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Autore: Alkimia    21/10/2008    4 recensioni
Una mia personalissima idea di come potrebbe continuare la storia del Fantasma dell'Opera, la fanfic comincia dove il film si interrompe, la sera del Don Juan. Erik è in fuga dopo l'addio di Christine ma alcuni incontri imprevisti gli mostreranno la prospettiva di una nuova esistenza, perchè anche il Figlio del Diavolo ha diritto a una vita normale...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VENTIDUESIMO

Ci riusciva tanta gente, praticamente ogni essere umano sulla faccia della terra, perché non avrebbe dovuto riuscirci anche lui? A questo pensava Erik tenendo sottobraccio il suo violino e il suo quaderno da musica, mentre in tasca teneva il biglietto con l'indirizzo della tenuta della marchesa. Ci riuscivano tutti, ce l'avrebbe potuta fare anche lui, bastava mettere un piede davanti all'altro e fare come se si volesse spingere via il suolo. Camminare non era poi così difficile. Camminare per le strade di una città non era tanto diverso dal passeggiare nei dintorni del circo.
Il mondo non poteva più fargli del male ora che era un uomo.
Erik ripeté a sé stesso questo pensiero ma sentì un dolore bruciante percorrergli la schiena, lì dove tanto tempo prima aveva ricevuto frustate e colpi di bastone.
Il mondo non era cambiato, non era pronto ad affrontare la diversità.
Forse era meglio lasciar perdere, forse era il caso di rifiutare la proposta della marchesa e non andare da lei. Forse era il caso di non vedere mai più quella donna, tanto da lì dieci giorni il circo avrebbe lasciato Parigi e lei non sarebbe più tornata a perseguitarlo con la sua sfrontatezza. E non avrebbe più sentito la voce di quella bambina che lo chiama il “suo Angelo”.
Non era un vigliacco, non si era mai nascosto per mancanza di coraggio, si era nascosto per difendersi, per sopravvivere. Era cresciuto nell'idea che solo restando nascosto avrebbe potuto sopravvivere, e così era stato, prima da solo nei sotterranei del teatro e poi tra le tende del circo insieme a quella gente. La libertà che il suo aspetto gli aveva negato gli pesava meno di quanto pensasse ora che avrebbe dovuto uscire dal suo nascondiglio. Gli era capitato in passato di uscire alla scoperto, ma solo a notte fonda, quando la città dormiva e per strada c'erano solo altri rinnegati come lui.
Aveva paura, semplicemente. Non c'era molto da fare. Poteva rinunciare, era nel suo pieno diritto mandare al diavolo la marchesa e la sua marmocchia petulante. Ma poi?... poi non gli sarebbe rimasto nessun ricordo bello per affrontare il futuro, perché qualcosa dentro di lui gli faceva presagire che avrebbe incontrato molte cose belle da ricordare se non si fosse negato quella possibilità.
Erik sospirò, si frugò nelle tasche per cercare il biglietto con l'indirizzo e lo rilesse.

Stupido, è solo un modo per perdere tempo, conosci a memoria quell'indirizzo...

“Coraggio- mormorò a sé stesso- ci riescono tutti gli altri, posso riuscirci anche io!”.
Erik fece qualche passo, allontanandosi lentamente dagli alloggi del circo, piano, come per lasciarsi la possibilità di abituarsi all'idea o di tornare indietro nel caso si fosse reso conto che era qualcosa di più grande di lui. Ma dopo una decina di minuti si rese conto che alle sue spalle non si vedevano più le tende e i carrozzoni del circo e davanti a lui si disegnavano già i tetti delle case di Parigi.
Non c'era bisogno di attraversare tutta la città, la casa dei De Valois non era nel centro cittadino, e quando dopo quasi mezz'ora di cammino trovò quello che cercava si lasciò scappare un sospiro di sollievo: Erik, l'uomo non il Fantasma, ce l'aveva fatta, ottenendo molto di più di quello che aveva avuto quando un intero teatro era sottoposto al suo comando.
Oltrepassò il cancello e il giardino, arrivando davanti al portone d'ingresso della villa, di certo non aveva intenzione di passare da qualche entrata secondaria come l'ultimo dei servi. Bussò energicamente alla porta e attese, dopo pochi secondi un'anziana domestica gli venne ad aprire.
La donna lo guardò con aria perplessa soffermandosi stupita a guardare la sua maschera. Tutte le persone che aveva incrociato per strada l'avevano notata, ma sembrava gli dessero meno peso di quanto lui aveva sempre pensato, in fondo Parigi era una grande città e di gente bizzarra in giro ce n'era abbastanza da rendere un uomo mascherato meno interessante di quanto si potesse credere.
Colette si concesse ancora qualche secondo per mettere a fuoco la figura dell'uomo. A parte la strana maschera che portava, ciò che colpiva maggiormente erano i suoi occhi chiari, lo sguardo austero e glaciale che lanciavano e che era reso ancora più impressionante dalla sua figura imponente ma non priva di una certa eleganza. La domestica non seppe nemmeno decidersi se considerarlo bello o brutto, di certo le appariva strano.
“Ehm... cosa posso fare per voi, monsieur?” chiese lei incerta
“La marchesa mi sta aspettando, sono il maestro di musica di Vivianne” rispose l'uomo, il suono della sua voce era forse più impressionante del suo aspetto, aveva un tono caldo e carezzevole e allo stesso tempo deciso e fermo.
Colette sbatté le palpebre in un'espressione perplessa,
“Ah... siete voi” mormorò spostando lo sguardo sulle mani che reggevano il violino, quelle dita erano inequivocabilmente quelle di un musicista.
Erik chinò leggermente il capo in avanti, chiedendosi quando la vecchia si sarebbe decisa a farlo entrare, poi oltre le spalle della cameriera vide comparire una figura familiare.
“Non avevo dubbi che sareste stato di una puntualità impeccabile!” esclamò la voce di Diane,
solo allora Colette si decise a spostarsi e fare largo al musicista che entrò in casa e si diresse verso la marchesa,
“Buon giorno madame” mormorò semplicemente.

Un uomo, nient'altro. Come poteva Diane provare paura o risentimento? Eppure aveva ucciso, eppure aveva manifestato la più ceca pazzia, la più malsana ossessione. I pensieri ricorrenti che l'avevano assillata in quei giorni tornarono prepotenti ad assediarle la mente nel preciso istante in cui Erik aveva messo piede in casa sua.
Temerne la spietatezza o ammirarne la passione, per quanto cieca e folle aveva potuto essere?
Gli occhi di Erik erano un po' meno tristi, ma lasciavano ancora vedere quanto tormento si celasse nella sua anima.

“Madame, vi sentite bene?” la voce dell'uomo la strappò alle sue riflessioni,
“Si... benvenuto monsieur” rispose prontamente lei sforzandosi di sorridere,
“Bene. Dov'è Vivianne?”
“La governante sta finendo di prepararla, è sempre una faticaccia cercare di vestirla e pettinarla, tentare di prepararla come si deve”
“Come si deve? Perché, cosa c'è da preparare in vostra figlia? È una bambina, è perfetta così com'è” asserì Erik
“Ah, per carità, non fate mai un'affermazione del genere davanti a lei, potrebbe svenirvi tra le braccia, è così civettuola!”
“Non credo lo sia, è una bambina a cui piace sentirsi amata... come tutti i bambini, immagino”
Diane accennò un sorriso
“Cosa vi rende così loquace?- chiese sarcastica- forse è perché non siamo all'aperto, preferite i luoghi chiusi voi, ho indovinato?”
Erik arricciò le labbra
“Che razza di domanda è?” borbottò
“Niente, non fateci caso, dicevo per dire. Comunque, venite di là, vi mostro il pianoforte”
Diane posò delicatamente una mano sul braccio del suo ospite, attraversò l'ampia sala di ingresso della villa e lo condusse nel salone.
Erik si guardò intorno, non aveva mai visto una vera e propria casa, ad eccezione di quella di Madame Giry, e si stupì di quanto una villa nobiliare fosse piena di spazio inutilizzato. In quella casa vivevano solo la marchesa e sua figlia, insieme ai domestici, cosa se ne facevano di soffitti così alti, di così tanti divani e poltrone, di tutte quelle porte che immettevano in altre camere tutte vuote?
L'uomo guardò di traverso la marchesa che camminava accanto a lui, tenendolo per il braccio. Dunque non era necessario un volto deforme per essere condannati alla solitudine? Dunque esistono prigioni più belle e più ariose dei sotterranei del teatro?
“Eccolo” disse Diane indicando il pianoforte a coda posizionato al centro della stanza poco lontano dal camino, Erik si avvicinò allo strumento e lo osservò
“Ma è nuovo!” esclamò
“Si, lo ha comprato mio marito un paio di anni fa, ma né io né lui sappiamo suonare, lo teniamo solo per farlo suonare a qualche ospite durante le feste” spiegò la marchesa
Erik sollevò il coperchio che proteggeva la tastiera e provò qualche accordo
“Ha un buon suono, è un ottimo strumento, madame, vostro marito sa scegliere bene a quanto pare” disse
Diane ridacchiò
“Non so se è un modo implicito per farmi un complimento, ma io lo prenderò come tale” rispose
“Ah già, quasi dimenticavo la vostra sfrontatezza, alla quale dovrei aggiungere anche un po' di immodestia forse” mormorò Erik senza scomporsi
“Volete dire che non merito un apprezzamento galante per quanto velato?”
“Non è mia abitudine fare apprezzamenti sulle donne, specie sulle donne sposate. E comunque una bella donna non credo abbia bisogno di sentirselo dire”
Diane si concesse un'altra risata
“Dite? Allora si vede che conoscete poco le donne!” esclamò guardando divertita il suo interlocutore,
lui scrollò le spalle
“Detto così non mi sembra un complimento” commentò in tono piatto
“Le donne sposate non fanno complimenti ad altri uomini” rispose prontamente la marchesa
Erik incassò il colpo, l'ennesimo ricevuto da quella donna che avrebbe potuto persino essere adorabile nella sua furba sfacciataggine.
“Raccontatemi di voi” disse all'improvviso Diane, cogliendolo assolutamente impreparato
“Immagino che sia inutile ricordarvi che il vostro invadente interessamento è fin troppo audace per una donna sposata- rispose lui quasi con ironia- non c'è molto da sapere su di me”
“Io invece credo di si”,
la donna lo guardò negli occhi in uno dei rari tentativi riusciti di sostenere il suo sguardo, c'era una strana severità nel modo con cui lo stava guardando ed Erik dovette accorgersene perché corrugò lievemente la fronte in un accenno di perplessità, ma subito l'espressione di Diane divenne scanzonata,
“A dire il vero, più che sapere voi chi siete, mi interessa sapere cosa deve fare qualcuno per ottenere la vostra fiducia” aggiunse, facendo suonare quella frase come una battuta detta per caso
“Non so cosa possiate farvene della mia fiducia” ribatté Erik con durezza, tornando serio quando fino a pochi secondi prima sembrava si stesse lasciando andare
“Con la fiducia si può fare tutto, ad esempio io vi ho dato la mia fiducia permettendovi di venire in casa mia e di insegnare a mia figlia e voi ora potreste fare di tutto”
“E che cosa potrei mai avere intenzione di fare, secondo voi?”
“Tradire la fiducia che vi ho accordato, in qualsiasi maniera. Ci sono così tanti modi per farlo”
“Ditemi, tutto questo discorso è forse un modo per rimproverarmi del fatto che ho eluso la vostra richiesta di raccontarvi di me?” chiese Erik, mentre gli occhi tornavano a brillargli di quella strana ferocia che rendeva così tagliente il suo sguardo. Si sentiva spalle al muro, gli capitava spesso con Diane ed era una sensazione che non gli piaceva... non gli piaceva perché temeva che prima o poi la marchesa sarebbe riuscita a farlo cedere.
“Pensandoci bene- disse Diane, continuando a mantenere l'aria tranquilla di chi stava parlando giusto per ingannare l'attesa- non mi interessa nemmeno sapere chi siete”
“Ah no?”
“No, lo so già...”.
La marchesa proferì quell'ultima breve affermazione in un sussurro appena percettibile, lanciando verso Erik un altro sguardo pieno di un'incomprensibile durezza. L'uomo sussultò, non era certo di aver udito bene, né di aver compreso il senso di quelle parole, ma non ebbe tempo di fare domande, perché in quel momento arrivò Vivianne che gli corse incontro con entusiasmo.
“Che bello che sei qui!” esclamò abbracciando quello che sarebbe stato il suo maestro
Erik cercò di togliersi dalla mente le ultime parole scambiate con la marchesa e accarezzò la testa della bambina.
“Molto bene, ora che siamo tutti felici e contenti... spero vivamente che lo sia anche il nostro maestro- esclamò Diane- vi lascio alle vostre lezioni”
“E tu mamma che farai?” domandò la bambina senza accennare minimamente a volersi staccare da Erik
“Me ne starò nel salotto qui accanto a leggere un buon libro. In quanto a voi, monsieur, spero che mia figlia non si riveli un'allieva troppo indisciplinata, in caso contrario siete autorizzato a far cadere accidentalmente il coperchio della tastiera sulla sue belle manine. Buona lezione”
ciò detto Diane si allontanò in silenzio, Erik la seguì con lo sguardo e si rese conto di sentirsi smarrito e confuso come non lo era mai stato in vita sua. Fortunatamente avrebbe frequentato quella casa solo per un paio di settimane, e magari anche meno, altrimenti quella donna lo avrebbe fatto impazzire!

“Non c'è bisogno di farmi male alle mani, prometto che sarò buona” disse Vivianne quando sua madre fu andata via, poi corse a sedersi sullo sgabello davanti al pianoforte
Erik si inginocchiò per arrivare alla sua altezza e le prese il mento tra l'indice il pollice
“Ti svelo un piccolo segreto, Vivianne- mormorò- non farei male alle tue belle manine in ogni caso”
la bambina ridacchiò
“Ma questo- precisò Erik rimettendosi in piedi- non significa che tu non debba essere buona!”
“Sarò più buona di Gesù Bambino, promesso!”
l'uomo le concesse un mezzo sorriso, poi si mise a camminare attorno al pianoforte cercando un modo per cominciare, avrebbe dovuto cercare di farle imparare tutti i nomi delle parti di cui è composto un pianoforte, ma se si fosse messo lì a farle un elenco di nomi da imparare di certo la bambina avrebbe cominciato a trovarlo meno affascinante di quanto aveva fatto fin'ora, così decise di cominciare direttamente dalle note e dalla tastiera, tutte le nozioni tecniche avrebbe avuto modo di impararle più in là e poteva farlo benissimo da sola. Erik sapeva che era controproducente fare da maestro alla bambina per una sola settimana, tanto lei si sarebbe trovata presto ad avere a che fare con un nuovo insegnante, ma le ragioni che aveva spinto la marchesa a scegliere lui per quei primi giorni erano abbastanza comprensibili: Diane voleva che sua figlia si appassionasse alla musica e cominciando con quell'uomo che adorava sarebbe stato più facile, quindi tanto valeva mostrare alla piccola la parte più affascinante di ciò che avrebbe imparato.
“Non arrivo con i piedi su quei cosi” disse la piccola con aria preoccupata indicando i pedali davanti a lei
“Non ti preoccupare, per ora quelli non ci servono” spiegò Erik
“Si ma cosa sono?”
“Sono i pedali che servono a far cambiare il suono, ma sono l'ultima cosa che hai da imparare, ora fammi posto”,
Erik si sedette sullo sgabello al posto di Vivianne, poi fece sedere la bambina sulle sue gambe e le mostrò le sue mani,
“Guarda Vivianne, le dita, quando suono il pianoforte devono posarsi in questo modo sui tasti...” le spiegò arcuoando leggermente le dita e mostrandole come farle cadere sulla tastiera, premette dei tasti che diedero una nota il cui suono si sparse quasi rimbombando nella grossa sala vuota,
“Questa nota che hai sentito è un LA, è una nota molto importante perché serve per accordare gli strumenti, è un punto di riferimento”
“Cosa vuol dire accordare?” domandò la piccola
“Significa sistemare uno strumento in modo che sia intonato perfettamente, se non lo fosse le note non suonerebbero bene e poi non potrebbe suonare insieme ad altri strumenti- disse Erik- vedi, le parti di cui è fatto uno strumento, soprattutto le parti che gli permettono di suonare, si consumano o possono cambiare e quindi c'è bisogno di regolarle in modo che mantengano sempre le note perfette”
“Anche con il violino?”
“Si, con il violino si tendono le corde grazie a quelle piccole chiavette in fondo al manico”
“E con il pianoforte?” domandò Vivianne sempre più interessata
“Bhe per il pianoforte ci sono dei martelletti che toccano delle corde che a loro volta producono il suono... ma questo te lo farò vedere un'altra volta magari, ora torniamo a noi...”.

“E' da non credere” mormorò Diane scuotendo il capo.
Stava osservando la scena da una porta socchiusa alle loro spalle. Sua figlia ed Erik, lei era tranquilla e attenta più di quanto lo fosse mai stata e lui... lui era disarmante per la calma e la competenza, per la pazienza che stava usando con la bambina, era quasi dolce.
“Il Fantasma dell'Opera...- mormorò la marchesa- quell'uomo! Faccio sinceramente fatica a crederlo...”
ma poi ricordò del racconto di Christine, lei le aveva detto che la voce le aveva dato lezioni di canto ed era stato un ottimo maestro. Forse non era così stupefacente che Erik fosse tanto capace di trattare con i bambini, eppure aveva vissuto una vita intera lontano da tutti!
Diane sospirò, era davvero triste pensare che, qualunque fossero stati gli errori commessi da quell'uomo, lui forse non avrebbe mai avuto una famiglia e dei figli suoi.
E ancora una volta la marchesa si ritrovò a chiedersi cosa poteva mai esserci dietro quella maschera di tanto orribile.

Quando Erik annunciò che la lezione era terminata Vivianne si lasciò scappare un'espressione triste. Diane li raggiunse nel salone,
“Avete avuto bisogno di chiuderle le dita nel coperchio molte volte, monsieur?” chiese scherzosamente
“Nemmeno una, madame” rispose lui lanciando alla bambina uno sguardo complice.
“Ci vediamo domani Vivianne” concluse Erik
“Vi accompagno alla porta” disse Diane avviandosi verso l'uscita,
arrivati davanti al portone l'uomo la guardò beffardo e incrociò le braccia sul petto
“Lo so che mentre io e vostra figlia eravamo al pianoforte voi stavate origliando, madame- mormorò con aria saputa- dunque non è poi vero che vi fidate di me”
la marchesa sospirò
“Non vi spiavo perché non mi fido di voi, vi spiavo per cercare di conoscervi meglio” rispose
“Uhm, e pensare che mi era parso che aveste detto che sapete già chi sono”
“So che il mio giardiniere è un giardiniere, ma non so che tipo di persona è”
Erik dondolò il capo
“Si, va bene, mi arrendo!” ammise alzando le mani in segno di resa
Diane rise,
“Non sarebbe la prima volta” rispose sarcastica
“Bhe, voi siete una donna che ama parlare e io un uomo di poche parole, non c'è da stupirsi che con la dialettica siate più brava di me”
“E' vero, ma resta il fatto che vinco sempre io”
“E allora non mi resta che sperare che vincere così facilmente diventi noioso e la smettiate” concluse Erik
“Non vedo dove sia il problema, tra due settimane partirete e non credo ci rivedremo” disse lei
“Esatto. Ora devo tornare, madame, vi auguro buona serata”
“Altrettanto... e... Erik, grazie”.

*

Alain accarezzò il muso del mulo che stava brucando l'erba accanto a lui. A breve Erik sarebbe tornato, chissà come era andato il pomeriggio a casa della marchesa.
Il ragazzo si raggomitolò contro una roccia che sporgeva dal terreno prendendo le gambe tra le braccia. Si sentiva uno sciocco, avrebbe dovuto capirlo da solo che c'era qualcosa di terribile nel passato di quell'uomo, di una persona così burbera e malinconica, così poco disposta a parlare di sé. Doveva immaginare che il fatto che Erik portasse sempre la maschera non era un voto come lui gli aveva raccontato. Doveva arrivarci da solo, ma lui era figlio di una vecchia mentalità che credeva che se una persona fosse più brava di un'altra allora ne veniva di conseguenza che fosse anche più buona, ed Erik era infinitamente migliore di lui sotto tanti punti di vista, eppure il racconto di quella donna, di quella cantante, non lasciava spazio ad equivoci: era stato crudele e spietato, e per cosa poi? Per un capriccio...
Era cattivo. Lo era davvero? Possibile che non ci fossero spiegazioni migliori per la vicenda del Fantasma dell'Opera? Possibile che non ci fosse un motivo valido dietro a tutta quella follia? No, non c'era, se ci fosse stato Erik avrebbe raccontato la sua storia, ammesso le sue colpe e illustrato le sue giustificazioni. È così che agisce un uomo di coscienza, un uomo giusto, perché al mondo dopotutto esistevano solo gli uomini giusti e gli uomini cattivi. Ed Erik non era stato né coscienzioso né giusto, era stato un vigliacco! E soprattutto, gli aveva mentito e gli aveva nascosto ogni cosa, a lui, proprio a lui che gli aveva sempre voluto bene, che era stato suo amico.
Alain non riusciva a farsene una ragione, a capire perché quella delusione così cocente fosse toccata proprio a lui che era sempre stato buono con tutti.
In quei giorni il ragazzo non riusciva a ritrovare il suo buon umore e la sua spensieratezza, era pieno di dubbi, di angosce. Si chiedeva cosa fosse giusto fare, se consegnare Erik alle autorità o se fingere di non sapere e dimenticare. In quei giorni lo aveva evitato, ma per quanto poteva continuare a farlo? E più di tutto, Alain si sentiva in dovere di pensare alla sua famiglia, non poteva pensarla al sicuro con un assassino in mezzo a loro. Ma allo stesso tempo non sapeva se avrebbe mai trovato la forza di tradire Erik.
Il ragazzo era perso in queste riflessioni quando vide da lontano il musicista che rientrava. Decise che era meglio non farsi trovare, nemmeno quel giorno si sentiva pronto ad affrontarlo, del resto cosa avrebbe dovuto dirgli?

Erik non fece caso ad Alain che si alzava dall'angolo di prato in cui era seduto e si dirigeva verso la sua tenda, cercando di non farsi vedere. Era sovrappensiero. Pensava al pomeriggio appena trascorso e alle parole della marchesa:

... Non mi interessa sapere chi siete, lo so già...

Si sedette su una sedia e ripose il violino e il quaderno.
“Lei lo sa” disse a sé stesso, convinto della soluzione a cui i suoi ragionamenti erano giunti.
Diane sapeva, non poteva essere altrimenti, del resto lui l'aveva sempre trovata una donna intelligente e in quanto tale non avrebbe potuto non capire...
Una strana agitazione si impadronì di lui. Si stava forse cacciando nei guai? Perché la marchesa non lo aveva denunciato? Possibile che lei fosse così comprensiva? Al punto da permettergli di frequentare casa sua?
Era del tutto irrazionale.
“E' completamente pazza... pazza almeno quanto me!” si disse Erik, scoprendo che il suo cuore aveva preso di colpo un ritmo strano. L'uomo si promise che prima di andare via da Parigi avrebbe parlato con quella donna e cercato di capire cosa l'aveva spinta a comportarsi in quel modo sconsiderato.
Ma in effetti lui non le aveva fatto del male, e non avrebbe mai e poi mai creato il minimo dispiacere a lei o alla bambina, e quella donna non aveva niente da temere da lui. Come avrebbe potuto nuocere loro, erano così...

... così care...

“Così care...” si disse deglutendo nervosamente, quasi infastidito dal non riuscire a trovare niente dalla sua antica ferocia nei suoi pensieri per Diane e sua figlia.
“No, sono più pazzo io!” borbottò tra sé e sé Erik passando una mano sulla maschera, come se all'improvviso avesse sentito il bisogno di ricordarsi chi era... e cosa era stato.
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Eccoci qui... pensieri... mondi che si toccano... chissà cosa ne verrà fuori (non è una battuta sadica, fino a poco fa non lo sapevo neanche io, non so se ve l'ho già detto ma di recente ho cambiato idea per la trama della fanfiction, quindi sono ancora incerta anche io su come andranno le cose).
Spero che vi piaccia, non sono brava con questo genere di cose, non lo dico per dire... (in particolare il dialogo tra Erik e Diane...spero non suoni troppo "moderno" della serie "oh ma quello\a ci sta provando!!!")
Chiedo scusa per la maldestra lezione di musica, non è il mio campo.

Per Anto: Ebbene no, nemmeno in questo capitolo ti sarà servito il valium immagino. Magari solo un pò di insulina XD Sapevo che avresti apprezzato la poesia ^^ Comunque, Diane non strozza Christine perchè infondo Diane "non è una di noi" ahahah... faccio uno sfozo immane ogni volta che devo farle incontrare, cerco di ricordarmi "Diane non sei tu, non farle uccidere Christine sennò la storia come la porti avanti?!?!?"... Grazie tesòòò per la recensione, al prossimo capitolo e ai prossimi scleri messengeriani XD

Per Monipotty: Christine e Erik... bhe prima o poi si rincontreranno... ma poi poi poi... XD Sono contenta che il personaggio della marmocchia continui a piacervi, io non sono una grande esperta di bambini e ho sempre paura di fare qualche pasticcio.

Per Yuko_chan: Grazie per aver recensito e per i complimenti... oddio, ma allora mi spiate nell'ombra prorpio come il Fantasma O_O Scherzi a parte, spero che la storia si mantenga all'altezza delle tue aspettative, fino alla fine (e non è che ci manchi molto XD)

Per Bloodred_rose: Grazie davvero per quello che mi hai scritto, sono ocntenta che la storia non vi stia annoiando, condierando che questi sono tutti capitoli di passaggio. L'apocalisse è in agguato... dalla fine del prossimo capitolo in poi, promesso (spero solo che sia abbastanza apocalittico per te ^^). Oddio spero di non averti tolto il sonno... anche perchè tu DEVI scrivere... (si avvisa la gentile clientela che la RosaRossoSangue qui presente ha cominciato una nuova fanfiction fantasmosa e il primo capitolo mi ha già lasciato sui carboni ardenti XD).

Alla prossima.
I remain, gentleman, your obedient servant
   
 
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