiesto... venia" concluse infine con grande fatica
 
“Non parlate... non sforzatevi…” gli posò la mano libera sul viso e lo accarezzò dolcemente “E' già un miracolo che siate vivo. Dovete riposarvi, adesso. Io ed il Conte eravamo così in pena...” sorrise Si era fatto mille crucci e mille sensi di colpa. Appena saprà che state meglio sarà sicuramente più sollevato.
"Che vi avevo detto?" Mormorò Giacomo, compiaciuto dell'avverarsi dei suoi pronostici
 
Sentendo la voce del Conte, che adesso le risuonava all'orecchio melodiosa, si voltò di scatto verso di lui. “Conte... “gli sorrise
"Gertrude..." Si voltò verso di lei come se desiderasse vederla da un'eternità
 
“Stavamo parlando di voi, con mio padre…”
"Pessimo argomento di conversazione, se posso permettermi" Mormorò abbassando lo sguardo.
 
accennò una risata, divertita “Suvvia, Eccellenza... non siate così. Voi siete meglio di quel che credete…” gli sorrise dolcemente cercando il suo sguardo
"Se lo dite voi... vi credo... ad ogni modo sappiate che di qualunque cosa abbiate bisogno per assistere vostro padre, contate pure su di me"
 
"Ti ringrazio mia cara... hai un grande cuore" Mormorò a fatica
 
gli sorrise e gli lasciò un bacio sulla guancia, poi si sollevò e accompagnò il Conte, uscendo insieme dalla stanza.
 
"Immagino vorrete riposare, sarete indubbiamente stanca" Disse Giacomo a bassa voce, con l'intima speranza che negasse la sua affermazione
 
“Vi sembrerà strano, ma... non ho molto sonno, stasera…” sorrise facendo spallucce. Aveva preso l'aria di una bambina. Si sentiva felice.
 
"Se gradite potrei... tenervi compagnia stanotte... chiaramente fino a quando non deciderete di ritirarvi nella vostra stanza, s'intende" Le disse tenendo gli occhi bassi, anche se avrebbe tanto voluto vederla dormire, vedere quali fattezze avrebbe assunto il suo volto una volta sciolto dal raziocinio
Si vergognò terribilmente del suo ultimo pensiero, e arrossì quasi come se avesse espresso quel desiderio ad alta voce
“Mi farebbe molto piacere, sì”. gli sorrise. “Nel frattempo potreste mettervi comodo... dev'essere fastidiosa quella cravatta che preme sulla ferita. Fate come foste a casa vostra, lo sapete già, non v'è bisogno che ve lo dica” ridacchiò
"Certo ma mi sembrava irriguardoso in presenza di una fanciulla... spogliarmi di tale indumento... ad ogni modo vi ringrazio della gentile concessione accordatami, come avete detto voi è insopportabile"
Si allentò la cravatta impacciatamente, con gesti lenti e misurati
sorrise “potete anche andare a cambiarvi, se volete. Io ho proprio intenzione di fare questo.
"Indossare il mio corredo da notte, dite?"
“Sì, perché no? Dovreste essere più comodo in quel modo, no?” Gli ammiccò e ridacchiò ancora per poi allontanarsi
"Se non lo trovate sconvenientemente disdicevole... beh non vi vedo nulla di male"
 
ridacchiò “Suvvia, Giacomo...” lo guardò scherzosamente sensuale “Smettetela di autodegradarvi così. O sarò costretta a cacciarvi…” si mordicchiò un'unghia
 
Sorrise visibilmente a disagio abbassando timidamente lo sguardo. Pensò al volto di sua madre, se fosse venuta a sapere che aveva acconsentito ad una simile indecenza. Si rese conto che quel fanciullo vivace e birichino non era ancora morto di asfissia sotto la pesante maschera... tuttavia un brivido mai provato prima gli percorse velocemente la spina dorsale.
 
“Su, vado a cambiarmi. Non vorrete farvi aspettare...” scherzò e si dileguò raggiungendo la propria stanza.
Indossò la camicia da notte, sentì le mani tremargli, non seppe spiegarsi il motivo, in fondo la fanciulla voleva solamente metterlo a suo agio dopo quanto era accaduto durante la giornata.
Uscì richiudendosi la porta dietro di sè e la vide, indossava una camicia bianca aveva i piedi nudi.
Indossò la sua sottana in seta bianca, assieme ad una vestaglietta leggera, rimanendo scalza. Aveva voglia di giocare, così lo prese per mano. "Dai lumaca, andiamo!" Scoppiò a ridere e gli lasciò la mano cominciando a correre giù dalle scale
 
Giacomo capì che anche in lei era celata una bambina che forse non aveva mai avuto la possibilità di esserlo... decise di abbassare lievemente la maschera, si lasciò trascinare senza trattenere le risate. "Dove mi portate, mia signora?" le disse allegramente
 
In un posto che conoscete bene, vostra grazia! Esclamò soffermandosi alla fine degli scalini, facendo un profondo inchino, sollevando la vestaglietta a mo di gonna, ridendo
 
"Non ditemi l'armeria, ho già avuto modo di assaggiare le vostre armi, e non ho gradito il loro sapore" Mormorò ridacchiando
Rise con lui "Ma no, sciocchino! Ci siete già stato, sì, ma molto più gradevole e non credo che a voi sia piaciuto tanto, però." Gli porse la mano per afferrare la sua mano e incamminarsi insieme
Le sorrise dolcemente e chiuse gli occhi, poi mormorò "A questo punto conducetemi voi, Oramai ho cieca fiducia di voi"
Sorrise e gli prese le mani guidandolo. Lo portò fuori dalla tenuta e raggiunsero il ruscello, che luccicava argentato sotto i raggi lunari e cominciò a recitare
"Oh mia graziosa luna, io mi rammento che, or volge l'anno, venia su questo colle pieno d'angoscia a rimirarti... 
E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari."
 
"Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, nè cangia stile, O mia diletta luna..."

Proseguì troppo lusingato dal fatto che la fanciulla conoscesse i suoi versi a memoria ne approfittò del fatto che avesse gli occhi chiusi, per lasciargli una mano e sfiorargli quelle labbra sottili con un polpastrello e poi posò un casto bacio sull'angolo della sua bocca.
Subito dopo gli lasciò anche l'altra mano e rimase silente. Quando riaprì gli occhi lei non c'era più, lo abbracciò dolcemente da dietro. "Questa sera è la nostra sera... non sciupiamola..." Si strinse a lui
"Ho il dannato potere di rovinare ogni cosa, a partire dalla vita di mia madre. Cosa... potrei fare per non sciuparla? Illuminatemi ve ne prego" "Lasciatevi andare, Giacomo... io sono e sarò sempre vostra. In che modo dovete deciderlo voi. Mi piego alla vostra volontà, mio salvatore..." "Io non... non merito tutto ciò ve lo assicuro... ad ogni modo non è il vostro corpo a..." abbassò lo sguardo, dopo quanto aveva detto la fanciulla non poteva che far cadere la maschera, oramai superflua ed ingombrante.
"A far si che io non riesca a sottrarre né lo sguardo nè il pensiero da voi, nemmeno per un istante. Il vostro aspetto è meraviglioso, come l'anima che racchiude al suo interno. È quella che voglio..." mormorò appoggiando timidamente le labbra sulle braccia che gli stavano cingendo il collo. "Volete la mia anima? Ma voi non sapete che è già vostra, Conte..." "Non mi basta. Apritemi i meandri più nascosti di voi, e io farò lo stesso con la mia anima, che vi appartiene probabilmente da sempre" Sospirò e gli si mise accanto, sedendosi con le gambe incrociate. "Se potessi vi darei tutto di me, non solo la mia anima. Ma... lo guardò non è più gradevole che siate voi a sfogliare le pagine della mia anima? Voi che siete un profondo conoscitore di queste cose..."
Il colorito del suo volto era paonazzo, il suo cuore era un cavallo selvaggio al galoppo. "Io non vorrei mai mancarvi di rispetto... io... vi amo, veramente." "Ditemi dunque, qual è il vostro pensiero circa le fanciulle vostre coetanee, circa il loro atteggiarsi?"
"Io non ho abbastanza tempo per osservare le donne, Conte. Semplicemente perché non m'interessa Non ho mai voluto imitarle." "C'entra vostro padre in questa faccenda? Ad ogni modo avete preservato il vostro animo dalla frivolezza che le caratterizza" "C'entra anche mio padre."
Rispose.
"Ditemi tutto"mormorò Giacomo appoggiando la testa alla sua spalla, oramai certo di non suscitare in lei alcun ribrezzo È... è stato sei anni fa. Durante un'esercitazione ci tesero un'imboscata. Eravamo in due a fare perlustrazione mi chiese di coprirlo, una pallottola gli trapassò il cuore." Abbassò il capo per tentare di bloccare le nuove lacrime.
"Tenevate molto a costui, non è vero?" Le chiese assaporando il tepore del suo collo.
"Era il mio migliore amico. L’unico. Gli altri non mi vedevano di buon occhio. Mi guardavano come se fossi un mostro. Ed è questo che io sono. Un mostro.” Si passò una mano sugli occhi.
"Tacete. Questo è ciò che vostro padre, con tutto il rispetto, da quanto ho capito pensa di voi. Ma è soltanto il.suo pensiero... inoltre... io lo so che vi definite tale perché vi imputate la colpa della morte di quell'uomo... Ora ditemi, ditemi quante volte avete desiderato essere al suo posto..."
"Provate a farvi il conto, in sei anni... “gli cinse il collo con le braccia, senza stringere troppo
"Siamo cresciuti assieme. Eravamo fatti l’uno per l’altra.” “Lo amavate, dunque…” Mormorò Giacomo con una velata tristezza. “Quasi… lo capii troppo tardi…” “Ma oramai è acqua passata” Poggiò il capo sul suo. "Potete farmi una promessa?" Le sussurrò accostando le labbra ai suoi morbidi capelli biondi "Certo." Disse asciugando le lacrime con una mano.
"Non desiderate mai più di essere al suo posto, ve ne prego "La strinse a sé gelosamente, terrorizzato all'idea di perderla.
Stette per rispondere, ma s'interruppe sentendo le sue braccia stringerla D'accordo. Ve lo prometto.
Giacomo desiderò che quell'istante non finisse mai più, non voleva congedarla, lasciarla sola nemmeno per qualche ora. Che male ci sarebbe stato se si fossero addormentati insieme, nel bosco, sotto la luna? Si sdraiò sull'erba fresca e piegò le gambe per poter sentire le foglie morbide sotto le piante dei piedi e congiunse timidamente le mani sul ventre, fissando il cielo stellato sopra di loro e le fronde degli alberi luccicanti per via delle lucciole e la luce lunare. Sospirò rilassandosi accarezzata dalla brezza fresca della sera, chiudendo gli occhi.
Giacomo la guardò con adorazione, amava tutto di lei, anche il modo in cui respirava. Si coricò accanto a lei, guardò il cielo lasciandosi inebriare dalla sua immensità, grandiosa e terribile, si sentì come un chicco di sabbia nell'immenso e gelido deserto del tempo, ma durò solo per un istante, dato che subito, istintivamente si volse verso la fanciulla. Ora un punto di riparo, di salvezza esisteva, esisteva davvero. Finse di dormire, fin quando non aprì appena gli occhi, pregando che invece lui li avesse chiusi. Così fu. Ne approfittò per donargli un altro bacio, stavolta sulla guancia e lo abbracciò stringendosi a lui, facendosi piccola mentre poggiava il capo sul suo petto, ascoltando il suo respiro e i battiti del suo cuore. Quel cuore che tanto aveva sofferto per la vita e per l'Amore.
"Io... non voglio congedarmi da voi, stanotte, non fraintendetemi" Le sussurrò all'orecchio dopo un po’ che furono rimasti in quel modo. Gli accarezzò il petto, ascoltandolo. "Gertrude..." Sobbalzò improvvisamente "Dobbiamo rientrare, vostro padre potrebbe aver bisogno di voi!"
"Ma no... ci sono i servi..." mormorò "Siete certa che non abbia bisogno di voi? In fondo potremmo rimanere insieme anche una volta rientrati, io non ho sonno, posso fare uno sforzo..."
Le rispose temendo che il padre potesse lamentarsi della sua assenza.
"Non si accorgerà nemmeno che manco... state tranquillo."
"Quando eravate una fanciullina, si è sempre comportato duramente con voi?" Le chiese sperando che parlarne avrebbe potuto lenire le sue più intime sofferenze.
"Sì, Eccellenza..." "Come sarebbe a dire "Eccellenza"?" Le chiese trasalendo. Gertrude sospirò "Sentite... non mi va di parlare del passato... e non mi va neanche di litigare con Voi..."
Nascose il viso sul suo petto, stringendo appena la sua vestaglia tra le dita.
"Come... come volete, io... non intendevo assolutamente ferirvi, perdonatemi vi prego" Le rispose, consapevole di avere fra le braccia un giunco sottile, rivestito di acciaio.
"Vi prego... stringetemi a voi... ne ho tanto bisogno..." Lo supplicò.
La abbracciò con le poche forze che aveva in corpo, sentì il suo cuore battere sul suo petto, qualunque fossero le profonde ferite infertegli dal suo oscuro passato era certo che insieme avrebbero potuto superare quell'oceano di fiele.
Si fece ancor più piccola tra le sue braccia, stringendosi a lui.
"Voi avete fatto una cosa bellissima, sapete?" Le sussurrò all'orecchio.
“Che cosa?” "Assalendomi mi avete aperto gli occhi, schiudendo le mie palpebre oramai avvezze all'oscurità, mi avete fatto vedere la luce di quella vita che prima avevo in gran disprezzo."
Le disse perdendosi nei suoi occhi, quasi fatati sotto la luce argentea della luna.
Sorrise e si gettò sul suo collo “Vi voglio bene!”
"Anche io ve ne voglio, come non ne ho mai voluto ad alcuna..." rispose anche se ciò che provava in quell'istante era ben oltre un fraterno e amichevole "voler bene".
Lei sorrise dolce e gli accarezzò il morbido bavero della vestaglia
"Rabbrividì al contatto con le sue mani, le afferrò delicatamente appoggiandole sulle sue labbra.
Gertrude sorrise dolce e gli accarezzò il morbido bavero della vestaglia. Gli sfiorò ancora le labbra con un dito, dopo che le ebbe baciato la mano. Il poeta desiderò ardentemente di baciare quelle labbra, quella bocca.
"Promettetemi che tutte le sere d'ora innanzi saranno così " si lasciò sfuggire Giacomo sospirando.
Gertrude trattenne una risata compiaciuta" Ne siete sicuro, Giacomo?"
Chiuse gli occhi, deliziato dal dolce suono della sua voce che pronunciava il suo nome, soltanto il suo. "Sicuro come la morte" concluse posando lo sguardo sulle sue labbra perfette.
"Sapete che non saranno uguali a questa, vero?"
Le accarezzò lievemente la mano sussurrandole:
"Dunque illuminatemi" "Non posso" sorrise "Perché mai no?" Insistette
"Perché non voglio rovinarvi la sorpresa!" Gli ammiccò e si sollevò sopra di lui, reggendosi sulle braccia e lo guardò negli occhi.
Il Conte rimase immobile come pietrificato, incapace di reagire. La guardò con gli occhi sgranati, rigido come uno stoccafisso.
Gertrude avvicinò il volto al suo lentamente. Era come una lenta, straziante agonia. Fino a quando non poté sentire il suo respiro debole e caldo sulla pelle. Sfiorò le sue labbra, rimanendo ad un pelo da esse e poi si distaccò.
"Gertrude, voi sapete accendere bufere nel mio animo" Le sussurrò afferrandola con lo sguardo.
"E ve ne farò accendere altre mille, se sarà necessario..."
Giacomo arrossì completamente, e iniziò a tremare, l'aria della sera si era fatta piuttosto fredda.
Lei se ne accorse, ma non capì subito la causa di quei brividi. Gli poggiò una mano sul braccio "Che c'è?" "Sento un po'di freddo, non sono avvezzo a rimanere fuori per così tanto tempo... ma non preoccupatevene vi prego..." Le disse battendo i denti "Mi preoccupo, invece. Venite, rientriamo, non vorrei vi venisse un accidente..."
Si rialzò a fatica maledicendo la sua salute precaria. Cosa avrebbe pensato Gertrude di lui?
Una volta tornati dentro, lo aiutò a sdraiarsi e lo coprì con le coperte. Si sedette su una sedia al suo capezzale. stanza era calda perché durante il giorno ci aveva battuto il sole. Gli prese una mano tra le sue, accostandola alle labbra. Era fredda. Gli prese anche l'altra per ridare loro tepore. Non distoglieva gli occhi da lui, vedendolo più pallido di prima. Giacomo si lasciò trasportare da quelle sensazioni, si sentiva amato come mai prima d'ora. Le sorrise per rassicurarla circa il suo stato di salute. La fanciulla, di tutta risposta gli sorrise di rimando sfiorandogli il dorso di una mano col pollice e poi si portò la stessa alla bocca, sfiorando la sua pelle con un delicato bacio. Rimaneva china su di lui fissandolo negli occhi. In quei suoi occhi cerulei e languidi.
Le sfiorò i capelli biondi, erano morbidi e lisci come la seta, profumavano di lavanda e fiori selvatici. Non riuscì a smettere di accarezzarli, inebriandosi di quel profumo di vita.
si sedette al suo fianco e poggiò nuovamente il capo sul suo petto, tenendogli la mano.
Le strinse la mano, per convincersi del fatto che non si trattasse di un sogno.
"State meglio, adesso?" "Ovviamente si, dal momento che ci siete voi qui con me" Le disse adorandola con lo sguardo. si sollevò e lo guardò "Ditemi quando desiderate riposare... vi lascerò in pace..."
"Non... voi non dovete lasciarmi in pace, mai. Non ho pace senza di voi" abbassò lo sguardo Voi non potete trovare la pace in me".
Si lasciò sconvolgere dal perturbante suono di quelle parole. "Forse allora non è la pace che cerco..." Mormorò senza osar posare lo sguardo su di lei. “Voi cercate l’amore?” “E voi, Gertrude cosa cercate?” "Non so cosa cerco. E non so dove trovare ciò che mi serve."
"Io cerco la cessazione della sofferenza... l'amore potrebbe essere una meravigliosa conquista in proposito ma anche la più tremenda fra le condanne…”  “Io sono la vostra condanna, Giacomo… la condanna peggiore che abbiate mai ricevuto” lo guardò tenendo il capo abbassato, sollevando solo gli occhi "Allora sarò il primo condannato ad amare la sua pena e ad amarla più della libertà stessa”  “No. Non dite così. Ve ne prego...” distolse lo sguardo, ansimando.
La guardò preoccupato Sforzandosi di comprendere quale sua parola involontariamente avesse sfregiato la sua anima.
ansimò sempre più forte e si mise a piangere ancora, per scusarsi velocemente uscendo dalla stanza
Non poteva finire così, non quella serata. Si alzò in fretta e prima che potesse ritirarsi nella sua stanza la afferrò per un braccio ansimando anch'egli a sua volta, sconvolto del gesto appena compiuto. non si voltò nemmeno, allungandosi dal lato opposto del braccio che lui le tratteneva, nascondendosi con una mano il viso.
"Che... cosa vi fa tanto male?" Azzardò, oramai disperato e incapace di gestire la situazione.
Scosse il capo, scoppiando in singhiozzi.
"Non... fate così vi prego, voglio... voglio soffrire al vostro posto, voi non lo meritate."
Aggiunse sconsolato, poi vedendo che le parole erano inutili chiuse gli occhi e la baciò sulle labbra, a lungo. Gertrude ricambiò il suo bacio e sentì uno strano brivido giù nello stomaco. Quando si distaccò, fuggì ancora, chiudendosi nella propria stanza. Giacomo si ritirò nella sua stanza, con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore. scoppiò in un pianto convulso, scivolando con la schiena sulla porta, fino a sedersi per terra.
Giacomo La sentì piangere da dentro alla camera e volle morire. Era colpa sua. Ne era certo.
Sentì bussare energicamente alla porta ma istintivamente si portò un cuscino sopra alla testa, era così dannatamente confuso... che... sentì le labbra incrostate di lacrime "Conte, è permesso?" Chiese Michelangelo garbatamente. "No... anzi si chiedo venia, sono fuori di me stamane..."
Michelangelo abbassò la maniglia ed in un secondo si ritrovò nella stanza del Conte. Si avvicinò al suo capezzale e vide come un campo di battaglia, su quel letto.
"Eccellenza, perdonate il disturbo..." disse inchinandosi "... è appena giunto un biglietto per Vostra Grazia... ve lo poggio sul comodino, così potrete leggerlo in seguito, se adesso preferite riposare ancora un po'." Non appena Michelangelo se ne fu andato si fiondò su quella missiva, che prometteva di distrarlo dalla nottata precedente. Un brivido gli percorse la schiena. Se... fosse stata sua madre a chiedere un resoconto preciso delle sue giornate? Detestava mentire. Si trattava invece d’un invito del ginevrino Giovan Pietro Viesseux a frequentare il suo gabinetto, Giacomo Si Sentì sollevato e compiaciuto dell'invito dimenticando per poco il suo dolore. Avrebbe accettato senza dubbio alcuno dividendo il suo tempo fra il visconte e Viesseux. Scese di sotto per la colazione, sperando di evitare Gertrude. Gertrude era alla fine del tavolo, in silenzio, assieme al padre. Aveva indosso un abito di sua madre e i capelli acconciati in un elegante toupet, che si era fatto fare da una domestica. La osservò di sottecchi, a lungo senza comprendere il motivo di quell'improvviso mutamento. Aveva un'aria assente, gli apparve svuotata e una voragine gli si aprì nel petto. Cacciò lo sguardo nel piatto incapace di affievolire quel dolore straziante. "Buongiorno!"
esordì il visconte sorridente. Gertrude rimase in silenzio, col capo castamente chino. "Buongiorno, vi sentite meglio spero!" Rispose Giacomo sforzandosi di apparire a suo agio.
"Oh sì, vi ringrazio. Soprattutto dopo che la mia cara Gertrude mi ha fatto questa bellissima sorpresa, stamane..." Ridacchiò orgoglioso, sfiorando delicatamente il mento della fanciulla
Il Conte accennò un sorriso, ma era di fiele.
"Visconte..." Mormorò fissando la forchetta a mezz'aria "Sarò ben lieto di leggervi qualunque mio componimento v'aggradi e... volevo dirvi che... beh stamane ho ricevuto una missiva che conteneva un invito dal lustrissimo Viesseux, voi... lo conoscete?" "Oh! Come no! È un mio carissimo amico! È legato moltissimo a mia figlia, da qualche anno abbiamo perso i contatti. So che avesse intenzione di fare questi incontri, sapete... nell'aria c'è rivoluzione." Affermò annuendo.
Il poeta lo guardò stupito ma allo stesso tempo inebriato dalla possibilità di respirare aria di libertà, di cultura quell'aria che la soffocante Recanati gli risucchiava dai polmoni. Ripensò alle parole del visconte e sentì quell'aggettivo, "molto legato" e provò una sgradevole sensazione urticante. Fissò di nuovo lo sguardo su Gertrude, sperando che aggiungesse qualcosa.
Gertrude rimase a capo chino, mettendo in bocca un pezzo di brioche che aveva spezzato con gesti eleganti
Doveva, doveva parlare, non poteva più trattenersi a oltranza "Visconte, posso permettermi di elogiare il magnifico abito di vostra figlia?" Mormorò a denti stretti senza deglutire, con la gola inerme. "Ma certo... " sorrise e le sfiorò i capelli continuando "Oggi la mia bambina ha così l'aria triste, non mi ha voluto dire cos'ha.. e soprattutto come mai abbia deciso così all'improvviso di indossare la gonna"
Guardò Gertrude sperando in uno sguardo, un cenno, un segno di vita. "E' veramente di buon gusto, la vostra gonna, veramente" Azzardò, era un gioco al massacro ma oramai doveva continuare nonostante il cuore che gli balzava in petto, oramai era troppo tardi, la amava, ne era certo....
Gertrude sollevò appena lo sguardo nero sul Conte, rimanendo seria. Poi si voltò verso il padre.
"Padre... col vostro permesso... io andrei."
“ Ma certo, figlia mia.” Giacomo rimase immobile, morire non doveva essere più doloroso... sentì gli occhi bruciargli gonfi di lacrime... le ricacciò dentro a forza. "Rivoluzione, avete detto prima..." mormorò distrattamente al visconte senza riuscire a levare gli occhi da Gertrude.
"Ma sì, per queste nuove situazioni politiche... i liberali."
Qualche anno fa ha inaugurato una nuova rivista... "L'Antologia", mi sembra che si chiami. È interessante, sapete? Beh, non me ne dolgo che il buon Gian Pietro Viesseux non mi abbia invitato. Non m'interesso di politica... né tanto meno sono un uomo di lettere."
Il Visconte continuava tranquillamente, come se andasse tutto per il meglio. Non si accorse nemmeno dell'aria distratta del poeta.
"Pensavo di recarmi lì nel pomeriggio, mentre voi riposerete, ora se gradite posso leggervi qualcosa..." mormorò distrattamente pensando a come volgere il discorso per arrivare a parlare di Gertrude "Oh no, davvero, vi ringrazio molto per la vostra disponibilità, ma tra poco avrò visite..."
Voleva evitare, visto cosa era successo l'ultima volta, a parte il fatto che le visite le avrebbe ricevute davvero. Si sentì completamente perso per un istante. I suoi programmi erano andati miseramente in fumo, mentre il fantasma di Gertrude, delle sue lacrime, del suo comportamento affettuoso ma dannatamente ambivalente restava, e lo uccideva poco a poco. Il Viesseux era la salvezza. Ci sarebbe andato in mattinata...

 
Documento originale autografo di Gian Pietro Viesseux, fondatore della rivista "L'Antologia" e uno dei maggiori sostenitori dei moti liberali (1820-'30) del periodo Rinascimentale.
   
 
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