Evelyn scese dal treno barcollando, con le pesanti valigie in mano. C’era un mucchio di gente, sul marciapiede. Il fischio del vapore che veniva liberato dagli sfiati quasi la assordò.
Damian McIntire la salutò con la mano, sorridendo, e si allontanò con il suo bagaglio, scomparendo tra la folla. Evelyn tentò di ricambiare il saluto senza lasciare la presa sulle valigie.
Con scarso successo.
“Eccoti qui!”, strillò qualcuno, vicinissimo a lei.
Evelyn si girò appena in tempo per vedere la zia Libby farsi largo fra la folla diretta verso di lei, con un sorriso smagliante. Sgomitava a tutto spiano.
“Ehi, zia Libby!”, la saluto.
La grassa, allegra, cordiale zia Libby, coi suoi gatti e il suo circolo di ricamo, le forbici da cucito appese al collo con un nastrino rosa, le era sempre andata a genio.
A parte la sua mania di chiamare tutti “tesoro”.
E le forbici.
“Te-so-o-o-ro!”, gorgheggiò l’anziana donna, stringendola in un abbraccio soffocante.
Ecco appunto.
“Come sei cresciuta! Come ti sei fatta grande!”, ripeteva, dandole un pizzicotto sulla guancia.
“Sì, zia.”
“Che bella ragazza sei diventata. Una vera signorinella!” La zia continuava a strizzarle affettuosamente le gote fra le dita.
“Sì, zia.”
Evelyn si chiese vagamente se la sua faccia sarebbe tornata alla forma originaria, dopo.
“Hai con te il tuo bagaglio, cara?”
Il manico delle valigie stava scavando una trincea nelle sue dita.
“Sì, zia.”
“Brava, la mia ragaz… E questo, cos’è?”, fece la zia, improvvisamente rabbuiata, guardandole il naso con fare scrutatore.
“Cosa?”
“Questo segnaccio nero che hai sul viso.” Estrasse un fazzolettino rosa dalla borsetta e ci sputò sopra, poi tentò di pulire con quello la guancia della nipote. Evelyn si ritrasse, vagamente disgustata.
“Sembra quasi che tu ti sia dipinta un puntino con una di quelle orribili matite da trucco, e poi te lo sia steso con le dita su tutta la faccia.” La zia Libby ridacchiò, divertita dall’assurdità della cosa.
Benissimo. Ciao-ciao, neo seducente.
Evelyn frugò nella borsa finchè non trovò uno specchietto e se lo portò davanti al viso. Un rigo nero lungo tre dita le segnava la guancia, allungandosi verso l’orecchio.
Artistico.
Grandioso, pensò, mentre si sfregava il viso con le
dita fino a togliere la macchia. Sul treno mi sono grattata e ho sparso il
trucco su tutta la faccia. Grazie al Cielo, non mi ha visto nes…
“Oh, no!”, gemette, con voce talmente sconsolata che zia Libby si preoccupò.
“Che succede, tesoro?”, chiese, allarmata.
Evelyn chiuse teatralmente gli occhi e appoggiò la fronte contro la spalla della vecchietta. Il sorriso divertito di McIntire si ripresentò alla sua mente.
Maledizione.
“Voglio essere sepolta qui”, disse, in tono drammatico.
“Sotto un albero di rose rosse.”
“Su, cara, non dire sciocchezze…”
“Dico sul serio.”
“Ma è impossibile, mia cara. Le rose sono arbusti.”