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Autore: lucabovo78    12/11/2014    0 recensioni
« La magia è dentro di noi, fa parte della nostra natura. Dobbiamo solo trovare il modo giusto per usarla. »
Se la magia fosse una cosa naturale come respirare, tutti sarebbero in grado di usarla. Invece, questo "privilegio" è affidato a pochi individui, dotati di grande potere e chiamati Stregoni.
Questa è la storia di un giovane stregone e del prezzo che dovrà pagare per questo potere.
« Non è bene sottovalutare le trame del destino, potrebbe rivoltarsi contro di noi. »
Copyright © 2013 Luca Bovo, tutti i diritti riservati
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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44. Chiarimenti


   Lind stava osservando le macerie della città, illuminate dalla debole luce dell’alba, da una delle terrazze del castello. L’odore di legno bruciato era penetrante, nonostante una piacevole brezza primaverile avesse spazzato via la maggior parte del fumo che ricopriva le strade. C’era anche un altro odore nell’aria, dolciastro, ma non riusciva a capirne la provenienza. La moltitudine di corvi silenziosi che aveva stanziato per giorni tra le macerie era notevolmente diminuita e, soprattutto, non era più silenziosa. I rapaci, ora, si comportavano naturalmente, gracchiando e volando da un rudere all’altro alla ricerca di cibo.       Forse, non risentivano più della presenza del negromante. Lo stato d’animo del ragazzo era combattuto, non riusciva a capire come avrebbe dovuto sentirsi dopo le rivelazioni di Boid.

   Cos’avrebbe dovuto fare adesso?

Dare la caccia al Maestro? E poi? Anche se lo avesse trovato, cosa avrebbe potuto fare?

   Non sarebbe mai stato in grado di combatterlo. Non poteva.

Avrebbe dovuto trovare un modo per farlo tornare quello di prima.

   Non riusciva comunque a spiegarsi come avesse potuto lasciarsi trasformare in un mostro senza fare nulla, l’aveva sempre considerato quasi invincibile. Evidentemente si era sbagliato. La rabbia esplose improvvisamente dentro di lui.

   «Brutto…imbecille!»

Accompagnò l’urlo sbattendo il pugno sul corrimano di pietra della balaustra. Un rumore inconfondibile, seguito da un dolore acuto che si propagò dalla mano, al braccio, fino alla spalla: aveva esagerato e si era rotto il mignolo.

   «Maledizione…»

Trattenne il fiato dal dolore per qualche secondo, dopodiché si concentrò e inspirò profondamente. La mano fratturata fu avvolta dalla nebbia evanescente e luminosa dell’incantesimo d’acqua. Era la prima volta che doveva curarsi una frattura e si sorprese della sensazione che stava provando nel sentire l’osso che si saldava sotto la pelle. Non fu molto piacevole, a dire la verità, però funzionò. Dopo pochi secondi il dolore svanì completamente, lasciando il posto a un leggero intorpidimento.    Sbuffò, massaggiandosi con l’altra mano, aprendo e chiudendo le dita. La presenza, che aveva distintamente avvertito alle sue spalle da qualche secondo, parlò.

   «Il solito incapace! Non sei neanche in grado di imprecare, senza combinare guai».

C’era qualcosa di strano nella voce della ragazza. Non era il suo solito tono sarcastico con il quale lo rimproverava sempre, una nota malinconica accompagnava le sue parole.

   «Lo so, hai ragione. Sono un disastro».

Dicendo questo, si girò verso di lei. La luce dell’alba le illuminava il viso facendole brillare gli occhi, nei quali lesse la stessa malinconia che aveva percepito nella voce, mentre la brezza le scompigliava i capelli. Aveva le braccia incrociate sotto il seno come per difendersi dal freddo, ma l’aria era tiepida, per cui interpretò quella posa come un altro segno del suo stato d’animo.    Nonostante questo, gli sorrideva dolcemente. Guardandola, riscoprendo ancora per una volta la sua bellezza, provò per un secondo qualcosa di simile alle vertigini.

   “Allora è questo, quello che si dice far giare la testa a un uomo…” pensò, ricambiando il suo sorriso.

Le tese la mano.

   «Vieni qua».

Gli si avvicinò senza sciogliere le braccia e gli posò la fronte sul petto. Lui le passò un braccio attorno alle spalle e l’altro attorno alla vita, stringendola piano. Non aveva la minima idea di cosa dire. Chiederle semplicemente “cosa c’è che non va?” sarebbe stato scontato e stupido. Era chiaro che c’era molto che non andava, per cui preferì rimanere in silenzio per qualche secondo. Per la seconda volta nell’arco di poche ore, la vedeva in quello stato. Se non altro, questa volta, non era completamente colpa sua e, fortunatamente, non lo aveva picchiato. Improvvisamente, lei alzò gli occhi verso i suoi e assunse un’espressione seria, quasi accigliata.

   «Tu mi ami?»

Si sarebbe aspettato di tutto, in quel momento, ma quella domanda lo spiazzò. Dopo un istante, nel quale assunse involontariamente un’espressione sorpresa, sostenne il suo sguardo e rispose sinceramente. In seguito, ripensandoci, si sorprese del suo autocontrollo in questa circostanza.

   «Non potrei amare nessun’altra, come amo te».

Era convinto di meritare un sorriso, un bacio, una dimostrazione di felicità a quelle parole e quindi si stava già crogiolando in quei pensieri, quando invece lei abbassò lo sguardo e si divincolò dal suo abbraccio, dandogli le spalle.

   «Sephyr…»

«Ovvio, sono il tuo “Sigillo”».

   Ora la voce era quasi rotta dal pianto.

Lui capì e addolcì la voce.

   «Hai paura che i miei sentimenti non siano sinceri, ma in qualche modo “manipolati” da quella che, a quanto pare, è la nostra natura, giusto?»

   Dicendo questo, le mise una mano sulla spalla, ma lei si scostò di scatto appena ne avvertì il tocco e si voltò verso di lui. Una lacrima ora le rigava la guancia destra e i suoi occhi erano di fuoco.

   «E tu no? Non ti sei chiesto la stessa cosa? Non t’importa che io sia sincera con te?»

Le sorrise e le asciugò la lacrima con le dita.

   «Fino a dieci minuti fa non sapevamo nemmeno cosa fossero i Rakhoon, i Sigilli e tutto il resto. Io so, quello che provo per te e non m’importa che si stato scritto o meno nel mio sangue dalla natura».

   Le mise le mani intorno alla vita e la avvicinò dolcemente a se, mantenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi. Lei non si oppose.

   «Io so, che dal primo momento che ti ho vista, ho desiderato starti accanto.

Che quando mi sei vicina sono in pace con me stesso.

Che quando sei in pericolo, lo stomaco mi si chiude e mi manca il fiato.

E che quando sono tra le tue braccia, il resto del mondo potrebbe sparire».

   Un sorriso comparve sul volto della ragazza, ma fu subito ricacciato indietro.

«Anche per me è così…ma come possiamo essere sicuri che tutto questo sia reale? Le persone dovrebbero essere libere di decidere chi amare».

  Detto questo, abbassò il volto per distogliere lo sguardo dal suo. Lui le sollevò piano il mento con la mano.

«Amare non è libertà: non siamo noi a decidere chi amare, lo facciamo e basta. E io, lo faccio».

   A quest’affermazione, lo guardò leggermente perplessa.

«Ehm...nel senso…che ti amo».

   Lei finalmente gli sorrise, e quello fu un sorriso di sincera felicità, oltre che a essere il più bello che avesse mai ricevuto in vita sua. Gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Quel bacio rimase per sempre stampato nella sua mente: fu il punto di riferimento per tutti i successivi, il capolavoro, il bacio perfetto. Nessun altro riuscì mai a eguagliarlo. Purtroppo però, furono interrotti nell’esatto istante in cui entrambi avevano deciso di continuare il discorso in una camera. Boid comparve sulla terrazza e senza tante scuse e giri di parole, li invitò a prepararsi: dovevano mettersi in viaggio. Sephyr sbuffò, ancora avvinghiata a lui.

   «Uff…ultimamente siamo interrotti troppo spesso».

«Già…e la cosa comincia a infastidirmi» rispose lui quasi ringhiando.

   Gli stampò un bacio sulla guancia ridendo e si girò verso lo stregone, che nel frattempo era stato raggiunto da Lucius. Il ragazzo non indossava la divisa nera da Dieber, ma un’uniforme bianca e scarlatta con le insegne della città. Sephyr gli sorrise.

   «Lucius, giusto? Come ti senti?»

Il giovane chinò il capo in segno di rispetto e rispose con tono serio.

   «Sto bene grazie a lei. Non vi avevo ancora ringraziato, mi dispiace molto».

«In realtà è Lind che devi ringraziare, io non avevo idea di essere in grado di farlo. Comunque sono felice di vederti in piedi».

   Lucius, allora, si rivolse al ragazzo con la stessa deferenza.

«La ringrazio molto. Vi devo la vita. A entrambi».

   «Non preoccuparti. Non so perché, ma non mi andava di vederti morire, per cui non serve che ci ringrazi» rispose lui in tono amichevole. Poi si rivolse a Boid.

   «Va bene Boid, perché tanta fretta? Dove dobbiamo andare? Cos’hai in mente?».

«E’ tempo di incontrare il Maestro Anilion».

   «E chi è il Maestro Anilion?».

«E’ lo Stregone che mi ha insegnato quello che so, nonché Alto Consigliere di Aglarfuin e il più saggio tra gli Angwi viventi».

   «Addirittura…va bene, e adesso dov’è?».

Boid lo fulminò con lo sguardo.

   «Ti converrà avere più rispetto quando saremo al suo cospetto, ti avverto. Comunque, ora è con un altro degli Angwi a Celestia, dove ci dirigeremo noi tra poco».

   


   «E così non ci sai dire nulla di più?»

Eromas stentava a trattenere la rabbia e il povero Jofiah, sebbene sapesse benissimo di non avere colpe, ne era spaventato.     Non era abituato ad avere a che fare con quel mondo e con quelle situazioni. Il pericolo maggiore che aveva dovuto affrontare in vita sua, fino ad allora, era stato quando era quasi finito in un burrone con il suo carro. Il sentiero che stava percorrendo aveva ceduto a causa delle piogge dei giorni precedenti e si era ritrovato in bilico sullo strapiombo senza poter fare nulla per ore, fino a quando una compagnia di mercanti che passava di lì era riuscita a trarlo in salvo. Ora era invischiato in una situazione che lo aveva già portato a essere rinchiuso in carcere e quasi ucciso da un misterioso aggressore che aveva, oltretutto, rapito Corgh. Inoltre, ora era sotto interrogatorio da un re elfico che aveva tutta l’aria di essere ad un passo dallo scatenare una guerra.

   «Lascialo in pace, fratello. Non vedi che non si è ancora ripreso?»

Deliah, nonostante fosse molto turbata dalla scomparsa del marito, si era accorta dello stato d’animo del pover’uomo e cercò di correre in suo aiuto. Lo sguardo riconoscente di Jofiah la fece sorridere.

   «Maledizione! Com’è possibile che sia riuscito a entrare nel palazzo e a uscirne con Corghyan senza che nessuno lo vedesse!»

   Terodas chinò il capo.

«Non lo so, mio signore, non me lo spiego neanche io. Solo una persona ne sarebbe stata capace, ma a quanto ne sappiamo è scomparsa da molto tempo».

   Eromas aveva voltato le spalle ai presenti e stava guardando distrattamente fuori da una delle finestre cercando di ritrovare il controllo dei nervi. Era anche lui giunto a quella riflessione, ma cercava di combattere quel pensiero. Se fosse stato veramente lui, avrebbe voluto dire che, per Corgh, le speranze erano veramente poche.

  
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