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Autore: MisfitSoul    15/11/2014    2 recensioni
“Capisco perché dici di essere uguale a lei. Solo che non lo sei” sussurrò, ma nel silenzio la sua voce risuonò come amplificata. Si appoggiava allo stipite della porta ancora socchiusa e il suo viso era completamente in ombra, l'unica fonte di illuminazione era la luce soffusa proveniente dal corridoio. Gerard pensò che non avrebbe mai saputo se lo stava guardando negli occhi, mentre parlava.
“Dovresti guardarti quando sei in mezzo agli altri, ogni tanto. Come parli, come ti muovi. Quasi mi spaventi da quanto sembri distaccato, sai? Fai così con tutti, persino con tuo fratello, a volte. Se non sapessi che stai solo fingendo...”
“Cosa ti rende così sicuro?” Gerard si sentiva la vista appannata da un'emozione devastante, che identificò, in qualche modo, come commozione, “Come sai che è finzione, che non lo sono davvero?”
“Perché lo sento, lo vedo quando siamo solo noi due. È il modo in cui sorridi, quello che dici.
Non voglio credere che tu abbia finto con me.
Perché voglio credere che tu non sia come lei, Gerard, ma come me.”
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Buona giornata! Okay, mi rendo conto di averci messo un tempo infinito per scrivere questo capitolo. E non lo so neanche io perché. Avevo idea di cosa scrivere, ma non riuscivo mai a metterlo giù in modo decente. Poi ultimamente mi sembra che il tempo passi ad una velocità tale che non me ne rendo neanche conto. Comunque, alla fine ce l'ho fatta, ma il problema è un altro: questo capitolo è ETERNO. Più del solito, comunque.Non l'ho voluto tagliare perché avrebbe fatto schifo, ma pensate che avevo in mente un'altra parte, che alla fine non ho messo perché ero già stata troppo lunga, e che sarà nel prossimo capitolo. Quindi spero davvero che siate ancora interessati a leggere questa storia e che non vi annoiate e smettiate di leggere a metà capitolo. Spero che vi piaccia, perché a me piace abbastanza.
Devo sempre ringraziare tantissimo le persone che hanno aggiunto la storia tra le seguite/ preferite/ ricordate, la ragazza gentilissima che ha recensito lo scorso capitolo e la ragazza troppo buona che mi ha messo tra le autrici preferite (AIUTO)! Mi fa piacere sentire i vostri pareri per tutto, ma anche solo sapere che qualcuno vuole ancora leggere questa storia è abbastanza.
Pace, amore & empatia.
- M.

 

 

 

8. Do you believe in rapture? (Sonic Youth)

Do you believe in his sweet sensation?
Do you believe in second chance?
Do you believe in rapture, babe?”

 

Quando al suo risveglio quella mattina, nella sua camera, posò lo sguardo sull'altro letto, lo trovò vuoto. Era rifatto, inoltre, e i vestiti che di solito stavano sparpagliati ai piedi di esso ora erano piegati e in ordine. Lo trovò strano. Gerard notò che il cielo che si intravedeva dalle persiane semi aperte della finestra era ancora blu, aveva appena iniziato a rischiarare.

Si rigirò tra le lenzuola. Il numero proiettato dalla luce rossa della sveglia digitale sul soffitto lo informava che erano le 5.40. Lentamente, si alzò a sedere sul letto e si sentì girare la testa per qualche secondo. Si sentiva stanco e un tantino frastornato, ma era come pervaso da una sensazione di benessere a cui non sapeva attribuire un nome o una motivazione. Pensò inizialmente che fosse dovuto all'atmosfera: la freschezza dell'aria e il colore del cielo prima dell'alba erano rilassanti. Era un momento di transizione, non era più notte ma nemmeno ancora giorno. Affascinante. Sorrise. Era così facile trovare la bellezza nelle cose. Quel pensiero lo aveva colpito all'improvviso, dal nulla. E poi ricordò. Un gran numero di fatti gli tornarono precipitosamente e disordinatamente alla memoria. Ricordava parti sconnesse della storia di qualcun altro, che lo riguardava solo perché lo riguardava Frank. Frank. Per quanto si sforzasse di relegare i pensieri legati a lui in un angolo remoto della sua mente, di andare per ordine, di procedere ad analizzare i fatti oggettivamente più importanti, non poteva. Non poteva negare che la prima cosa che gli era ritornata alla mente era proprio il modo in cui si era conclusa la lunga giornata precedente. Era egoista e ingiusto, specialmente nei confronti di Frank, che stava attraversando un periodo difficile e aveva di certo cose più importanti a cui pensare. Eppure Gerard non riusciva ad evitare di rivedere quella sera, le cose assurde che aveva detto e quelle ancora più assurde che aveva pensato, la sensazione di avere Frank con lui nel suo “posto segreto” per la prima volta. L'odore delle sigarette di Frank quando i loro visi si erano trovati a pochi centimetri di distanza, quando le loro labbra si erano sfiorate. Sorrise, non poté trattenersi. L'aveva baciato, era davvero questo ciò che aveva fatto? Non era durato più di qualche secondo. Allora perché gli sembrava fosse stato così significante?

Gerard fece un respiro profondo e si sedette con le spalle contro il muro. Si portò le gambe vicino al petto e si strinse nelle braccia perché sentiva un po' freddo. Però era bello, il modo in cui la luce debole che entrava da fuori illuminava il posto vuoto di Frank, donando alle lenzuola e ai cuscini bianchi una sfumatura quasi violetta. Socchiuse gli occhi. Si sentiva ancora bene perché non era solo. Sapeva che il ragazzo era nella stanza, dietro alla porta del bagno chiusa a chiave. Ancora addormentato e non del tutto cosciente, aveva sentito il mormorio di una voce provenire da lì dentro. Aveva immaginato che stesse parlando al telefono con qualcuno e la cosa lo aveva messo in allarme, considerata l'ora (ma gli aveva anche fatto piacere il pensiero che Frank stesse parlando a voce bassa per evitare di svegliarlo, e gli aveva fatto venire voglia di sorridere). Ma adesso era tutto nuovamente silenzioso, fatta eccezione per l'occasionale rumore di passi che Gerard riusciva ad udire. Passarono forse cinque o sei minuti, poi il suono dell'acqua che scorreva da un rubinetto, poi cessò e finalmente la porta si aprì. Frank uscì strofinandosi il viso (persino da quella distanza e con la poca luce Gerard poteva vedere le occhiaie che aveva). Sembrava esausto, ma non amareggiato, cosa che lui aveva fortemente temuto. Sembrò non accorgersi nemmeno del fatto che Gerard fosse sveglio, mentre spostava dei fogli dalla scrivania e li metteva a posto, per poi tornare a sistemare nervosamente il letto già perfettamente in ordine. Solo quando si decise a sedersi e guardò di fronte a sé lo notò. Sul momento sobbalzò, come colto di sorpresa, ma si rilassò velocemente e la sua espressione si addolcì mentre le labbra si distendevano in un sorriso. Gerard non si mosse, ma ricambiò il gesto. Per qualche istante nessuno dei due mosse un muscolo, e Gerard giurò di riuscire a sentire il suono del respiro di Frank, del cuore che batteva nel suo petto. I sospiri di qualcuno che si era appena risvegliato, qualche camera dopo la loro, e più in là, il cinguettio degli uccelli che avevano già iniziato a cantare e il rumore delle macchine che sfrecciavano sulla superstrada, molto lontano. Chiuse gli occhi. Gli sembrava che se si fosse concentrato sarebbe riuscito a sentire tutto, ad udire le voci delle persone che gridavano a chilometri di distanza da lì.

“Qualcosa non va?” chiese, una volta riaperti gli occhi. Frank era seduto nello stesso punto e allo stesso modo in cui l'aveva visto prima. Ma aveva lo sguardo basso, fisso sulle sue mani. Eppure lo guardò quando Gerard lo chiamò, e si sforzò di assumere un'espressione serena. Al ragazzo passò solo per un secondo per la testa l'idea che non si stesse sforzando affatto. Che fosse la sola vista di Gerard a farlo sorridere. Ma l'accantonò subito, non era possibile.

“Nulla. È tutto okay”.

“Ne sei sicuro? Con chi stavi parlando, a quest'ora? È successo qualcosa?”.

“Con i miei genitori” rispose, alzando le spalle. Aveva parlato pianissimo, cosa che aveva spinto Gerard ad avvicinarsi, andandosi a sedere di fianco a lui sulle coperte perfettamente in ordine. “È per via del fuso orario” disse Frank “fanno sempre un po' di confusione. Non avevano idea che fosse così presto”.

“Mi dispiace di averti svegliato” aggiunse poi, con l'aria davvero dispiaciuta. A Gerard parve assurdo che si desse peso per una cosa del genere, quando lui ne aveva ben altre di cui preoccuparsi. Vedeva sul suo viso che tutte le cose apprese il giorno prima lo avevano distrutto, e capiva perché fosse nervoso e quanto avesse dovuto essere stato difficile per lui parlare con i suoi genitori qualche minuto prima.

“Non ha importanza” lo rassicurò. “Ho scoperto che mi piace stare sveglio a quest'ora. È bello”. Frank rise piano. Gerard non pensava che quello che aveva detto fosse divertente, quindi suppose che la sua risata fosse legata a qualcosa che non poteva sapere. Improvvisamente, sentì l'impulso illogico di ritirarsi, come se non fosse più gradito a Frank e dovesse stare lontano da lui. Ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, avvertì il tocco caldo di una mano, delle dita che si stringevano attorno al suo polso, quasi a trattenerlo, come se avesse letto i suoi pensieri. Quando girò il volto verso Frank, lo trovò con lo sguardo basso come prima, ma la stretta su Gerard era salda.

“È il mio compleanno” disse poi, senza una particolare intonazione, continuando a parlare piano. Sembrava che si sentisse obbligato a sussurrare per non turbare la tranquillità di quel momento.

“Sai, è per questo che mi hanno telefonato. Per farmi gli auguri, tutto qui”.

Gerard non poté trattenersi e sorrise, e parlò ad un volume di voce troppo alto: “Frank, è il tuo compleanno! È meraviglioso! Perché non me l'hai detto prima?”. Non sapeva per quale ragione, ma gli sembrava una bellissima notizia. Non era offeso perché Frank non gli aveva mai rivelato la data del suo compleanno, perché avrebbe dovuto esserlo? Gli dispiaceva di non avere niente da dargli, quello sì, ma immaginava che avrebbe potuto rimediare. Avrebbe quasi voluto abbracciarlo, ma quando lo fece notò che il ragazzo sembrava d'impulso ritrarsi, forse spaventato da quell'eccessivo entusiasmo, ed avvertì di nuovo la fastidiosa sensazione di prima.

Ma Frank si limitò a mascherare la sua reazione e a stringersi nelle spalle, e così ignorò la cosa.

“Non è niente di speciale, solo un compleanno. Non mi è mai piaciuta più di tanto questa ricorrenza. Non serve solo a ricordarti di un altro anno che passa e che hai sprecato? Del tempo che hai perduto e di come ognuno di noi inevitabilmente invecchia?”.

Gerard fece un sorriso. Comprendeva ciò che l'amico stava dicendo, e ci aveva pensato. La paura di invecchiare era certamente comune nelle persone particolarmente sensibili. Non lo stupiva il fatto che Frank lo pensasse, solo che ne avesse parlato proprio ora. Gli dispiaceva. Aveva desiderato che fosse felice, o perlomeno si sentisse bene, come si era sentito lui quella mattina. Gerard non era preoccupato dal pensiero di invecchiare. C'erano altre cose che lo preoccupavano. Come, ad esempio, la morte. E l'eventualità di rimanere solo o circondato da persone noiose. Ecco, quelle cose lo preoccupavano parecchio. Ma non voleva parlarne a Frank, non era quello il momento. Così disse solo: “Non parlare così”. Posò una mano sulla sua guancia e lo avvicinò a sé come se volesse baciarlo di nuovo, ma non lo fece, invece si allontanò subito. Non sapeva ancora di preciso come avrebbe reagito ad un simile gesto. La sera prima era stato un caso a parte, era buio e Frank era rattristato e debole. In effetti, ora che ci pensava a mente lucida, era stato avventato anche allora. E non era stato giusto nei confronti di Frank, considerando le condizioni in cui si trovava. Ed era consapevole di questo tanto quanto era consapevole del fatto che non se ne sarebbe mai e poi mai pentito. “Hai ragione, scusa. Era solo una cosa a cui stavo pensando. Non avrei dovuto dirla. È stupida”.

“No, hai fatto bene. E non è affatto stupida, lo sai. È solo sconfortante. Sembra qualcosa che direi io”. Frank alzò gli occhi al cielo e rise.

“Non dovresti sentirti lusingato? Sto iniziando a parlare come te”.

“No! Non pensare neanche di iniziare a farlo, ti prego! Non lo sopporterei, sopporto a stento le cose che dico io stesso la maggior parte delle volte”.

Frank rise di nuovo, e Gerard si perse ad ascoltare il suono della sua risata.

“Stai mentendo! Tu adori il modo in cui dici le cose che pensi, non provare a negarlo. Lo adori!”

Era vero, ovviamente, Gerard non lo negò ma non lo ammise. Gettò la testa all'indietro e rise anche lui. La parte artistica del suo essere che non riusciva ad essere totalmente priva di vanità lo spingeva ad amare il suo modo inusuale di pensare ed esprimersi.

“Ma mi piace di più il modo in cui parli tu, Frankie” disse con un sorriso ambiguo.

“Non ci credo”.

Ma era vero. Non volle spiegargli in quel momento quanto amasse ascoltarlo, come si sforzasse di intavolare discussioni con lui solo per sentirlo parlare. Non tanto per il suo adorabile della sua voce, ma perché trovava affascinante come Frank riusciva a far sembrare innocenti le cose che sarebbero dovute essere maliziose, senza neanche sforzarsi. L'aveva osservato fin da subito, e non era un caso che a tutti piacesse stare in sua compagnia. Sembrava che tutto andasse bene e tutto fosse permesso quando c'era Frank. Ed era proprio quello che Gerard voleva, qualcuno che gli dicesse che le cose che aveva deciso da solo fossero giuste lo erano veramente.

“Dovresti, invece. Buon compleanno, Frankie”.

 

Alcuni amici avevano telefonato a Frank, amici di cui Gerard non aveva mai sentito parlare. Jamia era venuta di persona a bussare alla loro porta, ci teneva ad essere la prima a fare gli auguri di persona a Frank. Gerard l'aveva cortesemente informata del fatto che era sfortunatamente arrivata seconda. Quando se n'era andata, Frank l'aveva guardato e aveva sorriso, chiedendogli se non fosse per caso geloso. Gerard aveva alzato le spalle e gli aveva dato una risposta sarcastica, poi si era chiuso in bagno. L'aveva sentito ridacchiare da fuori.

Gerard si sciacquò la faccia con dell'acqua fredda. Si guardò nello specchio, anche se conosceva la sua immagine a memoria. La sua pelle era incredibilmente pallida, gli occhi verdi erano segnati da delle leggere occhiaie, alcune ciocche scure di capelli bagnate gli si appiccicavano al viso. Gerard non si era mai considerato bello, né gli era mai importato tanto di esserlo. Eppure aveva un fortissimo senso estetico. Amava la bellezza nelle persone e nelle cose, nelle opere degli altri e in quelle che creava, nella natura. Lo rendeva felice quando la poteva ammirare. Ma non gli era mai importato troppo di come appariva lui stesso. Ma Frank? A Frank importava? A lui piaceva quello che vedeva quando guardava Gerard? Quella questione lo turbava da un po' di tempo a quella parte.

Si disegnò un leggero tratto di matita nera attorno agli occhi, pensando che non aveva un vero e proprio motivo per farlo. Non ricordava nemmeno perché avesse deciso di tenere quei trucchi, era passato molto tempo dall'ultima volta in cui li aveva usati. Però non gli dispiaceva, il modo in cui quel semplice particolare modificava la sua espressione, conferiva profondità al suo sguardo. Sorrise svelto al suo volto riflesso. Alla fine uscì dal bagno, con un aspetto decente e un umore discreto. Rimase fermo sulla porta, trovando che Frank lo stava aspettando, appoggiato al muro di fronte. L'espressione che leggeva nei suoi occhi non la riconosceva. Non solo non l'aveva mai vista su di lui, ma su nessun altro. Non sembrava malvagia, tuttavia, e Gerard si chiese a cosa stesse pensando. Sembrava ansioso. Sulle sue labbra comparve immediatamente un sorriso quando ebbe guardato attentamente il viso di Gerard.

“Non ti piace?”

“Sì, mi piace. Stai bene”.

Una risatina nervosa gli scappò dalle labbra. Era piuttosto strano, perché non gli capitava mai di essere nervoso con Frank. Forse era quello sguardo insolito nei suoi occhi. Ormai pensava di conoscerlo così bene che qualunque novità lo preoccupava. Si preoccupava per Frank, ovviamente. Notò che aveva smesso di guardarlo negli occhi, ma gli si avvicinava. I suoi passi erano lenti e prudenti, misurati. Era molto strano. Gerard aveva immaginato che quella giornata sarebbe stata strana, fin da come era iniziata. Come era possibile che Frank riuscisse a stupirlo con i comportamenti più insignificanti?

“Devo ringraziarti, Gerard. Mi sono accorto solo ora di non averlo ancora fatto”.

“Ma non devi, Frank. Non ho fatto nulla che ne valga la pena, davvero. Caso mai, sono io che devo ringraziare te...” iniziò a dire, ma l'altro lo interruppe.

“Oh, stai zitto. Hai fatto moltissimo per me, e lo sai. Da quando ci siamo conosciuti e non avevo nessuno, fino a ieri sera. Penso seriamente che sarei impazzito se non ci fossi stato tu”.

“Non dire così. Sai che non sarebbe successo. E se non ci fossi stato io, ci sarebbe stato qualcun altro pronto a fare le stesse cose che io ho fatto per te. Non c'è nessuno che non le farebbe, credimi”.

“Ma la vuoi piantare!” esclamò, fissando nuovamente gli occhi nei suoi. Gerard capì che in quel momento non sapeva bene se ridere o urlargli contro, cosa che lo fece sorridere. Riusciva davvero a confonderlo così?

“Non puoi per un attimo tacere e accettare semplicemente la mia gratitudine?”

“Immagino di poterlo fare, sì” annuì.

“Bene” borbottò Frank, sembrando un po' irritato mentre faceva per andarsene, solo quel tanto che bastava per farlo apparire più attraente. Era quasi alla porta quando si fermò, facendo cadere d'improvviso lo zaino a terra con un rumore sordo. Si girò e fu veloce nell'annullare la distanza tra lui e Gerard, così che lui quasi non si accorse di ciò che stava succedendo. Ma notò di certo l'ombra di uno sguardo sicuro di sé e spericolato sul suo bel volto, che lo rendeva ancora più eccezionale. Aveva lo sguardo appassionato e perso di quello che si trova sull'orlo del precipizio e ha proprio intenzione di buttarsi. E poi sentì l'impeto con cui Frank si gettò su di lui, facendo aderire i loro corpi e le loro labbra. Lo sorprese. Non tanto il gesto, quanto la sensazione. Era così diverso dal bacio leggero e dolce della sera prima, oh, era tutta un'altra cosa. Fu un bacio lungo, senza riserve. Gerard percepiva tutto amplificato, il sapore di Frank, così intenso e diverso eppure familiare, il suo profumo, il suono del suo respiro affannoso. Gerard era consapevole di non essere mai stato così vicino a lui come lo era in quel momento, sia fisicamente che spiritualmente, e la cosa gli dava alla testa. Gli sembrava di essere una sola cosa con Frank, aveva la sensazione che il sangue scorresse nei loro corpi come in uno solo, che i loro cuori battessero allo stesso ritmo. Forse se si fosse concentrato abbastanza sarebbe riuscito a leggere nella sua mente, ad ascoltare i sentimenti che forse Frank non avrebbe mai ammesso ad alta voce. Forse non era mai stato diretto così diretto con lui. In fondo, Gerard aveva sempre sospettato che Frank fosse una persona molto fisica. Pensava che quel bacio, quel contatto, fossero il suo modo sì, di ringraziarlo, ma soprattutto di fargli percepire la sua presenza e il suo coinvolgimento in un modo in cui forse non avrebbe potuto a parole.

Si separarono dopo quelli che sembrarono secoli, ma che in realtà furono soltanto minuti. E mentre Gerard guardava Frank, che si allontanava con passi lenti a ritroso da lui, pensava che non gli era mai parso così bello, accaldato e affannato e spettinato. Si chiese come dovesse apparire lui stesso. Sicuramente devastato come lui, ma altrettanto gradevole alla vista? Ma poi, che importava, alla fine? Frank l'aveva baciato, eccome se l'aveva baciato! Non riusciva a credere che Frank l'avesse fatto di sua spontanea volontà.

“Buona Giornata” gli disse poi, con un filo di voce, mentre usciva di fretta dalla stanza, così che Gerard non ebbe modo di dirgli qualcosa di cui forse si sarebbe pentito. Perché se ne sarebbe pentito. Ma in quel momento non ragionava, e gli dispiacque molto quando Frank lo lasciò senza aggiungere niente. Ma l'insoddisfazione durò giusto un secondo. Lasciò ricadere la testa all'indietro contro la parete, con una strana risata, poi scivolò a sedere sul pavimento. Oh, ed era stato solo un bacio! Si era mai sentito così bene?

 

 

Decise che non sarebbe andato a lezione quel giorno. I professori non se ne sarebbero preoccupati, l'aveva già fatto. Lo tolleravano per via della sua intelligenza, o almeno così si diceva quando si domandava per quale ragione non lo avessero ancora sbattuto fuori, considerando il suo scarso impegno nelle discipline scolastiche. Oltre al fatto che suo padre e sua madre avevano tanti soldi con cui pagavano la sua iscrizione, e che facevano sempre comodo, s'intende. C'erano insegnanti che non nutrivano una particolare simpatia per lui, e che avrebbero volentieri fatto a meno di averlo fra i loro alunni. Certi invece, sembravano ammirarlo per una qualche qualità che vedevano solo loro, e lo prediligevano tra gli altri. Per Gerard non faceva tanta differenza, i professori che aveva avuto lo avevano lasciato sempre piuttosto indifferente, perciò non si preoccupava certo di cosa pensavano sul suo conto. Aveva cose più importanti a cui pensare.

Pensava che nemmeno Frank si sarebbe preoccupato non vedendolo in classe, siccome lo conosceva. Sperava soltanto che non pensasse che Gerard stesse cercando di evitarlo. Non lo stava facendo, assolutamente. Oh, Frank, se avesse potuto sarebbe stato sempre insieme a lui, ogni minuto di ogni giorno! Ma si sentiva così su di giri che non aveva voglia di stare con lui circondato da altre persone, col rischio di non riuscire a resistere e saltargli addosso, o gettarsi ai suoi piedi in una appassionata dichiarazione d'amore, davanti a tutti.

Dopo essersi alzato dal pavimento, decise di andare a fare un giro. Erano tutti nelle rispettive classi (a parte quelli che, come lui, avevano avuto l'idea di marinare la scuola), e comunque nessuno gli prestava particolare attenzione normalmente. Quel giorno era molto soleggiato, e quasi gli mancava la pioggia che si era così abituato a vedere. Evitò quei pochi che avrebbero potuto conoscerlo di vista e tagliò per il cortile scolastico, raggiungendo indisturbato lo stabile dove si trovava la caffetteria. Quel posto era una zona sicura. Era lì dove andava quando decideva di non assistere alle lezioni, se non aveva voglia di camminare fino all'anfiteatro, e ormai i frequentatori abituali lo conoscevano bene. Infatti riconobbe Robert, lo studente dell'ultimo anno con i capelli castani più lunghi dei suoi, che doveva avere anche una situazione scolastica più disastrosa della sua, considerando che lo incontrava ogni volta che si recava lì. Stava leggendo un romanzo, e quando Gerard aprì la porta alzò gli occhi su di lui e sorrise. Lo salutò con un cenno. Robert era piuttosto carino. Gerard pensava che avesse una cotta per lui, e la cosa gli faceva piacere, anche se più probabilmente era soltanto il suo ego che qualche volta si montava e lo portava a credere queste cose. Comunque, non gli andava di intrattenersi con lui quel giorno. Quindi si diresse subito al bancone del bar, dove Jodie, la giovane cameriera che conosceva bene, lo salutò con un sorriso cordiale. Anche Jodie era piuttosto carina e gentile, perciò non la liquidò così presto. Parlarono per un paio di minuti del film con Tom Cruise che lei aveva visto il giorno prima in tv, mentre Gerard sorseggiava il suo caffè. Alla fine si sedette al suo solito tavolo, reso ancora più di buon umore dall'aver conversato con una persona piacevole.

Ogni qual volta i suoi pensieri ritornavano a Frank, si sentiva di nuovo leggero, la testa gli girava e si sentiva felice. Mentre fissava il liquido scuro nella seconda tazza di caffè che aveva ordinato (e che si sarebbe ricordato di bere, quella volta) si accorgeva che minuto dopo minuto la sensazione fisica che quel contatto gli aveva lasciato addosso andava svanendo. Gli dispiaceva, sembrava una presa in giro, che non gli rimanesse niente di tangibile a ricordare che era avvenuto, come se non fosse successo niente. Eppure era abbastanza sicuro di aver sentito chiaramente la lingua di Frank dentro la sua bocca, il fastidioso piacere delle sue dita che gli tiravano i capelli nella frenesia del bacio, sentire le ossa del bacino di Frank quando le mani di Gerard erano strette sui suoi fianchi. Si passò le mani fredde sulla fronte. Oh, doveva smettere per un attimo di pensarci! Chissà se Frank ne avrebbe voluto parlare, quando si sarebbero rivisti. Forse gli avrebbe detto che era stato uno sbaglio, o forse che non vedeva l'ora di rifarlo. Gerard sperava che non dicesse niente di niente, come d'altronde avrebbe fatto lui, perché non avrebbe trovato parole per parlargli di ciò che gli suscitava. C'erano parole per tutto il resto, ma non per quello.

Si chiedeva che cosa avrebbe fatto se Frank l'avesse rifiutato. Non voleva pensarci, perché temeva la sua stessa reazione. Non si era mai sentito legato a qualcuno in quel modo, quindi non aveva precedenti. Lo spaventava sapersi così imprevedibile.

Decise di aspettare e non fare niente per il momento. Tornato in camera, si sdraiò sul letto con le cuffie nelle orecchie per un po'. Stoppò la canzone che stava ascoltando dopo pochi minuti, rendendosi conto di non riuscire a stare fermo. Prese a camminare per la stanza, cercando qualcosa da fare per tenersi occupato. Andò alla sua scrivania e iniziò a spostare i fogli sparsi da un lato, impilare i libri da un altro, rimettere le matite e le penne dentro l'astuccio. Si fermò ad un certo punto con un libro in mano sollevato a mezz'aria, realizzando che si stava comportando esattamente come aveva visto fare a Frank quella mattina. Lanciò uno sguardo alle sue cose, ancora in ordine perfetto. Ridacchiò. Che cosa bizzarra! Non sapeva perché si stava comportando così. Certo, sapeva di essere ancora agitato per via degli avvenimenti di quella mattina (si chiese se si sarebbe mai ripreso del tutto) ma non aveva mai pensato che mettersi a riordinare compulsivamente la stanza potesse essere un rimedio efficace. Sinceramente, la considerava una cosa tipica soltanto delle casalinghe di mezza età sessualmente frustrate. E inoltre, lui di solito era una persona molto calma, al massimo sfogava la sua inquietudine attraverso altri mezzi, come il disegno o la scrittura. A quanto pareva, Frank gli stava passando anche le sue piccole abitudini. Sorrise, perché la cosa gli faceva piacere.

Gli sfuggì un'altra piccola risata dalle labbra. Davvero non capiva perché continuasse a ridere da solo, quel giorno. Scosse la testa e, abbassando lo sguardo, gli saltò all'occhio il volume che teneva ancora in mano. Aggrottò le sopracciglia, accorgendosi che si trattava di “Orgoglio e Pregiudizio” di Jane Austen. Un'edizione economica, con la copertina scura e spiegazzata. Scorse le pagine, notando che erano un po' ingiallite e rovinate, segno che era stato letto molte volte. Era più che sicuro di non possedere quel libro, quindi si stupì di trovarlo tra le sue cose. Una questione era che Gerard fosse una persona estremamente disordinata e non sapesse neanche che cosa avesse su quella scrivania, lo concedeva. Però non capiva proprio che cosa ci facesse lì quel libro che non aveva mai visto. Forse era di Frank, pensò. Ma i suoi libri erano tutti ordinati su una delle mensole. Sorrise e ridacchiò fra sé al pensiero di Frank che leggeva un romanzo di Jane Austen. Scartò quasi subito l'ipotesi, perché gli sembrava improbabile. Comunque sarebbe stato carino.

Trovando che non aveva effettivamente niente di meglio da fare, aprì il libro ed iniziò a leggerlo. Sfortunatamente, dopo poco la pazienza gli venne meno, così lo richiuse dopo aver letto le prime tre o quattro pagine. Guardando l'orologio, si accorse che doveva essere appena finita l'ultima ora di lezione. Avrebbe potuto aspettare lì Frank, pensò. Ma poi che si sarebbero detti? No, per quanto avrebbe avuto voglia di vederlo, la cosa giusta da fare per ora era stargli ancora un po' lontano, dargli tempo per pensare. Sarebbe semplicemente uscito a fare un giro per l'istituto (che era abbastanza grande perché due persone si potessero evitare) e sarebbe tornato quella sera. Era la cosa migliore, no?

Prima di andarsene, però, raccolse la copia di “Orgoglio e Pregiudizio” che aveva abbandonato poco prima sul tavolo e la lasciò cadere nello zaino semivuoto che si portava dietro. Pensava che, tuttavia, avrebbe potuto intraprendere quella lettura in un momento, da un'altra parte, se gli fosse venuta voglia.

 

Mentre camminava da solo per il parco, stringendosi nella felpa pesante (perché, nonostante il sole, era freddo come al solito), si sentiva come se stesse cercando qualcuno. Non sapeva chi, però. Continuava a guardarsi intorno, pestando le foglie secche e schivando le coppiette di giovani che stavano sdraiati sull'erba a scambiarsi effusioni. Poi, quasi all'improvviso, comparvero sulla sua visuale. Suo fratello minore e la sua fantomatica ragazza, Alicia, erano proprio lì, su una panchina, avvinghiati al pari di ogni altra coppia di adolescenti in piena crisi ormonale che aveva visto quel giorno. Come lo vide, decise che doveva parlare con Mickey, era lui che stava cercando. Non gli importava un accidenti di interrompere il momento romantico (o presunto tale) tra i due; lui doveva parlare con suo fratello, e in quel preciso momento. Avrebbe giocato la parte dell'impertinente guastafeste, se ce n'era bisogno. Si piazzò davanti ai due, riservando loro un'occhiata al limite del disgusto. Dopo circa quindici secondi in cui dimostrarono di essere troppo impegnati per accorgersi della sua presenza, si schiarì rumorosamente la voce. Quando Mickey lo vide, e fu lui il primo, si affrettò ad allontanare Alicia da lui, forse un po' troppo bruscamente, mentre le sue guance si coloravano di un rosso acceso. La ragazza lo guardò confusa e un po' seccata, prima di accorgersi di Gerard. Sul suo viso, al contrario di quello di Mickey, non c'era la minima traccia di imbarazzo, al massimo di fastidio.

“Sono desolato, ma devo proprio interrompervi. Mickey, vorrei parlarti”.

Lui avvampò ulteriormente, se era possibile, non solo di imbarazzo ma di rabbia, questa volta. Comunque non era niente di che, Gerard lo sapeva, sarebbe presto scemata. Doveva solo togliersi dai piedi la ragazza.

“E questo chi cazzo è, adesso?” sbottò subito lei, rivolgendosi e Mickey e non degnando Gerard di uno sguardo. Quello avrebbe dovuto irritarlo, invece non fece niente di simile, se non sorprenderlo quasi in positivo. Non si aspettava da lei quel tipo di reazione. La squadrò dall'alto in basso. Lei si decise allora a considerarlo, sostenendo il suo sguardo e alzando le sopracciglia con fare altezzoso. Gerard quasi sorrise; era completamente diversa da come se l'era figurata, attraverso le descrizioni del fratello, e da quell'unica volta in cui l'aveva vista di sfuggita. Sicuramente lei non si ricordava di lui, e nemmeno Gerard l'avrebbe riconosciuta se l'avesse incontrata da solo.

“È mio fratello, Gerard. Gerard, lei è Alicia...” borbottò quasi incomprensibilmente, tenendo lo sguardo basso.

“Piacere” Alicia gli porse la mano, la sua stretta era piuttosto ferma per una ragazza minuta come lei. “Dunque sei tu Gerard. Ho sentito molto parlare di te. Si può sapere quale buona ragione hai per interromperci adesso?” domandò, parendo piuttosto scocciata, ma anche incuriosita da lui, da una parte. Quella ragazza non era affatto banale, pensò. Per qualche ragione, gli stava simpatica. Gli piaceva quell'atteggiamento di superiorità, nel tono della sua voce, nel modo in cui incrociava le gambe strette nei jeans attillati, e nello sguardo di sfida che ostentavano i suoi occhi pesantemente truccati di nero. Forse gli ricordava qualcuno, ma non voleva fermarsi a pensare chi fosse. Lei gli fece un cenno con la testa, facendo ondeggiare i lisci capelli castani, incitandolo a rispondere.

“Come ho già detto, Alicia, devo parlare con mio fratello. Sì, in questo momento. Poi, potrete tornare alle vostre dimostrazioni di affetto” fece, costringendosi a parlare in una maniera e un tono che di solito non usava, forse per impressionarla. Cosa che, naturalmente, non gli riuscì.

“E chi lo dice?”

“Ehm... lo dico io?”

Alicia alzò gli occhi al cielo e rise gettando all'indietro la testa. Anche quel gesto non lo infastidì come avrebbe dovuto, sebbene non capisse cosa ci fosse da ridere. Forse il fatto era che stavano entrambi giocando la stessa parte, con la differenza che a lei veniva molto meglio di lui.

“E va bene” disse poi. Baciò Mickey abbastanza a lungo perché a Gerard potessero venire i conati di vomito (era pur sempre suo fratello), cosa palesemente calcolata, poi si alzò dalla panchina.

“Avremmo l'occasione di parlare di più, noi due!” gli gridò dietro, mentre si allontanava sulle sue gambe snelle. Oh, aveva un bel carattere, davvero. Se non avesse visto suo fratello insieme ad una come lei, forse non ci avrebbe creduto. Ma era contento che avesse trovato Alicia, che sembrava piuttosto forte ed intelligente, invece di una qualunque altra ragazzina che aveva spazio nel cervello solo per le star del cinema e i colori che andavano di moda quell'anno. Solo, si domandava se non facesse fatica a tenerle testa, qualche volta.

Ora che Alicia se ne era andata, Gerard si rivolse al fratello, sorridendo. Mickey, al contrario, continuava a fulminarlo con lo sguardo. Sembrava che l'imbarazzo di prima l'avesse abbandonato, quindi Gerard suppose che il vero motivo di quell'occhiata fosse un altro. Si sedette accanto a lui.

“Micks, ascolta, so che abbiamo avuto delle divergenze, ultimamente...”

“Divergenze? Le avevamo chiarite, le nostre divergenze. Io direi piuttosto che sei tu che non ti fai vivo da giorni. O meglio, mi ignori”.

Era vero. Gerard non parlava quasi più con Mickey, e la cosa finiva per dispiacere ad entrambi. Non sapeva di preciso perché non lo facesse, era solo che negli ultimi tempi gli era sembrato più facile evitare di toccare argomenti delicati con lui, e aveva paura che se avessero parlato sarebbero venuti fuori. Ma ora era intenzionato a rimediare.

“Perché hai tutta questa voglia di parlarmi, improvvisamente?”

“Perché sei mio fratello, Mickey, e mi piace parlare con te, nonostante tutto. Voglio chiederti scusa per non averti considerato nell'ultimo periodo, è stato insensibile da parte mia. E non voglio che un giorno litighiamo e roviniamo il nostro rapporto per sempre, come fanno i fratelli in certi casi. Penso solo che a volte entrambi esageriamo e non ragioniamo lucidamente. Ma non permetteremo mai che qualcosa di simile accada, non è vero?”

L'espressione di Mickey, a quel punto, si addolcì, e gli concesse un sorriso.

“Va bene, Gee. Lascia perdere, non ha importanza. E no, non lo permetteremo mai, non preoccuparti”.

“Alla fine, abbiamo quasi un bellissimo rapporto noi due, vedi?”.

Mickey annuì. Ci fu una breve pausa di silenzio.

“Sei di buon umore” commentò poi Mickey, sorridendo a Gerard, il quale, involontariamente arrossì. Si diede dello stupido appena se ne rese conto. Era troppo chiedere che lui non lo notasse.

“Si tratta di Frank, non è vero? Si tratta di Frank” aggiunse poi, con un tono che Gerard non riuscì ad identificare. Non fece in tempo né ad assentire che a dissentire, perché continuò subito.

“Si capisce subito quando si tratta di lui. Hai un'aria così allegra... così non da te. Si capisce. Sei stato sempre con Frank in questi giorni. È per questo che non ci siamo visti? Eri sempre con lui?”

“Sono stato con lui perché ne aveva bisogno. Mickey, tu non sai, è in una situazione...”

“Va bene, va bene. Non intendevo accusarti di niente. Sei libero di fare quello che vuoi, dopotutto”.

“Hai... hai cambiato idea? Riguardo a quello che mi hai detto l'altra volta?” domandò Gerard.

Mickey non rispose, si limitò a stringersi nelle spalle. Gerard decise di lasciar cadere l'argomento.

Non sapendo bene che altro dire, fece per prendere la sua roba e andarsene. Mentre lo faceva, suo fratello intravide qualcosa nel suo zaino che lo incuriosì.

“Che cos'è quello?” fece, infilando la mano nella sua borsa per prendere l'oggetto a cui si riferiva.

“Di che parli? Oh, è un romanzo. L'ho trovato stamattina sulla mia scrivania. Non ho idea di come ci sia finito”.

Mickey prese in mano il volume e se lo rigirò fra le mani, poi lo guardò con un'espressione confusa. Gerard gli domandò se l'avesse mai visto.

“Gee, guarda che questo è di Lindsey. Te l'ha dato lei?”

“Di Lindsey? Micks, “Orgoglio e Pregiudizio”, sul serio? Non credo” Gerard era sicuro che stesse scherzando, o si stesse sbagliando. Per qualche motivo, gli era difficile immaginare che Lindsey potesse leggere un libro come quello. Era molto più probabile l'ipotesi di Frank, per dire.

“Ho già visto questa edizione diverse volte da lei. È strano che tu non l'abbia mai notato. Ioltre, dovresti riportarglielo subito: è il suo libro preferito, lo starà cercando”.

“Cosa? Qui ti sbagli, il libro preferito di Lynz è “il Ritratto di Dorian Gray”, è una cosa che abbiamo in comune. Lo so. Me l'ha detto”.

Mickey lo fissò per un po', senza aggiungere niente, facendo sembrare il tutto molto più grave. Ma lo era. Per qualche ragione, Gerard aveva la sensazione che se si fosse sbagliato, sarebbe stata la prova che tra lui e Lindsey stava andando tutto a rotoli. Era stupido, lo sapeva. Che cosa importava, in fondo? Sbagliarsi sul suo libro preferito non doveva per forza significare che la loro amicizia non funzionava.

“'Orgoglio e Pregiudizio' non è per niente da lei. È una scelta così femminile. Parla di matrimoni, è di questo che parla? Perché mai le dovrebbe piacere un libro che parla di matrimoni?” disse. Mickey continuava a non parlare. Gerard si appoggiò meglio con la sciena contro lo schienale della panchina, perché improvvisamente iniziava a sentirsi sprofondare.

“Sai, sto iniziando a pensare di non riuscire più a capirla”.

Mickey scosse la testa, con un'aria quasi dispiaciuta. Era dispiaciuto per lui?

“Gerard, io ti voglio bene, e lo sai. Ma devo dirtelo: tu non l'hai mai capita”.

“Che cosa? Mickey, come puoi dirmi questo? Pensi che soltanto per uno stupido libro...”

“Ma Gee, non è soltanto per questo! Come è possibile che tu non l'abbia ancora capito? Voi due non siete mai stati simili come credevate, non vi siete mai compresi. Non siete mai stati sulla stessa lunghezza d'onda, in realtà, e mai lo sarete. Mi dispiace per quello che ho detto su di e Lindsey e Frank. Sbagliavo. Voi non siete fatti l'uno per l'altra, e mi dispiace perché lei evidentemente prova qualcosa per te”

Gerard continuò a guardare Mickey, cercando di contenere il dispiacere misto alla rabbia che provava, non emettendo un suono. Non voleva arrabbiarsi più con suo fratello, ma non poteva non sentirsi infastidito dalle parole che gli stava dicendo. Un po' perché era davvero stanco che gli venisse detto da altri che cosa era meglio per lui, un po' perché sentiva che forse, quella volta e basta, Mickey poteva avere ragione.

“Io la capisco...” mormorò il fratello, così piano che probabilmente non pensava che lui l'avesse sentito. Poi, la consapevolezza lo colpì, così immediatamente, come gli capitava spesso, da lasciarlo senza fiato un secondo. Strabuzzò gli occhi, guardandolo.

“Mickey, tu...” stava per chiedergli se quello che gli sembrava di avere intuito fosse vero, ma si trattenne in tempo. Sarebbe stato un grave errore. Sotto lo sguardo confuso del fratello, si alzò, dicendogli che non faceva niente. Gli disse in fretta di salutare Alicia da parte sua, e che gli era sembrata una brava ragazza. Poi si voltò e si mise quasi a correre, per la fretta di tornare al dormitorio. Aveva bisogno di riflettere con calma. Oh, e anche di vedere Frank. Soprattutto di vedere Frank.

  
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