Fanfiction challenge II: manufatto
Partecipa Absolutely!Crack.
Hokey accarezzò le due
scatole appoggiate sul tavolinetto
dalle gambette di legno tozze.
-La signora me li ha fatti preparare,
insieme al vaso …
quindi presto lui verrà-
pensò. Si
voltò e osservò le dita
paffute della
padrona che stringeva con una mano uno specchietto e con
l’altra il
grosso pennello
del fard. Le guance rosse le ricadevano flosce ai lati del viso e la
signora
continuava a passarci il fard, rendendole quasi violacee. La luce si
rifletteva
sulle gemme preziose dello specchio che teneva davanti al viso.
“Hokey!” la
chiamò la signora. L’elfa domestica si
alzò,
facendo scricchiolare le ossa. La pelle era tirata sulle sue ossa
gracili. Avanzò
strisciando, prese delle pantofole di satin rosa e raggiunse i piedi
carnosi
della donna. Le infilò le scarpe e gliele
allacciò strette, guardando della
carne trasbordare.
“Presto,
Hokey!”
ordinò con tono imperioso la padrona.
“Ha
detto che sarebbe venuto alle quattro, manca solo qualche minuto e non
è mai
stato in ritardo!”. Ripose il pennello in un cofanetto
dorato, mentre l’elfa
domestica si rialzava. La sua testa
strofinò contro il bordo del sedile della padrona.
“Come ti sembro?”
chiese Hepzibah, voltando
la testa a destra e a sinistra,
guardando il proprio viso riflettersi sullo specchio da angolature
diverse. L’elfa
si passò le mani gracili sulla toga di lino grinzoso che
indossava.
“Deliziosa,
signora” squittì, mentendo. Abbassò lo
sguardo,
la pelle delle braccia le pendeva incartapecorita e, nonostante la
toga, si vedevano
le ossa del suo addome.
Un campanello tintinnò e
sia la padrona che elfa
sussultarono. Il corpicino dell’elfa continuò a
tremare.
-È
arrivato! È
arrivato!- festeggiò mentalmente.
“Presto, presto,
è qui Hokey!” strillò Hepzibah, e
l’elfa
trotterellò via dalla stanza, così stipata di
oggetti che era difficile capire
come qualcuno potesse farsi strada senza travolgerne almeno una decina:
c’erano
armadietti coperti di scatoline laccate, scaffali colmi di libri con
incisioni
dorate, mensole di sfere e globi celesti e piante molto
rigogliose da
vaso
chace-pot di ottone. Quella
stanza era
un incrocio tra un antiquario magico e una serra.
L’elfa domestica torno di
lì a poco, seguita da Tom Riddle.
Si
sporse sulle punte per osservare la sua
figura fasciata da un completo nero. Il ragazzo si grattò la
guancia incavata,
avanzò evitando i vasi di alcune piante, saltò
oltre un puf e dribblò un paio
di tavolini. Raggiunse il sedile di Hepzibah, fece un inchino profondo
davanti
al suo arto flaccido e lo sfiorò con le labbra. Il battito
cardiaco dell’elfa
divenne irregolare mentre osservava i suoi capelli neri lunghi fino
alle spalle
e Hokey abbassò lo sguardo.
“Le ho portato dei
fiori” mormorò Tom, facendo apparire dal
nulla un mazzo di rose.
“Ragazzaccio, non avresti
dovuto!” squittì lei. Li afferrò
con le dita prosperose, mettendoli su un vaso vuoto su un tavolino
accanto a
sé. “Tu vizi questa vecchia signora,
Tom… Siediti, siediti …dov’è
Hokey …ah …”.
L’elfa domestica si voltò e si mise a correre,
schivò delle foglie di una
pianta in un vaso di ottone, gattonò sotto un paio di
tavolini e schivò alcuni
rami rampicanti di una pianta che avevano avvolto una mattonella. Prese
un
vassoio carico di dolcetti dal tavolo della cucina, tornò
indietro correndo tra
gli oggetti della stanza, raggiunse la padrona e li posò
accanto a lei.
“Hokey li fa con le sue
mani, Hokey è felice se i suoi
biscotti vengono usati” sussurrò con voce
inudibile.
“Serviti pure,
Tom” disse Hepzibah invitando il giovane. “So
che ti piacciono i miei dolci. Ma come stai? Sei pallido. Ti fanno
lavorare
troppo in quel negozio, l’ho detto mille
volte…”. Tom fece un sorriso meccanico e
lei una smorfia che le fece tremare il quadruplo mento.
“Che scusa hai trovato per
venire da me questa volta?”
chiese, sbattendo le ciglia.
“Il signor Burke vorrebbe
aumentare l’offerta per l’armatura
dei folletti” rispose Tom. “Cinquecento galeoni, la
ritiene più che onesta …”.
Si girò e i suoi occhi guardarono le sfere e i globi celesti
appoggiati su
delle mensole appese a una parete della stanza.
“Oh, insomma, non
così in fretta, altrimenti penserò che
vieni qui solo per i miei ninnoli!” si lagnò
Hepzibah, sporgendo il labbro
inferiore.
“È
per quelli
che mi ordinano di venire qui” rispose
Riddle. “Sono solo un povero impiegato, signora, che deve
fare quello che gli
dicono. Il signor Burke desidera che io le chieda
…”.
-Con quel vestito rosa sembra una
torta glassata un po’
sciolta- si disse, osservando la donna.
“Oh, il signor Burke,
bah!” esclamò Hepzibah, agitando la
mano, facendo tremare la carne flaccida del suo braccio. “Ho
da farti vedere
una cosa che a lui non ho mai mostrato! Sai tenere un segreto, Tom? Mi
prometti
che non ne parlerai al signor Burke? Non mi lascerebbe in pace se lo
sapesse, e
non ho intenzione di venderla, né a lui né ad
altri. Ma tu, Tom, tu la
apprezzerai per la sua storia, non per i galeoni che ne potresti
ricavare …”.
Tom abbassò il capo.
“Sarò felice di vedere qualunque cosa la
signorina Hepzibah mi mostrerà”
sussurrò con voce seducente e le guance gli si
tinsero di rosa. Hepzibah ridacchiò, dando vita a dei suoni
trillanti.
“Ho detto ad Hokey di
prepararla … Hokey, dove sei? Voglio
far vedere al signor Riddle il nostro tesoro più bello
… Portali tutti e due,
già che ci sei…”.
“Ecco, signora”
squittì l’elfa domestica. Teneva due scatole
sulla testa, avanzò sotto un tavolino, evitò un
puf, girò su se stessa passando
oltre un poggiapiedi, scansò la gamba di un altro tavolino e
raggiunse la sua
padrona.
“Ora” disse
Hepzibah. Allungò la mano e prese le due
scatole, sorrise e se le mise in grembo. “Credo che questa ti
piacerà, Tom…Oh,
se la mia famiglia sapesse che te la sto mostrando…non
vedono l’ora di metterci
le mani!”. Aprì la prima scatola e
sollevò il coperchio, Tom vide all’interno
una coppa dorata.
“Chissà se sai
che cos’è, Tom. Prendila, guardala
bene!”
sussurrò Hepzibah. Tom tese il braccio e avvolse uno dei due
manici con le sue
lunghe dita affusolate, sfiorando la morbida imbottitura di seta e
sollevò il
manufatto. Hepzibah guardava la pelle pallida del giovane, le sue
labbra rosate
socchiuse. Hokey rabbrividì vedendo una scintilla vermiglia
apparire nelle sue
iridi nere e strinse le mani adunche al petto.
-E’ così
attento, vorrei scrutasse me in quel modo- pensò.
“Un tasso”
mormorò Tom, guardando l’incisione cesellata
sulla coppa. “Quindi questa era …”.
“Di Tosca Tassorosso, come
sai benissimo, furbacchione!”.
Hepzibah rise nuovamente, si sporse in avanti facendo schioccare il suo
busto e
gli afferrò una guancia, tirandogliela. Tom piegò
di lato il capo e le sue
corte ciocche scure gli ricaddero scomposte intorno al viso. Hokey gli
accarezzò una gamba e lui le sfiorò la manina con
l’indice, facendola
rabbrividire.
“Non ti ho detto che sono
una sua lontana discendente?
Questa coppa viene tramandata in famiglia da anni e anni. Deliziosa,
vero? E
pare che abbia ogni sorta di poteri, ma io non li ho molto sperimentati, la tengo solo al sicuro
qui dentro …” spiegò
l’anziana. Sfilò la coppa dall’indice di
Voldemort e la depose con dolcezza
nella scatola, richiudendola.
“Allora…dov’è
Hokey? Oh, sì, eccoti… adesso mettila via,
Hokey …”. Cinguettò Hepzibah porgendo
la scatola a Hokey che l’afferrò. La
donna si girò e guardò la scatola dalla forma
piatta che teneva ancora sulle
gambe.
“Credo che questo ti
piacerà ancor di più, Tom”
sussurrò. “Chinati
un po’, caro ragazzo, per vedere bene…
naturalmente Burke sa che ce l’ho, l’ho
comprato da lui, e oserei dire che gli piacerebbe tanto riaverlo quando
sarò
morta …”. Fece scivolare sul suo vestito il
fermaglio di filigrana che teneva
chiusa la scatola, aprendola. Voldemort
tese la mano e afferrò il medaglione adagiato sul liscio
velluto cremisi al suo
interno, sollevandolo verso la luce.
“Il marchio di
Serpeverde” bisbigliò, guardando la luce
riflettersi sulla s incisa sopra di esso. Era immobile, rigido ed i
suoi occhi
erano fissi sul medaglione.
“Esatto!”
strillò Hepzibah, strofinando le mani tra loro.
“L’ho
pagato un occhio della testa, ma non potevo lasciarmelo sfuggire, un
tesoro
come quello, dovevo averlo nella mia collezione. A quanto pare Burke
l’ha
comprato da una donna cenciosa che forse l’aveva rubato, ma
non aveva idea del
suo vero valore …”.
Hokey vide le nocche di Tom sbiancare
intorno al suo
medaglione e le sue iridi diventare rosso sangue. Si voltò
verso la padrona e
assottigliò gli occhi.
-La signora è cattiva, lo
fa soffrire. Lui non deve
soffrire! Hokey non vuole che il signor Riddle soffra!-
pensò.
“… scommetto che
Burke le ha dato una miseria, ma ecco qui …
grazioso, vero? E anche a questo viene attribuito ogni genere di
poteri, io
però lo tengo solo al sicuro …”.
Concluse la spiegazione Hepzibah. Si sporse in
avanti, togliendogli il medaglione. Tom se lo lasciò
scivolare tra le dita,
guardando la donna rimetterlo dentro la scatola sul velluto rosso.
“Bene, Tom, caro, spero tu
ti sia divertito!” strepitò. Alzò
lo sguardo e vide il volto pallido del ragazzo. Sbatté un
paio di volte gli
occhi e guardò le sue iridi vermiglie.
“Stai bene,
caro?” chiese.
“Oh, sì. Molto
bene” rispose a bassa voce Tom. Hepzibah
sbatté le palpebre, si sporse e guardò le iridi
nuovamente nere del giovane. Si
voltò verso la luce e si leccò le labbra.
“Credevo … ma
sarà stato uno scherzo della luce … immagino
…”
farfugliò. Inspirò ed espirò un paio
di volte, richiudendo anche l’altra
scatola. “Ecco, Hokey, portali via e mettili di nuovo sotto
chiave … coi soliti
incantesimi …”. La piccola elfa prese la scatola
piatta, la strinse al petto e
saltellò via. Tom
prese un dolcetto e lo
porse alla donna.
“Se la luce vi ha turbato,
è mio dovere rassicurarla. Sono
solo un povero impiegato, come le ho detto, ma non volevo certo
…” sussurrò
gentilmente. La donna glielo prese dalle mani e tornò a
sorridere.
“Non ho dubbi sulla tua
galanteria” ribatté Hepzibah. Prese
il biscotto e lo masticò rumorosamente, prese
un’altra manciata di biscotti e
se li portò alle labbra carnose. Li ingoiò
rumorosamente e continuò a
sorridere, con il viso sporco di briciole. Si girò, vide il
proprio riflesso
nello specchio che aveva appoggiato sul bracciolo del sedile e
sgranò gli
occhi.
“Oh no, sono
impresentabile” borbottò. Tom si alzò,
schivò
con il capo una fila di vasi che pendevano dal soffitto e si
piegò in avanti.
Prese il vassoio e si rizzò nuovamente.
“Sarebbe scortese farla
sentire a disagio. Vado in cucina a
posare il vassoio, mentre la signorina Hepzibah torna al suo solito
splendore”
mormorò. La donna annuì e il ventre rigonfio
stretto dal vestito rosa confetto
tremò.
“Vai, vai, caro
ragazzo”. Lo invogliò. Tom fece un cenno con
il capo e i capelli gli solleticarono la pelle pallida del collo. Si
voltò e
avanzò, evitò un puf, si voltò alzando
le braccia con il tavolino passando tra
due tavoli, superò una scaffalatura con dei globi azzurri ed
entrò in cucina.
Si chiuse la porta alle spalle e si girò. Hokey
rabbrividì e si nascose dietro
un cespuglio in vaso. Tom raggiunse il tavolo, ci appoggiò
il vassoio e avanzò.
S’inginocchiò accanto all’elfa domestica
e sorrise.
“Mi temi anche tu per le
mie stranezze?” domandò affabile.
Hokey deglutì e scosse il capo ripetutamente.
“Io trovo gli occhi rossi
del signor Riddle particolarmente
belli. Io penso solo che lui soffre quando li ha. Hokey non vuole che
ombre
scure attraversino il bel viso del signor Riddle”
balbettò. Si passò
ripetutamente le mani ossute, dalla pelle grinzosa, sopra le pieghe
della sua
toga in lino. Tom le accarezzò la guancia con le dita lisce
e gelide.
“Gli altri hanno paura di
me. E deridono mia madre, era lei
la donna povera” ammise. L’elfa domestica
sgranò gli occhi tre volte più grandi
di quelli di un essere umano.
“Povera?” chiese.
Tom annuì, si morse l’interno della
guancia e chinò il capo.
“Era povera, brutta, non
sembrava affatto magica. Nessuno
vedeva che era speciale dentro, come me. Tu sei speciale?”
chiese. L’elfa
domestica saltellò sul posto, ticchettando sul pavimento con
i piedi nudi.
“Hokey pensa che di
speciale al mondo ci sia solo il signor
Riddle. E lui debba essere felice. Hokey ama il signor
Riddle” spiegò, tenendo
basso il tono di voce.
Tom si sporse e le baciò
le labbra, facendola rabbrividire.
La punta aguzza delle orecchie dell’elfa domestica tremarono
e lui le sorrise.
“Mi ami? Me lo
dimostreresti?” le chiese. Le guance rugose
dell’anziana elfa divennero rosse.
“Hokey punirà la
cattiva signora che fa soffrire il signor
Riddle. Hokey le avvelenerà la cioccolata”
sibilò. Strinse i pugnetti e li
dimenò. Tom le accarezzò la schiena, sentendola
ossuta sotto le dita,
sporcandosi le mani con le sostanze unte che macchiavano la toga.
“E mi porterai anche il
medaglione, vero? Appartiene a me,
era di mia madre, si sono approfittati di lei” chiese.
“Hokey si sente somigliare
a sua madre, Hokey sa come ha
sofferto. Hokey lo farà” sibilò
l’elfa domestica. Riddle le baciò la fronte e
si alzò in piedi.
“Tom, Tom caro! Ho finito
di sistemarmi mio caro Tom!”
cinguettò la donna dall’altra stanza.
“Conto su di te Hokey,
perché sento di poter amare qualcuno
che mi comprende così” spiegò
Voldemort. Si girò, aprì la porta ed
uscì. Hokey
la guardò chiudersi e sorrise, facendo oscillare la testa a
destra e a
sinistra.
“Hokey lo farà,
Hokey lo conquisterà, il signor Riddle amerà
Hokey” bisbigliò.