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Autore: Mary P_Stark    27/10/2014    1 recensioni
Cecily Fairchild è l'insegnante di Inglese nel piccolo paesino costiero di Falmouth, Cornovaglia. Sbrigativa, spigliata, sincera e per nulla vanitosa, è amata dai suoi studenti e apprezzata dai suoi colleghi. Ma, cosa più importante, è Fenrir del Clan di Cornovaglia, la licantropa più forte dell'intero branco. Licantropa che, però, si ritroverà ad affrontare qualcosa per lei del tutto nuovo e inaspettato, e un uomo che la lascerà senza parole per la prima volta in vita sua. Un uomo che, tra l'altro, sembra nascondere una marea di segreti, sotto la sua eleganza e le sue buone maniere. Amore e mistero li accompagneranno verso un'avventura ai limiti del mondo... e forse anche oltre. SPIN-OFF "TRILOGIA DELLA LUNA" - 4° RACCONTO (riferimenti alla storia presenti nei 3 racconti precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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4.
 
 
 
 
Rientrare a Falmouth fu strano, quasi fossero stati via per un tempo indefinito, e il mondo attorno a loro fosse cambiato.

A onor del vero, erano passati cinque giorni, nulla di eclatante eppure, la sensazione di straniamento restava.

Dopo aver salutato Hugh, che rientrò in casa con aria stranita e stanca, Cecily e William si diressero verso il cottage di lei.

Dormicchiare le sembrò giusto, visto quante emozioni l'avevano squassata in quelle ore ma, quando Darcy fermò l'auto, un profumo insolito le solleticò le narici, mettendola in allarme.

Sgranando gli occhi, Cecily esalò: “Tyler?”

William la fissò confuso per un attimo, ma lei non diede spiegazione alcuna al suo dire.

Balzata fuori dall'auto, la donna si avvicinò lesta al cancelletto in legno bianco della sua proprietà e lì, a occhi sgranati, fissò Tyler, seduto sui gradini della sua veranda.

Appariva stanco ma determinato e, quando la vide, i suoi occhi semi addormentati si riscossero di colpo.

Balzò in piedi come una molla e, sorridendo lieto, corse da lei, scavalcò il cancello con un agile salto e la abbracciò con foga.

Cecily si ritrovò letteralmente sollevata da terra e stritolata dalle braccia robuste del giovane che, ai limiti del pianto, esclamò: “E' tornata, prof! E' tornata!”

William, muto testimone di quella scena ai limiti del paradossale, sorrise bonario e, quando Cecily venne finalmente rimessa a terra, chiosò: “Questa è devozione filiale... altroché.”

La donna lo fissò accigliata, il viso rosso per l'imbarazzo e Tyler, nel salutare William con un sorriso, tornò a dedicare tutta l'attenzione alla sua Fenrir.

Ansante per le troppe emozioni, mormorò commosso: “Non avevo idea di quanto sareste tornati, però... però...”

“Volevi darmi il bentornato per primo?” ipotizzò la donna, sorridendogli con affetto.

Cosa avrebbe dovuto fare, con quel giovane? Era così devoto, così amorevole...

Alla fine, Cecily fece spallucce e, sorprendendo sia Tyler che William, lo afferrò alle spalle per farlo abbassare e, con delicatezza, diede un bacio sulla guancia al giovane.

“Grazie per la gentilezza, Tyler, ma non occorreva che bivaccassi qui.”

Rosso come un peperone, ma soddisfatto come pochi, il ragazzo scosse il capo, le sorrise come un cucciolo adorante e replicò: “Tutto, per la mia Fenrir.”

Lei rise sommessamente, gli diede una pacca sul braccio e, ammiccato che ebbe a William – che annuì – lo prese sottobraccio e disse: “Vieni dentro, così ti raccontiamo com'è andata.”

“Evvai! Grazie, prof! Sì, insomma, Fenrir...”

La donna si limitò a sorridere e Darcy, nel seguirli, si disse che, nel corso degli anni, quel giovane sarebbe diventato uno degli elementi di maggiore spicco, nel branco.

E uno dei lupi più fedeli della sua compagna.

Saperlo, lo rasserenò, perché voleva per Cecily solo i licantropi più forti e leali.

 
§§§

Strette le mani di Cecily e William, il preside della scuola si congratulò con entrambi per la buona riuscita della missione.

Con un sorriso ironico indirizzato poi a quest'ultimo, il preside aggiunse: “Non dobbiamo quindi temere l'arrivo di elfi da un altro mondo?”

“Direi di no. Anzi, per un po' saranno così impegnati a litigare, che neppure penseranno a me” ironizzò lui, ripensando ai suoi strani, quanto particolarissimi parenti.

Di sicuro, ben poche persone al mondo potevano vantare, come zio, niente meno che Oberon, il mistico elfo decantato dal Bardo Immortale.

Certo, Shakespeare non era stato informato di alcuni sue importanti, quanto vitali singolarità, ma se l'erano cavata egregiamente anche senza conoscere molto di lui.

L'aiuto di Puck era stato primario, così come la presenza di ben tre dèi del pantheon norreno.

Al solo pensarci, rabbrividì.

Se, in quei momenti concitati, aveva fatto ben poca attenzione alla loro effettiva presenza sul campo, a mente fredda aveva iniziato a rimuginarci sopra.

E capire quanto, in quelle poche ore, si erano ritrovati così vicini al baratro.

Pensare di essere riusciti a riportare Syldar sano e salvo tra le braccia di Cordelia, compensava qualsiasi paura.

Ma non era così sciocco da non pensare ai rischi corsi.

Non faceva specie che, anche Cecily, si fosse sentita in debito per più di un motivo, coi suoi amici.

Anche lui aveva molti pesi sulle spalle, da portare, ma questo non lo rendeva meno lieto per il buon lavoro svolto su Alfheimr.

Nessuno si era fatto male, se non l'amor proprio di Oberon, Titania e Morgana e, pur se Syldar, presto o tardi, sarebbe dovuto tornare al suo pianeta d'origine, ora si conoscevano.

Ora, sapeva di avere un padre, di poterlo vedere in qualsiasi momento, di poter condividere con lui segreti e speranze.

Nel corso di quelle lunghe ore, passate a dialogare nel giardino della madre, suo padre gli aveva spiegato i motivi della loro separazione.

Gli aveva accennato al rifiuto di Vivianne, la Dama del Lago preposta alla difesa della Fonte Sacra, di concedergli il dono della vita eterna.

La proibizione di avere figli con gli umani, lo aveva colpito, così come la scoperta della furia di Oberon, alla notizia di un suo parente mezz'elfo abbandonato su Midghard.

Quell'accenno aveva fatto sorridere entrambi, così come aveva posto ulteriori domande nella mente di William.

A queste, Syldar aveva risposto con dovizia di particolari, accennandogli anche alla corte spietata di Morgana, e al relativo odio nei suoi confronti per averla rifiutata.

Si era ritrovato a sorridere, consapevole di quanto, la gelosia e i suoi riflessi, fossero in tutto simili anche nel mondo degli umani.

Nel fine settimana, Cordelia e Syldar sarebbero giunti lì a Falmouth in visita e, fino a quel momento, lui e Cecily avrebbero sistemato l'appartamento di William per loro.

E lui e suo padre avrebbero ripreso a parlare da dove si erano interrotti.

Un letto a una piazza e mezzo non andava bene per una coppia ma, con i debiti accorgimenti, quel piccolo angolino da scapolo, sarebbe diventato un nido perfetto, per loro due.

“Immagino siate ansiosi di tornare dai vostri ragazzi. Dopo eventi simili, la normalità sembra sempre bellissima” ironizzò a quel punto il preside, riportando William al presente.

“Sarà sicuramente cosa gradita” assentì lui, strizzando l'occhio a Cecily, che assentì.

“Non vi trattengo oltre, allora” dichiarò l'uomo, prima di lanciare un'occhiata significativa alla sua Fenrir.

Lei, dopo un istante, sospirò e disse con un mugugno: “Indirò una riunione, tranquillo, così tutti sapranno che sono viva e vegeta, va bene?”

Soddisfatto, l'uomo si sfregò le mani e domandò: “Prenoto la sala del teatro cittadino?”

“Certo. Non sia mai che qualcuno rimanga fuori. Anzi, già che ci sei, metti i cartelloni fuori, sulle vie principali, e scrivi a caratteri cubitali che Fenrir di Falmouth deve dire ai suoi timorosi sudditi che la loro regina è viva e vegeta” borbottò Cecily, andandosene a grandi passi per poi sbattere con una certa violenza la porta.

I cardini cigolarono in risposta e William, nel lanciare un'occhiata al serafico preside, esalò: “Ma... è sempre così?”

“Quando deve essere Fenrir a tutti i costi? Sempre. La nostra Signora può sembrare fatta di cemento armato e fil di ferro, ma è buona come il pane, e ama il suo branco” disse tutto orgoglioso l'uomo, annuendo soddisfatto. “Non mi ha neanche minacciato di staccarmi la testa a morsi. E’ un record!”

William si ritrovò a sorridere divertito e, poggiate le mani sui fianchi, replicò: “Scherzava, però, per quanto riguarda i cartelloni...”

“Non più di tanto. Farò affiggere davvero dei cartelloni, ma solo dove serve, e solo per occhi consapevoli” strizzò l'occhio l'uomo, scusandosi un attimo dopo quando il telefono squillò.

Darcy lo salutò allora con un cenno della mano e, con maggior calma, uscì dall'ufficio del preside.

Non appena mise piede in sala insegnanti, trovò Cecily attorniata dalle loro colleghe, tutte cicaleggianti come un branco di comari e, tra sé, gli spiacque per lei.

Sapeva quanto, a Ceel, quelle chiacchiere vuote dessero fastidio, ma sapeva anche quanto l'anonimato e la copertura fossero importanti, nella sua vita.

Se le avesse sbattute contro il muro come, sospettava, avrebbe voluto fare, tutto sarebbe andato a rotoli.

E lui, da quel momento in poi, e per tutta la vita, avrebbe dovuto adeguarsi a quell'andiamo.

Segreti, sotterfugi, bugie – anche ai migliori amici – e, più di tutto, la consapevolezza di amare una creatura mitologica, comparsa chissà come nella sua vita.

 
§§§

Camminando spedita lungo la via, un vento inclemente a spazzare la costa e intirizzire i pochi pedoni per strada, Cecily guardò torva William e borbottò: “E' inutile, del tutto inutile che tu mi guardi con quell'aria divertita. Non c'è nulla di divertente in quello che andrò a fare di qui a poco.”

“Io, invece, trovo estremamente interessante che tu, prode licantropo che ha accettato di essere solo donna, avventurandosi in un territorio ostile unicamente per proteggere la mia libertà... sia terrorizzata all'idea di parlare al proprio branco.”

Il sorriso di Darcy si allargò ancor di più, quando Cecily imprecò senza ritegno.

La adorava quando, la sua timidezza imprevedibile, usciva a quel modo.

Cecily era composta da un mare di contrasti, e lui li amava tutti. Dall'insegnante amata dai suoi alunni, alla licantropa coraggiosa, alla donna spericolata.

Le sue mille sfaccettature, il caleidoscopio di colori di cui era composta, era ammaliante e denso di esotico fascino, per lui.

Non avrebbe cambiato nulla, di Ceel e, anche vederla così furiosa, gli piacque.

Le diede perciò un bacetto sul capo, cui seguì il suo ringhio feroce.

Darcy, però, non ci fece alcun caso e, quando finalmente entrarono nel teatro, prenotato per loro e già gremito di persone di ogni età, sorrise.

Erano tutti lì per lei, per la loro Fenrir, per la donna che lui amava più di se stesso.

Non sarebbe mai stata da sola, o non protetta.

Quelle persone, licantropi o meno che fossero, si sarebbero battuti anima e corpo per lei, e lui per primo.

Sì, la sua Cecily era al sicuro, tra quella gente.

In silenzio, e seria come poche altre volte, Cecily salì sul palco, seguita da William, Sabine e Hugh.

La sala si azzittì senza che nessuno dicesse nulla e, preso il microfono per parlare, Ceel esordì dicendo: “Innanzitutto, grazie per essere qui. So che molti di voi hanno dovuto fare il diavolo a quattro, sul lavoro, per prendersi mezza giornata di libertà perciò... beh... grazie.”

Il suo imbarazzo si fece evidente, ma nessuno rise, nessuno aprì bocca, tutti continuarono a guardarla con fiducia e partecipazione.

C'è così tanto amore, qui in questa sala, da poterlo percepire sulla pelle, pensò tra sé Darcy, sorridendo incoraggiante alla sua donna.

Donna che, dopo aver annuito, continuò dicendo: “Come molti di voi sapranno, l'uomo accanto a me è il mio compagno e, tra le altre cose, parte del suo sangue è di origine elfica.”

Un leggero brusio di sorpresa e confusione si levò tra i presenti, ma lei azzittì tutti, proseguendo nel racconto.

“Circa sei giorni addietro, io, William e Hugh, debitamente scortati, ci siamo recati nel reame di Alfheimr per scongiurare un pericolo incombente, e che riguardava da vicino la sottoscritta. Mi pregio di dire che tutto è andato bene e, come potete vedere, siamo tutti in salute. Nessuno giungerà qui, minacciando la mia gente, perciò dormite sonni tranquilli, e pensate solo a vivere in pace.”

Sorrise per un attimo alla platea che, con evidenza di gesti ed espressioni, avrebbe voluto chiedere ulteriori lumi, e proseguì: “Per chi di voi può presenziare al Vigrond, sappiate che, al primo plenilunio a partire da domani, dichiarerò Fitzwilliam Darcy Primo Lupo del Branco di Falmouth. Chiunque desiderasse aprire un'Ordalia, ha il mio permesso e, come previsto dalle Antiche Leggi, Hugh sarà il suo campione, e si batterà al posto suo.”

Un nuovo brusio si levò tra la folla ma, stavolta, Cecily non mostrò alcun interesse a bloccarlo.

Era giusto che le persone parlassero riguardo a questa notizia, che dichiarassero apertamente i loro pensieri.

Essendo un gruppo chiuso, all'interno di esso non dovevano esserci dubbi, indecisioni, incomprensioni.

Andandosi a sedere su uno degli scranni presenti sul palco, Cecily accavallò le gambe e attese.

William la seguì, e così pure fecero Sabine e Hugh.

“Cosa aspettiamo?” domandò il mezz'elfo, curiosando con lo sguardo la platea vociante.

“Domande. Immagino ce ne saranno parecchie” brontolò Cecily, serafica. “Non tutti sapevano che tu eri per metà un elfo della luce e, quasi sicuramente, molte delle domande verteranno su questo. Inoltre, altri vorranno sapere se tu potrai o meno diventare davvero Primo Lupo, o esserlo solo di facciata, delegando quindi qualcun altro – un managarmr di alto grado, per lo più – a compiere i riti spettanti al compagno di Fenrir.”

“E quali sarebbero, di grazia?” si preoccupò immediatamente Darcy, accigliandosi.

Cecily gli sorrise a mezzo, maliziosa, e replicò: “Una danza nudi sotto la luna, copulare come lupi al plenilunio, cose così...”

William si accigliò immediatamente e lei, battendogli una mano sul braccio, mormorò subito dopo: “Stai calmo, Darcy. Non succederà niente del genere. Solo, alcune cerimonie dovranno essere coadiuvate dal sangue di un licantropo di alto lignaggio, un alfa di prim'ordine, e tu non potrai essere presente.”

La cosa non piacque per nulla a William ma, sul momento, non disse nulla.

Era ben deciso a non fare una piazzata, e proprio nel mezzo della sua prima riunione con il clan.

Le domande che, però, gli vennero rivolte in merito alla sua doppia razza, come all'identità di suo padre, misero sempre più evidenza la precarietà del suo ruolo.

Alla fine della serata, non solo Cecily si ritrovò irritata e stanca, ma anche Darcy.

Messo piede in casa, si diresse silenzioso verso il mobile dei liquori e lì, servitosi un generoso bicchiere di scotch, lo tracannò senza tanti complimenti.

Ceel, silenziosa, si accomodò sul divano e, piazzati i piedi sul tavolino, disse: “Spara. Cosa ti rode più di tutto?”

William attese qualche attimo, prima di volgere lo sguardo verso di lei e, furente, esalò: “Come puoi startene lì tranquilla senza... senza dare peso a quello che vorrebbe dire, per me, saperti con un uomo al fianco che prende le mie veci durante le cerimonie del Vigrond?!”

Darcy si lasciò andare a una ben rara imprecazione, che fece sollevare un sopracciglio alla sorpresa compagna.

Il bicchiere finì con l'essere sbattuto con violenza sul tavolo del salone, dopodiché William continuò il suo monologo infervorato: “Certo, tu mi avevi avvertito, me l'avevi detto fin dall'inizio – per lo meno, da quando ho saputo tutto – che questo sarebbe accaduto, però... però...”

La rabbia scivolò fuori con un lungo, pesante sospiro e William, lanciato uno sguardo verso Cecily, che non si era mossa dal divano, mormorò: “Mi sto comportando da idiota, vero?”

“Per la verità, no. Anzi, cominciavo a pensare che fossi stoico all'ennesima potenza” replicò lei, sorridendogli a mezzo. “Hai preso dannatamente bene l'intera questione, prima tra tutte, la mia licantropia. Non hai fatto una piega, più o meno, quando hai saputo di essere un mezz'elfo e, quando ti sei trovato dinanzi a tre divinità, non sei andato fuori di testa.”

Scrollò le spalle, lasciando trapelare la sua ammirazione dagli occhi di ghiaccio blu, e aggiunse: “Insomma, direi che hai dimostrato ampiamente di avere coraggio – e fegato – da vendere. Ma anche i più coraggiosi, hanno un punto di rottura. Aspettavo di capire quale sarebbe stato e, alla fine, siamo giunti al dunque. In fondo, mi fa piacere che il tuo punto di rottura sia io. E' lusinghiero.”

Nel dirlo, sorrise strafottente, e William sbuffò.

“Non c'è nulla di divertente, sai? Non dovresti startene lì, beata e pacifica, a godere delle mie paure.”

“Non ne sto godendo, non nel senso che intendi tu, comunque. Sono lieta che tu sia esploso, e per un motivo molto semplice. Tenere dentro ansie e paure, in un mondo come il nostro, è pericoloso. Letale” mormorò Cecily, ora del tutto seria.

Si alzò, oltrepassò il tavolino basso dinanzi a sé e raggiunse William nel mezzo della stanza, prendendolo per mano.

Reclinando il viso, osservò quelle dita lunghe, da pianista, che avevano combattuto egregiamente contro gli elfi di Oberon.

Pur senza poteri e senza armi, si era dimostrato in grado di difendersi, di difenderla.

Non si era lasciato andare al panico, trovandosi in un ambiente ostile, alieno, e anzi, si era impegnato per rendersi utile, e aveva impiegato tutte le sue forze per liberare il padre.

No, Darcy non era un vile, e neppure una persona dal carattere debole.

Era lei, la sua debolezza. Come lui, per Cecily.

Gli sorrise, baciando entrambi i dorsi delle sue mani.

“Dirti che non ci sarà mai nulla di sensuale, nelle cerimonie, non ti tranquillizzerà neppure tra cento anni, vero?”

“Sarà al tuo fianco al posto mio, sarà tuo, anche se in un modo asettico, come continui a sostenere tu. Non lo accetto” scosse il capo William, torvo in viso.

“Allora, non ci rimane che affidarci alla buona sorte, e capire cosa ci succederà” sospirò Cecily, desiderando aver potuto procrastinare oltre quella prova.

Ne aveva già dovute sopportare così tante! Non voleva che Darcy dovesse sottoporsi anche a quello, e così presto!

“Non voglio attendere oltre, Ceel. Proviamo e, se il mio sangue non sarà degno di essere mutato, lo accetterò. Con riserva” dichiarò William, abbozzando un mezzo sorriso. “Ma non voglio passare un solo giorno di più con il dubbio nel cuore.”

“Sai che mutare il giorno del plenilunio è pericoloso, vero?” gli rammentò lei, cominciando ad avere una paura del diavolo. Sapeva di una sola persona, sopravvissuta a un simile peso, e questa era Brianna.

Ma, dalla sua, aveva avuto non solo i doni di una wicca, ma anche l'anima di Fenrir.

Darcy non aveva nessuno di questi due aiuti, dalla sua parte.

“Abbiamo fatto trenta. Facciamo trentuno” ironizzò lui, scostando una delle sue mani da quella della donna per mostrarle il polso.

Lei prese un gran respiro, ascoltando il battito nervoso del proprio cuore, così come quello di Darcy.

Ne percepì gli aromi speziati, il sapore dolciastro e metallico del suo sangue, che veniva pompato in tutto il corpo con violenza.

Avvertì la corrente elettrica presente nelle terminazioni nervose, il lento gonfiarsi e rilassarsi dei polmoni, la scarica di adrenalina nei muscoli contratti.

Senza alcun preavviso, snudò le zanne e lo morse, suggendo per un attimo il suo sangue prima di stringersi a lui, tremante.

William ansò, sorpreso e dolente e, nell'avvolgere il corpo dell'amata, mormorò: “Cosa succederà, adesso?”

Lei non rispose. Si limitò a leccare la ferita di Darcy prima di scostarsi appena e, con occhi colmi di lacrime, mormorare le parole 'ti amo'.

William fece un passo verso di lei, ma le vertigini lo presero.

Il cuore iniziò a pompare con maggiore violenza, tamburellando contro la cassa toracica come se volesse sfondarla.

All'improvviso mancò un battito, e questo lo mandò a terra, in ginocchio.

Ansante, si portò le mani al petto, mentre le carni gli andavano a fuoco, quasi smembrandosi dallo scheletro.

Finì a terra, sotto gli occhi spauriti e pieni di contrizione di Cecily, che osservò l'intera scena senza aprire bocca.

William rantolò il suo nome, allungò una mano verso di lei, bisognoso del suo tocco, ma Cecily non si avvicinò, non mosse un solo muscolo.

“Non posso... non posso...” ansò, gli occhi ora grondanti lacrime dolenti.

Le gote si rigarono di perle iridescenti e, per un attimo, Darcy volle alzarsi per asciugargliele.

Non voleva che piangesse per lui.

Peccato che, il suo corpo, non ne volesse sapere di alzarsi da terra, di rispondere ai suoi ordini.

Si contorse, cercando di non urlare per non far insospettire i vicini di casa, ma temette di non farcela in più di un'occasione.

Come facevano a sopportare un simile dolore, una simile vicinanza con la morte?

Le mani artigliarono gli abiti, in preda alla frenesia e allo strazio, mentre le sue ossa si spezzavano, producendo suoni strazianti, agghiaccianti.

Ansò il nome di Cecily, gli occhi serrati per non lasciare esplodere i bulbi oculari ma, quando il dolore divenne troppo, svenne.

Il buio lo avvolse nel suo braccio, e di se stesso, non seppe più nulla.

 
§§§

Uccellini? Perché sentiva il cinguettio degli uccellini? Erano entrati nella stanza?

Le auto in strada...

Erano sempre state così chiassose? O le finestre erano state aperte per lasciar entrare la frescura del giorno?

Dopotutto, faceva un caldo infernale, per cui...

Aprì gli occhi a fatica, sentendo la bocca amara come fiele e il corpo pesante, simile a un macigno.

Il capo, che martellava come una grancassa, pareva sul punto di staccarsi dal corpo.

Lo mosse con prudenza, sul cuscino di piume profumate di gelsomino e, lentamente, nel suo campo visivo fece la sua apparizione la chioma di Cecily.

Era appoggiata al letto – quando ci era arrivato? – e sembrava profondamente addormentata.

Dubbioso, lanciò uno sguardo alle sue spalle e, sorpreso, notò le finestre chiuse... e un uccellino.

Peccato si trovasse a mezzo miglio di distanza, in un lontano giardino. E lui vedesse con chiarezza il lento gonfiarsi delle sue piume.

“Ma cosa diavolo...?!” esclamò, alzandosi con forza e puntando le mani sul materasso.

Questo, esplose in ciuffi di lana e stoffa lacerata e Cecily, risvegliandosi con aria stranita, esalò: “Oddio! Che c'è?!”

Darcy la fissò al colmo del panico, le mani che tremavano dinanzi a lui... mani munite di artigli acuminati e letali.

Lanciò un grido terrorizzato, arrancando all'indietro finché non finì col ruzzolare dal letto.

Il tonfo a terra gli restituì un minimo di lucidità e Ceel, sbucando dall'orlo del materasso, lo fissò divertita e disse: “Buongiorno.”

Nudo e completamente asservito al suo sguardo, Darcy la vide leccarsi le labbra con aria affamata e, per un istante, si chiese se l'avrebbe divorato.

Non l’aveva mai vista con quello sguardo. Feroce, primordiale… animale.

“E'... è andata bene?” le domandò, la voce ridotta a un rauco gracidio.

“Sono quasi morta d'infarto ma sì, è andata bene” assentì, allungandogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.

Lui la accettò di buon grado e, per una volta, non avvertì la pressione violenta della sua forza.

Erano... uguali.

Quello che, però, non comprese, fu la presenza di diversi bendaggi sulle braccia di Cecily.

Sfiorandole con lo sguardo e con dita esitanti – ora del tutto normali – mormorò: “Che ti è successo?”

“Nulla” replicò lei, scuotendo il capo con fare noncurante.

William, però, aggrottò la fronte e, vagamente irritato, replicò: “E' inutile che racconti frottole. Le sento subito.”

Cecily allora sgranò gli occhi, lo fissò come se fosse stato un alieno e Darcy, scrollando le spalle, esalò: “Beh, che c'è? Che ho detto?”

Lei scoppiò a ridere per diretta conseguenza e, abbracciandolo con foga, lo buttò a terra e, tra i baci, esclamò: “William, i lupi mannari non sentono certe cose. Solo le wiccan possono!”

“Oh” esalò lui, ora parecchio confuso.

Ridendo e piangendo assieme, Ceel rimise seduti entrambi e, carezzando il viso del suo amato, mormorò sorpresa: “Il tuo dono... quello di tuo padre. Entrambi, avete affinità con le creature viventi. Esattamente come una wicca. E' possibile che... che, trasformandoti, questo dono abbia preso corporeità, forza...”

“Oh, cacchio!”

“Già, oh, cacchio!” rise di nuovo Cecily, tornando ad abbracciarlo, tremante e lieta.

“Quindi, quelle bende?” le domandò lui, alzandosi con lei senza alcuno sforzo.

Quanta forza risiedeva, ora, dentro quel corpo?

Avrebbe dovuto stare ben attento, a quel punto. Ma Cecily gli avrebbe spiegato come fare, cosa evitare.

Come essere un bravo licantropo, un licantropo degno di lei.

Cecily lo baciò con tenerezza sulle labbra e, lacrime negli occhi, mormorò: “Non avrei dovuto avvicinarmi, durante la mutazione, ma non ce l'ho fatta. Quando sei diventato lupo, hai... beh, hai tirato fuori gli artigli, e questo è il risultato.”

“Ceel...” esalò, contrito e preoccupato.

“Guariranno. Non sono ferite profonde, e non lasceranno strascichi, tranquillo” scosse il capo lei, non dando loro alcun peso.

“Parli bene, tu. Non sei stata tu a ferirti” brontolò per diretta conseguenza William, corrucciato.

Cecily, allora, gli sorrise maliziosa e, sfiorando la sua pelle bollente, mormorò roca: “Oh, credimi, ricambierò con gli interessi. Anche se in maniera più che piacevole per entrambi.”

Un attimo dopo, lei lo afferrò al braccio, lo fece stendere sul letto e Darcy comprese finalmente cosa volesse dire fare l'amore con un lupo mannaro.



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N.d.A.: Siamo quasi arrivati alla fine. Piaciuta la sorpresa su Darcy? ;-)
  
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