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Autore: L S Blackrose    28/10/2014    0 recensioni
Dopo la definitiva scomparsa di Voldemort, per il mondo magico comincia una nuova era.
Hogwarts, ricostruita, si prepara ad accogliere gli studenti sopravvissuti alla guerra. Amici e nemici, eroi e vinti ritornano tra le mura del castello assieme alle nuove generazioni di maghi. Sembra che tutto sia tornato alla normalità ... finché la misteriosa erede di Morgana non decide di fare la sua comparsa.
Discendente di una delle famiglie più illustri e antiche della comunità magica, Artemis Silverfern non è certo una ragazza da sottovalutare.
Cosa si cela dietro quel volto incapace di sorridere? Dietro quegli occhi impenetrabili, verdi come smeraldi?
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Quattro giovani guerriere.
Tre generazioni in lotta.
Due anime unite dal destino.
Un solo grande potere.
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Che gli elementi si scatenino.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Fenrir Greyback, Il trio protagonista | Coppie: Harry/Ginny, Pansy/Theodore, Ron/Hermione
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Prologo







Una violenta tempesta scuoteva la fortezza da cima a fondo.

Non era una novità: il cielo sopra il mare del Nord, in quel punto preciso, aveva sempre una sfumatura color grigio piombo.
Opprimente e deprimente, pensò il prigioniero. Con un moto di fastidio, scostò una ciocca di capelli dalla guancia e appoggiò la fronte su una delle pietre sudicie che contornavano la minuscola finestrella della cella.
La sua cella.

Le possenti nuvole plumbee erano chiaramente visibili anche da quel buco striminzito. Lo sciabordio delle onde si era intensificato nelle ultime ore, una musica vellutata che accompagnava il rombo dei tuoni e le luci intermittenti dei fulmini.

Il prigioniero si lasciò sfuggire uno sbuffo poco convinto. Distolse gli occhi dai fori della grata – l’unico, misero, legame che lo collegava al mondo esterno – e si diresse a passo strascicato verso l’angolo più lontano dalla fessura che dava sul mare.

Tutto di quello che lo circondava – odori, colori, rumori - gli suscitava un’orrenda sensazione di déjà-vu.
Osservò con un sopracciglio inarcato la paglia scomposta che componeva il suo giaciglio, poi passò ai ciuffi di un opaco color platino che gli sfioravano le spalle e che identificò come i propri capelli, alla lunga barba crespa della medesima tonalità, alle unghie scheggiate e luride, al suo corpo smagrito nascosto da una tunica stracciata e puzzolente.
Chiuse gli occhi e si lasciò ricadere all’indietro, rannicchiandosi su se stesso per tentare di isolarsi da quella realtà fatta di sporcizia, gelo e lamenti.

Azkaban era un’isola.
Un’isola che non compariva sulle mappe – nemmeno su quelle del mondo magico.
Ci si arrivava solo mediante passaporta e solo in casi di estrema importanza, accompagnati obbligatoriamente da un permesso ministeriale.

L’uomo fece un mezzo sorriso che sapeva di sconfitta. Niente a che vedere col ghigno che un tempo solcava abitualmente le sue labbra pallide: questa era una smorfia priva di qualsiasi arroganza o allegria.

Azkaban. La prigione dei maghi.
Non era la prima volta che ci entrava da prigioniero e di certo questa volta non ne sarebbe uscito con le proprie gambe.

In cosa poteva sperare? Nessuno avrebbe mai preso le sue difese, nessuno l’avrebbe mai perdonato, non sarebbe venuto nessuno a tirarlo fuori da quel posto disgustoso e oscuro. Oscuro come la sua anima.

D’altronde, quale persona sana di mente potrebbe mai provare compassione per un assassino?
Per uno spregevole, crudele mangiamorte razzista come lui?

Una persona del genere non esisteva. E lui conosceva più di metà del mondo magico: nemmeno uno dei suoi vecchi amici sarebbe stato disposto a mettere in discussione la propria reputazione – e carriera – per cercare di tirarlo fuori da quella cella. Da quella cella repellente come lui stesso, come i crimini che aveva commesso al seguito dell’Oscuro Signore. Meritava di stare lì.

Lo sguardo acceso da una luce febbrile, il prigioniero alzò davanti al volto il braccio sinistro.
Contemplò in silenzio, a labbra contratte, il disegno nero che spiccava sulla pelle biancastra e scarna e lo percorse con un dito. Leggermente, delicatamente, come se scottasse.

In verità, non lo sentiva bruciare. Non fisicamente, almeno.
Gli orrori compiuti sotto il segno di quel marchio erano impressi a fuoco nella sua anima, altrettanto indelebili e ripugnanti. Niente avrebbe mai potuto cancellarli. Niente, nessun gesto o parola, avrebbe potuto eliminare la presenza nefasta che quel simbolo portava con sé.

Artigliò la pelle dell’avambraccio con furia, quasi nel tentativo di grattare via i contorni ormai sbiaditi del teschio e del serpente. L’unica cosa che ottenne fu un’acuta fitta di dolore, assieme a quattro graffi paralleli che subito iniziarono a sanguinare.

L’uomo guardò quelle strisce rossastre con distacco. Un tempo andava fiero di quel liquido color cremisi che gli scorreva nelle vene, mentre adesso lo vedeva per quello che realmente era. Altro, semplice, sangue versato.

Un grido straziante interruppe le sue amare riflessioni e gli procurò una fitta all’altezza dello stomaco.
I muscoli delle braccia iniziarono a tremargli violentemente, la mano andò automaticamente a posizionarsi al suo fianco, tastando la paglia con insistenza.
Quando si rese conto che non avrebbe mai trovato ciò che stava freneticamente cercando – il bastone a forma di serpente che celava al suo interno la bacchetta di olmo – la sua mascella ebbe un guizzo e il suo intero corpo si accasciò a terra, come se qualcuno gli avesse lanciato una fattura.

Sapeva chi, anzi cosa, stava per arrivare.
Dopo averci avuto a che fare per mesi, quasi rimpiangeva i dissennatori.

Dalla caduta del Signore Oscuro, il Ministero aveva allontanato le vecchie guardie di Azkaban, spedendole in un territorio sufficientemente lontano e delimitato da barriere magiche invalicabili. Al loro posto erano state insediate delle creature che, personalmente, trovava altrettanto mostruose: le Incantatrici, minuscoli esserini fatati che mantenevano i prigionieri in un perenne stato di torpore, dovuto alla polvere di cui le loro ali erano cosparse.

Impregnava l’aria, era impossibile resisterle.
Allo scoccare di ogni ora, una fata entrava nella cella per controllare che il prigioniero fosse ancora in vita. Se così era, gli regalava un piccolo sorriso e protendeva le lunghe mani affusolate per toccargli il viso.

L’uomo storse la bocca, mente reprimeva un brivido al ricordo di quell’insolito rituale.
Era quello che lo terrorizzava di più, il contatto con quelle bestiacce alate. Ti entravano nel cervello, estrapolandoti i pensieri con l’abilità del più dotato dei legilimens e obbligandoti a ripercorrere gli avvenimenti che più interessavano loro.
L’obiettivo di quelle creature era quello di convertire le anime dannate che toccavano, sempre che, in quelli che soggiornavano ad Azkaban, ci fosse ancora qualcosa da poter convertire.

Quegli insetti fatati erano tutti così … schifosamente buoni. Le loro piccole menti non riuscivano nemmeno a concepire l’idea astratta del Male, erano puri come un unicorno, puri come il più bianco dei gigli. Era la differenza a provocare dolore, la differenza tra le loro anime candide e quelle tenebrose dei prigionieri. Era quella la ragione delle urla persistenti che rimbalzavano sulle pareti di roccia fetida come un’eco senza fine.

Il volto dell’uomo divenne più pallido ad ogni secondo che passava.
Sentiva quelle creature avvicinarsi, vedeva la scia luminosa che preannunciava la loro comparsa farsi sempre più vivida. Squarciava i tentacoli di oscurità che avvolgevano la cella e gli feriva gli occhi.

Ad un certo punto, lo scintillio fu talmente insopportabile che dovette serrare le palpebre con forza.
Avanti, pensò, arrendendosi. Venite a prendermi. Mostratemi quanto nera e corrotta sia la mia anima, mostratemi il mostro che sono stato. Tanto lo so, so di essere perduto.

Una lacrima minacciò di scendere sulla sua guancia, ma lui la ricacciò indietro con stizza.
Un uomo come lui aveva il diritto di piangere? No, certo che no. Un mangiamorte non aveva nessun diritto.

La porta della cella cigolò nell’aprirsi.
La luce ormai era diventata abbagliante, filtrava tra le sue palpebre chiuse come un raggio di sole estivo. Caldo, brillante, ma estremamente fastidioso.

Un basso mormorio lo fece irrigidire. Da quando in qua quegli esseri parlavano? Non li aveva mai sentiti articolare alcun suono, con i prigionieri comunicavano attraverso la mente.
Il bagliore si offuscò appena, così l’uomo si azzardò a socchiudere gli occhi.

Altri bisbigli a mezza voce, poi il suono di un paio di passi, bassi ticchettii sulle pietre sconnesse del pavimento della cella. Un respiro lieve a pochi metri da lui. – Buonasera –.

Una voce. Da quanto tempo non udiva una voce umana? Anni, decenni, secoli forse?
Il prigioniero la classificò come l’ennesima allucinazione, perciò non rispose.

La voce non si diede per vinta. – Buonasera, Lord Malfoy – insistette, calcando con intenzione l’ultimo nome. Anzi, cognome.

A quel punto, gli occhi grigi dell’uomo si spalancarono, ma senza realmente mettere a fuoco l’ambiente circostante.
L’aveva chiamato? Qualcuno aveva davvero pronunciato il suo nome?

– Lord Malfoy? – ripeté la voce.

E fu allora che Lucius Abraxas Malfoy capì che non si trattava di un’illusione.

La sua mente, da sola, non sarebbe mai riuscita a creare quell’enfasi, quell’inflessione dolce - e, allo stesso momento, preoccupata - che aveva avvertito in quelle due parole.

Batté le palpebre e, quando finalmente inquadrò la figura che gli stava di fronte, il suo cuore prese a battere più forte nel petto.
Possibile che le fate fossero in grado di manipolare anche la fantasia, oltre i ricordi? Perché la figura che gli stava di fronte poteva benissimo essere scambiata per una visione.

La luce delle ali delle creature, rimaste a distanza e fuori dalla porta della cella, faceva da contorno ad un profilo femminile di media altezza.
Sebbene non potesse scorgerne il volto a causa del chiarore che aveva alle spalle, il prigioniero capì che si trattava di una ragazza.

Quando la sconosciuta si avvicinò di un altro passo, mettendosi quasi in ginocchio per posizionare i suoi occhi all’altezza di quelli di lui, Lucius riformulò il pensiero precedente, classificandola come una giovane ragazza. Doveva avere sì e no l’età di Draco …

Draco. Draco. Draco.

Emise un flebile lamento mentre l’immagine di suo figlio gli riempiva la mente e si coprì gli occhi con le mani, nel tentativo di riprendere una parvenza di controllo.

La voce, rimasta muta per qualche secondo, tornò a farsi sentire, più nitida che mai. – Lord Malfoy, vi spiacerebbe guardarmi in faccia? Sapete, non è molto educato ignorare chi vi sta parlando. Una donna potrebbe offendersi –.

L’uomo sussultò come se lei l’avesse pungolato con la punta della bacchetta.
Ora non aveva più alcun dubbio: quella che aveva accanto era una persona vera, viva. Un’allucinazione, anche una semplice creazione della sua mente, sarebbe stata quantomeno più garbata.
Mocciosa impertinente, come si permette?
Sentì affiorare una scintilla di irritazione unita ad un pizzico di umiliazione. Da quanto non si preoccupava per il proprio aspetto fisico?

Quando incrociò lo sguardo sbigottito di Lucius, la ragazza addolcì il tono. – Perdonate la mia scortesia, ma dovevo pur farvi reagire in qualche modo – continuò, poggiando entrambe le ginocchia a terra. Il lungo mantello che indossava si aprì a ventaglio attorno alle sue gambe, strusciando sulle pietre lerce.

Lucius incrociò un paio di occhi verde smeraldo che lo lasciarono senza fiato. Profondi, insondabili, bellissimi.
Eppure freddi e distanti, come se avessero vissuto secoli e secoli e visto più atrocità di quante un semplice essere umano sia disposto a sopportare.

Nessuna ragazza dovrebbe avere degli occhi così, si disse Lucius, ripensando all’espressione straziata che, ogni volta, dopo essere stato costretto ad assistere ad uno dei consueti massacri di babbani indetti dall’Oscuro Signore, campeggiava sul volto di suo figlio. Ciò nonostante gli occhi di Draco - i suoi stessi occhi - non avevano mai avuto quella sfumatura decisa che denota una fermezza di carattere rara ed incorruttibile.

Lucius studiò con attenzione il profilo della ragazza, per quanto la luce soffusa glielo consentisse.
Era una purosangue, su questo non aveva dubbi.

Dove aveva già visto quei lineamenti spigolosi e soprattutto quegli occhi leggermente a mandorla?
Rimase sovrappensiero per alcuni minuti, ma non riuscì ad associare quei tratti marcati ad un nome o ad una casata.
Attese che fosse lei a presentarsi, ma rimase deluso.

– Ditemi, Lord Malfoy – proseguì la giovane, socchiudendo appena le palpebre. – Cosa sareste disposto a fare per uscire di qui? –.

Lucius sgranò ancora di più gli occhi. Una strega indiscutibilmente purosangue, determinò dopo aver udito quella frase così diretta. Il tono sottintendeva una spiccata nota di arroganza: lei sapeva che l’uomo avrebbe ceduto a qualsiasi sua richiesta pur di lasciare quella prigione maledetta.

E Malfoy non aveva nessuna intenzione di smentire quella convinzione. Si schiarì la voce prima di parlare, aveva la bocca completamente secca. – Qualsiasi … qualsiasi cosa – assicurò, senza mai distogliere gli occhi da quelli della giovane.

Lei non cambiò espressione, sul suo volto non c’era alcuna traccia di sorriso o divertimento.
Era spaventosamente seria e severa, dimostrava molti più anni di quelli che effettivamente aveva.

Se riesce ad intimorire un mangiamorte del mio livello, deve essere estremamente potente, rifletté Lucius.
Quella ragazza non andava sottovalutata.

– Ne ero certa – rispose lei, con un breve cenno del capo.
Poi, sotto lo sguardo allarmato di Lucius, alzò una mano e la posò sulla sua guancia ispida.

Tacquero entrambi, ma i loro occhi rimasero vigili a scrutarsi. Dopo alcuni minuti, le labbra della ragazza formarono un accenno di sorriso, il primo da quando era entrata.
Si staccò da lui e si alzò da terra, fronteggiandolo dall’alto con quelle iridi implacabili, rese più scure dalla folta cortina di ciglia di cui erano circondate. – Come pensavo. Noi due andremo molto d’accordo, Lord Malfoy – concluse quasi tra sé.

Lucius restò immobile a fissarla. Quel contatto l’aveva scosso nel profondo, come succedeva quando il Signore Oscuro gli afferrava il viso per sondargli la mente a forza. Il paragone era tremendo: come si poteva mettere a confronto un folle mago pluriomicida con una ragazzina? Ovviamente, lui preferiva mille volte che fosse lei a toccarlo.

Ora la giovane non lo stava più esaminando con quegli incredibili occhi smeraldini.
Aveva mosso qualche passo verso il muro alle spalle del prigioniero e sembrava assorta nella contemplazione degli scorci di panorama tempestoso che si scorgevano tra le fessure della griglia. – Ascoltatemi bene, Lord Malfoy, perché non mi ripeterò – esordì qualche istante più tardi.

Lucius aguzzò le orecchie, lo sguardo puntato sullo strascico del mantello scuro di lei.

– Questo incontro rimarrà segreto. Voi non parlerete a nessuno di me, io farò lo stesso e non ci incontreremo mai più –.
Fece una piccola pausa, prendendo un respiro profondo. – Voglio mettere in chiaro una cosa: non sono venuta qui per scagionarvi, non nutro particolare compassione per voi. Tuttavia, dopo avervi messo alla prova, la mia opinione nei vostri confronti è nettamente migliorata -.

Lucius corrugò la fronte. Di che prova stava parlando?

La ragazza inclinò il capo verso di lui. – Sono venuta qui per cercare un alleato, Lord Malfoy. In cambio della vostra collaborazione, mi attiverò per farvi uscire da Azkaban –.

L’uomo fece per ribattere, ma lei non gliene lasciò il tempo.
Agitò una mano come per scacciare un fastidioso insetto. – Attraverso procedure strettamente legali, si intende. Non vi aiuterò ad evadere, state tranquillo – continuò, con un ghigno, come se il solo fatto che lui potesse pensarlo la divertisse. – Entro pochi mesi sarete fuori, potrete riabbracciare la vostra famiglia. In cambio, pretendo solo un piccolo favore –.

Lucius si impose di non cadere in ginocchio ai suoi piedi. Sarebbe anche arrivato ad implorare una ragazzina pur di lasciarsi alle spalle quella tetra cella fetida. Gli occhi gli si fecero lucidi. – Di cosa si tratta? – chiese, con voce roca.

– Dovrete rintracciare una … persona per me – dichiarò lei, calcando con sarcasmo sulla terz’ultima parola. – Ho deciso di rivolgermi a voi perché so che siete il più indicato per questo compito. In passato avete avuto uno stretto rapporto con colui che sto cercando –.

Lucius pose la domanda con una sorta di timore reverenziale, la voce gli si spezzò a metà sillaba. – Chi? –.

La ragazza lasciò che quell’unica parola sfumasse nel silenzio della cella prima di pronunciare un nome.
Un nome che fece ghiacciare il sangue nelle vene del mangiamorte.

– Fenrir Greyback –.

 









 
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Ciao a tutti! Questa è la mia prima ff sulla saga di Harry Potter, siate clementi ;)

Si tratta di uno dei film mentali che il mio cervellino malato ha progettato mentre rileggevo per l’ennesima volta i libri in questione (ah, leggo anche molte ff di questo fandom, essendo una fan della coppia Draco-Hermione, e non solo!) … quindi mi farebbe molto piacere conoscere i vostri pareri in merito ;)


Nel prologo non si capisce, perciò vi svelo un particolare in più sulla trama: nella storia, Draco sarà uno dei personaggi principali, a fianco della misteriosa ragazza dagli occhi verdi ;)

Spero di avervi incuriosito … un bacio, a presto!

Lizz

p.s. come potrete notare anche in seguito, molti personaggi (tra cui Silente, Piton, Fred e Greyback) sono vivi e vegeti.
Le fate incantatrici sono una mia invenzione ;)

per qualsiasi info, vi lascio il link della mia pagina fb https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966 (nuova di zecca xD)
   
 
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