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Autore: daisyssins    06/11/2014    15 recensioni
"...Le sembrava quasi impossibile non dare “troppo peso” ad una persona come Luke Hemmings, perché certe persone, quando ti entrano dentro, non è che tu possa farci un granché. Lei lo odiava, non aveva mai odiato tanto una persona quanto lui, sapeva chi era, aveva paura di lui, una fottuta paura, perché le ricordava tutto quello da cui stava scappando."
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«Sei strana. E sei bellissima» sussurrò lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, facendo scorrere le dita tra i capelli corti della ragazza.
Phillis sbottò in una breve risata sarcastica, prima di «E tu sei matto.» rispondere divertita.
«Io sarò anche matto, ma tu resti strana. E bellissima.»
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«Luke, ho paura, stai perdendo sangue..»
«Ancora non te l'hanno insegnato, Phillis? Il sangue è il problema minore. E' questo ciò che succede quando cadi a pezzi.»
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La verità ha un peso che non tutti, e non sempre, hanno la forza di reggere.
Trailer Pieces: https://www.youtube.com/watch?v=vDjiY7tFH8U&feature=youtu.be
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Some nights.


Ci sono sere che sono sempre un po’ più fredde.
Sere in cui stringerti in una giacca non basterà, in cui il freddo non lo senti fuori, ma dentro.
Sono le stesse sere in cui una semplice parola può ferire, in cui la canzone di sempre, quella che ami e le cui parole sono capaci di descriverti a pieno, fa male.
E quella era una di quelle sere per Phillis, mentre camminava per le strade solitarie di Sydney al fianco di Luke.
Lui correva avanti, i suoi passi erano più lunghi, non la aspettava.
Lei si affrettava ma alla fine, anche con l’affanno, non riusciva mai ad affiancarlo. Era sempre un passo indietro, lei.
Riconosceva la strada che stavano percorrendo perché era la stessa che avrebbe imboccato per tornare a casa, e questo era il pensiero cui si aggrappava per infondersi sicurezza. Perché, quando si trattava di Luke Hemmings, era proprio quello che le mancava: la sicurezza, la spavalderia, la sfacciataggine; insomma, tutte quelle cose che solitamente la caratterizzavano.
Avrebbe voluto affiancarlo, fermarlo, riuscire ad imporsi almeno un po’. Avrebbe voluto dire qualcosa e invece stava zitta, che con le persone come Luke c’era poco da fare, il silenzio era la via migliore. Perché bastava pochissimo – una semplice frase, una parola, anche un solo respiro – a spezzare l’equilibrio già precario che era andato formandosi man mano, mentre il vento della sera di Sydney s’infilava fin sotto le ossa della ragazza e le faceva rimpiangere di essere uscita di casa.
Nonostante questo si ritrovò a cercare dappertutto dentro sé il coraggio di parlare, lo trovò, prese un respiro profondo prima di far vibrare le proprie corde vocali.
“Dove stiamo andando?” domandò.
Lui ebbe un fremito e poi si girò, rivolgendole un’occhiata sorpresa – probabilmente per il fatto che proprio lei avesse deciso di spezzare il silenzio - che però fu bravo a mascherare, assumendo nuovamente la consueta maschera indifferente.
“A casa” rispose, riprendendo a camminare.
“A casa?” ripeté la ragazza, confusa.
Luke annuì e “Sì, a casa” rispose ovvio. “Che, non capisci? Mi era parso di capire che tu fossi un piccolo genio” la canzonò poi. I suoi occhi guizzarono fulminei sulla figura longilinea della ragazza dietro di sé; fu un attimo, ma bastò perché riuscisse a vedere la rabbia che le chiazzava di rosso le guance chiare. Pensò che gli piaceva stuzzicarla, perché quello era il suo punto debole, l’unico modo in cui poteva farla reagire e uscire dal suo guscio: pungolarla nell’orgoglio.
“Beh, di sicuro siamo tutti dei geni in confronto a te, Hemmings” ribatté lei acidamente. “Ma quello che intendevo è… a casa di chi?”.
Luke distese le labbra in un ghigno canzonatorio.
“A casa tua, ovviamente. Ma se preferisci puoi venire da me” commentò maliziosamente.
Phillis non raccolse la provocazione, decisa almeno per una volta ad essere la più matura tra i due.
“Perché mi stai riaccompagnando a casa?” chiese asciutta, mentre imboccavano esattamente la sua via.
“Perché non mi va che tu stia in giro a quest’ora. E poi, perché non mi andava che stessi ancora con Calum” ammise Luke a bassa voce.
Phillis si arrestò di colpo, spalancando gli occhi.
“Tu… sei un completo idiota. Te l’hanno mai detto, Hemmings?”
“Attenta a come parli ragazzina”
La ragazza scosse la testa incredula. “Tutto questo non ha senso” mormorò poi.
Per una volta toccò a Luke assumere un’espressione perplessa, che bastò – anche se per pochi attimi – ad aprire uno scorcio sui suoi pensieri.
“Cosa non avrebbe senso, esattamente?” chiese, inarcando le sopracciglia.
“Tutto questo” ripeté la ragazza, indicando prima sé stessa e poi Luke, fermo davanti a lei. “Il fatto che siamo qui a parlare, il fatto che tu mi stia riaccompagnando a casa… ma anche il fatto che io senta di poter considerare Calum quasi un amico, o il fatto che questo ti faccia innervosire. Non sto capendo più niente, Luke. Che senso ha? E perché poi a te dovrebbe dare fastidio?”
Per la prima volta in quella serata le labbra di Luke si dipinsero in un sorriso, che non era uno dei suoi soliti ghigni sarcastici e canzonatori, era un sorriso vero e proprio.
“Cos’hai da sorridere adesso?” chiese Phillis perplessa.
“Niente. Mi hai chiamato Luke” fu la risposta che ottenne, prima che il biondo riprendesse a camminare, obbligandola nuovamente ad affrettare il passo.
“Tu sei matto, Hemmings” sospirò la ragazza sconfitta, lasciando perdere il suo proposito di ottenere delle risposte dal biondo. Lui si arrestò solo un attimo quando giunse davanti al portone dell’abitazione della ragazza, rivolgendole un’occhiata indecifrabile.
“Notte, Turner” disse poi con freddezza prima di allontanarsi.
Ecco un’altra cosa che non ha senso, pensò Phillis. Cosa diavolo gli è preso adesso?
Rimase lì ferma ed imbambolata a fissarlo, con la stessa confusione che, quella sera, aveva deciso di piantare in lei le sue tende.
“Notte anche a te Luke Hemmings” mormorò poi, quando Luke era ormai troppo lontano per riuscire anche solo a percepire le sue parole, prima di arrampicarsi sul cancello e percorrere il cortile quasi di corsa fino alla porta di casa.





Ore 8:05, cortile del Norwest Christian College.
Se qualcuno avesse osservato un po’ più attentamente Phillis, quella mattina, avrebbe detto che stesse cercando di anticiparsi sul tempo, cominciando a prepararsi per la festa di Halloween che si sarebbe tenuta nella palestra della scuola di lì ad un mese. Perché, quella mattina, il viso della ragazza era stanco e anche più pallido del solito, e i suoi occhi chiari erano contornati da borse e occhiaie violacee che neanche l’intero tubetto di correttore era riuscito a coprire del tutto. Non si era neanche data la pena di truccarsi, perché non avrebbe cambiato nulla. I segni della nottata sarebbero stati visibili anche sotto un chilo di cerone.
Se ne stava seduta sul solito muretto, con le cuffie nelle orecchie come d’abitudine, aspettando che le parole di “Fluorescent Adolescent” riuscissero a svegliarla, a darle quell’energia che quella mattina sembrava essere morta e sepolta.
Improvvisamente, si sentì sfilare una cuffia, mentre qualcuno che si sedeva accanto a lei ne prendeva possesso.
“Mhh… gli Arctic Monkeys sono quello che ci vuole per darti una svegliata, se devi affrontare un lunedì al Norwest” dichiarò Lucy con un sorriso.
Sorriso che però si spense, quando mise a fuoco meglio il viso di Phillis. Prese a guardarla con un’espressione tra il perplesso e il preoccupato, senza premurarsi di non sembrare sfacciata.
“Che c’è?” domandò la bionda.
Lucy si mordicchiò un labbro dipinto di rosso – come di rito, ogni lunedì mattina – scegliendo con cura le parole da pronunciare, prima di parlare.
“Cos’hai, Phil?” le chiese poi automaticamente.
Phillis sospirò e “Non lo so” rispose sincera, stropicciandosi gli occhi con gli anulari. “Ho sonno, credo”.
La rossa alzò gli occhi al cielo. “Questo lo vedo. Ma c’è qualcosa che non va” replicò un po’ polemica.
Phillis non fu sorpresa dal tono dell’amica, né tantomeno da quella frase, che non era stata una domanda bensì un’affermazione. Lucy sapeva che ci fosse qualcosa di storto, non chiedeva, semplicemente affermava. Solo che Phillis non era sicura di conoscere la risposta.
“Non so neanche questo, se devo dire la verità” sospirò. “Stanno succedendo… sai, tante piccole cose, che però mi incasinano la testa”
“E queste piccole cose rispondono al nome di Luke Hemmings?”
“Forse” ammise Phillis. Non era una bugia ma neanche una verità, perché quel ‘forse’ stava semplicemente a sostituire un’altra parola più piccola, composta da due lettere che, se le avesse accostate, avrebbero svelato la verità di tutto il suo nervosismo.
Lucy se ne accorse, ma non ribatté, e Phillis gliene fu grata. Non era certa che sarebbe sopravvissuta ad un interrogatorio, quella mattina.




Letteratura non era così male, dopotutto.
A Phillis piaceva, e la professoressa poteva andare.
Ma, quella mattina, la voglia di concentrarsi non c’era proprio: mentre ascoltava senza prestare attenzione il chiacchiericcio sommesso dell’insegnante che parlava di una qualche ballata ottocentesca, si ritrovò a pensare che mai come allora il banco le era sembrato così comodo ed invitante. Le sarebbe bastato poggiarci la testa per pochi attimi, chiudere gli occhi, riposarsi. Ma sapeva che – anche se fosse stato possibile – non ci sarebbe riuscita.
Perché lei, nonostante tutto, era una ragazza, e i complessi mentali era impossibile non farseli. Ed era impossibile anche non pensare a Luke, al suo comportamento incoerente, con quella sua espressione sempre un po’ ironica, come se volesse farti capire che lui non ti avrebbe mai preso sul serio. E forse era proprio così, e il loro breve dialogo della sera prima lo aveva dimostrato.
Eppure c’erano così tante cose che Phillis non si spiegava… innanzitutto, perché la sua amicizia con Calum lo avrebbe dovuto infastidire? Perché l’aveva accompagnata, poi? Avrebbe potuto benissimo lasciarla andare da sola. E perché, non appena l’aveva lasciata davanti casa, era diventato d’un tratto anche più freddo e distaccato del solito?
Un piccolo sospiro sfuggì alle labbra della ragazza quando si rese conto che, effettivamente, non era sicura che avrebbe trovato risposta a quei quesiti.
La seconda e terza ora le passò con matematica, la quarta con spagnolo. Era passata bene la mattinata, tutto sommato, se non fosse stato che adesso si sentiva più stanca di quanto potesse anche solo accettare.
Al suono della campanella non seguì la massa di studenti che si dirigevano verso la mensa; piuttosto, preferì uscire fuori al cortile e sedersi sugli scalini in pietra, cellulare in mano, cuffie nelle orecchie come suo solito.
Desiderava solo estraniarsi dal mondo per un po’ e, magari, riuscire a recuperare quel minimo di energia che l’avrebbe aiutata a resistere altre due ore in quel posto.
I suoi piani furono mandati in fumo, però, quando qualcuno la affiancò e senza troppe cerimonie le sfilò le cuffie dalle orecchie, pretendendo la sua attenzione.
“A che gioco stai giocando?” la voce di Ashton Irwin fu un soffio, appena udibile, ma lei la percepì con estrema chiarezza. Eppure stranamente non ne ebbe paura.
Inarcò svogliatamente un sopracciglio e “Che intendi?” chiese, prendendo poi a mordicchiarsi le labbra screpolate.
“Lo sai benissimo, Phillis” replicò il ragazzo senza mezzi termini.
“Allora mi dispiace deludere le tue aspettative, Ashton, perché non capisco di cosa tu stia parlando”.
Il riccio portò una mano a scompigliarsi i capelli, puntando i propri occhi verdi lontano, verso i cancelli del Norwest.
Poi esalò un respiro e “Luke” fu l’unica cosa che disse. Phillis si irrigidì sul posto.
“Io non sto giocando proprio a niente che riguardi lui” affermò duramente.
“Sì, certo. E ieri sera, allora?”
“Mi ha riaccompagnata a casa perché…” Phillis si interruppe un attimo. Avrebbe dovuto dirgli la verità? D’altronde, ciò in cui avrebbe cacciato Hemmings con la propria sincerità non era affar suo, quindi perché no. “Perché gli dava fastidio che stessi con Calum”
Stavolta fu il turno di Ashton, di irrigidirsi per la sorpresa.
“Te lo ha detto lui?” domandò. La ragazza si limitò ad annuire.
“Merda” imprecò il riccio, alzandosi in piedi con uno scatto.
“Ashton” lo richiamò Phillis. Lui si bloccò, per poi puntare le proprie iridi verdastre in quelle azzurre della ragazza. “Perché dovrebbe essere un problema?” domandò poi.
Lui non le rispose, si limitò a lanciarle uno sguardo enigmatico prima di scrollare le spalle, per poi voltarsi e correre all’interno dell’edificio scolastico.
Phillis abbassò la testa e chiuse gli occhi, esausta.
Non sarebbe mai riuscita a capire quei ragazzi.



Hei there!
E anche con EFP che dà problemi, sono riuscita ad aggiornare in tempo!
Davvero, per una volta sono fiera di me stessa, non capita spesso. ahahah Se devo essere sincera, non so bene cosa dire su questo capitolo... se non che l'ho scritto un po' di tempo fa ma l'ho modificato in questi giorni, che io non sto passando molto bene e quindi il capitolo è, come me, a tratti triste, a tratti un po' caotico.
Spero comunque che vi possa piacere! (: e spero di rivedere anche qui chi allo scorso capitolo s'è scomodato tanto per darmi il proprio parere sulla mia storia.
Ringrazio sel_direction, Noemi1496, McPaola, Eavan, Straightandfast, xhimmelx, Tommo_Nello, cliffordsjuliet, aliconsumate, willbefearless, S_V_A_G, Letizia25 e _D r e a m e r.
Giuro, neanche immaginate quanto mi renda felice leggere ciò che scrivete!
Bene, anche per oggi è tutto (?) ahahah scusatemi, ci rivediamo la settimana prossima!
Baci, Ida. x


Ah, ps: ho creato un account facebook ed uno di twitter, vi lascio i link! (:
Facebook: Daisyssins Efp
Twitter: @daisyssins
Trailer Pieces: Trailer "Pieces" - 5SoS FanFiction [ITA]



 
  
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