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Autore: FairLady    23/10/2014    3 recensioni
Due occhi scuri, lo specchio di un'anima profondamente ferita.
Un nome sussurrato dal vento che arrivi a lenire un dolore ormai senza tempo.
Due cuori affini che si fondono in un unico corpo immortale, quello dell'amore.
Prima storia in questo fandom. Please, be kind.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gli occhi scuri spalancati su un mondo nuovo,
sensazioni a cui nemmeno le fantasie più dolci avrebbero saputo rendere giustizia.
Emozioni così vivide e potenti da poterle toccare con mano.
É questo l’amore?
Accarezzo la tua figura con uno sguardo che, ne sono certo, non ho mai indossato prima,
mentre sospiri appena nel tuo sonno delicato e ristoratore.
Sorridi, hai il volto serafico rilassato e abbandonato a una placida tranquillità.
L’insonnia che di solito mi tortura non è più un peso,
l’accolgo con gioia se grazie a essa posso starmene qui
a contemplare la tua adorabile vulnerabilità notturna.
Mi stai sognando?
Soffice fiocco di neve su cui temevo di posare le mani
perché non avrei sopportato l’idea che potessi scioglierti tra le mie dita,
ti stai rivelando invece una roccia.
L’amore non rende deboli come in molti dicono, l’amore fortifica.
Ci rende capaci di azioni coraggiose, di scelte difficili.
Sono sveglio, ma ti sto sognando.
Sogno i tuoi occhi verdi determinati quando hai messo da parte il tuo dolore per non causare il mio.
Sono stato egoista, me ne rendo conto.
Ho preferito un noi complicato, ad un io amaro e desolato.
È vero, sono abituato a soffrire, la mia vita è un susseguirsi di lacrime e sorrisi.
Di enormi folle e solitudini interiori.
Eppure, io lo so, sono sicuro come è vero che il sole sorge ogni mattina,
con la tua assenza non potrei mai fare i conti.
Farebbe sempre male, il primo giorno come l’ultimo della mia esistenza.
Io…
 
 
Michael scorse un movimento nel letto, chiuse lentamente il suo piccolo quaderno consunto – quello che teneva solo per sé, quello dei pensieri notturni disconnessi, a volte deliranti – e si alzò dalla poltrona, voltandosi brevemente giusto il tempo di posare sul tavolino ciò che aveva in mano.
In quegli ultimi istanti il braccio di Aura aveva vagato nel sonno, sfiorando il lenzuolo dove avrebbe dovuto esserci lui; non trovandolo aveva faticosamente aperto gli occhi.
Ora lo stava fissando nel buio, difficile non percepire quel verde smeraldo penetrante e straordinariamente caldo. 
«Cosa ci fai sveglio?» gli chiese, la voce impastata dal sonno e da quel velo d’inquietudine che probabilmente le aveva causato non facendosi trovare al suo fianco.
Con una mano l’uomo alzò il lembo della coperta e vi si infilò sotto; si avvicinò ad Aura prendendola tra le braccia, lasciando che appoggiasse il capo al proprio petto, e la strinse con tutta la forza di quei sentimenti da cui aveva deciso di lasciarsi guidare totalmente.
«Io, beh, non sono una persona che dorme molto» le sussurrò, accarezzandole i capelli e comprimendosi un po’ di più al suo corpo morbido. «Non ci ho mai fatto caso veramente, ma credo di non riuscire a riposare più di due ore a notte.»
«E come mai?» la domanda gli arrivò flebile, come se Aura si stesse riaddormentando; gli fece una tenerezza incredibile.
«Dormi tesoro, è ancora notte fonda. Se ancora vorrai saperlo, ti racconterò domani delle mie notti senza sonno.»
Aveva deciso – nemmeno lui sapeva quando – che con lei non si sarebbe nascosto. Non ci sarebbero mai state mezze verità, inconsapevoli omissioni o bugie bianche.
Negli ultimi anni aveva perso poco a poco la fiducia negli altri – erano veramente poche le persone per cui avrebbe potuto mettere le mani sul fuoco. Lo aveva imparato con l’esperienza: buono sì, incosciente no; ma Auralee valeva tutto il coraggio di cui era capace perché sentiva nel profondo del proprio cuore che non lo avrebbe mai tradito.
«Stavi scrivendo una delle tue meravigliose canzoni su quel taccuino?»
Era convinto davvero che si fosse riaddormentata, per cui si stupì non poco di sentirla parlare ancora e soprattutto gli dispiaceva tenerla sveglia con le sue chiacchiere: almeno lei avrebbe dovuto dormire. Pensò un istante alla risposta da dare, poi sorrise nella penombra.
«Più o meno, appunti diciamo. Ora chiudi gli occhi e riposati. Io starò qui, non me ne andrò.»
«Stai così, non mi lasciare. Prova a dormire anche tu, non me ne andrò.»
 
Con lei tra le braccia Michael riscoprì per la prima volta dopo tantissimo tempo cosa volesse dire abbandonarsi completamente a un sonno profondo e sereno.
 
***
 
Quando Aura aprì gli occhi qualche ora più tardi il sole sembrava già alto fuori da quelle mura. Strizzò le palpebre un paio di volte in più nel tentativo di rimettere insieme i pensieri e, soprattutto, cercare di focalizzare la sua attenzione sulla persona che in quel momento le stava accanto.
Michael era coricato su un fianco con il viso rivolto verso di lei; un braccio le cingeva i fianchi, mollemente, una mano stringeva la sua. Respirava piano, profondamente. Dormiva beato con un’espressione angelica dipinta in volto. Aura non poté fare a meno di sorridere a quella vista: era senza dubbio l’immagine più dolce che le fosse mai capitata davanti agli occhi.
Il primo istinto fu quello di avvicinarsi e baciargli le labbra – che la notte precedente si erano rivelate calde, abili e appassionate come non avrebbe potuto immaginare –, ma si rese conto che avrebbe finito con lo svegliarlo e non voleva assolutamente accadesse. Se era vero che di solito dormiva non più di due ore per notte, avrebbe dovuto lasciarlo riposare ora che sembrava così pacifico.
Un po’ se ne compiacque: non era certo da lei peccare di presunzione, ma in cuor proprio sperò che la sua presenza gli avesse infuso una serenità tale da rilassarlo completamente.
Senza compiere movimenti bruschi, cercò di sgattaiolare fuori dal letto nel tentativo di raggiungere il bagno e permettere a Michael di dormire ancora un po’. Quando fu in piedi accanto al letto lui si mosse appena, cambiando leggermente posizione e allungando il braccio nel vuoto lasciato dal suo corpo.  
Aura si ritrovò imbambolata a fissarlo, così come si resta immobili di fronte a un magnifico panorama… un’alba mozzafiato, un tramonto sul mare.
L’uomo che ami che ti sorride felice appena apre gli occhi, come se tu fossi il suo sole.
«Ehi…» sussurrò lui con la voce flebile, disarmante e ancora impastata dal sonno.
«Ehi…» rispose la ragazza, cercando di non preoccuparsi del sorriso beota che sicuramente doveva avere stampato in volto.
«Cosa fai lì impalata? Vieni qui e baciami. Mi avevi promesso che non te ne saresti andata.»
«Una donna deve fare quello che deve fare – sentenziò, fingendo di allontanarsi verso il bagno per poi correre indietro e saltare sul letto –, ma per qualche secondo con te sono disposta a rimandare qualsiasi cosa.»
Lui la strinse forte, facendole dimenticare anche il motivo per cui aveva deciso di abbandonare quel posto che ormai sentiva suo come se lo fosse stato sempre.
 
 Rimanere abbracciati.
A non dire nulla, ma a sentire tutto.
 
«Che cosa ti va di fare oggi?» Michael si era spostato per guardarla negli occhi. «Vuoi andare a fare un giro? Vuoi giocare? Vuoi…» lo sguardo provocatorio e un po’ buffo che le lanciò a quel punto la fece scoppiare a ridere.
«Michael Joseph Jackson! Cos’è quell’occhiata che mi hai dato?» gli berciò contro fintamente indignata, ma continuando a ridere – anche lievemente imbarazzata.
«Quale occhiata, tesoro? Non ti ho dato nessuna occhiata! Volevo solo…» si difese lui, alzando le mani sopra la testa.
«Non fare il finto tonto, signor non–mi–sognerei–mai–di–fare–strani–sguardi–allusori.»
L’uomo l’attirò a sé ridendo a sua volta e iniziando a farle il solletico.
«Perché tu vuoi farmi credere che l’idea di restare qui da soli tutto il giorno, a coccolarci, a ridere, a giocare… ad amarci come stiamo facendo ora non ti alletta nemmeno un po’?»
Eccome se l’allettava!
Non si era mai sentita così leggera e felice prima di allora, avrebbe voluto che quel momento durasse in eterno.
Finse di pensarci su qualche istante, poi lo baciò sulle labbra – la loro bontà era commovente – e gli accarezzò i ricci scuri sui lati, vicino alle tempie.
«Non puoi sapere quanto… – sospirò, sorridendogli dolcemente –, ma tu hai un tour da mettere in piedi e delle persone che contano su di te, sul tuo genio, le tue idee. Non voglio distoglierti dai tuoi impegni, anche se mi piacerebbe rapirti e tenerti sempre con me.»
Michael stava per dire qualcosa, ma lei glielo impedì abbassandosi di nuovo sulla sua bocca per rubargli un altro bacio.
«E, soprattutto, non vorrei che mi vedessero come un ostacolo per la tua carriera. Vorrei che capissero che so stare al mio posto, forse così, con il tempo, non mi guarderanno più con l’occhio storto.»
«Nessuno ti guarda storto! Tu sei la mia ragazza e sono io qui che stacco gli assegni – sorrise appena, piegando il capo –, metaforicamente parlando, per cui…»
Ma Aura non lo stava più ascoltando.
La sua ragazza.
Suonava così stupido a trent’anni, eppure era un sogno.
Il suo sogno.
 
Poco più tardi, quando si decisero a lasciare quel letto, Aura prese dalla poltrona una camicia bianca di Michael e un paio di pantaloni neri della tuta che le aveva preparato; lui indossò il suo pigiama rosso e uscirono dalla stanza per andare a fare colazione.
Quando giunsero in cucina c’era già un po’ di movimento: un paio di tecnici del suono stavano prendendo un caffè, mentre la cuoca preparava qualcosa da mangiare. Miko leggeva il giornale seduto sul divano vicino al camino e Benny parlava al telefono. Si erano aggiunte anche due donne che lei non aveva visto il giorno prima e una di loro doveva sicuramente essere Janet.
Nel momento in cui fecero il loro ingresso tutti smisero di fare ciò che stavano facendo e li fissarono inebetiti, ma Michael, noncurante, la prese per mano e la fece accomodare al tavolo da pranzo per fare colazione insieme. Sembrava stranamente sicuro e a suo agio, cosa che l’aiutò a non curarsi troppo di quegli sguardi estranei.
Qualche minuto dopo, mentre mangiavano in silenzio con l’imbarazzo generale che sembrava non volerne sapere di dissolversi, Aura abbassò il capo sul tavolo e si avvicinò all’orecchio di Michael, sorridendogli mestamente.
«Nessuno mi guarda storto, eh?»
La sola risposta che ricevette fu una carezza sul viso e un bacio sulla guancia; poi le sorrise, in quel suo modo speciale che sapeva farla impazzire.
Dopotutto – pensò allora Aura – chi se ne importa se mi guardano storto!
   
 
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