Capitolo
I – L’odore dell’afflizione
Era notte. O,
perlomeno, avrebbe dovuto esserlo. Se lo sentiva.
La pelle vibrava a
contatto con l’aria attorno a lui, le narici si allargavano e riconoscevano il
profumo della notte, nonostante prima di allora non avesse nemmeno idea di come
fosse. Si trattava di un istinto primordiale che avvertiva in corpo, qualcosa
di totalmente nuovo. Sgranò gli occhi quando si accorse di essere in grado di
vedere anche al buio e, allora, notò di essere stato rinchiuso in… una bara?
No. Non si trattava di una bara, non v’era odore di legno, bensì di alluminio.
Riuscì a fiutare uno spiraglio d’aria, sentì un forte profumo, troppo buono per
essere vero. Lo annusò profondamente, inebriandosi, digrignando i denti per il
piacere. Sangue… Si ritrovò a pensare. Era profumo di sangue.
All’improvviso, fu in grado di udire il battito del cuore che lo pompava e,
paradossalmente, anche lo scroscio che produceva scorrendo nelle vene. Il ritmo
cardiaco sembrò aumentare per un secondo, mentre udiva un sospiro, con il
presentimento che dovesse essergli familiare. Era il respiro di Pamila. Il sangue di Pamila.
A quel punto, un rantolo sofferente gli vibrò nella gola secca, risuonando
nell’angusto spazio in cui si era ritrovato imprigionato.
Qualcuno si stava
muovendo lì accanto e gli arrivò talmente vicino che poté udire il cigolare
della sua mandibola mentre masticava un chewingum
all’arancia. Anche il suo sangue scorreva producendo un rumore simile a quello
di un fiume in piena.
«Si è svegliato?»
Domandò una voce
che riconobbe essere quella di Andrew. Solo da quell’esiguo susseguirsi di
suoni, riuscì a capire che si era piegato in avanti per guardare la trappola
d’acciaio. Dall’altra parte della stanza, invece, Ben stava bevendo un caffè e
deglutiva, mentre Pamila se ne stava seduta sul
divano in pelle. Non poteva vedere con i propri occhi, ma era in grado di percepirlo.
«Mi è sembrato che brontolasse,
effettivamente.»
Pam, pensò appoggiando i palmi delle mani all’acciaio,
che gli parve caldo. La sua voce non gli era mai sembrata così bella prima
di allora. Anche quel buonissimo odore doveva certamente essere il suo. Gli
arrivava prepotente alle narici, come se provenisse da una boccetta di essenza
appena aperta. Bramò di poter appoggiare il volto al suo collo e respirarlo
a pieni polmoni. Un altro rantolo, in seguito, lasciò le sue labbra
screpolare e tagliate, mentre tentava di far sapere agli altri che, sì, era
sveglio e poteva sentirli benissimo. Eppure parlare era un’impresa ardua, con
l’arsura che aveva in gola. Aveva l’impressione di non aver bevuto per
giorni… Da quanto tempo si trovava in quel posto?
«Vorrà nutrirsi…»
Borbottò Andrew, dirigendosi verso la cucina. «Vado a prendere quell’intruglio
nel frigorifero.»
I passi dell’uomo
furono coperti dal cigolare della chiavistello, tanto forte e vicino da
costringere il prigioniero a tapparsi le orecchie per non essere assordato. Con
uno stridio, le ante si aprirono e la luce al neon gli arrivò dritta negli
occhi, facendolo ruggire per il fastidio.
«Phil?»
Fu Pamila a chiamarlo e lui riuscì a fiutarne la paura. Fiutare
la paura? Meditò, sconcertato. Come poteva sapere che odore avesse?
Riaprì così le palpebre per incontrare gli occhi verdi dell’amica, in cui
intravide venature dorate che non aveva mai notato prima. Riusciva a vedere
ogni poro della sua pelle, il punto nero sul naso, le lentiggini sulle guance
rosee, il capello bianco che si attorcigliava nei boccoli ramati. Tutto era
più definito che mai.
«Pam…» Esclamò e la sua voce roca parve il gemito di chi è
in procinto di morire. «…che cosa…?»
Non riuscì a finire
la frase, non ne ebbe la possibilità. La sua attenzione venne attirata da un
profumo invitante che lo costrinse a voltarsi di scatto e, in un baleno, si
ritrovò faccia a faccia con Andrew. Senza nemmeno chiedersi come avesse potuto
muoversi tanto velocemente, afferrò il boccale da birra traboccante di un
liquido scuro, quasi nero, tremando scosso dalla sete. Sentiva il
bisogno di nutrirsene, di ingoiare quell’intruglio fino all’ultima goccia. In
men che non si dica smise di farsi domande e lo assaggiò, deglutendo
lentamente, perlomeno in principio. Le sue papille gustative fremettero dal
piacere non appena vennero a contatto con il cocktail dolciastro, il cui
sapore, a Phil, ricordava quello della vodka alla pesca per cui impazziva.
«Ve l’avevo detto
che avrebbe avuto sete!» Commentò Ben, osservando l’amico che inghiottiva
sempre più in fretta e più voracemente. «Anche se comincio a pensare che quella
roba non gli basterà affatto.»
Senza ascoltarlo,
Philip vuotò il boccale e avvertì finalmente sazietà, riprendendo piano
coscienza di sé. Solo in quel momento si rese conto di essere estremamente
leggero, tanto da faticare a mantenersi equilibrio sulle proprie gambe. Il suo
corpo era come inconsistente, addirittura gli pareva che non esistesse. Abbassò
lo sguardo verso gli addominali e vi passò le mani, controllando se, per caso,
avesse perso improvvisamente peso, ma si accorse di non essere cambiato di una
virgola. Anzi, se possibile, i suoi muscoli sembravano più marmorei del solito.
«Phil… Come ti
senti?»
Fu nuovamente la
voce di Pamila a distrarlo e si voltò a osservarla,
notando che si stava avvicinando, tenendo le mani strette attorno al rosario
che portava al collo. Sul volto della giovane ragazza era ben visibile
l’inquietudine e lui poteva avvertirne la vibrazione della pelle e il movimento
dei peli sottili sulle braccia scoperte.
«…stordito.»
Mormorò lui, passandosi una mano fra i corti capelli corvini, spettinandoseli. «Mi
sembra di avere i postumi di una sbornia.»
«Senti anche
qualcos’altro? Hai ancora sete, magari? O, per esempio, avverti qualche strano
impulso come… Non so…» La rossa si fermò a un passo da lui, allungando la mano
verso la sua guancia. «…la voglia di ucciderci?»
Domandandolo,
accarezzò lo zigomo di Philip e rabbrividì a quel minimo contatto. La sua pelle
era fredda e dura, esattamente come quella di un morto. Non che lei non avesse
mai toccato uno di loro prima di allora, anzi, ne aveva uccisi parecchi
e aveva avuto la possibilità di toccarli durante il combattimento. Ciò che la
faceva tremare tanto, in quell’istante, era che si trattasse di Phil. Era
Phil quello che era diventato un morto vivente, un essere dimenticato dal Sole
e da Dio. Era il suo caro amico quello che la fissava con occhi neri e
vacui, con i canini affilati mostrati in un’espressione sbigottita.
«Che stati
dicendo?!» Ringhiò lui, indietreggiando appena e andando a sbattere contro
Andrew. «Perché dovrei volervi uccidere?!»
«Sei uno di loro,
Phil. Sei un vampiro.»
Esclamò Ben, caricando
il fucile e puntandoglielo contro, senza alcuna esitazione. Il moro, sentendosi
messo alle strette, emise un gorgoglio basso e profondo, simile a quello di una
bestia inferocita braccata dai cacciatori. La pelle gli vibrava avvertendolo
del pericolo, mentre, istintivamente, mostrava i denti agli amici. Fu in quel
momento che la mano di Pamila gli scivolò sul petto,
arrestandosi in prossimità del cuore. Al contrario di Ben, lei gli mostrava una
dolcezza che, però, faticava a percepire.
«Sei morto. Sei
stato tramutato, tre giorni fa… Hai dormito fino a questa sera, in
quell’armadio.»
«Cosa…?»
Philip sgranò gli
occhi, concentrandosi sui battiti che arrivavano alle sue orecchie. Poteva
captare solo il battito di tre cuori, in quella stanza. Solo tre e loro
erano in quattro. Pensò, portandosi le mani al petto e scostando quella
della rossa. Il suo cuore era fermo. Non pompava sangue. Inoltre, lui
non stava nemmeno respirando: non ne aveva bisogno.
«Chi… Chi è stato?»
Domandò, accarezzandosi il marchio sul collo: il segno di due zanne affondate
nella sua carne. «Come è successo?»
«Non lo sappiamo…
Eri solo quando sei stato attaccato.» Lo informò Andrew, lasciandolo di stucco.
«Tu non te lo ricordi?»
Il neo-vampiro
scosse la testa, cercando di strizzare le meningi e ricordarsi come ciò fosse
avvenuto. Tuttavia, era come se non avesse alcuna memoria dell’istante della
trasformazione. Solo delle immagini confuse, un susseguirsi di frammenti di
ricordi senza alcun collegamento fra loro.
Era in mezzo a una strada buia. Una notte senza Luna né
stelle.
Un blackout.
La torcia gli era stata tolta dalle mani da qualcuno.
Qualcuno di loro.
Una risata cristallina, serena, divertita come quella di
un bambino, riecheggiava fra i palazzi.
“Riportalo da me”, gli aveva detto una voce ultraterrena.
Poi dolore. Dolore e buio.
«Non ricordo nulla.»
All’esclamazione
del moro, gli altri desistettero e Ben abbassò l’arma, deluso. Avevano sperato
che almeno lui fosse a conoscenza della verità, così da potersi spiegare perché
fosse stato trasformato. Eppure si trovavano ancora al punto di partenza. Era la
prima volta che una cosa simile accadeva a un cacciatore: nessun vampiro dotato
di buon senso avrebbe eletto un proprio nemico. A dirla tutta, nessuno
degli umani presenti in quel salotto aveva idea di come comportarsi, adesso che
Philip si era risvegliato ridotto in quello stato. Non sapevano se si potessero
fidare di lui, dato che avrebbe potuto rivoltarsi da un momento all’altro,
cercando di nutrirsi del loro sangue o –peggio ancora- di ucciderli. Eppure,
quello che avevano davanti agli occhi, era il solito Phil: il loro caro e
vecchio amico, il compagno che aveva affrontato innumerevoli redivivi al loro
fianco.
Ben lo esaminò,
chiedendosi se fosse davvero cambiato. A parte il colore degli occhi,
che da marrone chiaro era diventato nero come la pece, e la carnagione, che da
olivastra si era stinta fino a divenire del colore del marmo; Philip Wynn era
sempre lo stesso. Certo, il cuore aveva smesso di battere nel suo petto, non
respirava più, i suoi canini erano affilati come coltelli, la sua bibita preferita,
ora, era il sangue umano e, soprattutto, loro stessi potevano essere
considerati dei semplici pasti. Simili particolari non potevano essere
dimenticati. Malgrado ciò, pensò, avrebbero potuto imparare a
conviverci, se solo lui non fosse risultato pericoloso e mortale come ogni
altro della sua specie. Il quesito vero e proprio, però, era se Phil avesse
deciso di restare un cacciatore o se avesse voluto andare dai suoi simili. In
tal caso, avrebbero dovuto ucciderlo prima che potesse diventare un loro nemico.
«Che farai adesso?»
Domandò al neo-vampiro, appoggiando il fucile sul ripiano della credenza. «Ti
unirai a loro?»
«No.» Sibilò
l’altro con odio, stringendo i pugni talmente forte che gli artigli gli
entrarono nella carne. «Non voglio mischiarmi con quei luridi bastardi.»
«Resterai qui,
allora?» Pamila abbassò lo sguardo verso i propri
piedi nudi, appoggiati al tappeto dalle decorazioni geometriche. «Resterai con
noi?»
«Probabilmente sì…
Non ho intenzione di smettere di ucciderli. Anzi…» Philip digrignò i denti,
terrorizzando i compagni. «Ora che mi hanno ridotto così ho un motivo in più
per farli a pezzi. Li ammazzeremo tutti quanti!»
Alle parole del
moro, Ben e Andrew sorrisero, cambiandosi un’occhiata complice e concitata. Il
solo pensiero di combattere ancora al fianco di Phil, gli faceva venire voglia
di afferrare croci, fucili e paletti per uscire ad ammazzare vampiri. Solo Pamila si limitò a voltare le spalle, allontanandosi da
loro. Il redivivo, però, non badò a loro e si avvicinò al davanzale ad
ascoltare i rumori esterni. Poteva avvertire i movimenti dei suoi simili, là
fuori, al di là dei cancelli della tenuta. Probabilmente lo stavano tenendo
d’occhio, o, chissà, forse lo stavano aspettando. Aprì la finestra per annusare
i profumi della notte e quelli dei vampiri all’esterno, ma ciò che riusciva a
percepire più di ogni altra cosa era l’odore di Pamila.
L’odore dell’afflizione di Pamila…
* * *
Raphael era uscito
quella notte.
Cercava una traccia
da seguire nell’aria di Los Angeles, avvertendo gli olezzi più disparati. C’era
qualcuno che stava mangiando un chewingum alla menta,
qualcun altro si spruzzava del dopobarba e, non molto lontano, un altro ancora
stava pestando un escremento di cane. Poteva cogliere i pensieri di ogni umano
nel raggio di chilometri, le preoccupazioni, l’allegria, la disperazione, il
piacere, l’odio, l’amore, la sensazione di essere invincibili e il desiderio di
farla finita. Era in grado di conoscere la loro posizione e avrebbe potuto
raggiungere chiunque desiderasse in qualsiasi momento, in un baleno. Eppure,
l’unico odore che desiderava sentire sembrava scomparso nel nulla. L’unica
presenza che voleva captare aveva cessato di esistere ormai da dieci anni. Le
tracce di Jamey erano scomparse all’improvviso e, per
tutto quel tempo, Raphael non aveva fatto altro che tentare di individuarle,
senza successo. Aveva mandato i suoi più leali sottoposti a cercarlo, ma
nessuno era mai riuscito a scoprire dove lui si trovasse. Era come
svanito.
Qualcuno l’aveva
aiutato a nascondersi e -questo il ragazzo castano lo sapeva benissimo- solo un
vampiro sarebbe stato in grado di farlo. Nessun umano poteva sapere come
eludere le capacità sovrannaturali di un Immortale. Eppure come era possibile
che qualcuno accettasse di collaborare con lui? Si domandò,
crucciandosi come un infante. Chi avrebbe potuto aiutarlo?
«Raphael…»
Una voce roca lo
richiamò, ma lui non si voltò, avendo avvertito il suo avvicinamento molto
prima. Sapeva bene di chi si trattasse e conosceva anche il motivo per cui era
venuto a cercarlo, gliel’aveva letto nella mente. In un baleno si spostò al suo
fianco, sul tetto di un palazzo di sei piani. Da lì si poteva vedere un’incrocio, in cui il grazioso ragazzo riuscì ad
adocchiare Deaon, che si muoveva lesto fra la folla, mimetizzandosi fra
inconsapevoli mortali.
«Non ceni stanotte?»
Chiese all’uomo appena arrivato, scostandosi i ciuffi ribelli dal volto. «Sprechi
il tuo tempo con me?»
«Sono sazio.»
Esclamò l’altro, crucciandosi per il suo comportamento infantile. «Gira voce
che tu abbia reso immortale Philip Wynn. Che cosa ti passa per la testa? Hai in
mente qualcosa?»
Raphael era già a
conoscenza di quella domanda, ma non aveva comunque alcuna voglia di
rispondere. Si limitò ad alzare le spalle con noncuranza, accarezzando la
sciarpa in pelliccia che aveva attorno al collo. Solo dopo qualche minuto, si
decise a guardare l’altro vampiro direttamente negli occhi azzurri, quasi
bianchi. Aveva le sembianze di un uomo fatto e finito, di circa trent’anni,
dalla pelle color caffelatte, ghiacciata. Era alto e spallato, i capelli ricci
erano raccolti in una coda sulla nuca. A differenza del ragazzo, che portava
abiti eleganti in perfetto stile ottocentesco, lui indossava una felpa con
cappuccio, jeans e scarpe da tennis. Solo gli appartenenti alla “Élite Oscura” -come
veniva definita la cerchia dei vampiri vicini a Raphael- usavano ancora portare
vestiti d’altri secoli e aborrivano le nuove mode.
«Oh… Nulla di nuovo,
mio caro Tristan.» Un ghigno increspò le labbra
sottili dell’elegante redivivo, mettendo in mostra i canini splendenti. «Volevo
solo giocare un po’.»
La noia era proprio una brutta cosa. Pensò il castano, facendo un passo verso
l’orlo del tetto. Il solo pensiero di dover vivere per il resto
dell’Eternità rendeva ogni cosa terribilmente tediosa e insignificante. Per
rendere più eccitante la guerra con la Lega, c’era il bisogno di metterci del
pepe qua e là, ogni tanto. Si protraeva ormai da duecento anni e, quando
c’erano dei periodi morti come quello, qualcuno doveva impegnarsi a movimentare
un po’ la situazione. I cacciatori erano troppo deboli per poter affrontare la
sua Stirpe e per il ragazzo era di una noia mortale avere sempre la
vittoria in pugno. I poveri “ammazza-vampiri” che osavano sfidare gli
Immortali sapevano benissimo di non avere alcuna possibilità, ma nonostante
tutto sembravano non voler desistere. Esattamente come quel Philip Wynn, che da
quando aveva compiuto sedici anni aveva messo mano al paletto e si prodigava
allo sterminio dei redivivi più deboli che bazzicavano i bassifondi. Era
convinto di poter arrivare fino alla Élite Oscura, sconfiggendo dapprima quegli
incapaci appartenenti all’Underground –il gruppo più numeroso, che dimorava in
fogne, tunnel della metropolitana e scantinati- e poi il “Clan degli Eterni”
–ovvero coloro che sottostavano a Tristan-.
Di cacciatori
caparbi e presuntuosi come lui, Raphael ne aveva visti pochi durante la sua
lunga vita. Gli piaceva davvero, quel Wynn. Si domandava se, per caso, ora che
si trovava nei panni dei propri nemici, sarebbe stato accecato dalla sete di
potere e di vendetta, senza alcun criterio. Magari la bestialità e
l’aggressività avrebbero preso il sopravvento sulla ragione e lo avrebbero
spinto a diventare un assassino. Capitava spesso, infatti, che un vampiro
appena nato si facesse prendere la mano dalla forza acquisita e che, dimentico
della propria filosofia mortale, si ribellasse a ogni promessa fatta in vita. Sarebbe
stato magnifico vedere il giovane Philip impazzire e opporsi ai propri
compagni. Pensò sorridendo, sotto lo sguardo interrogativo del leader degli
Eterni. Eppure sapeva che non sarebbe mai accaduto.
«Non dovresti sogghignare
in quel modo…» Esclamò burbero Tristan, ringhiando appena. «È pericoloso giocare con quei
luridi ammazza-vampiri. Sono forti e le loro armi potrebbero anche-»
L’uomo venne
interrotto dalla risata limpida del castano, che gli rivolse uno sguardo
divertito. Poi, all’improvviso, senza poter essere visto, gli portò una mano al
collo e lo alzò dal suolo.
«A volte sei così
stolto, Tristan…» Digrignando i denti, Raphael
strinse la presa e i suoi artigli affondarono appena nella gola dell’altro. «Nessuno
è forte quanto me, dovresti saperlo. Posso permettermi di divertirmi con chi
voglio.»
Tristan emise un ruggito basso e sofferente,
afferrando il sottile e gelido polso del proprio simile. Lo graffiò, cercando
di liberarsi da quella ferrea stretta, nonostante il potere dell’altro fosse
maggiore. Fortunatamente, il castano lo lasciò andare e, in men che non si
dica, il leader degli Eterni era già sul tetto dell’edificio dall’altra parte
della strada.
«No… Tu non ti
rendi conto di quello che potrà succedere ora che hai trasformato Wynn.» Sibilò
piano, ma le sue parole vennero sentite benissimo. «Sei folle se pensi di
cavartela senza alcuna conseguenza.»
Raphael si limitò a
sfilarsi il guanto bianco, accorgendosi così di aver perso uno dei gemelli
della camicia. Lo adocchiò immediatamente sul marciapiede, fra i piedi dei
passanti e si ripromise di recuperarlo in seguito. Gli umani non ci avrebbero
certo fatto caso, immersi com’erano nelle loro paranoie terrene. Tornò quindi a
guardare il proprio interlocutore e si trasportò nuovamente davanti a lui, a
pochi centimetri dal suo volto. I lunghi capelli castani del ragazzo sfioravano
la guancia ghiacciata dell’altro.
«Cosa ti turba,
amico mio? Temi per l’incolumità del tuo clan?» Chiese, con un tono delizioso e
dolce, accarezzando la spalla dell’antico amico. «Finché ti sottometterai ai
miei ordini, andrà tutto bene e i tuoi figli saranno al sicuro! Non è certo la
Lega ciò di cui devi avere paura, lo sai.»
«Lo so, Raph… Tutti hanno timore di te e dell’Élite.» Mormorò
freddamente Tristan, fissandolo con i suoi occhi
bianchi. «Ciò di cui io ho più paura, però, è quello in cui tu ti stai
trasformando. Sono passati troppi secoli e hai perso te stesso.»
«Ho perso me stesso,
dici?» Il castano ridacchiò, rivolgendo il volto alle stelle per annusare l’aria
attorno a loro. «E che cosa sono stato, prima? Può davvero mutare, un
Immortale?»
«Sai benissimo la
risposta. Perché non-»
«Oh! Qualcuno sta
venendo qui!»
Dopo aver
nuovamente interrotto il discorso, il ragazzo continuò a guardare il cielo, restando
immobile ad aspettare mentre ascoltava una lontana melodia proveniente dagli
auricolari di un passante. Dal canto suo, Tristan
assunse la posizione di difesa e mostrò i denti, avvertendo l’avvicinamento di
quell’essere. Riconobbe i suoi movimenti, il tocco dei suoi passi
leggeri.
«Brian!»
Ruggì,
allontanandosi dal castano con un movimento brusco e puntando lo sguardo
impregnato di rancore verso l’ultimo arrivato. Un altro vampiro dalla camicia
merlata in pizzo si era appena presentato sul tetto e i suoi impenetrabili
occhi neri rivolgevano un’occhiata disgustata al leader degli Eterni. I due si
conoscevano bene e da secoli continuavano a detestarsi a vicenda, nonostante
non avessero mai dato fiato a ciò che pensavano l’uno dell’altro.
«Tristan… Non mi stupisce vederti qui.» La sua voce si
diffuse nell’aria, minacciosa e glaciale, in una tonalità impercepibile dagli
esseri umani. «I tuoi tirapiedi stanno creando un guazzabuglio dei loro, a due
isolati da qui. Discutono con quei topi di fogna dell’Underground… Fossi in te
andrei a controllarli, prima che dei mortali restino coinvolti e che i
cacciatori portino i crocefissi.»
Senza nemmeno un
saluto o la richiesta di un chiarimento, Tristan si
gettò dall’edificio e si mosse a velocità sostenuta tra le vie delle città.
Raphael fiutò le sue tracce per qualche istante, prima di prestare attenzione
al sottoposto. Bastò una sola occhiata ed entrambi compresero ciò che stavano
pensando. Non avevano bisogno di parole: Brian era l’unico in grado di entrare
nella testa del ragazzo e strappargli ogni pensiero. Il vampiro era infatti
stato il primo figlio di Raphael e tra loro c’era una complicità antica.
Erano uniti da un legame arcaico.
Come il suo
creatore, Brian aveva l’aspetto di un giovanotto e dimostrava vent’anni appena.
Aveva occhi neri dalle lunghe ciglia, labbra sottili quasi sempre imbronciate e
capelli mossi, biondo scuro, che gli accarezzavano le orecchie. Non era molto loquace, anzi, molti degli
Immortali appartenenti all’Élite non lo avevano mai sentito parlare. D’altronde
che bisogno aveva di rivolgere loro la parola, quando poteva direttamente
entrargli nella testa? Solo Raphael, che egli considerava pari a un padre,
un fratello o un amante, beneficiava del piacere di poter ascoltare la sua
voce.
«Dovresti stare
lontano da quel bifolco. È poco affidabile… La sua mente è traboccante di
volgare vanagloria.»
«Mio amato Brian,
figlio mio… Tu ti fai troppi problemi.» Il leader gli appoggiò le mani sulle
braccia, prima di sospirare e concentrarsi sulla melodia lontana. «Ti prego…
Lasciami ascoltare questa musica. Ti chiedo un solo istante in quest’eternità.»
Si dondolò, tenendo
il ritmo e lasciandosi trasportare dalla canzone tanto distante. Solo qualche
istante dopo, l’ultimo arrivato riuscì a percepire la stessa chitarra suonare
e, allora, ciò che provava il compagno gli fu chiaro. Passò le dita sulla
guancia del proprio creatore, pur sapendo che non avrebbe mai potuto trovarci
delle lacrime. La mestizia che aveva fiutato in Raphael, però, sfumò in un
baleno e, presto, la melodia si smorzò.
«Ancora nessuna
traccia di lui, vero?»
«No… Ma una nuova
speranza è nata, stanotte.» Mormorò il più antico, sorridendo. «Philip mi
porterà dove si nasconde, ne sono certo. Me lo sento…»
«E quando lo
ritroverai?»
Alla domanda di
Brian, il castano scomparve e riapparì in strada, tenendo in mano il gemello
che aveva perduto in precedenza. Il figlio lo osservò mentre si incamminava tra
la gente mortale, attirando su di sé ogni sguardo, tanto grande era il suo
potere. Solo quando svoltò l’angolo, la voce di Raphael gli trapassò il cranio,
come un proiettile.
«Lo ucciderò…»
Ben
ritornati a tutti!
Ecco il
secondo capitolo della storia. Abbiamo conosciuto altri protagonisti e,
soprattutto, abbiamo approfondito un po’ sia il Philip Wynn che il leader dell’Èlite Oscura.
Spero che
vi intrighino abbastanza J Effettivamente Raphael è un po’ strano, con quel suo
essere infantile e, diciamo, un po’ ossessivo nei confronti di questo
fantomatico “Jamey”.
Nel
prossimo capitolo arriveranno altri personaggi, tutti nuovi! Ce ne sono davvero
per tutti i gusti! Ma io non vedo l’ora di presentarvi una vampira per cui io,
personalmente, impazzisco! *-*
Detto
questo, vorrei un attimo fermarmi a spiegare la divisione in gruppi, anche se
già è stato spiegato. Ma meglio essere chiari:
La’Èlite Oscura è il gruppo
a cui appartengono i vampiri più potenti, scelti trasformati personalmente da Raphael, che ne è il capo
indiscusso. Prediligono gli abiti d’epoca, si comportano in modo altezzoso e
sono eleganti come dei gentiluomini di altri tempi.
Il Clan degli Eterni è invece il gruppo comandato da Tristan, che
provvede a trasformare nuovi. Vivono in mezzo agli uomini e si adattano alle
mode e alla vita presente. Nonostante questo, non è che si nutrono di animali
per evitare di nuocere ai poveri mortali. No, vanno a caccia pure loro come
tutti gli altri.
L’Underground è un nome generico per definire tutti gli altri vampiri, quelli meno
potenti e meno importanti, che vivono appunto in scantinati, fogne e gallerie
della metropolitana. Anche loro hanno un leader che entrerà in scena più
avanti. Sono i più anarchici e
spesso e volentieri creano disordini in città e si ritrovano a fronteggiare i
cacciatori. A loro non importa né la convivenza pacifica con i mortali, né il
rimanere in disparte come fanno quelli dell’Élite.
Per finire,
c’è la Lega dei
Cacciatori di cui
fanno parte Philip, Ben, Andrew e Pamila. Vivono in
una villa insieme a molti altri cacciatori. Il loro leader è scomparso, per
ora. Si chiarirà in futuro che è successo! Comunque la loro missione è
combattere i vampiri, se non si era ancora capito XD è da duecento anni che la
lega esiste e mantiene un minimo di ordine in città.
Detto
questo ogni recensione è sempre la
benvenuta! Anche se volete mettere la storia nelle seguite e nelle preferite,
non abbiate paura che non vengo a spammarvi dicendovi
di commentare O.o cosa che, a me è successa!
Se volete
mi trovate su wordpress all’indirizzo http://michellemorrison42.wordpress.com/
E su facebook, alla mia pagina, https://www.facebook.com/pages/Michelle-Morrison/390257021129034
A presto!
M.M.