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Autore: WankyHastings    30/10/2014    14 recensioni
Meredith O'Brien è una studentessa comune un po' troppo nerd; è migliore amica della regina indiscussa del Liceo, Georgina Atwood. La sua vita sembra proseguire tranquilla per la sua strada verso il diploma, finché due occhi neri non metteranno in discussione i suoi gusti. Perché a quanto pare a Meredith piacciono le donne, a Meredith piace Juliette Wolls.
Come la prenderà sua maestà Georgina a questa rivelazione?
Una storia sulla scoperta di sé stessi mantenendo una buona dose di ironia.
Ispirata ad una storia vera.
Dal testo:
"Stamattina mi sentivo in vena di trovare tutto ciò che non andava nella mia vita, e cazzo, ne stavo trovando fin troppo. Forse avevo sbagliato tutto dall'inizio, forse stavo vivendo una vita che non mi piaceva, forse avevo fatto scelte impulsive che non sentivo mie, facevo la ragazza della porta accanto pur sentendomi un centauro tatuato. Prima o poi sarei implosa."
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Atwood Series : Finding True Love'
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Capitolo 8

L'Enigmatica Georgina



 

 

 

Iniziamo bene l'anno.

Avevo appena aperto gli occhi e il primo pensiero dell'anno nuovo è stato: Lasciatemi in questo letto fino alle fine dei miei giorni.

Ma non era colpa mia.

Insomma, probabilmente l'avrei comunque pensato, ma ora c'era un motivo più che sufficiente.

E sì.

Al mio fianco, nel letto, c'era Juliette.

Il mio cuore non poteva reggere tanta dolcezza - soprattutto di prima mattina che avevo le sembianze di un limone con il ciclo e un'isteria latente – era di una bellezza che mi stava assorbendo, completamente.

Era accovacciata sul fianco, una mano sul mio stomaco e la sua testa sotto il mio braccio.

 

Avrei cominciato a vomitare arcobaleni.

 

Mi voltai verso l'orologio che avevo sul comodino, per poter guardare e capire che ora fosse, visto che ancora non avevo imparato a farlo con il sole.

Cosa che avrei dovuto imparare in caso di apocalisse.

Sì, avevo delle vaghe – inutili – fisse sull'orario.

 

Appena riuscii a fare quattro calcoli – fanculo la matematica – arrivando alla consapevolezza che avevo dormito solo cinque ore, cominciai a bestemmiare la mia memoria, che mi aveva fatto dimenticare di chiudere la tapparella, da dove filtrava quel malefico raggio che mi aveva trascinato via dai miei sogni segreti.

 

Ok, stavo sognando di essere un Power Ranger, problemi?

 

Provai a rimettermi a dormire, ma l'immagine di Gerogina mi si piantò nel cervello mettendo le tende, all'improvviso.

Non volevo pensarci, non avevo proprio voglia di capire, di ragionare di trovare una soluzione.

Volevo solo godermi il calore che il corpo di Juls emanava.

 

Ma il mio cervello continuava a ritornare sui ricordi di ieri notte.

Mi stavano assalendo come un'orda barbarica.

E niente valse l'immagine di Gandalf il Grigio che urlava “ Tu non puoi passare”, no, perché quei pensieri – bastardi – comandavano.

Erano più potenti.

Over 9000.

 

Sbuffai.

Non riuscivo a capire cosa significasse quella lite.

Mi sentivo ferita.

Tradita.

E non riuscivo a trovare un motivo per cui dovessi perdonarla.

 

Era ubriaca.

 

Non era una buona giustificazione.

Anzi, non era una giustificazione e basta.

L'avrei volentieri picchiata.

Ah, no! L'avevo già fatto quello.

A pensarci, dovevamo sembrare proprio Quinn e Santana, senza il sesso durante un quasi-matrimonio.

 

Mi passai la mano tra i capelli, spostandoli.

Ogni volta la stessa storia, quando la situazione è troppo complicata e difficile da digerire, divagavo sui telefilm o film.

Ma davvero, non sapevo che fare.

 

Chiamarla?

Non chiamare. È colpa sua.

Chiedere spiegazioni?

Aspetta che ti chiami.

 

E se non mi chiamasse?

Allora forse...

Forse è arrivata la fine.

 

Ma ero pronta a non averla più al mio fianco?

Hai Juliette.

Mi bastava?

 

- Hey, da quanto sei sveglia? -

 

Mi voltai incontrando i suoi occhi neri, ancora appannati dal sonno.

 

- Non da molto -

 

Mi sorrise per poi sollevarsi per lasciarmi un bacio sulle labbra.

- Buongiorno -

- Buongiorno a te -

- Che facciamo stamattina? Ti va di fare un giro in paese? -

- Certo. -

 

Mi bastava?

 

 

 

 

Quella mattina Georgina si svegliò con una megagalattica emicrania che le stavo perforando la testa, come se avesse una squadra di muratori armati di martello pneumatico, e non riusciva a ricordare come fosse arrivata in quel letto.

Perché non era la sua camera quella.

 

Si mise seduta di scatto – spaventata – e la testa cominciò a girarle paurosamente, avrebbe rimesso nei prossimi cinque minuti se la stanza non si fosse fermata.

Alzò la coperta, in ansia, per poi sospirare più rilassata.

Almeno aveva tutti i vestiti al proprio posto.

 

Un leggero bussare alla porta la mise in allerta.

Cosa doveva fare?

Non era la sua camera.

 

Rimase bloccata, seduta al letto, mentre la porta si apriva – troppo lentamente per i suoi gusti – e sentiva nella sua testa, oltre ai martelli, la colonna sonora dello “Squalo”.

 

Dove diamine era finita?

 

Quando la porta fu aperta, la figura atletica di Shane fece il suo ingresso con in mano un vassoio con la colazione.

 

Cosa era successo?

 

- Oh, sei sveglia finalmente. Ti ho portato qualcosa da mangiare e un'aspirina. -

- Co...come...io... -

 

Non riusciva a collegare i pensieri, la bocca era impastata e i pensieri erano confusi.

Non ricordava nulla.

 

- Eri ubriaca, tanto ubriaca. Alla festa hai esagerato. -

- Perché non sono a casa mia? -

- Hai farneticato sul fatto che tua madre non poteva vederti ubriaca e che le avevi detto che avresti dormito da Meredith. E poi mi hai... costretto a portarti a casa mia -

- Costretto? -

 

Shane appoggiò il vassoio sul comodino vicino al letto, prima di voltarsi e guardarla negli occhi sorridendo enigmatico.

 

- Sì, eri alquanto vogliosa ieri, Sua Maestà -

- Merda! -

 

Un rossore si espanse rapidamente sulle sue guance.

Non poteva crederci.

Che vergogna.

 

- Tieni, mangia qualcosa. -

- Grazie, Shane. -

 

Stava masticando un toast con la marmellata quando, un ricordo della sera prima, la fece strozzare con il boccone.

Shane si alzò, dalla sedia su cui si era seduto, per darle delle pacche dietro la schiena, per poi porgerle un bicchiere di succo di frutta.

 

- Tutto bene? -

- No.... - respirava affannosamente -... ho davvero, ho davvero detto quelle cose a Meredith, insomma, abbiamo davvero litigato? -

- Sì -

- E lei mi ha tirato uno schiaffo -

- Già -

- Merda. -

- Sono d'accordo -

 

Era stata una stronza colossale.

Doveva rimediare.

Doveva risolvere.

Prima che fosse troppo tardi.

 

O forse era già tardi.

 

- Alfred, prepara la BatMobile. Andiamo in missione -

 

Lo sguardo confuso di Shane la fece sospirare.

Era così brava a nascondere il suo lato nerd, di solito, stava proprio messa male.

 

Se ci fosse stata Meredith avrebbe apprezzato.

Meredith...

 

- Lascia stare, mi potresti accompagnare a casa di Meredith? -

- Certo, Jo -

 

La ragazza si alzò barcollando, aiutata dal ragazzo, e dopo aver chiesto il permesso per usare il bagno, si diresse dove indicato per darsi una ripulita.

 

 

 

 

Che freddo boia.

Ma non potevamo rimanere a farci le coccole a letto?

Belle tranquille e soprattutto al CALDO!

 

Invece no, mi ero fatta convincere ad uscire di casa.

Con la neve che scendeva leggera.

Giuro che se dietro quel freddo ci fosse stata Elsa l'avrei investita con una motoslitta.

Ok, basta pensare cazzate.

 

Goditi il sorriso di Juls davanti alle bancarelle.

 

Non avrei mai smesso di meravigliarmi di tanta bellezza concentrata in una sola persona.

 

Stavamo passeggiando per le vie del centro cittadino, con in mano una tazza di cioccolata calda, guardando gli oggetti che le persone creavano per venderli il giorno di capodanno.

Ero incantata a guardare un tipo – dalle fattezze di un barbone – che stava dipingendo uno scorcio magico quando, voltandomi per condividere la mia meraviglia, non trovai Juliette al mio fianco.

Vagai con lo sguardo in giro, finché non notai la sua piccola figura da folletto, vicino ad una bancarella che vendeva sciarpe e cappelli fatti a mano.

Sorridendo mi avviai verso di lei.

Una volta raggiunta mi piegai leggermente verso al suo orecchio.

 

- Quale ti piace? -

Sorpresa, fece un piccolo saltello, per poi accogliermi con un sorriso dolcissimo.

 

- Non pensi che quel capellino sia bellissimo? -

 

Seguii la traiettoria che il suo dito mi stava indicando, e vidi un capello di lana pesante, verde – e soltanto per il colore era entrato nelle mie grazie – e sulla punta erano state applicati due occhi da ranocchio.

 

La mia fantasia già galoppava su unicorni fatati.

La immaginai nuda, con addosso solo quel capello, e …

Per la barba di Silente.

 

- Quanto costa? -

- Tre dollari, signorina -

- Lo compro -

 

Nulla valsero le sue preghiere e proteste per quel regalo inaspettato.

Quella immagine mi stava assillando.

E quando mi fissavo erano guai.

Guai seri.

 

Dopo la piccola discussione – per tre dollari – riprendemmo a camminare.

Sentii la sua mano scivolare nella mia.

Mi accesi.

E se qualcuno ci avesse visto?

Non ero pronta a mostrare in giro chi fossi.

 

- Stai tranquilla. Anche le amiche si tengono per mano. Rilassati -

 

La guardai, mentre passeggiava rilassata senza perdere il suo sorriso, e mi ritrovai a sorridere anche io.

Riusciva sempre a mettermi a mio agio.

Era magica.

Non poteva essere altrimenti.

 

 

 

Verso mezzogiorno accompagnai Juliette a casa – come un vero gentleman, poco man – ricevendo un caloroso bacio come ringraziamento.

 

Chi bacia il primo dell'anno, bacia tutto l'anno, no?

 

E zompettando felice – come la capretta Fiocco di Neve di Heidi – ripresi la strada verso casa.

Ero impregnata da una felicità che si sarebbe trasformata quasi in euforia.

Non sapevo spiegarlo.

Riuscivo solo a pensare a un verso di Pablo Neruda:

 

...Succede solo che sono felice

fino all'ultimo profondo angolino del cuore.”

 

Ecco.

Mi sentivo proprio piena.

E questo solo per una stupida passeggiata mano nella mano.

Quanto potevo essere diabetica?

 

Arrivata a casa, notai una figura seduta alle scale della veranda, mi avvicinai e quella figura alzò lo sguardo mostrando la sua identità.

Mi ritrovai ad indurire la mascella, mentre i ricordi mi graffiavano il cuore e martellavano il cervello.

 

- Che ci fai qui? -

- Ti aspetto da un po'... -

 

Vidi Georgina alzarsi per mettersi davanti a me.

 

- Sei stata con lei, vero? -

- Non penso ti debba importare -

- Meredith... -

- No... -

 

La guardavo e non riuscivo a trovare la forza di fare finta di niente. Non riuscivo nemmeno ad ascoltarla.

 

- … hai parlato abbastanza ieri. Ora parlo io. - stavo cercando di tenere i toni bassi, per non far incuriosire mia madre che si sarebbe sicuramente messa a spiarci dalla finestra. - Sono stanca di questo tuo comportamento. Davvero, non riesco a capirti. Prima dici che sei felice per me, dopo che sto sbagliando; un secondo prima mi abbracci e quello dopo spali merda. Che cosa ti sta succedendo? -

- Io non lo so. Non riesco a capirmi, ma credimi Mer non volevo, non volevo, dire quelle cose ieri. -

- Ma l'hai fatto Jo! -

 

Si avvicinò, per prendermi una mano, ma – come se fossi un cyborg telecomandato – la scacciai.

Lei mi guardò smarrita da quel gesto.

E io – dentro di me – ne stavo soffrendo.

Ma non riuscivo più a sopportare.

 

- Questa volta non bastano delle scuse, Georgina. Voglio delle spiegazioni, oppure... - abbassai lo sguardo sulle mie scarpe, un groppo pesante mi si stava formando in gola, sembrava come se mille spilli mi stessero perforando la trachea - … oppure, non abbiamo nient'altro da dirci -

 

Ripresi a guardarla, aspettando una qualsiasi parola, uno straccio di spiegazione.

Qualsiasi cosa.

Una bestemmia.

Un balletto.

Una crisi di pianto.

Un rito voodoo.

Qualsiasi cosa.

 

Ma lei non si muoveva, rimaneva con i piedi piantati al suolo, senza fare assolutamente nulla.

Avrei contato fino a tre, poi me ne sarei ritornata a casa.

Soffrendo.

Maledicendo il mondo.

Ma l'avrei fatto.

 

Avrei voluto tirarle uno schiaffo – l'ennesimo – e gridarle di fare qualcosa, di non lasciarmi andare.

 

Uno.

 

Avanti Jo. Dimmi qualcosa.

Anche un vaffanculo.

Tutto ma non questo.

 

Due.

 

Stupida di una Atwood.

Migliore amica dei miei stivali.

 

Due e mezzo.

 

Diciotto anni di amicizia buttati nel cesso.

Non ti importava proprio niente.

Non ti ho chiesto il mondo.

 

Due e tre quarti.

 

A quanto pare hai fatto la tua scelta.

Spero che tu sia felice.

 

Tre.

 

Addio, Georgina.

 

La guardai per un'ultima volta, imprimendo nella mia mente la sua immagine in quell'istante, per poi muovere il mio primo passo per sorpassarla.

Le nostre spalle si sfiorarono e in quel preciso momento – come una scintilla – Georgina si mosse, bloccandomi per un polso e attirandomi verso di lei.

 

Avevo gli occhi spalancati.

Non riuscivo a crederci.

Perché non poteva esserci universo – galassia – mondo parallelo in cui Georgina....

Porco Sauron.

 

Mi stava baciando.

Georgina Atwood mi stava baciando.

 

Sentivo le sue soffici labbra premute sulle mie e io, io, non riuscivo a muovermi.

 

Che cosa significava tutto questo?

 

Quando si staccò - lasciandomi il suo sapore sulle labbra – i suoi occhi incontrarono subito i miei.

Confusione e Sorpresa.

Ansia e Paura.

Quegli occhi verdi mi stavano confondendo più della matematica.

 

- Jo...cosa... -

- Mi dispiace -

 

E scappò.

Mi aveva lasciata sul vialetto di casa.

Mi aveva baciata ed era volata via, manco avesse le ali ai piedi.

Ero più confusa di prima.

Cosa significava quel bacio?

Perché mi aveva baciato?

Io chiedevo risposte e lei mi lasciava con più domande di prima.

 

Cosa cazzo stava succedendo?

 

 

 

 

Kiss-Angle

ciao cari lettori,
anche se ci ho messo un po' ecco il nuovo capitolo di questa storia. Spero che non deluda le vostre aspettative.
Ringrazio tutti quanti per l'appoggio che mi state dando, significa molto per me.

A presto :)

 

 

 

   
 
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