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Autore: DirceMichelaRivetti    23/10/2014    2 recensioni
Isaia non vuole uccidere Gabriel, ma non può neppure correre il rischio che la profezia si realizzi. Deve trovare un'altra strada...dovrà, però, scendere a patti proprio con Serventi.
Gabriel, intanto, prosegue la sua vita con Claudia e a Capo del Direttorio. Una gran noia la burocrazia della Congregazione, finché a smuovere la routine interviene l'eccentrica sorella di Isaia, che cerca il fratello.
Caso strano, Stefano riceverà l'incarico di fare una verifica proprio su di lei.
Presto tutti quanti i personaggi dovranno riunirsi per vedere se è possibile trovare una soluzione pacifica a tutte le divergenze.
Gabriel non sarà affatto felice di rivedere Isaia, che afflitto dal dolore deve costantemente ricordarsi di Dio, per potersi concentrare sulla sua missione.
Serventi non si fiderà delle proposte.
Il resto .... ve lo lascio leggere. Ho accennato qui ad alcuni dei punti di maggior rilievo di questa storia, ma non ci sarà solo questo.
Il tutto sarà condito da speculazioni esoteriche-filosofiche-teologiche. Probabilmente anche un po' di romanticismo, ma non sarà il tema centrale.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabriel Antinori, Nuovo personaggio, Padre Isaia, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima che il Sole calasse su Roma, i Templari diedero un nuovo segno della loro presenza e della loro imminente rivoluzione delle cose. Affidandosi ai poteri della verga di Mosè, avevano fatto sorgere una montagna sotto la cattedrale di San Pietro e il Vaticano, i quali dunque ora si trovavano in cima ad un alto piano florido e rigoglioso, dove i giusti potevano rifugiarsi, mentre nel resto del mondo iniziavano a imperversare le dieci piaghe d’Egitto per punire tutti gli infedeli e corrotti.

Invasione di rane, zanzare, mosche e cavallette, il bestiame moriva, ulcere si aprivano sui corpi dei peccatori e i loro animali, il cielo pian, piano si stava facendo scuro su tutto il globo e la grandine precipitava dal cielo rovinando tutto. Mancava solo che l’acqua si mutasse in sangue e che morissero i primogeniti ma, forse, per quello si sarebbe aspettato qualche giorno.

Come se tutto ciò non bastasse, i Templari e gli altri cavalieri, che ora li affiancavano, si aggiravano per Roma e dintorni personalmente per compiere la loro azione punitiva per chi viveva nel peccato e, allo stesso tempo, salvifica per chi, a loro giudizio, era retto. Loro, in particolare, si concentravano alla ricerca delle persone dotate di poteri; ciò che aveva dell’incredibile era il fatto che pure essi manifestavano capacità e poteri straordinari: essi dicevano che era un dono divino per sconfiggere i nemici di Dio.

L’Arca dell’Alleanza fulminava, anche a distanza di migliaia di chilometri, persone o anche città di nemici del Creatore.

Proprio come diceva l’Apocalisse di Giovanni, stava venendo distrutto un terzo della Terra e dei suoi uomini.

Per la popolazione, l’unica speranza di salvezza certa, era di tentare di raggiungere la cima del monte su cui spiccava il Vaticano; alle pendici, infatti, vi era un unico sentiero che portava in cima, per accedervi, però, era necessario passare prima per un antro, antro che puniva con la morte chiunque non fosse stato degno della salvezza.

Tutta la violenza e la ferocia del Dio del Vecchio Testamento e, quindi, del Creatore, si era manifestata nuovamente al mondo e all’umanità.

 

Gabriel, Isaia e i loro compagni fremevano di ira davanti a quella crudeltà e quegli orrori: volevano intervenire!

Bonifacio li trattenne, con queste parole: “Come vi ho già detto, i templari hanno dalla loro parte la Verga di Mosè, l’Anello di Salomone e l’Arca dell’Alleanza; essi donano loro poteri e alleati che voi non potete fronteggiare in queste condizioni. Siete stati a lungo ostinati, rigettando i vostri poteri e ora non siete preparati ad affrontare il nemico. Per fortuna, adesso avete accettato la vostra natura, per cui rimanete in disparte per qualche giorno, il tempo necessario per imparare ad attingere appieno al vostro potere, poi potrete andare a compiere il vostro dovere. Se vi muoverete prima, rischiate solo la morte, senza risolvere nulla.”

“Non capisco.” disse Gabriel “Questo discorso vale per me, ma per gli altri? Centra con il fatto che Isaia lanci i fulmini? Che cosa ci stai tenendo nascosto?”

Bonifacio non voleva ancora dire la verità, per cui si limitò a dire: “Isaia è una di quelle persone fortunate che hanno scelto di essere in atto ciò che erano in potenza. Isaia è nato con in sé la potenzialità di essere uno dei più grandi esorcisti di tutti i tempi e, senza sapere ciò, ha sentito che combattere i demoni era la sua strada e, quindi, nel realizzarsi può compiere davvero opere grandiose, impossibili per chiunque altro.  Nonostante il suo impegno e la sua determinazione, però, non ha ancora raggiunto l’apice. Per te vale più o meno lo stesso discorso, solo che la tua potenzialità da realizzare è quella di essere l’Eletto.”

“D’accordo.” si tranquillizzò Gabriel “Ho deciso di accettare di essere l’Eletto e lo farò. Sono pronto ad ascoltare i tuoi consigli, ma prima … Vorrei che portassimo qui Claudia, non sono per niente tranquillo a saperla là fuori, alla mercé di quegli uomini crudeli!”

Gabriel telefonò a Claudia a casa e sul cellulare, ma gli rispose sempre la segreteria telefonica. Temendo che lei non gli volesse parlare, Antinori chiese a Stefano di provare a sua volta a chiamare, ma il risultato non fu diverso. Gabriel, allora, telefonò a Teresa per chiederle notizie e la donna gli disse che l’amica era partita per un viaggio un paio di giorni prima e aveva lasciato a casa il cellulare, perché non voleva essere disturbata da nessuno.

Gabriel non era entusiasta ma almeno, pensò, anche se le piaghe si stavano diffondendo ovunque, i templari per ora agivano soltanto a Roma, per cui probabilmente la psicologa era al sicuro, almeno un poco più di altri.

Quando gli chiesero perché non fosse preoccupato per i suoi parenti, Isaia rispose: “Oh, sono certo di poter stare tranquillo: mio padre sarà contentissimo di poter usare finalmente il bunker antiatomico che ha fatto costruire sotto casa. Ogni tanto ci costringeva a fare delle esercitazioni e ci teneva chiusi là sotto anche due settimane.”

In quei due, tre giorni, quindi, Bonifacio e i suoi figli si dedicarono ad aiutare Gabriel ed Isaia a diventare completamente padroni dei propri poteri.

In villa, tuttavia c’era un’altra persona che si preoccupava fortemente per ciò che stava accadendo e che sentiva in sé la necessità di agire. Erano, però, tutti troppo concentrati su Gabriel e Isaia per accorgersi di lei e di ciò che stava provando, tutti tranne Stefano.

Era proprio Giuditta a non sopportare l’idea di rimanere inattiva, mentre fuori dai confini della villa tutto andava a rotoli.

Stefano, per quel poco che era riuscito a vedere la ragazza, si era accorto della sua malinconia e quindi cercò il modo di trovarsi solo con lei, mentre tutti gli altri erano in cortile, impegnati negli esercizi. La trovò in una terrazza, decorata con molte fioriere; la ragazza era distesa su una sedia a sdraio e ascoltava un’opera lirica da uno stereo posto su un tavolinetto lì vicino.

Il Flauto Magico, di Mozart, giusto?” esordì Stefano, poi forzò un sorriso.

Il giovane si sentiva un poco impacciato, un po’ come i primi tempi in cui si rapportava con lei. Non solo la ragazza non lo ricordava, ma lui l’aveva fatta arrabbiare mostrandole il suo astio per Gaspare. Già, in quei giorni che aveva trascorso in villa, Stefano amaramente aveva dovuto constatare che davvero l’amica era totalmente vincolata e, soprattutto, sottomessa a quell’uomo.

Il seminarista, dunque, ci teneva moltissimo a riconquistarne l’amicizia e ad aiutarla a non farsi più mettere i piedi in testa dal figlio di Serventi.

Non ricevendo risposta, Stefano si sedette su una seggiola lì accanto e continuò, gentilmente: “L’ho riconosciuta dall’aria di Pappageno e Pappagena.” attese qualche istante “Sai, una volta abbiamo ascoltato l’intera Tetralogia dell’oro del Reno assieme.”

“Io e te?” si stupì Giuditta.

“Beh, non proprio … eravamo nello stesso teatro! Tu eri con Gaspare e tuo fratello e Bonifacio …”

“Non è la stessa cosa di dire che l’abbiamo ascoltata assieme.”

“Sì, però, quando ci siamo incontrati, tu mi avevi proposto di venire nel palchetto assieme a voi, ma Gaspare s’è opposto.”

“Può essere, non ricordo.”

“Già, lo so.” Stefano si rabbuiò.

“Per favore, potresti andartene?”

“Perché?” qui il tono era quasi di sfida.

“Perché Gaspare non vuole che io resti a tu per tu con te.” rispose candidamente la ragazza.

Stefano si accigliò, si trattenne dall’arrabbiarsi e si limitò a chiedere, con tono piuttosto aspro: “E tu, invece, che cosa vuoi?”

Giuditta rimase un poco sorpresa per quella domanda, poi rispose: “A me sta bene quello che vuole Gaspare: lui sa che cos’è giusto.”

Il ragazzo fece respiro profondo per restare calmo, dopo provò a chiederle: “Ipotizziamo, allora! Immagina che lui non ci sia, immagina che sia sparito senza darti istruzioni. Tu che cosa vorresti fare, ora?”

Giuditta lo guardò un po’ spaesata, poi gli fece cenno di avvicinarsi e alzò il volume della musica, affinché coprisse le loro voci. La ragazza non sapeva se fosse bene confidarsi con il giovane, ma guardandolo negli occhi vedeva la sua bontà e sentiva di potersi fidare di lui, nonostante tutto; inoltre lui aveva dimostrato di conoscere già il suo segreto.

“Io non dovrei essere qui, in questo frangente. Là fuori, si sta scatenando letteralmente il finimondo e io, in quanto Frano Giudice, dovrei essere là a combattere i profanatori della Scienza Sacra. I miei confratelli stanno lottando, probabilmente morendo e io sono bloccata qui a non far nulla!”

Stefano ebbe un dubbio e domandò: “Lo stai dicendo adesso a me, per la prima volta, oppure lo hai detto anche a tuo fratello o a Gaspare …?”

“Con Gaspare ne ho parlato, è ovvio. Gli avevo chiesto il permesso di andare, ma lui mi ha tassativamente vietato di uscire dalla villa. È buono, lo fa perché non vuole che mi accada nulla di male, vuole tenermi protetta, ma … il mio dovere è di andare là e combattere.”

Stefano ragionò un attimo, sospirò e poi disse: “Sinceramente, preferisco anch’io che tu sia qui, al sicuro, piuttosto che a rischiare la vita, è naturale. Non mi piace, però, che tu resti qua solo per obbedire a lui. Sei infelice e si vede.”

“Davvero? Nessuno lo ha notato …”

“Io sì. In questi giorni sei spenta, mogia, priva pure di quel piccolo barlume della tua splendida luce che Gaspare non ti aveva ancora portato via. Per favore, spiegami perché senti l’importanza del dovere andare a rischiare la vita.”

Giuditta lo guardò in un misto di stupore e gratitudine: da parecchi giorni nessuno le chiedeva la sua opinione.

“Io sono un Franco Giudice ho giurato di punire i servi del Caos. L’Ordine è tutto e va preservato ad ogni costo, anche quando la situazione è disperata.”

“Se voi vi fate sterminare tutti quanti adesso, chi porterà avanti la vostra missione, la vostra filosofia in futuro?”

“Se ci sarà un futuro …” la donna divenne ancora più malinconica di prima.

“Una volta eri più ottimista.”

“Gaspare non mi aveva ancora aperto gli occhi. Prima ritenevo che, a questo punto, Gesù sarebbe tornato a mettere le cose in Ordine, invece aveva ragione Serventi: Lui non tornerà più ad invischiarsi nel mondo materiale. Il futuro dipende dalle nostre azioni e, proprio per questo, sento ancora più forte il dovere di intervenire.”

“Puoi cercare una via di mezzo: ora, temo proprio che avresti scarse possibilità e la tua azione sarebbe ininfluente. Pazienta qualche giorno, quando Gabriel e Isaia saranno pronti e potrai aiutarli, come faremo anche noi. Mi sembra un buon compromesso: non vieni meno ai tuoi doveri ed eviti di farti ammazzare.”

“Sono un Franco Giudice: penso di potermela cavare. Ad ogni modo, Gaspare non vuole tassativamente che io prenda parte a questa guerra, dice che devo rimanere al sicuro finché non sarà finita, perché è dopo che verrà il mio momento d’azione, quando ci sarà da ricreare. Io non ne sono sicura, io penso che sia mio compito occuparmi anche di questo scontro.”

“Giuditta, so quanto sono importanti per te il dovere e l’ordine, me lo hai spiegato, quindi …”

Non poté finire la frase, perché la ragazza lo interruppe: “Io sono confusa! Non so più quale sia il mio dovere! Il tribunale della Santa Vehme dice chiaramente quali sono i compiti che i suoi Giudici sono chiamati a svolgere e, credimi, io ho una gran voglia di andare a lottare assieme ai miei confratelli.” aveva le lacrime agli occhi “D’altra parte, però, Gaspare è più vicino alla Verità di me, per cui lui sa meglio cosa …”

“Aspetta.” questa volta fu Stefano ad interrompere “Il fatto che lui conosca o sappia fare più cose di te, non implica che davvero abbia ragione su ciò che è bene e ciò che è male.”

“Io non voglio dispiacerlo.”

Stefano sospirò; rimase incerto un istante, poi si decise a dire: “Per quanto, in questo momento, io sia d’accordo con lui, circa il fatto che dovresti rimanere al sicuro, devo ricordarti che sia tu che tuo fratello avete sempre insistito sul fatto che i desideri egoistici, dettati da legami affettivi, devono essere sempre subordinati al dovere e al servizio dell’Ordine. Lo dice anche il proverbio, no? Prima il dovere, poi il piacere. Quindi, se tu sei convinta che il tuo dovere sia essere là fuori a combattere e l’unica cosa che ti trattiene sono i tuoi sentimenti per Gaspare.” queste ultime parole le aveva dette con ribrezzo “Allora sarebbe bene tu uscissi e facessi ciò che ti compete!”

Giuditta era rimasta sorpresa dalla veemenza con cui erano state pronunciate quelle parole: per quel poco che sapeva di lui, il giovane le era sempre sembrato piuttosto sottotono: se ora le aveva parlato in quella maniera, era perché teneva davvero molto a lei.

La ragazza sorrise con gratitudine e replicò: “Mi hai convinta: se Gaspare si arrabbierà, sopporterò qualsiasi punizione gli venga in mente, ma adesso è giusto e doveroso ch’io vada.”

“Vengo con te.” disse Stefano, non era affatto entusiasta, ma era del tutto risoluto.

“Tu?!” si meravigliò Giuditta, inarcando un sopracciglio “Che cosa sai fare?”

“Temo molto poco. Volevi insegnarmi, ma poi sei dovuta venire qui e io, leggendo ed esercitandomi da solo, non sono riuscito a concludere nulla. Nulla di utile in battaglia … solo un po’ di sano e vecchio potere gesuitico. Sono, però, in grado di sanare e questo credo proprio sia utile.” guardò la ragazza e, vedendola dubbiosa, aggiunse un commento nerd: “In fondo ogni gruppo di avventurieri deve avere almeno un curatore.”

Giuditta sorrise, intenerita. Stefano si sentì rinfrancato e quindi disse: “La situazione sarà ardua, ma io voglio starti accanto e fare tutto ciò che potrò per aiutarti.”

La donna sorrise di nuovo con gratitudine, dopo un’ombra di malinconia le velò il volto e infine disse: “Aspettami qua. Io vado a mettermi in divisa.”

Stefano era piuttosto soddisfatto: Giuditta era riuscita a scuotersi un poco dalla tirannia di Gaspare, era un primo passo per farle ritrovare la sua indipendenza. Certo, la conseguenza di ciò era che entrambi si stavano andando ad infilare in una sorta di missione suicida, ma incredibilmente questo fattore gli pareva del tutto secondario. Benché lui non fosse d’accordo, sapeva quanto l’intervenire era importante per Giuditta e, quindi, era contento di starle vicino e aiutarla. Probabilmente stavano per andare a morire o a farsi molto male, eppure Stefano non poteva fare a meno di sorridere, come se l’essere assieme a quella ragazza rendesse più sopportabile anche la fine.

Attese per circa un quarto d’ora, poi lei arrivò con la sua uniforme da Franco Giudice: abito nero, pugnale cruciforme e maschera neutra bianca; quest’ultima la teneva in mano e l’avrebbe indossata solo arrivati a battaglia.

Appena aveva deciso di andare, Giuditta aveva avvertito un bruciore alla clavicola; mentre si era cambiata d’abito aveva notato che, proprio come le era stato detto, il nome di Gaspare era comparso sulla sua pelle, come inciso a fuoco, per ricordarle a chi lei apparteneva e che stava facendo qualcosa che il suo padrone disapprovava.

“Sicuro, allora, di voler venire?” chiese lei, un po’ rudemente.

Stefano annuì, era felice perché aveva risentito in quella voce la determinazione dell’amica.

Sgattaiolarono di nascosto fino al parcheggio, ma lì si imbatterono in Jacopo.

“Una fuga romantica?” li prese in giro il fantasma “No, nessuno di voi ne sarebbe capace. Quindi state mettendovi nei guai … Attenti, perché se per caso sopravviveste a quelli là fuori, i guai che trovereste qui, al vostro ritorno, sarebbero ben peggiori.”

“Lasciaci in pace!” ribatté Stefano, seccato.

“Ho parlato nel vostro interesse. Tu guarda se devo essere ringraziato così, per una volta che sono gentile!”

“Senti, fai quello che ti pare: noi andiamo.”

“Certo che faccio quello che mi pare, come sempre!”

Jacopo si allontanò borbottando. Stefano prese la propria auto e lui e la ragazza partirono. Era loro intenzione arrivare fino in città, ma non ci riuscirono: già durante il tragitto si imbatterono nelle atrocità di cui avevano sentito parlare sia da Serventi che in televisione, ovviamente con commenti e punti di vista molto differenti.

A meno di cinque chilometri dalla villa, c’era una sorta di tempio Sikh allestito dentro una vecchia stalla dismessa da decenni. Passandoci davanti con l’auto, Stefano e Giuditta notarono che il luogo era preso d’assalto dai templari e gli altri cavalieri. I due giovani parcheggiarono alla distanza adeguata per non essere notati e si avvicinarono di soppiatto. Man, mano che si avvicinavano, notarono che, oltre ai templari con spadoni e agli indiani con turbanti e sciabole, c’erano anche esseri strani, sembravano animali o anche umanoidi ma non parevano affatto naturali. Giuditta arrivò presto alla conclusione che quelle creature fossero demoni delle legioni.

“Ne sei certa?” domandò Stefano “Ma come potrebbe essere? Insomma, templari e demoni non dovrebbero essere in conflitto? Anche se i templari sono l’anticristo …”

“Hanno l’anello di Salomone, sai cosa fa?” era lo stesso tono un po’ seccato, un po’ di sufficienza che Giuditta aveva i primi tempi in cui aveva a che fare con il seminarista.

“Dominare i demoni, già, non ci stavo pensando. Come pensi di procedere?”

“Semplice: Vado, l’ammazzo e torno.” rispose lei con disinvoltura e un sorrisetto sicuro di sé.

“Questo è un titolo di un film western di Castellani del 1967, non un piano!” si lamentò Stefano, piuttosto innervosito, anche se felice di sentirsi un po’ come ai vecchi tempi.

“È così, tuttavia. Siamo in due: io combatto, tu curi, non è che si possano elaborare strategie.”

Stefano la guardò con apprensione e rimprovero. Lei lo trovò tenero e divertente e chiese, un po’ per prenderlo in giro, ma senza cattiveria: “Che c’è? Paura? Lo sai come si dice: la morte è solo l’inizio.

Il giovane rispose d’istinto: “Sì, sono piuttosto nervoso. Potresti darmi un bacio, così le endorfine mi calmerebbero.”

Giuditta si irrigidì, per qualche istante ci fu il gelo, svanì quella complicità che al giovane sembrava di star riconquistando; poi, però, lei si addolcì, lo guardò con tenerezza e gli disse: “Stefano, scusami, io non so come fossero prima le cose tra di noi. Adesso, però, io sono di Gaspare e quindi …”

“Va bene, ho recepito.” la interruppe Stefano, seccamente “Preferirei, però, che tu dicessi di stare assieme a Gaspare, piuttosto che di essere sua.”

Giuditta decise che non era il momento di mettersi a discutere di ciò, per cui disse: “Dai, stiamo perdendo tempo, è ora di agire. Tu sta indietro e fa’ quello che puoi.”

La ragazza indossò la maschera bianca, strinse il pugnale, poi avanzò, divenendo impercettibile ai sensi altrui. Arrivata al centro del campo di battaglia, si concentrò per addensare l’umidità nell’aria in modo tale da provocare una nube di vapore che stupisse i contendenti e che facesse interrompere loro il combattimento per qualche minuto. L’effetto scenografico ebbe successo e lei parve emergere da quella nebbia. Avendo tutti gli occhi puntati contro, lei disse: “In nome della Santa Vehme, sono tutti condannati a morte i profanatori della Scienza Sacra!”

Senza frapporre indugi, Giuditta conficcò all’istante il proprio pugnale nel collo del templare più vicino a lei, poi lo estrasse e si avventò su un altro. Faceva affidamento più sulla lama che sulla magia, che limitava a cercare di bloccare gli avversari o respingerli con bolle d’aria compressa; avrebbe anche potuto facilmente provocare incendi, ma il fuoco poteva essere un’arma a doppio taglio, per cui preferì evitare. I Sikh, vedendo ciò, si sentirono rinfrancati e attaccarono gli assalitori con maggior vigore rispetto a prima.

Stefano non era stato notato, osservava e si chiedeva come potersi rendere utile. Vide uno dei Sikh, ferito a terra, gli si accostò e lo sanò. Gli tornò alla mente quando, pochi giorni prima, preso da rabbia, aveva fatto avvizzire un albero; pensò allora ad Apollo: dio della medicina, ma anche in grado di affliggere con malattie, come quando aveva provocato la pestilenza nell’accampamento degli Achei.

Probabilmente anch’io posso farlo: potrei indebolire le forze templari con delle infermità. Speriamo il bene. –pensò il giovane, cercando di capire come usare il proprio potere in quella maniera.

Decise di non ricorrere a malattie complesse, magari mortali, ma difficili da provocare e chissà con quali tempistiche avrebbero agito. Ritenne che la soluzione ideale fosse ricorrere a semplici, ma efficaci disarticolazioni e rotture di arti. L’ulteriore difficoltà era dovuta alla distanza: lui aveva sempre agito a contatto, tuttavia si mise d’impegno.

Il suo piano funzionò ed ebbe un’importanza fondamentale, poiché i templari sembravano avere anch’essi poter ricorrere a poteri sovrannaturali, a una forza e velocità inumane. La possibilità di azzopparli e di spezzare le loro braccia a distanza fu un’ottima risorsa per permettere ai Sikh di uccidere i nemici, senza correre troppo il rischio di essere loro a congedarsi da questo mondo.

Giuditta, allora, poté concentrarsi sui demoni delle legioni, operando esorcismi ed invocando continuamente il nome dell’Arcangelo Michele.

I legionari, però, non erano facili da sconfiggere ed erano immuni ai poteri di Stefano, quindi, nonostante i templari fossero stati praticamente sconfitti, la vittoria non era affatto probabile a causa di quei demoni.

Giuditta era in difficoltà ed era anche stata graffiata più volte; Stefano non poteva aiutarla negli esorcismi, poiché stava ancora gestendo la situazione coi templari.

La situazione era quindi piuttosto grigia, fu allora che si sentì un gran fragore e una pioggia di lance cadde dal cielo sui demoni: ciò non sarebbe servito a ucciderli, ma li avrebbe rallentati. Giuditta si stupì, si guardò attorno per capire chi avesse fatto ciò e vide Gaspare avvicinarsi.

“Gaspare, io …” balbettò la donna, impaurita.

“Non ora.” la interruppe lui, imperioso “Faremo i conti a casa. Adesso uniamo le nostre menti e poniamo fine alla faccenda.”

Stefano, pure, si era meravigliato e ora osservava: vide Gaspare e Giuditta fissarsi negli occhi e pochi istanti dopo dei fasci di luce attraversarono dall’alto al basso i demoni, facendoli gridare di dolore e poi sgretolare.

In pochi minuti la battaglia si concluse e i Sikh erano al sicuro, per il momento; essi avrebbero voluto festeggiare i loro salvatori, ma non fu possibile. Gaspare afferrò per un polso Giuditta e la portò verso la propria auto.

Stefano si accostò loro, un po’ contrariato, chiedendo: “Ehi, che stai facendo? Dove la porti?!”

“Prego, non c’è bisogno di tutta questa riconoscenza: in fondo, vi ho solo salvato le vite.”

Il ragazzo si accorse di essere stato scortese, per cui cercò di rimediare: “Grazie, probabilmente il tuo aiuto è stato fondamentale. Come hai saputo?”

“Probabilmente?! … Me l’ha detto Jacopo, per fortuna. Adesso lei torna in villa con me. Tu, Pigolo, fai quello che ti pare. Spero che mettere a rischio non solo te stesso, ma soprattutto lei, ti abbia fatto capire che noi non parliamo a caso e se diciamo di non uscire dalla villa, non bisogna uscire dalla villa.”

Stefano annuì; poi pensò fosse meglio non aggiungere altro e si allontanò, per recuperare la propria automobile e rientrare alla villa.

Mentre erano in macchina, Gaspare sembrava furioso e non aprì bocca per tutto il tragitto, nonostante Giuditta avesse espresso le proprie scuse e il proprio rammarico per quella sconsideratezza. Arrivati nel cortile della villa, l’uomo parcheggiò; rimanendo in auto, guardò glacialmente la ragazza e, con una severità che la donna non gli aveva mai visto, disse: “Che cosa ti avevo detto, io? Di non uscire dalla villa, poiché è pericoloso. Tu, però, bambina capricciosa, non mi hai dato ascolto!” pur non urlando, la sua ira era lampante “Adesso che hai rischiato la vita con quella feccia, che cosa pensi di avere ottenuto? La vita di quei Sikh? Se saranno fortunati, verranno attaccati di nuovo domani e moriranno.” sospirò, lasciò passare qualche secondo e poi disse, leggermente placato: “Non provare mai più a fare di testa tua, tanto meno di dare retta a Pigolo, lì. Ci siamo intesi?”

Giuditta non rispose, lo fissava in un misto di contrizione e paura e sembrava sull’orlo di piangere.

Gaspare la guardò: in fondo faceva fatica a rimanere arrabbiato con lei. Disse: “Chi tace acconsente. Va in camera e pensa alla maniera di chiedermi scusa.”

La ragazza non fiatò e uscì dall’auto. Rimasto solo, Gaspare abbandonò il proprio ostentato atteggiamento freddo e tremendo, per far spazio a un terribile nervosismo e agitazione: aveva paura. La ragazza gli aveva disobbedito, dimostrando che lui non ne aveva il totale controllo; ora, lui doveva rispondere di questo suo insuccesso davanti al proprio genitore. Sentì qualcuno bussare sul finestrino: era Temistocle. Gaspare scese dall’auto per ascoltare.

“Ti vuole vedere subito, ti aspetta nel suo studio.” gli comunicò il fratello maggiore.

“È furioso?” chiese Gaspare, col groppo in gola.

“Naturalmente, con quel che è successo! Non fare domande stupide.”

“Allora vado.”

Gaspare si affrettò a raggiungere il padre che lo aspettava, seduto dietro la propria scrivania. Il giovane, appena entrato nello studio, si mise davanti al desco, ma non gli fu lasciato il tempo di parlare.

“Si può sapere come sia stato possibile?” domandò Bonifacio, calmo, ma con lo stesso tono di amarezza e delusione di quando aveva scoperto il tradimento di Foschi o di Clara. Continuò: “Garantisci sempre di avere il controllo totale su di lei, eppure, nonostante i tuoi ordini, si è andata a mettere in pericolo con quei folli e le legioni infernali; c’è una profonda contraddizione, non credi?”

“Padre, come ho notato fin dall’inizio della faccenda, l’amicizia tra lei e la Guida crea interferenze.”

“Ti ho affidato un preciso incarico e tu lo hai accettato con tutte le sue difficoltà ed implicazioni. Sai perfettamente che tu e lei dovete arrivare sani e salvi alla fine di questa guerra e all’inizio del nuovo mondo. Ti ho detto che durante questa guerra c’era una sola ad unica cosa che dovevi fare: tenere lontano dai pericoli lei e te stesso e oggi hai fallito questa semplicissima missione. Ha forse ragione Annibale, nel dire che ti sei lasciato vincere dall’affetto per lei? Ricorda, proprio se tieni a lei, devi fare in modo che obbedisca: è per il suo bene.”

“Padre, ti assicuro che ne sono perfettamente consapevole e che non sono per nulla arrendevole o permissivo con lei.” Gaspare era preoccupato e cercava di difendere come meglio poteva il proprio operato “La tengo sottocontrollo con tutti gli accorgimenti necessari.”

“Eppure oggi è accaduto ciò che non doveva neppure passarle per la testa. Gaspare, devi iniziare a fare sul serio.” Bonifacio parlava con una naturalezza terrificante; guardò tremendamente il figlio e gli disse: “Se non vuoi rischiare di mandare a monte il piano e se non vuoi suscitare la mia ira, vedi di iniziare a comportarti come i tuoi fratelli maggiori.”

“Sì, padre, non ti deluderò più.”

“Ti conviene.”

   
 
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