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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    07/11/2014    0 recensioni
Raccolta di momenti di vita quotidiana di varie coppie, piccoli anfratti che vogliono evidenziare i loro rapporti ed i loro sentimenti scavando nel profondo, dai gesti più semplici alle parole non dette.
Ossessioni, paure, passioni, tutto ciò che li rende protagonisti della loro vita e fa di loro una piccola perla di cui vale la pena parlare.
~ Always: Unohana x Zaraki
~ I'll be there for you: Yoruichi x Soifon
~ You give love a bad name: Gin x Rangiku
~ In these arms: Unohana x Isane
(Ogni capitolo ha come titolo una canzone di Bon Jovi. Cercherò di trattare ogni coppia. Pubblicherò regolarmente e con immagine personalizzata.)
[Storia partecipante alla Challenge "Slice of Life" di areon sul forum di efp]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Gin Ichimaru, Rangiku Matsumoto, Un po' tutti, Yoruichi Shihoin, Zaraki Kenpachi
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kenpachi's moments'
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Prompt: Giardino
Titolo: Slice of Life ~ Perle d’acqua dolce (Capitolo: In these arms)
Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly
Fandom: Bleach
Personaggi: Unohana x Isane
Genere: Drammatico – Introspettivo - malinconico
Raiting: Giallo
Avvertimenti: nessuno
Lunghezza:  1.670 parole (4 pagine)
Note autore: una notte come tante nei piani alti della Quarta Compagnia, in uno dei molti periodi di guerra. In alcuni punti si fa riferimento alla vera natura di Unohana (volume 59), poiché Isane ne è a conoscenza, ma non viene trattata esplicitamente quindi è sufficiente conoscerla a grandi linee.
Spero che traspaia la dolcezza di questo profondissimo rapporto, fatto di fiducia, rispetto ed un pizzico di particolare affetto.
Ps. Come tutte le altre storie, anche questa prende spunto da una canzone dei Bon Jovi.
[ Questa fan fiction partecipa alla Challenge “500 prompt per una callenge” di Saru_Misa col prompt 249 “ansia” & al Contest “Eyes contest - The challenge of emotions - We are our character” di Aki sama]
 


 
 In these arms
 
I’d hold you
I’d need you
I’d get down on my knees for you
And make everything alright
If you were in these arms
I’d love you
I’d please you
I’d tell you that I’d never leave you
And love you ’til the end of time
If you were in these arms tonight
 

Fiamme, urla, distruzione.
Odi le grida disperate dei caduti ed i lamenti dei feriti, mentre un odore malsano di sangue aleggia indisturbato per la struttura ospedaliera.
Senti il respiro affannato ma non ti fermi, trasporti i due Shinigami in fil di vita che hai sulle spalle sino alla brandina più vicina, ignorando il dolore dei polmoni che reclamano aria.
Un tuo sottoposto ti aiuta a stenderli mentre tu ansimi, altri del corpo medico ti chiedono come devono comportarsi, quali tecniche usare, chi curare per primo.
Dai istruzioni immediate ma non sei certa di ciò che dici, senti il peso della responsabilità di molti pesare gravemente su di te.
Ti guardi le mani, sporche e sudate, per un momento ti impressioni ma non ti lasci scoraggiare.
Dov’è il tuo Capitano?
Dov’è in quel momento tanto drammatico?
Hai le redini della situazione, lo sai, sei una Luogotenente per questo.
Ti fai aggiornare sulla battaglia in corso, la vostra sconfitta è imminente ma nessuno si arrende – e questo significa che il numero dei morti e dei feriti continuerà ad aumentare.
Ti guardi intorno, ci sono così tante ferite e così tante vite spezzate che non sai nemmeno da che parte cominciare.
Dov’è il Capitano Unohana?
Ti senti disorientata, ma la frustrazione e l’angoscia generale ti impongono di continuare, di fare ciò per cui sei stata addestrata.
Hai paura, maledettamente paura.
Non è la prima situazione drammatica in cui ti trovi, è vero, ma non eri mai stata sola.
Il cuore perde un battito, qualcuno ti strattona chiedendo il tuo intervento e tu ti precipiti sul nuovo ferito, neanche fossi un automa, un robot meticoloso addestrato soltanto a questo.
Altre urla, altre grida.
Le tue mani contornate di un verdino tenue compiono il loro lavoro, anche se non sai nemmeno da dove tu riesca a tirare fuori ancora Raietsu per il Kido, dopo tutto quello che hai già utilizzato.
Altre indicazioni, altre barelle in arrivo, altri feriti che trasportano feriti più gravi chiedendo aiuto.
Altro sangue.
Sei frastornata ma non ti dai per vinta, continui, imperterrita, il tuo lavoro di soccorritrice e medico.
Poi un portone si spalanca, due membri della Quarta trasportano con urgenza qualcuno disteso su di una barella, le braccia a penzoloni che grondano sangue.
Vedi i loro volti, sono sconvolti.
Ti ripeti che è solo l’ennesima vittima di quella guerra e ti fai avanti, scopri il lenzuolo bianco e ne vedi il volto.
Ti geli.
Il Capitano Unohana.
Morta.

 

«NO
Gridi sconvolta, nell’impeto di quella tragedia irreale ti alzi di scatto, mettendoti seduta sul letto e scoprendo le lenzuola con un gesto nervoso.
Era un sogno. Solo un maledetto e straziante sogno.
Ansimi ancora, piccole gocce di sudore ti delineano il volto mentre ti porti una mano al petto, stringendo spasmodicamente il kimono.
Per quante notti dovrai ancora avere quegli incubi?
Per quante notti dovrai temere che, svegliandoti, quella sia la realtà?
Cerchi di calmarti, di regolarizzare il respiro, mentre stringi con forza le palpebre: la guerra è un male, un male per tutti, e lo sai benissimo, non puoi permetterti di stare così ogni volta, di patire in questo modo ogni dolore che hai visto.
Finalmente riesci a respirare normalmente, ma l’idea di rimetterti a dormire – di riprendere quel sogno – ti fa venire la nausea.
 
Ti alzi lentamente, ancora tremante per la disperazione che hai provato, anche se non era la realtà.
Era tutto così realistico, tutto così tremendamente concreto…
Scuoti con forza il capo argentato, le due lunghe treccine ondeggiano sulla schiena mentre compi qualche passo per la stanza, sperando di calmarti.
Non vuoi disturbare nessuno, dopotutto il sonno ed il riposo sono importanti per tutti, specie per chi deve essere sempre al massimo delle forze e della concentrazione, poiché nelle tue mani è la vita molti uomini, molti colleghi, molti amici.
Frustrata e avvolta da una raggelante malinconia apri la porta scorrevole del tuo appartamento, i piedi scalzi sentono il freddo del legno, ma non se ne curano.
Volgi uno sguardo al cielo, un cielo stellato, e ringrazi che non abbia il colore del sangue.
Fai qualche passo avanti, in quel piccolo giardino oltre gli alloggi, curato nei dettagli e dimora di molte erbe mediche di cui ti prendi personalmente cura.
Respiri a pieni polmoni quell’aria sana, pulita, ti lasci accarezzare da una leggera brezza che, anche se solo per un attimo, ti tranquillizza.
Eppure la senti ancora, quell’ansia, la senti palpabile nell’aria, pronta ad aggredirti al minimo segno di cedimento.
Riapri lentamente gli occhi, quasi per caso ti guardi attorno e ti accorgi che non sei l’unica a non riuscire a dormire, quella notte.
Dischiudi appena le labbra, accenni a fare qualche passo indietro, quasi a non volerla disturbare, quando è il dolce suono della sua voce a richiamarti.
«Isane.» Sussurra apparentemente al nulla.
Si volge lentamente verso di te, un lievissimo sorriso in volto, nel quale tu non vedi null’altro che rassicurazione.
Ti riscuoti dai tuoi pensieri, timorosa di averla disturbata ti mordi nervosamente un labbro.
«C-Capitano…» Rispondi timida, cominciando ad avanzare lungo il porticato che dà sul giardino, avvicinandoti a lei – ai suoi alloggi, affianco ai tuoi, dove però tu non ti sei mai permessa di metter piede.
È avvolta in un kimono a fiori chiaro, di tonalità che vanno dal rosa pallido al bordeaux. I lunghi capelli neri sono legati nella solita treccia ma questa volta è sulla schiena, fermati da un nastro rosso.
Distogli lo sguardo da quel dettaglio, hai visto troppe volte quel colore rosso, troppe volte lo hai visto bagnare le vesti ed i corpi di guerrieri e compagni che non sei riuscita a salvare.
E lo sai, lo sai benissimo che lei lo utilizzi soltanto in stato di guerra - quel nastro rosso al posto del bianco - e questo non può che angosciarti ulteriormente, quasi a ricordarti della disperazione in cui navigate.
Ti inginocchi lentamente accanto a lei, ma alla giusta distanza, mentre non puoi fare a meno di osservarla: i tiepidi raggi della luna ne illuminano il profilo delicato, regalandole un’aurea tutt’altro che umana.
Ed è solo serenità, quella che emerge dalla sua figura, come se guardando quel volto tranquillo si avesse quasi l’illusione di essere in pace.
Come può una donna del genere essere davvero un mostro?
Non riesci a pensarlo, a crederci, in quel momento meno che in qualunque altro pensi che lei sarebbe davvero capace di uccidere chiunque senza risentimento.
La malinconia d’improvviso scema, assieme all’angoscia.
«Oggi è stata una giornata molto difficile, devi riposare.» Le dice con quel tono dolce e pacifico che ti manda quasi in estasi, trasportandoti in una dimensione del tutto differente – quella dove tu, accanto a lei, ti senti al sicuro, protetta da ogni pericolo e da ogni disperazione.
Non sai perché, non sai come, ma lei riesce sempre a quietare il tuo animo.
Tutto, in quella donna, ti allontana dall’idea che sia stata una volgare assassina.
Non dici nulla, fissi le tue mani ancora nervosamente strette al kimono grigio, quasi d’istinto.
«Puoi restare qui finché non ti sei tranquillizzata, Isane.» Solo ora volgi lo sguardo verso di lei, rendendoti conto che ti sta guardando, o meglio, ti sta sorridendo come ogni volta, con quel fare quasi materno.
E leggi l’affetto, la premura nel suo modo così gentile e disponibile, lasciandoti cullare da attenzioni che non hai mai ricevuto prima, da nessun altro tranne che da lei.
L’accoglienza di quella presenza è quanto ti basta per sentirti bene.
«Grazie, Capitano Unohana.» Rispondi con un timido sorriso, distogliendo lo sguardo ed arrossendo lievemente.
Possibile che riesca a farti quell’effetto ogni volta?
Ora il tuo cuore ha ripreso a palpitare, ma non per la ragione di poco prima.
 
Vuoi rilassarti, tranquillizzarti, sai che accanto a lei non hai nulla da temere, che finché avrai lei ogni cosa potrà risolversi…
Ed è in quell’attimo che l’immagine del suo corpo privo di vita si ripresenta, che quel piccolo flash del sogno ti inonda gli occhi.
Perdi un respiro ed un battito, gli occhi si spalancano al vuoto per un attimo.
Di nuovo quell’angoscia, quella malinconia senza precedenti… quella paura di perdere l’unica sicurezza che hai.
Senti una mano accarezzarti dolcemente la testa e ridestarti, dita sottili sfiorarti i capelli, mentre ti invita ad avvicinarti a lei e tu, incapace di reagire, assecondi quel movimento appoggiando la nuca sulla sua spalla.
La senti, la senti chiaramente, ora: il suo profumo di fiori appena colti, il suo respiro regolare, il suo animo tranquillo.
Ti tiene lì, come un cucciolo indifeso.
Ti accarezza dolcemente, coccolandoti con gesti impercettibili ma presenti – siete pur sempre un Capitano ed il suo Luogotenente, non si scompone più di tanto, le formalità restano.
Eppure senti di non aver bisogno d’altro, pian piano il tuo cuore si calma, l’animo si quieta e le immagini macabre e strazianti che hai visto per tutta la giornata vanno scemando, lasciando spazio soltanto alla pace che quel piccolo giardino trasmette.
Allunghi timidamente un braccio verso di lei, cercando un contatto più diretto, semplicemente per abbracciarla, per sentirti ancora più vicina.
Lo appoggi sul suo grembo, le sfiori le gambe ma non azzardi minimamente ad andare oltre, conosci la proibizione di un gesto troppo avventato e non vuoi rovinare nulla di ciò che c’è tra voi.
No, non sai cosa sia, ma qualcosa c’è e per te è sacro, inviolabile.
Non vuoi rischiare di rinunciare a lei solo perché ne hai troppo bisogno.
Gli occhi lentamente si chiudono, il tuo corpo – anche se notevolmente più lungo – si appoggia completamente al suo, che ti sostiene senza difficoltà, continuando ad accarezzarti dolcemente.
Ti addormenti… e per quella notte nessun altro incubo viene a tormentarti.
 

 
And make everything alright
If you were in these arms


 
  
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