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Autore: RandomWriter    01/11/2014    8 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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RIASSUNTO DEL CAPITOLO PRECEDENTE
 

Le amiche di Erin le fanno una sorpresa, andando a trovarla a Allentown mentre la ragazza è in visita all’ospedale. Qui scopriamo che Sophia si sta riprendendo bene dall’intervento, annunciando la sua ferma intenzione a tornare nel luogo in cui si è stabilita negli ultimi mesi. Dopo iniziali proteste, i familiari accettano di lasciarla partire, anche se a malincuore.
Rincasando, Erin trova le amiche, quasi congelate, ad attenderla all’uscio di casa. Una volta al caldo, la tempestano di domande e novità: tra queste ultime, l’incontro fortuito di Iris con un ragazzo chiamato Kentin. Parlano anche di Castiel e Violet avanza l’ipotesi che il suo silenzio possa essere giustificato da un inconveniente serio. Allarmata, Erin chiama Nathaniel che la tranquillizza, rivelandole che, anche se per un misero “grazie”, il chitarrista gli ha risposto.
Nel frattempo Ambra si prepara per uno dei pranzi di Natale più insoliti della sua vita: è ospite a casa Evans. Armin ci mette un po’ ad abituarsi alla presenza della ragazza, complice la serie di figuracce collezionate in poco tempo. Alla fine del pranzo, i due rimangono soli e il ragazzo, ignaro dell’effetto che sortiscono le sue parole, fa un complimento ad Ambra che le strappa un sorriso compiaciuto.
 



CAPITOLO 38: IL COMPLEANNO DI ERIN
 
Il calendario non mentiva: erano passati due giorni da quando Sophia era stata dimessa dall'ospedale. Questa sua posizione portava con sé non pochi vantaggi tra cui il monopolio indiscusso del divano, che comprendeva nel pacchetto anche il diritto inappellabile del controllo del telecomando. In quelle circostanze, persino l’uomo di casa era stato costretto a cedere.  
I medici si erano raccomandati che la paziente non facesse sforzi eccessivi ma non avevano idea che quell'impresa era alla portata di un domatore del circo: Sophia aveva sempre qualcosa da fare che nessuno poteva eseguire al posto suo, un oggetto da recuperare che sua madre non sarebbe riuscita a trovare, un disegno da realizzare con materiale che non era mai quello che la sorella le metteva a disposizione; per quanto i familiari si prodigassero per non farle mancare nulla, Sophia si alzava continuamente dal suo giaciglio e, con la grazia di un elefante, scorrazzava da un angolo all’altro della casa .
La monotonia a cui l’aveva costretta la sua condizione era stata infranta dalla visita di alcuni suoi vecchi amici. Era stato proprio durante uno di quegli incontri, che Erin si era trovata di fronte una persona che non vedeva da mesi: Leticia.
Dopo aver lasciato la sorella in compagnia dei suoi vecchi compagni di classe, Erin e la sua ospite si erano spostate nella stanza della ragazza, per poter chiacchierare in tranquillità.
Quando erano rimaste sole, la mora aveva avvertito una sorta di imbarazzo, giustificato dal periodo trascorso senza sentirsi. La Leticia che sedeva sul letto, davanti a lei, aveva un’aria molto diversa da quella che ricordava l’amica e il suo modo di vestire era molto più trasgressivo. Ma non era solo una questione estetica: Leti era diversa e l’amica glielo leggeva negli occhi. C’era un che di timoroso e al contempo di fiero nel suo sguardo, come di una persona che teme il giudizio dell’altra, pur essendo convinta delle proprie idee.
"sono contenta che tu sia venuta Leti"
Quell’espressione le era venuta dal cuore. Leti era stata la sua prima vera amica quando era passata alla Hardy, la scuola superiore che frequentava ad Allentown. Tuttavia, da quando Erin, arrivata al Dolce Amoris, aveva ampliato la sua cerchia di amicizie, aveva realizzato quanto il suo rapporto con quella ragazza non fosse poi così profondo: confrontandolo con il legame che aveva instaurato con Iris e Rosalya, l’amicizia tra lei e Leti sembrava un rapporto di convenienza, dettato dalla paura di restare sole.
"tornerai alla Hardy l'anno prossimo?"
La gola le si seccò all’istante, rendendo ancora più disagevole formulare una risposta. Quella domanda era tanto attesa quanto sgradita. La sua indecisione bastò a tracciare un solco sulla fronte liscia di Leti, grinza che si approfondò quando finalmente la sua interlocutrice mormorò un deludente:
"non so"
"che senso ha che tu rimanga a Morristown? Ti eri trasferita per cambiare aria ma mi pare che ti sia ripresa: Sophia è tornata e poi casa tua è qui!"
Quell’avverbio di luogo monosillabico venne pronunciato con una tale intensità, da riecheggiare come un’imposizione, come se alla ragazza non fosse consentita alcuna libertà di spostamento.   
"vedi Leti il fatto è che lì ho degli amici e..."
"e qui hai solo me” tagliò corto la ragazza “perdo per inferiorità numerica" sentenziò con amarezza.
Diversamente da Erin, che teneva il capo chino, Leti aveva inchiodato il suo sguardo su quel viso dall’aria colpevole e dispiaciuta.
"è inevitabile che le strade delle persone si dividano" masticò la padrona di casa, alzandosi lentamente dal materasso. Strisciò i piedi sul pavimento di legno e si portò alla finestra. Una coltre biancastra aveva avvolto completamente la radura attorno alla sua accogliente abitazione, accentuando il senso di calore e protezione di quelle quattro mura.
“questo lo so anch’io, cosa credi? Il fatto è che ci sono persone con cui non riusciremo mai a tagliare i ponti”
Quella frase disorientò Erin. Fu più forte di lei pensare ad un ragazzo disperso in un paese straniero, dall’altra parte del globo.
“evidentemente io non sono tra queste per te. Devi aver trovato qualcuno di speciale in quella scuola, se intendi diplomarti lì”
“possiamo comunque restare in contatto” tentò la ragazza, appoggiandosi alla scrivania.
“come abbiamo fatto in questi ultimi mesi?” commentò sarcastica l’amica, alzando gli occhi al cielo frustrata.
“la stai mettendo come se fosse solo colpa mia. Nemmeno tu ti sei fatta viva” la recriminò Erin.
“e ti sei chiesta perché?” sbottò l’altra “non era che non volessi sentirti, era che avevo paura del tuo giudizio”
Le guance di Leti si imporporarono e cominciò a intrecciare nervosamente le dita paffute.
“a che proposito?” chiese Erin sorpresa per quell’uscita.
“esco con una ragazza”
“non c’è niente di male, me l’aspettavo che ti saresti fatta altre amiche”
Leti rimase per un attimo basita, guardando quell’amica di cui, in momenti come quello, metteva in discussione la sagacia. L’ingenuità di Erin era talmente spiazzante che scoppiò a ridere, al punto da dover asciugare una piccola lacrimuccia all’angolo dell’occhio destro.
Sospirò infine divertita e si affrettò a cancellare l’espressione confusa della ragazza, pronta a sostituirla con lo stupore più totale:
“diciamo che mi sono fatta un’altra amica in un altro senso: da un paio di mesi sto insieme ad una ragazza”
Erin sbattè le palpebre più volte, incredula. Si conoscevano da anni eppure non aveva mai messo in discussione i gusti sessuali dell’amica.
“non dici nulla?”
“beh, sono spiazzata. Non l’avevo mai capito”
“diciamo che è una cosa fresca. Anche io ci ho messo un po’ a realizzare il tutto”
Erin tornò a sedersi sul letto:
“ok, mi hai sorpreso, cioè, probabilmente devo metabolizzare la cosa, ma quello che è certo è che non cambierà assolutamente l’opinione che ho di te, Leti. Mi dispiace che tu abbia pensato il contrario”
La ragazza fece spallucce, come se non credesse completamente alla veridicità di quell’affermazione.
“perché dovrei giudicarti Leti? Non l’ho mai fatto e non comincerò certo a farlo ora. Sono solo un po’ disorientata ma cosa c’è di sbagliato nell’esserti innamorata di una ragazza?” insistette la mora.
Le dita dell’amica cominciarono a disegnare dei cerchi immaginari, scivolando lentamente sulla trapunta lilla.
“l’unica cosa sbagliata è il timore che le persone a cui vuoi bene non ti capiscano” mormorò insicura.
“me la presenterai un giorno?” sviò Erin, sperando di risultare conciliante.
“quando? Quando ti degnerai di tornare ad Allentown per salutare i tuoi?”
Più una persona si sforza di non apparire ferita e più le sue parole finiscono per affermare il contrario. Leti non teneva più gli occhi puntati verso quell’amicizia che fino a qualche mese prima giudicava così importante. Non era delusa solo da Erin. Era delusa anche da se stessa per non essere riuscita a tenere vivo il loro legame. Samantha era solo una scusa come un’altra per non ammettere il proprio imbarazzo di non essere riuscita a restare accanto all’amica nel momento del bisogno: dopo la scomparsa di Sophia, Erin non aveva voluto vedere nessuno e lei si era limitata ad accettare passivamente quella richiesta. Solo quando la ragazza aveva lasciato la città, si era resa conto che il suo compito in quanto amica era farla reagire.
“tornerò più spesso qui ma solo se, oltre ai miei, ci sarà qualcun altro che aspetta di vedermi”
Leti sollevò finalmente il capo e incrociò il sorriso sincero dell’amica.
Si era presentata alla soglia di casa Travis consapevole dell’eventualità di dare il colpo di grazia ad un’amicizia che era ormai talmente sbiadita da aver cancellato i sentimenti che l’avevano edificata. Era sicura che il disagio e il tempo passato senza vedersi, avessero aperto una voragine tra di loro, distanziandole al punto da non riconoscersi più. Era certa che avrebbe avuto davanti un’estranea e invece Erin le stava tenendo una mano; non si sarebbero più viste spesso come un tempo, ma da parte sua c’era il desiderio di non gettare tutto alle ortiche.
“ti aspetterò” concluse infine Leti con un’espressione serena.
 
Nonostante le proteste della sorella e le obiezioni della madre, Erin trascorse il resto delle vacanze rintanata nella loro casa ad Allentown. I suoi amici l’avevano invitata a tornare a Morristown per uscire con loro l’ultimo dell’anno, ma aveva declinato anche quell’offerta; Sophia fingeva di essere infastidita per quella premura tuttavia non poteva ammettere quanto fosse grata alla gemella per la sua solidarietà.
Tornarono più volte sull’argomento partenza, anche quando Ambra andò a trovarle. In quell’occasione lei e Sophia si erano rifugiate in camera e avevano parlato per ore.  Cosa si dissero quella volta, rimase un mistero per Erin, conscia che se avesse tentato di invadere la privacy della sorella, ne sarebbe uscita una discussione.
"un giorno mi spiegherai il perché di tutto questo mistero? Mi sembra di vivere in un romanzo di quart'ordine" sbottò un pomeriggio Erin, mentre in TV mandavano un film dalla comicità scadente e banale.
Sophia sorrise leggermente e tornò a concentrarsi sul suo dipinto. Le setole del pennello si intinsero di un liquido grigiastro che l’artista trasferì sulla carta con pochi semplici tocchi. Fece una smorfia soddisfatta: i nuovi acquarelli erano di ottima qualità.
"perché non inviti qui Nathaniel per Capodanno?" s’intromise Amanda, guardando Erin da sopra la montatura dorata degli occhiali. Fino ad un attimo prima, la sua attenzione era calamitata da un voluminoso tomo di psicologia infantile.
Erin deglutì mentre la sorella la guardò interrogativa:
"chi è costui?" domandò Sophia, ponendo il pennello nell’acqua torbida del bicchiere.
"ma come Erin, non gliel'hai ancora detto?" si stupì la madre e poi, voltandosi verso l’altra figlia, spiegò "tua sorella si è trovata un ragazzo"
Sophia sgranò gli occhi emettendo un fischio di apprezzamento mentre la gemella sussurrava mestamente:
"In realtà è già finita"
Questa volta toccò alla madre tradire un'espressione basita, mentre Sophia protestava:
"ma insomma Erin! Per una volta che ti trovi un ragazzo, non faccio neanche in tempo a conoscerlo!"
"tanto non ti sarebbe piaciuto" asserì la sorella, abbassando il volume della TV.
"e tu che ne sai?" s’impuntò l’altra, portando le mani sui fianchi.
"perché è un ragazzo educato e gentile"
"stai dicendo che mi piacciono rozzi e volgari? "
"beh, ammettilo: quelli che ti sei scelta sinora non erano esattamente dei lord inglesi"
"come è fatto?" continuò imperterrita Sophia che non aveva alcuna intenzione di lasciar cadere l’argomento.
"ma che ti frega?" scattò Erin.
“assomiglia a Peter O’Toole” dichiarò Amanda con un’espressione trasognante. Di fronte alle facce confuse delle figlie, la psicologa protestò “ma come? Non sapete chi è? Ha fatto Lawrence d’Arabia, 007 Casinò Royale…”
“ma almeno la nonna era nata quando ha fatto ‘sti film?” scherzò Sophia.
Amanda replicò con un verso impermalito:
“dovreste guardare quei vecchi film piuttosto di quella porcheria che fanno adesso” replicò indicando stizzita una scena volgare che andava in onda in TV.
“comunque io non ho ancora capito come è fatto questo Nathan”
“si chiama Nathaniel” la corresse Erin
"alto, biondo e occhi nocciola. Gentile oltre ogni misura e molto garbato" rispose Amanda, ancora amareggiata per aver perso un potenziale genero così a modo. Sophia rise sommessamente e commentò:
“e l’armatura scintillante ce l’aveva sempre addosso, oppure ogni tanto se la toglieva?”
“ecco perché non volevo dirtelo: trovi sempre da sfottere con questa storia del principe” velenò Erin, incrociando le braccia al petto.
“perché vorrei che abbandonassi questa fissa!” esalò la gemella, alzando le braccia impotente e risultando alquanto buffa “non esistono ragazzi del genere Erin e se anche fosse, mi chiedo come possano piacerti!”
“in effetti a te Sophia piacerebbe più uno come Castiel” commentò Amanda mentre i suoi occhi scorrevano veloci sul paragrafo la dislessia nei bambini.
“e chi è?”
Erin si era irrigidita. In fondo lo pensava anche lei.
“diciamo che è la tua versione al maschile cocca” replicò Peter, varcando la soglia del salotto. Cercò il giornale in una pila di carta accatastata e, dopo aver riesumato la gazzetta sportiva, si accomodò sul divano.
“non sono poi così uguali” mormorò Erin per nulla convinta delle sue parole.
“come è fatto questo Castiel?” s’incuriosì la gemella, incrociando le gambe sopra il divano, mentre il padre la guardava di sbieco.
Erin intercettò quell’occhiata ma non seppe come giudicarla: Peter non sembrava particolarmente infastidito da quell’argomento e la cosa la lasciò un po’ disorientata. Fino a qualche giorno prima gli bastava sentire il nome del rosso per innervosirsi.
“beh, ha i tuoi stessi interessi: il basket, la musica…” elencò vagamente Erin.
“suona qualcosa?”
“la chitarra. Ha un gruppo”
“allora potrei proporgli di entrare come bassista”
“ma se sono mesi che non suoni il basso!” protestò Amanda “ogni volta che spolvero la tua camera, mi chiedo se non sia il caso di venderlo”
“ammetto che mi sia un po’ scemata la passione… ora preferisco di gran lunga disegnare”
“meglio così, i miei timpani ringraziano” borbottò Peter, leccandosi il dito per passare alla pagina successiva.
“comunque il genere rockettaro anticonformista mi ha rotto” bocciò Sophia, alzandosi in piedi. Andò a svuotare l’acqua del bicchiere che colorò l’acquaio con un liquido scuro.
“allora Erin....” esordì tornando nella stanza “hai detto che giochi a basket no? Andiamo a fare due tiri” propose allegramente, mettendo via il dipinto.
Peter e Amanda, troppo ansiosi di natura per cogliere quella provocazione, cominciarono ad inveirle contro per ricordarle la gravità dell’operazione a cui si era sottoposta mentre la gemella, scuoteva la testa divertita. Sophia non sarebbe mai cambiata.
 
C’è un detto “le cose belle durano poco”. I giorni trascorsi con la sua famiglia riunita furono tra i più sereni nella vita di Erin ma erano destinati ad esaurirsi rapidamente: arrivò così il giorno della partenza di Sophia. I suoi familiari sperarono che la tormenta di neve che aveva avvolto Allentown concedesse loro di temporeggiare, rimandando il volo della ragazza, ma le loro speranze rimasero inascoltate: il due gennaio c’era un sole così luminoso e caldo, che sembrava uscito apposta per augurare buon viaggio alla giovane esploratrice.
“saresti potuta rimanere almeno per il compleanno. Un giorno in più che ti cambia? Ti avrei fatto conoscere i miei amici” tentò per l’ultima volta Erin, appoggiandosi lateralmente allo stipite della porta. Osservava Sophia mentre, con gesti frettolosi, sbirciava il contenuto del trolley. La valigia era già pronta da un pezzo, mancavano solo gli ultimi controlli finali del bagaglio a mano.
“sono rimasta qui anche troppo Jordan”
“la smetti di chiamarmi così?” si arrabbiò la sorella. Qualche giorno prima, Erin aveva dato una dimostrazione della sua abilità come cestista, affrontando il padre in un uno contro uno. Per Amanda era stato difficile trattenere Sophia che avrebbe venduto l’anima al diavolo pur di prendere parte a quella partita. Nonostante ciò, si era divertita parecchio a studiare i movimento della sorella, da sempre negata per lo sport di squadra:
“comunque sei migliorata molto. Ti ricordi i consigli che ti ho dato per il torneo o dove ripeterteli?”
“non darti tante arie da coach” la zittì Erin offesa. Di certo in quel momento il basket era l’ultimo dei suoi pensieri.
Poiché era andata distrutta la macchina con cui aveva avuto l’incidente, Sophia era stata costretta a ripiegare sull’aereo, sorprendendo i familiari per la distanza che aveva percorso con la vettura per raggiungerli.
“sei un’irresponsabile! Come hai fatto a fare tutte quelle miglia per venire fino a qui?” si era infuriato Peter, quando la figlia aveva menzionato lo stato in cui soggiornava. La rossa aveva fatto spallucce, minimizzando la questione e sostenendo che aveva viaggiato da sola unicamente nell’ultimo tratto di novanta miglia, dopo aver lasciato un paio di amici a Harrisburg.
Erin gettò l’occhio sul biglietto aereo in cui era scritta la città in cui sarebbe atterrata la sorella. Era un indizio troppo misero circa la sua locazione e insufficiente a rintracciarla.
Non aveva più insistito: aveva accettato la sua richiesta di libertà, rassegnandosi ad aspettarla come aveva fatto fino a quel momento.
Era un’altra assenza quella che, giorno dopo giorno, le diventava sempre più insopportabile.
“Castiel ha risposto ai tuoi auguri di buon anno?” indagò Sophia serrando la valigia. Anche se non le aveva confessato le inquietudini e i dubbi che le attanagliavano l’animo, Erin le aveva accennato di quell’amico così atipico che non voleva farsi sentire.
“no, ma ormai non mi interessa più” mentì “devo farci il callo a voi e al vostro menefreghismo”
Sophia sorrise pazientemente e si frugò nelle tasche. La mano si invaginò fino al punto più profondo della fessura dei jeans e riemerse con un pezzettino di carta in mano:
“cos’è?”
“l’indirizzo di dove abiterò nei prossimi mesi: via, numero civico, città… c’è tutto”
Erin rimase esterrefatta, mentre la gemella precisava:
“questo ti servirà solo in caso di emergenza. A parte ciò, promettimi che aspetterai che sia io a chiederti di venire da me”
“era così difficile da dire?” borbottò la gemella, riponendo il prezioso foglietto in tasca, ancora incredula per quel gesto “non voglio più che mi consideri una palla al piede Fia, ma rimango tua sorella ed è normale che mi preoccupi per te. Mi basta sapere dove sei, che stai bene e sentirti di tanto in tanto. Non chiedo altro”
Sophia annuì, umidificando leggermente il labbro inferiore e si chinò a recuperare il trolley, mentre la sorella provvedeva alla valigia che era più pesante:
“sei davvero cambiata. Quasi non ti riconosco” le disse, sostando sulla soglia della propria stanza. Erin fu costretta ad arrestarsi a sua volta e, appoggiando per un attimo la valigia per terra, spiegò:
“sai, quando passi tutta la vita a compatire te stessa per ciò che non puoi essere, realizzando che accanto a te c’è sempre qualcuno migliore di te, approdi all’annichilimento più completo: ti convinci che non sarai mai niente di diverso da un’ombra, da una proiezione sbiadita di qualcun altro. Ti ho sempre considerata il mio Yang, Sophia.
Poi però è scattato qualcosa in me: è arrivato un momento in cui semplicemente ho detto “basta!” e ho cominciato a reagire. Ho avuto il coraggio di affrontare chi ero e, soprattutto, chi non volevo essere, sforzandomi di accettare ciò che non potevo cambiare e cambiando ciò che non potevo accettare di me stessa”
“SOPHIA! SBRIGATI O FARAI TARDI!”
La voce di Peter aveva percorso il vano scala, arrivando fino alla stanza in cui si trovavano le due sorelle. Non fu difficile sentirlo e non tanto per il tuo timbro tuonante, quanto per il silenzio profondo che era sceso tra le ragazze.
Sophia ricontrollò che le ruote del trolley girassero correttamente e si spostò in corridoio. Mentre percorrevano l’anticamera, mormorò:
“non ti ho mai considerato la mia ombra Erin” e anche se c’era dell’altro che avrebbe voluto dirle, ricacciò le parole in gola perché il suo orgoglio le impediva di dare prova di quanto si fosse commossa.
 
Dopo un viaggio in macchina, all’insegna dell’allegria e delle battute di Sophia, i Travis arrivarono finalmente all’aeroporto. Al momento di salutarsi, nessuno sapeva cosa dire. Lasciarono parlare gli abbracci e i baci teneri lasciati su quei capelli un tempo castani.
“fai buon viaggio tesoro”
Gli occhi lucidi di Amanda erano una punizione sufficiente per la figlia che spostò lo sguardo verso Peter.
“torna presto” si raccomandò lui.
“talmente presto che non farete in tempo a sentire la mia mancanza” replicò la figlia con allegria e infine, concentrò la sua attenzione sull’ultima persona rimasta; Erin emise un sospiro lieve, seguito da un sorriso rassegnato: ormai non aveva nient’altro da dirle.
Guardandola, Sophia pensò:
“questa volta mi è più difficile partire Erin”
Quasi la sorella le avesse letto nel pensiero, dichiarò a voce alta:
“questa volta mi è più facile lasciarti andare Fia”
Il sorriso di sua sorella aveva una piega amara ma al contempo dai suoi occhi traspariva una tenera determinazione. Per quanto Sophia ci provasse, in quella ragazza mora, dai lunghi capelli e gli occhi così espressivi e dolci, non riusciva a riconoscere la sorella a cui aveva detto addio mesi prima. Se la lontananza da lei l’aveva fortificata a tal punto, allora forse, al suo ritorno, avrebbe potuto raccontarle quella verità che teneva per sé.
Amanda volle abbracciare un’ultima volta la figlia e le sussurrò:
“tua sorella è forte, fidati di lei Fia”
“lo so” mormorò l’altra con un nodo alla gola.
Si era sempre considerata lei la più debole delle due, anche se Erin la pensava in modo diametralmente opposto.
Proprio per quella forza che non aveva, Sophia non voleva ancora scaricare sulla sorella quel pesante fardello che si portava dentro da mesi; sapeva che, se quel momento fosse mai arrivato, lei non sarebbe stata in grado di essere quel sostegno che Erin era per lei.
 
 
 
Nonostante la stretta vicinanza tra il suo orecchio e la sorgente sonora, Erin sembrava ignorare l’allarme lanciatole dalla sveglia che, se avesse potuto parlare, avrebbe detto: “sveglia diciottenne! Ti aspetta una lunga giornata!”
La ragazza si mise seduta e guardò oltre il vetro della sua stanza di Morristown. Il giorno precedente, dopo aver salutato Sophia, i genitori avevano accompagnato la seconda figlia dalla zia, in modo che trascorresse il compleanno in compagnia degli amici. Tuttavia nel pomeriggio, Rosalya l’aveva chiamata per dirle che, a causa di un inconveniente, i gemelli erano ancora in montagna e che i festeggiamenti erano rimandati alla domenica, il giorno prima di tornare al liceo. Si era quindi rassegnata a quel un noioso sabato in solitudine, all’insegna del divano e la TV.
La vibrazione del cellulare attirò la sua attenzione e, senza alcun stupore, la ragazza scoprì che era sua madre a chiamarla:
“tanti auguri tesoro!” si entusiasmò Amanda, gridandole nell’orecchio.
“grazie mamma” sbadigliò la figlia, allontanando il ricevitore dall’orecchio “ma non potevi chiamarmi più tardi?...mi sono appena svegliata” si lamentò con un sonoro sbadiglio.
“già ci tocca passare il compleanno lontane, almeno voglio assicurarmi di essere la prima a farti gli auguri!” protestò la psicologa, cercando lo sguardo del marito che era impegnato al telefono con l’altra figlia. Per non fare torto a nessuna delle due, i genitori avevano deciso di chiamarle contemporaneamente.
“sei la prima” la tranquillizzò Erin, mettendosi in piedi. Sapeva già quale sarebbe stata la domanda successiva della madre, così si accostò alla scrivania dove sostava un pesante pacco che i genitori le avevano consegnato il giorno prima.
“allora? Che ne dici di aprire il nostro regalo?”
“lo sto facendo giusto ora” la avvertì la festeggiata, tenendo il cellulare in bilico sulla spalla. Rimuovere l’incarto si rivelò incredibilmente complicato, nonostante la geometria definita del pacco, così Erin attivò il vivavoce e appoggiò il telefono sulla scrivania, in modo da avere entrambe le mani libere.
Appena riuscì ad accartocciare la carta con le renne, la ragazza realizzò il contenuto della scatola: un microscopio:
“m-ma state scherzando?” balbettò, studiando le quattro facce laterali del cubo. Non riusciva a capacitarsi dell’oggetto che aveva di fronte:
“oh, quanto vorrei vedere il tuo viso in questo momento tesoro! … ma hai insistito così tanto per aprirlo oggi” si rammaricò Amanda “comunque visto che il regalo di Natale è stato un po’ miserello, ci siamo rifatti per il compleanno”
“è-è meraviglioso mamma” replicò con gratitudine Erin. Non avrebbe mai immaginato un regalo del genere, anche perché la sua passione per la biologia era stata una scoperta recente che aveva condiviso solo con la sorella
“è stata un’idea di Sophia…” confermò per l’appunto la madre “a proposito… ti passo papà che ha appena finito di parlare con lei. Sono contenta che ti piaccia amore”
Mentre aspettava di sentire la voce di Peter, Erin cercò di immaginare il viso della gemella mentre scopriva il regalo che lei aveva scelto: una reflex.
 
Dopo aver ringraziato e salutato i genitori, Erin si spostò in cucina: trovò la tavola imbandita di croissant, succhi di frutta, caffè, biscotti, marmellate:
“abbiamo ospiti?” borbottò tra sé e sé, non accorgendosi dell’agguato che la zia le stava tenendo alle spalle. Pam arrivò da dietro, abbracciandola con enfasi e facendo sussultare la nipote:
“TANTI AUGURI TESORO!”
Cercando di sfruttare l’ultimo orecchio rimasto udente, Erin tentò di capire se tutto quel ben di Dio fosse stato preparato per degli ospiti.
“macché ospiti! È il tuo compleanno! Ti meriti una colazione del genere!”
“ma ci sono sei brioche zia! Come faremo a mangiarle tutte? Tu ne mangi sì e no mezza” protestò ridendo la nipote, versandosi del succo all’ace.
“in realtà volevo chiamare Jason, ma questa mattina è uscito di fretta e furia” ammise la donna rammaricata “uffa, dopo le ferie si è trovato tanto di quel lavoro arretrato che temo che oggi non verrà neanche a pranzo qua. Comunque mi ha detto di darti io il regalo da parte sua”
“me ne ha fatto uno anche lui?” si sorprese Erin.
La zia annuì orgogliosa della generosità del suo ragazzo mentre la nipote accoglieva tra le mani un pacco morbido.
Era stato facile per la ragazza affidarsi al tatto per prevederne il contenuto, ma la sua mente non poteva immaginare quanto quel vestito sarebbe stato bello: lo afferrò per le spalline e sollevò verso l’alto un meraviglioso abitino nero, aderente al corpo. Era dato da due strati sovrapposti di tessuto di cui quello più esterno era rappresentato da un tulle con ricamate delle forme astratte che ricordavano dei fiori. Sfregano i polpastrelli contro il tessuto, la ragazza capì che si trattava di un capo di qualità e scoprì che era uno dei più belli presenti nella boutique della zia.
“mi pare che ti piaccia” commentò compiaciuta la donna, deliziandosi dell’espressione della nipote.
“non ho mai avuto un vestito più bello zia! Lo metterei anche per dormire!”
“non è mica fatto per stare nascosto sotto le coperte!” sbottò Pam, indignata per quell’eresia “questo è fatto per essere visto! Comunque, non è finita qui” le disse, porgendole un pacchetto più piccolo  
“questo è il regalo da parte di Jason”
Erin scartò avidamente la confezione e si trovò tra le mani un meraviglioso braccialetto placcato in argento. Prima che la ragazza potesse complimentarsi per il buon gusto dell'uomo, la zia le fece l’occhiolino:
“gliel’ho consigliato io”
 
Mentre sistemava il nuovo abito nell’armadio, il cellulare cominciò a suonare le note della sigla di Spongebob. Sapeva che si sarebbero succedute una serie di telefonate e messaggi, così la ragazza aveva tolto la modalità silenziosa che normalmente teneva impostata.
Appena lesse il nome sullo schermo, sorrise istintivamente e prima di accettare la chiamata, tenne il ricevitore a parecchi centimetri di distanza dal condotto uditivo.
“AUGURIIIIII CIPYYYYYYYYYYYYY!”
“Cipy?” ridacchiò, sentendo la voce di Rosalya e accostando finalmente il cellulare all’orecchio.
“mi è venuta così. Come va oggi? Che ti hanno regalato i tuoi?”
“un microscopio”
“ah” commentò l’amica. La sua perplessità era talmente palpabile che Erin sogghignò :
“ti assicuro che non potevo desiderare regalo migliore. E’ come se regalassero a te un biglietto per la settimana della moda”
“allora è un regalo fenomenale!” si entusiasmò la stilista, cogliendo perfettamente il paragone.
“esatto”
“ascolta, sei sicura che non ti dispiaccia restare da sola oggi?”
“non preoccuparti, mi preparo psicologicamente alla festa di domani”
“maledetto Armin! Quanto è impedito quel ragazzo! Se non fosse rotolato giù dalla montagna, a quest’ora gli Evans sarebbero già a casa”
“pensa piuttosto a che scena ci siamo perse Rosa” rise Erin, immaginando l’amico incastrato sotto una coltre di neve.
“a proposito di scena, dovresti vederlo con il pigiama di Olaf che gli ha regalato Alexy: non lo credevo possibile, ma sembra ancora più idiota”
“AHAHAHAH, sei cattiva” la rimproverò allegramente l’amica, sedendosi sul letto.
La ragazza dall’altro capo sorrise ed finalmente si decise a fare la fatidica domanda:
“Castiel ti ha mandato gli auguri?”
Il silenzio di Erin fu fin troppo eloquente. La giovane stilista sospirò e si grattò la fronte:
“prima o poi risponderà” disse infine, trattenendo l’impulso di insultarlo.
“è il poi che mi spaventa Rosa”
“non devi avere fretta Erin. Se n’è andato da appena due settimane… io sono tre anni che aspetto Nathaniel” concluse ridendo amara.
L’amica però non si lasciò contagiare da quell’amara ironia. Innervosendosi per la superficialità con cui la sua interlocutrice trattava la questione, sbottò:
“c’è poco da scherzare. Oggi pomeriggio parte per la California!”
Rosalya si zittì e cominciò ad accarezzare il suo Romeo, grattandolo sotto il mento bianco. Il biondo non si era degnato di comunicarle la sua partenza, era stata Erin a dirglielo qualche giorno prima. Quella le valeva come l’ennesima conferma di quanto poco lei contasse per lui.
“Rosa, ci sei?”
“si scusa… che vada dove gli pare”
La ragazza sentì sbuffare e poi la voce di Erin alterarsi:
“insomma! Sei così occupata a cancellare i tuoi sentimenti per lui, da non accorgerti di quelli che lui prova per te”
Appena pronunciate quelle parole, la ragazza si morse la lingua. Si era ripromessa che mai avrebbe invaso la privacy del ragazzo: non stava certo a lei dichiararsi al posto suo. Ma ormai il danno era fatto: il desiderio di ricongiungere quelle due anime in pena aveva preso il sopravvento sui suoi propositi.  Dopo un silenzio che sembrava durato anche troppo, Rosalya mormorò mestamente:
“non illudermi Erin”
“me l’ha detto lui Rosa! Possibile che in tutto questo tempo tu non ti sia accorta di niente? Sono tre anni!”
La ragazza spostò lo sguardo sulla foto che la ritraeva insieme al suo vecchio gruppo di amici.
 
“ […] Voglio davvero provare a ricucire i vecchi rapporti, ma senza di te non ce la posso fare”
Rosalya non obiettò e rimase in silenzio. Tornò a concentrarsi sul suo lavoro ma le veniva difficile. Nel tentativo di unire due lembi troppo distanti, applicò troppa forza e un piccolo strappo rovinò la stoffa del vestito. Dall’altro capo della linea, Alexy aspettava pazientemente una risposta, sapendo che alla ragazza serviva del tempo per riflettere sulle sue parole.
Rosalya, frustrata per l’inconveniente, direzionò involontariamente il suo sguardo verso la mensola della sua stanza.
Protetti da una cornice in legno scuro, un gruppo di ragazzi la guardavano, chi sorridente chi beffardo. Castiel con quell’espressione da duro arrogante, Lysandre enigmatico e misterioso, Alexy sorridente che la abbracciava, Armin in posa da supererore e Leigh che la guardava con adorazione. E poi c’era Nathaniel. Non guardava dritto nell’obiettivo, aveva la testa voltata di tre quarti, come se in quel momento con la sua mente fosse altrove.
Le mancava così tanto la loro armonia e complicità.

“eravamo un gruppo mitico” commentò amaramente, riavvicinando i due lembi strappati. Una stupida distrazione e il vestito rischiava di essere rovinato. Proprio come era successo con la loro amicizia “ma è bastata una ragazza per rovinare tutto”
Alexy, che in quel momento avrebbe voluto trovarsi faccia a faccia per vedere l’espressione della sua migliore amica, replicò placidamente:
“è vero. Ma forse proprio per questo basterà un’altra ragazza per ricucire ogni strappo”

(tratto dal capitolo 16: In her shoes)
 
“scusami Erin… devo andare” scattò Rosalya, recuperando la borsa accantonata in un angolo della stanza.
“e dove?”
Un sorrisetto irriverente distese le labbra dell’amica e, con fare complice, la sfidò:
“secondo te?”
 
Nell’attesa di avere notizie da Rosalya, Erin ricevette le telefonate di tutti i suoi amici, eccetto Lysandre che le mandò una poesia per messaggio e Violet che le inviò un disegno. Armin le disse che zoppicava un po’ ma che ciò non gli avrebbe impedito di divertirsi l’indomani.
 
Dopo un lauto pranzo, in cui Erin rimase piacevolmente sorpresa dai progressi culinari della zia, la ragazza si trovò in casa da sola. Pam era corsa alla boutique e le aveva consigliato di farsi un giro in città. Poiché il palinsesto televisivo non offriva niente di accattivante e il suo repertorio di film era trito e ritrito, Erin si rassegnò ad assecondare quel suggerimento.
 
La neve era stata rimossa dai marciapiedi e l’agibilità delle strade era ineccepibile. Non c’era traccia di lastre di ghiaccio sulla banchina, se non in qualche innocua pozzanghera in punti in cui non potesse essere pericolosa. Tirava un venticello leggero così Erin fu costretta a serrare la morsa della sciarpa attorno al collo sottile. Il naso era congelato, ma a quello poteva solo rispondere con la rassegnazione. Si accomodò il berretto di lana, sbuffando a causa di un ciuffo che non voleva saperne di entrare dove lei l’aveva indirizzato. Il suo alito caldo si concretizzò in una nube di vapore acqueo che aleggiò per un attimo davanti alla sua bocca. Da piccole lei e Sophia si divertivano a sfruttare quel fumo illusorio per darsi arie da adulte, fingendo di tenere una sigaretta tra l’indice e il medio.
Ripensò al pacchetto di Marlboro che aveva intravisto nella borsa della sorella poco prima che partissero per l’aeroporto e sollevò le iridi verdi al cielo, ripetendosi che alla prossima occasione, avrebbe tentato di far desistere la sorella da quel nuovo vizio.
La sua andatura cadenzata e agile, la condusse al campo di basket senza che se ne accorgesse. Spostò lo sguardo sul metallo arrugginito del canestro e sulla rete ormai logora. C’era solo un ragazzo impegnato con dei tiri liberi. Lanciò la palla descrivendo una parabola molto alta eppure il tiro andò a segno; sorrise beffardo manifestando tutta la sua sicurezza di atleta.
In quella smorfia sardonica, per un attimo Erin lo vide: vide Castiel.
Il cestista sconosciuto si voltò improvvisamente verso la spettatrice che, accorgendosi di non essere più invisibile, accelerò il passo. Aveva fretta di allontanarsi da quel luogo, prima che i ricordi prendessero il sopravvento. Svoltò per una via molto affollata, sperando che il brusio dei passanti le impedisse di sentire quella voce maschile ferma e canzonatoria:
 
“pronta a perdere quindi?”
(capitolo 5 – Uno contro uno)
 
Si ritrovò ben presto al parco Queen’s Victoria, insolitamente silenzioso e tanto spoglio di vegetazione quanto di persone. Aggirando il laghetto ghiacciato, individuò una figura minuta, china su un enorme album. Era seduta con le gambe compostamente allineate e sollevava ogni tanto il visetto dolce per osservare attentamente un acero a pochi metri di distanza.
“disturbo?” la interruppe Erin con un sorriso dolce.
Violet alzò rapidamente il viso, arrossendo per l’agitazione:
“Erin…”
“come stai? È da Natale che non ci vediamo” esordì l’amica, trovando posto accanto all’artista, sulla panchina lignea.
“bene… ehm… tanti auguri” sussurrò in difficoltà.
I modi impacciati della ragazza la fecero sorridere e, per distoglierla da ogni disagio, cambiò argomento:
“posso vedere cosa stai disegnando?”
L’amica allungò l’album, affidandolo alle mani dell’osservatrice.
Era uno schizzo a matita ma il talento della disegnatrice aveva saputo mettere in evidenza le rugosità del legno e l’intrico dei rami. Il contrasto tra il legno scuro della pianta con il foglio bianchissimo rendeva quella semplice bozza, un piccolo quadretto.
Dopo i complimenti di rito, tra le due calò il silenzio completo; Violet continuava a disegnare mentre Erin sembrava persa nei suoi pensieri.
“hai novità su Castiel?”
Quella domanda non la sorprese, anche se a formularla era stata la timida vocina di Violet. Forse quella ragazza riusciva a leggerle in faccia ciò che stava pensando. Poteva imporsi di non soffermarsi su di lui, ma la tua determinazione durava pochi secondi: Castiel continuava a tornarle in mente.
“mi mette ansia il fatto che non risponda”
“perché?”
Quella poteva sembrare una domanda senza senso, dalla risposta talmente scontata che per un attimo Erin sollevò gli occhi al cielo. Per la miseria, era il suo migliore amico, se non addirittura qualcosa di più come sosteneva Nathaniel… tuttavia, non aveva ancora formulato la risposta.
“non so se gli manco” farfugliò infine, frustrata.
“o forse, hai paura che si dimentichi di te”
La mora sentì il cuore accelerarle: non aveva mai concretizzato quale fosse la sua vera inquietudine ma ora lo sapeva: l’idea che, al ritorno di Castiel, si sarebbero scoperti due estranei l’uno per l’altra, la terrorizzava. Se erano bastati pochi mesi per sopire l’amicizia con Leti, cosa sarebbe rimasto del suo rapporto con Castiel dopo centottanta giorni di lontananza?
Mentre meditava, turbata per la piega che avevano preso i suoi pensieri, Violet disse:
“ci sono delle persone che entrano nelle nostre vite senza che noi possiamo impedirglielo e ci cambiano al punto che tornare quelli di prima è impossibile. Quando una persona ce l’hai dentro Erin, non hai nessun posto in cui scappare”
Pur essendo la più giovane del suo gruppo di amici, Violet era la personificazione della saggezza degna di un santone tibetano: se ne usciva con frasi pronunciate con disincanto, una sorta di bombe a orologeria che sganciava con la più totale serenità, come se lei per prima fosse inconsapevole della devastazione che avrebbero portato nell’animo di chi veniva attaccato.
Era questo l’effetto che sortiva in Erin.
“quindi stai dicendo che ormai Castiel è entrato nella mia vita e ha avuto un ruolo talmente importante che non riuscirò mai a dimenticarlo?”
La replica di Violet fu qualcosa di talmente inatteso, che all’amica vennero i brividi:
 
“in realtà Erin hai invertito l’oggetto con il soggetto: io parlavo di come tu sia riuscita a scuotere il cuore di Castiel” precisò, sottolineando quel pronome personale “lui non potrà mai dimenticarti… tu sarai sempre quell’addio che non riuscirà mai a dire”
 
La ragazza era un brivido. Percepiva che sotto gli strati di tessuto con cui si proteggeva dal gelo, la pelle aveva assunto la caratteristica increspatura definita “d’oca”.
Eppure non sentiva freddo.
Erano state quelle parole a scuoterla fino al midollo. L’artista era l’unica tra i suoi amici che riusciva a scavare a fondo in lei al punto da farla sentire così nuda e fragile.
Violet continuava a disegnare, come se fosse completamente ignara della tempesta che aveva scatenato accanto a sé. Alzava e abbassava il capo, spostandolo alternativamente tra il foglio e l’oggetto da ritrarre.
 
Dopo aver salutato l’amica, Erin proseguì la sua passeggiata. Si era ripromessa che prima o poi avrebbe affrontato quei sentimenti così ingarbugliati e ora non aveva più scuse. I suoi amici, Nathaniel, le avevano dato fin troppi spunti su cui riflettere.
Appena i suoi pensieri si spostavano sul rosso, avvertiva una sensazione di disagio: per settimane l’aveva etichettato come il suo migliore amico ma da parecchi giorni, se non di più, quella certezza era andata in frantumi.
Ripensò a quella sera prima del concerto, in cui si era presentata a casa sua, alla serenità che aveva provato nel trascorrere del tempo con lui; c’era un’atmosfera familiare, accogliente, protettiva. Quando era in sua compagnia, Erin si sentiva a casa. Ricordò l’entusiasmo con cui trotterellava agli allenamenti settimanali del sabato, pur con la snervante certezza che il cestista l’avrebbe massacrata di esercizi.
Le sue battute pungenti e antipatiche, le sue sfide impari, la sua assoluta indifferenza alle regole, il suo assurdo colore di capelli: le mancava tutto.
I pensieri cominciarono ad accavallarsi gli uni sugli altri senza darle tregua.
Quel suo rimuginare non la stava portando da nessuna parte.
Poteva sempre trattarsi di un errore da parte sua, del resto era già successo con Nathaniel: aveva completamente equivocato i propri sentimenti e aveva finito per rovinare quella che poteva essere una splendida amicizia.
Non si sarebbe mai perdonata se avesse commesso lo stesso errore la seconda volta e di certo, non con Castiel. Quell’amicizia, se come sosteneva Violet, era bilaterale, era troppo preziosa per rovinarla a causa della propria stupidità in amore.
Sempre più confusa, si sedette sulle gradinate del museo della città, incurante dello sguardo dei curiosi. C’era una sola cosa che la aiutava in momenti come quello: trasformare le sue riflessioni astratte in un testo concreto. Prese quindi un piccolo block che teneva in borsa e cominciò a scrivere:
 
Caro Diario,
sono patetica. Mi sento stupida perché sto scrivendo come una ragazzina ad un interlocutore che non esiste
 
Si fermò. Realizzò subito che quell’incipit non le era di nessun aiuto.
Aveva bisogno di immaginare una persona a cui rivolgersi e tra tutti, quella con cui si sentiva più libera di aprirsi, era anche quella che la mandava più in confusione. Annerì la parola Diario e la sostituì con Castiel. Anche la riga che aveva scritto subì la stessa sorte e venne annullata da una barra orizzontale.
 
Ciao Castiel,
nel caso in Germania ci fosse una diversa suddivisone del tempo, sappi che sono passate due settimane dall’ultima volta che ci siamo visti.
Non so il perché del tuo silenzio, o meglio, preferisco non immaginarmelo.
Ora come ora sto cercando di capire il mio: perché quando mi chiedono di te abbasso gli occhi e mi intristisco? Perché mi fa così male non sentirti? È la nostalgia di non vedere un amico, o è qualcosa di più?
Guardiamo in faccia la realtà: che motivo avresti per non rispondermi? Nessuno che non sia “non me ne frega un cazzo di te”… eheh, sai dove sta la fregatura? Che a me invece importa eccome di te, più di quanto meriti, oserei dire.
Vorrei sapere cosa stai facendo, come ti trovi, com’è questo gruppo, che figure di merda hai fatto (ne hai fatte sicuramente conoscendoti).
Fino a qualche giorno fa ero davvero arrabbiata con te ma ora ce l’ho come me stessa. A te riserbo solo la delusione per non aver corrisposto alle mie aspettative. Pensavo di essere qualcosa per te anche se non so esattamente cosa.
Mi odio perché continuo a cercarti nei volti di sconosciuti anche se so che non ci sei.
Prima mi basta pensare a te per sorridere senza motivo, anche mentre ero per strada. Eri l’unico che mi faceva questo effetto.
 
La scrittrice si interruppe e rilesse quella frase. Le sembrava quasi impossibile di averla concepita lei. Più le leggeva e più realizzava quanto fosse vera.
 
Ora però, per quanto possa essere diventata più forte, sei rimasto l’unico che riesce ancora a farmi piangere.
 
Scrisse quelle parole mentre delle lacrime salate inzupparono quella carta  dalla filigrana sottile.
 
Vorrei che mi dicessi che ti manco, anche se sarà una bugia… io farò finta di crederci, come ho fatto quando mi sono convinta che ci tenessi alla nostra amicizia.
 
Le passò accanto uno studente di musica, tenendo sulle spalle la custodia di una pianola.
Erin tornò ad abbassare il capo sul suo block e proseguì:
 
Ti ricordi la prima volta che ho incontrato te e Lysandre in aula di musica? Quel venerdì sera mi hai riaccompagnato a casa e, a modo tuo, hai cercato di tirarmi su il morale. Salutandomi, mi hai augurato buona notte con un’espressione talmente bella che mi ha fatto sorridere lo stomaco.
Ecco: quella notte mi ci sono volute ore per addormentarmi… e ti sorprenderà (o probabilmente no, dici sempre che sono poco sveglia) ma solo ora ne capisco il perché: sono innamorata di te Castiel e la cosa peggiore è che lo sono sempre stata.
 
Era come se il gelo avesse pietrificato le deboli lacrime che le avevano rigato il viso.
Era riuscita a concepire ed accettare quella scomoda verità che era annidata in fondo al suo cuore.
Rilesse una volta quella lettera, poi una seconda, una terza, una quarta, finché le sembrò di saperla a memoria.
Non aveva più dubbi ormai. Non aveva scuse per la sua ottusità. Aveva lasciato partire il ragazzo più importante della sua adolescenza senza muovere un dito.
Afferrò un angolo di quel foglio e lo strappò dal blocco: guardò per un’ultima volta la lettera più sincera e amara che avesse mai scritto e la accartocciò, gettandola poi in un cestino. Gli allenamenti di basket dimostrarono i loro frutti visto che il calcolo della traiettoria fu impeccabile.
Si alzò dalla sua postazione, perché stava ormai perdendo la sensibilità cutanea nella zona del sedere.
Tornò a camminare e riflettè su quanto fosse inutile la conclusione a cui era appena giunta: Castiel era innamorato di Debrah e di lei, Erin, non gliene importava nulla. In fondo, era anche per quello che il suo inconscio le suggeriva di non scoperchiare quel vaso di Pandora: ora che sapeva di provare qualcosa per lui, a che le serviva la consapevolezza dei suoi sentimenti? Rendeva solo più penosa la lontananza e miserabile la sua condizione di amica abbandonata.
Castiel aveva la sua musica ora e quella bastava a distrarlo da ogni altro pensiero. Le parole di Violet erano state tanto belle quanto false; per un attimo era stato confortante credere di essere qualcuno di importante per lui. 
buongiorno!”
Erin non capì quella parola che era stata appena esclamata a voce alta, anche perché era troppo presa dai suoi pensieri angosciosi. Si guardò attorno e scoprì di essere arrivata davanti a casa di Castiel. Ad attirare la sua attenzione era stato il vicino italiano dell’amico, Mauro, che Erin aveva intravisto per l’ultima volta la notte prima del concerto del liceo.
“sei l’amica di Castiel giusto?” proseguì l’uomo, tornando a parlare in inglese.
La confusione della ragazza era tale che a quel punto rispondere affermativamente sarebbe stata una bugia: per Castiel lei non era niente e per lei Castiel era tutto.
“ti dispiacerebbe entrare un attimo?” incalzò Mauro, inclinando il capo verso l’interno dell’abitazione “ieri è arrivata della posta dalla Germania: sono dei documenti firmati da lui e che vanno consegnati a scuola. Mi aveva chiesto di contattare Nathaniel, ma l’ho chiamato stamattina e mi ha detto che sta partendo per la California”
“può darli a me” confermò Erin avvicinandosi alla recinzione. Non la sorprese che Mauro conoscesse il biondo, del resto era stato il migliore amico del suo vicino.
“ti ringrazio. Aspetta che vengo ad aprirti” la accolse l’uomo. Con un’andatura goffa, il vecchietto attraversò il vialetto e sbloccò la serratura del cancello. Invitò Erin ad entrare e le consegnò un paio di buste con dei timbri in tedesco; la ragazza ripose con cura il materiale nella borsa e dopo averlo ringraziato, si diresse verso l’uscio.
“ah sono le cinque” mormorò Mauro tra sé e sé “è l’ora della pappa”
Erin lo guardò interrogativa, così il vecchietto chiarì:
“devo passare da Demon”
“posso venire?”
La proposta le era uscita prima che riuscisse a concretizzare di averla pensata. Mauro la fissò un po’ sorpreso, così la ragazza balbettò:
“ho dimenticato una cosa da Castiel l’ultima volta che sono stata qui”
 
Mentre Mauro si recava in cucina, Erin entrò nella stanza del ragazzo.
La tonalità grigio polvere delle parete, con il riflesso lucente della neve all’esterno sembrava più brillante di quanto Erin ricordasse. I primi raggi del tramonto riscaldavano l’ambiente, conferendo una cromaticità aranciata al mobilio.
La ragazza sfiorò le mensole, su cui già si era depositato un leggero velo di polvere. Quel comune pulviscolo bastò ad acuire il senso di lontananza e di abbandono che regnava in quella stanza. Il tappetto bianco e rosso era un po’ ammucchiato e la ragazza si chinò a sistemarlo, immaginando il ragazzo che lo lanciava via in malo modo con il piede. C’erano dei cd sparsi per terra e, da brava donna di casa, non si lasciò sfuggire nemmeno quelli. Li impilò in ordine e li appoggiò sulla scrivania. La prima volta che era entrata in quella camera si era sorpresa dell’ordine che vi regnava ma aveva appena avuto la conferma che si trattava solo di un episodio eccezionale, dettato dalle circostanze; tuttavia quel subbuglio, anziché irritarla, la intenerì. In fondo Castiel era un artista e in quanto tale, il disordine non poteva essere una sorpresa. Spostò lo sguardo sul letto e su quel materasso così morbido in cui aveva dormito settimane prima.
Si avvicinò al cuscino e lo accarezzò con una delicatezza che sembrava sfiorare la testa di un neonato. Quella stanza le parlava di lui.
Pur sentendosi stupida e ridicola, non resistette alla tentazione di annusare il cuscino su cui lei stessa aveva poggiato il capo settimane prima.
Appena avvertì il suo odore, sentì inumidirsi gli occhi, che serrò per evitare di giungere ad un punto di non ritorno. Inspirò con il naso cercando di darsi un po’ di contegno e ripose il cuscino al suo posto, sistemandolo con cura come se qualcuno dovesse usarlo di lì a breve.  
Si sedette a terra, con la schiena contro il letto.
 
Quando una persona ce l’hai dentro Erin, non hai nessun posto in cui scappare
 
Ormai le lacrime erano inarrestabili: le immagini cominciarono ad ondulare, otticamente distorte dall’effetto provocato da quel liquido salato.
Era talmente isolata da quanto la circondava che non si accorse che in quella stanza non era più sola.
Con un passo felpato, scandito da un’andatura lenta, stava avanzando una creatura pelosa e scura. Dalla bocca dischiusa, scintillava una dentatura affilata e letale, pronta ad azzannare.
Fu solo quando sentì un peso morto sulle gambe, che Erin si accorse che si trattava del cane che più la terrorizzava al mondo. Demon si era accasciato ai piedi del letto, abbandonandosi contro quella ragazza che aveva sempre considerato un’intrusa.
La coda era immobile e appoggiata contro il pavimento mentre nei suoi occhi si leggeva un profonda malinconia. Emise un mugolio talmente triste che la impietosì, al punto da accantonare anche l’ultima goccia di panico che l’aveva assalita, lasciandola pietrificata.
Non aveva mai visto Demon così abbattuto e le si strinse il cuore nell’immaginarlo tutto il giorno nella solitudine della sua cuccia, senza capire perché il suo padrone era sparito.
Il cane alzò lo sguardo verso di lei e finalmente, la ragazza trovò il coraggio per dargli l’unica consolazione che era alla sua portata: gli accarezzò delicatamente la sommità del capo, scivolando con la mano fino a metà della spina dorsale dell’animale.
Per la seconda volta il cane mugolò un verso sommesso e languido.
Con la bocca impastata di lacrime e tristezza, Erin gli rispose:
“manca tanto anche a me”
 
Dopo un paio di minuti, arrivò Mauro trafelato. Non appena vide Demon, lo sgridò:
“non ti si può perdere di vista un attimo che mi sparisci! Hai mangiato tutto?” gli chiese, mentre Erin sorrideva leggermente per la serietà con cui il vecchio interloquiva con l’animale.
Mentre lei si alzava in piedi, Demon la imitò e raggiunse il suo fornitore di cibo, che in quel momento stava osservando la finestra della stanza:
“prima di uscire, puoi abbassare quella tapparella? Non è sicuro tenerla sollevata”
“è incastrata. Bisogna smontare il cassone sopra” gli spiegò Erin, ricordando di aver rivolto la stessa richiesta all’amico due settimane prima.
“allora mi arrendo. I lavori manuali non fanno per me” liquidò la questione l’uomo “hai trovato quello che cercavi?”.
Erin stava per scuotere il capo in segno di negazione quando l’occhio le cadde su un punto della scrivania in cui era appoggiato un libro. Da esso spuntava un triangolino scuro che lei afferrò per tirarlo verso l’esterno. Era una foto: ritraeva Castiel con la sua aria eternamente imbronciata per uno scatto fatto a tradimento insieme ad Armin che l’aveva trascinato ad una fiera del fumetto. Con i due ragazzi c’era un cosplay di Gintama.
Nella foto i capelli di Castiel erano più corti e del suo colore naturale e, come sospettava Erin, quel look gli donava di più. Anzi. Nonostante la smorfia di disapprovazione, era innegabile quanto il ragazzo fosse carismatico e affascinante.
Prese la foto e dopo averla impressa nella memoria, se la mise in borsa.
Guardò Mauro che per tutto quel tempo l’aveva osservata in silenzio e asserì:
“sì, ho trovato quello che mi serviva”
 
Arrivò davanti alla porta dell’appartamento della zia che erano quasi le sette. Aveva camminato moltissimo quel pomeriggio ma non si sentiva stanca.
Non aveva voglia di recuperare la chiave dalla sua borsa, l’impresa avrebbe richiesto troppo tempo, così suonò il campanello, aspettando che Pam accorresse ad aprirle.
Mentre attendeva la risposta, sentì dei borbottii strani provenire dall’interno e restò di sasso. C’era un che di furtivo in quei movimenti e di certo non si trattava di sua zia.
Il suo condominio non sorgeva in una zona raccomandabile e in passato, i furti erano stati una triste novità che aveva spezzato la routine degli inquilini.
“chi è che mi sta toccando il culo? Armin pervertito!”
Erin sgranò gli occhi, incredula e al contempo sollevata nel riconoscere dall’altro capo della porta, la voce di Rosalya.
“perché dovrei essere io scusa? Non vedo un tubo!” seguì la lamentela del moro.
“di certo non posso pensare che sia stato Alexy… e mio fratello tanto meno!”
“volete stare zitti? Guardate che ci sente!” si spazientì Iris.
Erin avvertì poi un bisbiglio e la voce allegra di Alexy che replicava:
“hai ragione Violet. Cosa aspetta Erin ad entrare?”
“sicura Iris che fosse la sua macchina quella che è appena arrivata?” intervenne la voce suadente di Lysandre.
“sì certo. Ci sono anche salita qualche volta. Non posso essermi sbagliata”
“qualcuno accenda la luce, mi sento un idiota a parlare immerso nel buio” sbottò Armin.
“solo quando sei al buio ti senti idiota?” lo sfottè Rosalya, assecondando la sua richiesta e convincendosi che si fosse trattato di un falso allarme.
Invece fu proprio quando la luce illuminò la stanza che Erin, trattenendo a fatica le risa, aprì la porta, lasciando spiazzati gli amici.
Tutti rimasero senza parole, sconvolti e delusi per la malriuscita sorpresa.
Erin continuava a sghignazzare felice mentre il resto dei presenti cercava di riprendersi dal fallimento del loro piano. A quel punto, si udì la vocina timida di Violet che, con scarsa convinzione, tentò un:
“sorpresa”
Dopo due secondi di perplessità, tutti scoppiarono in una risata fragorosa mentre l’artista avvampava per quell’uscita troppo audace per la sua personalità.
“Armin! Rovini sempre tutto!” lo rimproverò allegramente il fratello, abbracciando Erin per farle gli auguri a modo suo.
“non è colpa mia se Rosalya soffre di allucinazioni. Ti pare che vado a palpare un Cerbero del genere?”
Mentre Armin si riprendeva dalla violenta scazzottata, il resto degli amici circondò la padrona di casa.
“non potevate avere un’idea migliore ragazzi. Quindi, la festa di ieri era tutta una scusa?”
“esatto, sarebbe stato troppo strano che non festeggiassimo il tuo compleanno, così abbiamo preso tempo dicendoti che l’avremo rimandata a domani” spiegò Iris pimpante.
“e mi avete anche fatto credere che Armin fosse rotolato giù sulle piste” ridacchiò Erin.
“appunto! Ne vogliamo parlare?” protestò il moro visibilmente offeso “perché quando vi serve qualcuno che faccia la figura dell’impedito, scegliete sempre me?”
“perché sei il più credibile nella parte” lo zittì Rosalya con un’occhiata glaciale che tramutò istantaneamente in uno sguardo angelico verso la festeggiata.
“ci sono cascata come un’allocca” ammise quest’ultima.
“l’idea è stata di Lysandre” riconobbe Iris.
Erin si voltò, rivolgendo un sorriso complice al ragazzo:
“ne sai una più del diavolo tu. Sei uno stratega nato Lys”
Il ragazzo sorrise orgoglioso intuendo a quale precedente si riferisse la ragazza che la sorella stava trascinando davanti al tavolo:
“tua zia ci lascia casa libera fino a mezzanotte”
“sai dov’è adesso?”
“da Jason, anche se lui non è ancora arrivato” le annunciò la stilista, mentre il resto dei loro amici le circondava.
“allora, vuoi aprirli questi regali?” si intromise Alexy trepidante.
Il primo regalo che le capitò a tiro era quello di Violet e Lysandre. Erin lesse il bigliettino che la fece arrossire per la dolcezza delle parole usate dal poeta e si complimentò con l’artista per come l’aveva confezionato, usando la carta di riso. I due artisti avevano optato per un set di infusi, corredato da un infusore a forma di fiore.  
Dopo averli ringraziati, Erin passò poi al regalo dei gemelli:
“in realtà questo è solo da parte di Armin” si affrettò a precisare il fratello.
“ma se ci hai messo pure tu i soldi” obiettò il moro
“sì, ma non era quello che ti avevo detto di prendere! Mi rifiuto di regalare una cosa del genere ad Erin, prenditi tu la responsabilità! Io gliene ho fatto un altro”
Cogliendo l’espressione disorientata della ragazza, Armin si affrettò a tranquillizzarla:
“oh, lo adorerai Irina, vedrai!”
“non l’hai preso in un sex shop giusto?” si allarmò. L’ansia nella sua voce era tale che tutti scoppiarono a ridere, mentre il donatore borbottava indispettito.
“perché questa poca fiducia in me? I miei regali sono sempre una figata di originalità”
“è questo il problema” commentò Alexy. Erin nel frattempo aveva liberato il regalo dall’incarto e le sue mani si erano posate su della stoffa colorata
“è un costume?” chiese mentre cercava di sollevarla in tutta la sua lunghezza.
“è un costume per cosplay” spiegò elettrizzato Armin alla cui voce si sovrappose quella identica del fratello che ripetè le stesse parole ma con un’inflessione irritata.
La festeggiata sbattè le lunghe ciglia, incapace di aggiungere alcun commento mentre il moro aggiungeva:
“è il costume del personaggio di Irina! Così adesso puoi accompagnarmi alla fiera del fumetto di questa primavera”
“scordatelo” replicò fin troppo categorica e acida l’interessata “non vado in giro con questo coso” protestò.
“ma come? Io devo vestirmi da procione delle sette vie, se ci vado senza Irina sembrerò un idiota!”
Rosalya si morse la lingua per non dire l’ennesima cattiveria della giornata e tutti scoppiarono a ridere, mentre Armin le lanciava un’occhiataccia esaustiva.
“solo tu Armin puoi avere delle idee del genere” ridacchiò Iris.
“beh è carino” patteggiò Violet.
“te lo metti tu?” scherzò Alexy mentre l’artista scuoteva energicamente il capo.
Anche se stavano scherzando, Erin in quel momento si accorse che l’amico cercava di nascondere quanto in realtà avesse creduto a quel regalo. Nessuno dei suoi amici, nemmeno il fratello, sembrava aver notato che, dietro quell’aria bonaria, Armin celasse la propria delusione. Non voleva farsi vedere ferito, ma in fondo era così che si sentiva.
Erin si mordicchiò il labbro inferiore:
“beh, vediamo come mi sta” annunciò con ottimismo, mentre tutti la guardavano sorpresi, Armin per primo “del resto è carino con questa gonna bianca e nera. Ricorda un po’ le divise scolastiche giapponesi”
Lysandre e Violet furono i primi a interpretare il significato del gesto di Erin e le restituirono un’occhiata eloquente mentre la ragazza frugava nella confezione, facendo emergere una lunga parrucca color verde acqua, con dei lunghi capelli raccolti in due codini in alto.
“ahahah, voglio proprio vederti con quella!” squittì Iris elettrizzata.
Erin sparì nella sua stanza e dopo pochi minuti, apparve la personificazione della protagonista del videogame preferito di Armin: Irina.
Tutti scoppiarono a ridere e lei, Armin in modo più chiassoso degli altri e lei lo maledisse mentalmente per essersi lasciata impietosire dai suoi occhioni delusi di poco prima.
Irina scartò allora il pacchetto che le aveva allungato Alexy.
questo era il regalo che avevo detto di comprare” proferì il ragazzo, squadrando il fratello.
La festeggiata si trovò tra le mani un braccialetto in tessuto, composto da vari fili neri con appesi dei piccoli ciondoli metallici
“ho notato che hai sempre quel braccialetto addosso” spiegò Alexy, indicando quello al polso di Erin, inconsapevole di quanto fosse legata sentimentalmente a quel semplice oggetto “così ho pensato che ti piacessero i braccialetti”
“è bellissimo Al” confermò la ragazza, studiando uno ad uno i ciondoli appesi che l’amico si affrettò a giustificare:
“il quadrifoglio è il simbolo di buona fortuna, poi c’è questo ideogramma giapponese, un timone perché tu abbia sempre in mano la direzione che deve prendere la tua vita e un’ancora affinchè tu trovi un posto dove fermarti”
“sei un poeta Alexy” esplicitò Iris con ammirazione “questo discorso me lo aspettavo da Lysandre”
“in effetti mi ha aiutato lui a scegliere i ciondoli. Io ho scelto solo l’ideogramma”
Il ragazzo stava per aggiungere qualcos’altro, ma s’intromise Rosalya.
“e dulcis in fundo, i nostri regali!” esclamò impaziente, porgendo ad Erin due pacchi e alludendo a sé stessa e ad Iris. Il primo pacco era a forma di scatola bassa e larga e, come ben presto capì la ragazza leggendo il rating di età a cui era destinata, si trattava di una burla.
“d’accordo che mi piacciono le scienze” cominciò a brontolare divertita “ma… il piccolo chimico?” commentò, rendendo visibile la copertina della confezione.
Le amiche, dopo essersi gustate la reazione per quel regalo scherzoso, si prepararono all’ultimo pacco, che si rivelò essere un’originale borsa di una nota marca spagnola.
 
La serata trascorse in allegria, tra schiamazzi, battute e risate. Fortunatamente Miss Plum non si presentò a protestare per il chiasso ed Erin potè godersi la sua festa.
Aveva preso da parte Rosalya, chiedendole come fosse andata con Nathaniel ma l’amica aveva risposto facendole l’occhiolino e ricordandole che non era lei al centro dell’attenzione della sera.
La festeggiata si accontentò quindi di vederla serena, anche se rodeva dalla curiosità di conoscere i dettagli del loro incontro.
 
Mentre era impegnata in una conversazione con Iris e Armin, l’occhio di Erin cadde sulla borsa che aveva abbandonato sul divano. Pensò al suo contenuto, a quella foto che ardeva dalla voglia di rivedere.
Con una scusa, afferrò la borsa e si rifugiò in camera. Si chiuse la porta alle spalle e finalmente i suoi occhi tornarono a posarsi su quell’immagine.
Sorrise, maledicendo al contempo la sua fragilità e nascose quel prezioso rettangolo di carta nel primo cassetto della scrivania.
Tornò con il resto dei suoi compagni, passando per la cucina, dove incrociò Alexy, intento a prendersi un bicchiere d’acqua.
“siete stati così teneri a fare tutto questo per me” commentò Erin, appoggiandosi contro il ripiano della cucina.
“era il minimo dopo tutto quello che hai fatto per noi”
La ragazza lo guardò senza capire, mentre Alexy riponeva il bicchiere nell’acquaio.
Nonostante l’ampia scelta di bevande alcoliche e non che avevano portato nell’appartamento, il ragazzo continuava a preferire l’acqua del rubinetto.
Dal salotto provenivano le voci allegre dei loro amici e il gemello si accorse dell’espressione malinconica della festeggiata.
Senza distogliere lo sguardo da un punto imprecisato, la ragazza mormorò d’un tratto:
“ti è mai capitato di sentirti solo in una stanza piena di persone?”
L’amico la guardò con intensità, poi le sorrise pazientemente.
“ti manca Castiel?”
“più di quanto vorrei”
Il ragazzo le si avvicinò e le prese la mano, ruotando il braccialetto che lui stesso le aveva regalato quel giorno.
“questo è stato l’unico ciondolo che ho scelto senza l’aiuto di Lys” esordì, indicando il simbolo giapponese composto da due linee oblique “lo sai perché ho scelto questo ideogramma?” domandò retorico.
“in giapponese significa persona: sono due linee che si sorreggono, perché nessuno può essere una persona senza che nessuno sia al suo fianco e lo sorregga”
“è un bellissimo significato Alexy”
“e quindi” proseguì “ti auguro di trovare quel tipo di persona che ti faccia sentire completa Erin”
L’amica sentì il cuore riempirsi di commozione, colpita per la sensibilità del ragazzo.
“… poi vabbè, il fatto che Castiel abbia lo stesso simbolo tatuato dietro all’orecchio non c’entra assolutamente nulla” concluse con un’espressione birichina.
Erin sgranò gli occhi esterrefatta:
“non mi ero mai accorta che avesse un tatuaggio!”
“beh è piccolo e comunque è sempre nascosto dai capelli. È stato lui a spiegarmi il significato dell’ideogramma”
“non lo facevo così poetico”
“è piena di sorprese la nostra Ariel” ridacchiò Alexy mentre invitava l’amica a tornare in salotto con tutti gli altri.
Quelle parole trovarono l’appoggio di Erin che però solo in futuro scoprì quanto fossero vere.
 
Verso mezzanotte, dopo aver aiutato l’amica a riordinare la stanza, i ragazzi lasciarono l’appartamento di Pam, soddisfatti della riuscita della serata.
Erin si tolse finalmente il costume, che raggiunse la parrucca alla quale aveva rinunciato già da qualche ora. Mentre avviava la lavastoviglie, si chiese se la zia sarebbe tornata da lei, oppure se avrebbe passato la notte da Jason.
Buttò l’occhio sull’orologio e scoprì che erano le 23.56. Ancora quattro minuti e non sarebbe stato più il suo compleanno.
Riluttante, controllò il cellulare, ma nessun altro messaggio si era aggiunto a quelli che aveva ricevuto dagli amici.
Le bastava anche solo un “auguri”, che testimoniasse il fatto che lui si era ricordato di lei.
Il campanello suonò e a quel punto il suo cuore avviò un battito impazzito.
“non può essere lui” cominciò a ripetersi ossessivamente “non può essere lui”
Nonostante la convinzione con cui quelle parole uscivano dalla sua bocca, la ragazza non riusciva a ignorare la speranza che, una volta aperta quella porta, si sarebbe trovata di fronte… lui. Perché ora che aveva finalmente aperto gli occhi, anche solo pronunciare mentalmente il suo nome, le faceva venire i brividi.
Portò la mano sulla maniglia e sospirò, cercando di prepararsi psicologicamente alla delusione.
Tuttavia, nonostante la razionalità con cui cercava di dominare i suoi istinti, quando vide la figura di Jason, il viso di Erin manifestò una cocente frustrazione.
L’orologio ormai segnava le 23.58.
“scusami se vengo ora” tagliò corto il ragazzo in difficoltà “ma ho preferito aspettare che uscissero i tuoi amici”
“non preoccuparti, anzi sono contenta che tu sia venuto: volevo ringraziarti per il regalo” lo tranquillizzò la ragazza, accantonando a fatica il rammarico.
“sono qui per questo” disse il veterinario, allungandole uno scatolone che teneva in braccio. Solo allora la ragazza spostò l’attenzione sul voluminoso contenitore di cartone che Jason teneva tra le mani.
Confusa, obiettò:
“un altro regalo? Ma me l’hai già fatto Jason, non serviva!”
“infatti non è da parte mia” spiegò l’uomo mentre Erin sbirciava il contenuto.
Il veterinario poggiò a terra lo scatolone e osservò compiaciuto la figura della ragazza che si chinava, nel tentativo di scoprire cosa celasse al suo interno.
I suoi occhi verde scuro incrociarono quelli tondi e impauriti di un micetto dal pelo rosso.
“è stata un’idea di Castiel… cioè, questo regalo è da parte di Castiel”
Erin sollevò lo sguardo verso il veterinario, tenendo le labbra socchiuse.
L’orologio aveva appena segnato la mezzanotte.
“è venuto a cercarmi il giorno dopo il concerto. Settimane fa gli chiesi se voleva un gatto e mi ha chiesto di regalarne uno a te per oggi. Ha pagato lui tutte le spese, ha già acquistato una cuccia e una lettiera solo che le ho dimenticate nel mio studio… ma te le porto domani” si affrettò ad assicurarla l’uomo, esprimendosi in modo concitato.
La ragazza lo ascoltava a fatica: il suo interesse era calamitato da quella morbida massa di pelo che, appena aveva incrociato i suoi occhi, aveva incominciato ad emettere dei versetti rauchi e di una tenerezza commovente.
Con la maggior delicatezza possibile, la ragazza allungò la mano all’interno dello scatolone e, cercando di non spaventare troppo la bestiolina, riuscì ad afferrarla delicatamente.
Sotto quel batuffolo aranciato, sentì l’impalcatura della gabbia toracica e la presenza di uno scheletro sottile. Quella creaturina era un concentrato di tenerezza e fragilità che risvegliavano in lei un insospettabile istinto materno.
Degli artigli ancora troppo piccoli per ferire, cercavano di aggrapparsi tenacemente al tessuto del maglione, diffidando di quelle braccia umane.  
“è una femmina” le spiegò Jason “spero ti piaccia”
Erin annuì commossa, mentre la gattina, ancora stretta nel suo amorevole abbraccio, miagolava affamata.
Jason allora le diede qualche suggerimento da esperto del settore e, dopo essersi assicurato che la nuova padrona non avesse bisogno di altro, tornò dalla sua Pam che lo stava aspettando in appartamento.
Erin rientrò in salotto, tenendo in mano il regalo più bello della giornata.
Amava i gatti e il fatto che Castiel se ne fosse ricordato era sufficiente a farla volare a un metro da terra.
 
Mentre la gattina divorava una fetta di prosciutto che Erin aveva precedentemente sminuzzato, la nuova padrona la guardava innamorata.
Sin da quando aveva scoperto chi fosse il mittente di quel dono, aveva deciso quale sarebbe stato il nome dell’animale:
“benvenuta in casa Travis… Ariel
 
 




 
NOTE DELL’AUTRICE
 
Ecco uno di quei capitoli a cui tengo particolarmente ^^. Perché? Beh perché rientrano tra quei capitoli che ho in testa sin da Aprile, quando ho cominciato questa fic.
Diciamo quindi che questo è stato un capitolo pensato a lungo e che, più o meno, corrisponde all’idea che avevo mesi fa, tranne per la presenza di Leti e il dialogo con Violet.
Quanto a Leti, ero partita con un’idea e cioè quella di parlare di quelle amicizie che si perdono nel tempo e nello spazio, quei rapporti che si lasciano affievolire perché non si fa il tempo (o la voglia) di tenere in piedi… ma non so come sono arrivata a tirar fuori la scoperta dell’amore tra ragazze XD
Comunque, prima di arrivare a Morristown, Erin aveva comunque un suo passato e Leti rientra in questo ma il fatto che non possano vedersi quotidianamente, ha messo in bilico un’amicizia già fragile.
Cosa ben diversa con il suo rapporto con Castiel: lo vedrà tra mesi eppure non riesce a dimenticarsi di lui, anzi, spero che questo capitolo sia stato abbastanza malinconico, perché l’idea era quella u.u.
Penso che in questo capitolo la mia Violet abbia dato il meglio (brava tesoro, la tua mammina è proprio orgogliosa di te^^).
Altra scena a cui sono affezionata, è quella di Demon ed Erin che si consolano a vicenda. L’ho riciclata da una vecchia storia (sono una narratrice ecologista u.u) che scrissi anni fa, dove in quell’occasione era il gatto della protagonista a deporre l’ascia di guerra con il ragazzo di cui era innamorata la sua padroncina.
 
Ho volutamente lasciato in sospeso l’incontro Rosalya – Nathaniel… ne riparleremo al prossimo capitolo ;).
 
Poi vabbè c’è una parte, quella in cui Erin si risveglia a Morristown, in cui si parla della sveglia che suona… ecco… è una frase copiata dall’incipit della storia (ultimamente mi sento nostalgica u.u).
Sono curiosa di sentire cosa pensate della lettera che Erin ha scritto (e gettato via) per Castiel (AAHAHA mi viene da ridere solo a pensare cosa ritroverò in alcune recensioni XD).
 
Ultima cosa e poi vi lascio, giuro.
Da qualche giorno rompo le palle un po’ a caso ad alcune di voi per avere un feedback circa un’ideuzza bislacca che mi è venuta.
Scambiando dei messaggi con alcune di voi sulla storia, ho pensato a fare una OS che sia una sorta di intervista all’autrice e ai personaggi.
Premetto che il genere sarà demenziale, quindi non aspettatevi risposte serie (specie da parte di certa gente come Castiel che in via eccezionale farò venire apposta dalla Germania u.u) quindi, se volete assecondare la mia pazzia, sbizzarritevi ^^)
Alla fine selezionerò alcune delle domande che (spero) arriveranno, per ora vi faccio un esempio di alcune che mi sono già state recapitate:
 
Per Castiel
  • Qual è il voto migliore che hai preso?
  • Allora, come abbiamo potuto constatare dalla storia, la cattiva sorte (alias RandomWriter) ti ha scelto spesso come suo bersaglio preferito. Come ti senti a riguardo? Credi ci sia qualche spiegazione possibile a questo fenomeno? 
 
Per RandomWriter:
  • Quale personaggio della tua storia ami particolarmente descrivere? E quale ti piace di più?
  • Come ti è venuto in mente il personaggio di Erin e la sua storia?
 
Le domande le pubblico anonime, ma cercherò di selezionarle in modo da sceglierne almeno una per utente, poi ovviamente dipende tutto da quante richieste arrivano ;) (nel senso che considero anche l’eventualità che non ne arrivino altre XD). Diciamo che la scadenza è per il 16 novembre e poi da lì, userò il materiale che mi è arrivato.
 
Ok è tutto, grazie per l’attenzione e per aver letto il capitolo^^. Alla prossima!
 

 
 
 
 
 
  
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