Son Of a God
Sin dal primo momento in cui Nino aveva messo piede nel suo appartamento, si era ripromesso di parlargli del suo piccolo segreto. Erano ancora soltanto amici, quando questo era successo. Nonostante tutto, ancora non ce l'aveva fatta.
La
situazione tra loro, con gli anni, era cambiata. Avevano iniziato ad
avvicinarsi sempre di più e, giusto per rendere la
situazione più
incredibile, si erano innamorati. Fino
ad arrivare a quel preciso momento, in cui Nino si trovava davanti
alla porta del suo appartamento, trascinando una valigia dietro di
sé, pronto per stabilirsi lì, assieme a lui.
Ohno
poteva dire con certezza di essere la persona più felice del
mondo,
certo, ma allo stesso tempo anche la più terrorizzata.
Avrebbe
dovuto riderci su, specialmente dopo tutto quello che aveva
affrontato in quegli anni (con l'ulteriore preoccupazione dello stare
attento a non farsi scoprire da nessuno, altrimenti addio carriera),
ma proprio non ci riusciva. Forse si stava abituando troppo alla vita
da mortale che stava cercando in tutti i modi di condurre.
Il
problema era che lui amava Nino, e voleva bene agli altri ragazzi del
gruppo come se fossero stati suoi fratelli. Aveva a cuore i loro
sentimenti, e considerava la loro opinione più importante
rispetto a
quella di qualunque altro essere avesse mai incontrato. Sapeva che la
loro reazione, in ogni caso, non sarebbe stata buona. Aveva paura di
perdere tutti.
La
sua intenzione era, sin dall'inizio, quella di tenere nascosto tutto.
Loro non avrebbero mai saputo il motivo per cui ogni tanto spariva
per qualche giorno, né la ragione dietro le sue
difficoltà nel
leggere i kanji. C'erano periodi in cui si sentiva così
stanco da
potersi addormentare ovunque, poiché sia il giorno che la
notte
erano per lui estenuanti, ma nessuno dei suoi amici avrebbe mai
saputo il perché di questo.
Ogni
volta che loro entravano nel suo appartamento lui cercava sempre di
nascondere tutti i possibili oggetti incriminanti. Certo, molte cose
venivano nascoste dalla Foschia, ma non tutto. E se per le visite
casuali poteva sempre chiudere tutto in un armadio... beh, da quel
momento in poi sarebbe stato quasi impossibile.
Nino
lo salutò con un bacio, facendosi poi largo
nell'appartamento
(subito dopo essersi tolto le scarpe, ovviamente). Ben presto,
quell'appartamento avrebbe iniziato ad avere anche la sua impronta:
avrebbero condiviso l'armadio, il bagno, il divano, il letto...
davanti al televisore ci sarebbe stato ogni genere di console per
giocare, e aveva già fatto spazio su uno scaffale per la
collezione
di One Piece del suo ragazzo.
Quella
non era più soltanto casa sua. Era casa loro.
Provò
a fare mente locale.
La maglietta? “Casualmente” sepolta in fondo al cesto della roba sporca.
La collana con le perle? In una vecchia borsa in fondo all'armadio.
-
Beh, vuoi condurmi
in
camera da letto, o hai intenzione di restare lì a fissarmi
per
sempre? - disse Nino.
- Sai perfettamente dove si trova – disse Ohno.
Nino
fece un sorrisetto. - Oh, certo che lo so. Intendevo un'altra
cosa....
Ohno
sorrise, prendendo la valigia. Gli avrebbe raccontato tutto con
calma, non appena si fosse sistemato un po'. Ora sarebbero andati in
camera, avrebbero iniziato a sistemare la roba di Nino, e con ogni
probabilità la serata sarebbe finita con la valigia aperta
sul
pavimento, e loro due a letto.
Avevano
a disposizione l'eternità, ed
era una cosa meravigliosa.
Una
volta giunti in camera, Nino si sedette pigramente sul letto, posando
la sciarpa sul comodino.
Il
comodino. Quello con sopra il porcellino salvadanaio.
Nino
non avrebbe manifestato un improvviso interesse per quel porcellino
proprio in quel momento, vero?
Ohno
fece un sospiro di sollievo nel vedere il suo ragazzo chinarsi per
aprire la valigia, ignorando completamente il salvadanaio.
Tirò
fuori la roba con cura, e la posò sul letto. Ohno si sedette
accanto
a lui. Mentre sistemava la roba, Nino continuava a sorridere.
-
Sei felice? - gli domandò. Il ragazzo annuì.
- Vado a preparare qualcosa per cena, mentre sistemi tutto.
- No. Resta qui.
Nino
gli aveva bloccato la mano con la sua. Anche con quel semplice gesto,
era in grado di tenerlo ancorato al letto.
-
Abbiamo un sacco di tempo per sistemare la roba e per la cena, non
trovi? - disse, baciandolo e facendolo sdraiare sul letto.
Lo
sapeva benissimo: sapeva che quando Nino desiderava qualcosa, faceva
di tutto per ottenerla subito. E, in quel momento,
ciò che
Nino desiderava di più era lui.
Non
che mi stia lamentando, pensò
Ohno, mentre Nino faceva scivolare la sua mano lentamente verso il
basso. Ohno inarcò la schiena, il suo corpo pieno di
aspettativa, e
Nino gli slacciò la cintura, insinuando le dita sotto il
tessuto dei
jeans.
Naturalmente,
la cosa lo faceva impazzire. Nino sapeva bene cosa fare per fargli
perdere il controllo, e bastava un solo tocco delle sue dita per
mozzargli il respiro.
Tanto
per migliorare la situazione, non soltanto Nino lo stava facendo
gemere ad ogni movimento delle sue dita, ma lo stava baciando sul
collo, come se potesse morderlo da un momento all'altro. Le sue
labbra si muovevano con lentezza disarmante, fredde contro la pelle
bollente di Ohno, il quale ormai non voleva fare altro che
strappargli i vestiti di dosso.
Ohno
spostò le mani, afferrando l'orlo della maglia di Nino, ma
lui lo
bloccò, ancorandogli un polso al letto con la mano.
È
così forte,
pensò. A volte,
alcuni dettagli di Nino gli facevano pensare che, forse, al sentire
il suo grande segreto lui non avrebbe battuto ciglio.
-
Tutto a suo tempo... - mormorò Nino, le labbra vicine
all'orecchio
di Ohno.
Per
il potere che aveva su di lui, Nino sarebbe anche potuto essere un
figlio di Afrodite. Lui, che poteva controllare cose ben più
potenti, ad ogni sua parola si scioglieva come un ghiacciolo.
Nino
l'aveva fatto sedere, circondandolo con le gambe. Il contatto tra i
loro bacini era quasi insopportabile.
-
Piano, piano - disse Nino, osservando la sua espressione frustrata.
Fu
allora che il ragazzo gli sollevò la maglietta,
sfilandogliela
lentamente. Si fermò per qualche secondo ad osservare il suo
corpo,
e Ohno vide negli occhi di Nino il fuoco.
Poi,
prese la maglia, e la lanciò via, assalendo nuovamente il
suo collo
con le labbra....
Crash.
-
Ma cosa...? - fece Nino, interrompendosi. Ohno cercò con lo
sguardo
la fonte del rumore. E, quando la vide, fece una smorfia di puro
orrore.
Il
salvadanaio sul comodino era caduto, colpito dalla mano di Nino.
Tutto il suo contenuto era sparso sul pavimento... e naturalmente non
si trattava di yen.
-
Cosa c'era dentro? - fece Nino, osservando le monete sul pavimento.
- Oh, non è importante, davvero... - disse Ohno, cercando di attirare il ragazzo di nuovo a sé, ma inutilmente.
Nino
si divincolò, e riuscì a prendere una delle
monete. La osservò,
poi guardò Ohno, sospettoso.
-
Non... non è nulla, davvero - disse Ohno.
- Non sei un collezionista di monete... cosa sono?
- Davvero, non c'è bisogno che tu lo sappia....
Nino
sorrise maliziosamente.
-
Sai, tu potresti non dirmi nulla, e io potrei legarti a questo letto
mentre mi prendo del tempo per decidere quando concludere...
oppure potresti dirmi da dove vengono queste monete, e io potrei fare
in modo che tu non te ne penta... a te la scelta!
Non
sarà un figlio di Afrodite, ma di certo sa come convincermi.
E, in
ogni caso, ha il diritto di sapere.
- Va
bene, va bene - disse Ohno. - Ecco... io ho un segreto.
- Tutti hanno dei segreti... - fece Nino. - ... e io sono decisamente curioso di conoscere i tuoi, Oh-chan....
- Promettimi che non ti spaventerai - disse Ohno.
- Ti conosco già bene... non credo ci sia molto che potrebbe spaventarmi, ormai! - fece Nino, sorridendo.
- Va bene. È iniziato tutto il giorno del mio dodicesimo compleanno....
*
-
Ta-ta-do-ha-ma - fece
il piccolo
Ohno, sorridendo. Era fiero di sé, perché era
riuscito a leggere
cosa ci fosse scritto sul cartellone della stazione.
Non
sempre riusciva a leggere ciò che si trovava davanti a lui;
anzi, il
più delle volte i kanji gli sembravano soltanto un intreccio
ingarbugliato di linee. Per questo era diverso dagli altri ragazzi
della sua età. Dislessia, ecco
di cosa si trattava, almeno a detta di sua madre. Lei non amava molto
che se ne parlasse, ed ogni volta sembrava esageratamente preoccupata
per la cosa.
-
Bravissimo, Satoshi-kun! - esclamò sua madre, trascinando
dietro di
sé il valigione con la roba di entrambi.
C'era
qualcosa di strano, in quella gita al mare. Tanto per cominciare,
né
suo padre né sua sorella erano presenti. Era un viaggio solo
per lui
e sua madre, organizzato per festeggiare il suo compleanno, e sua
madre sembrava molto nervosa al riguardo, sebbene cercasse in tutti i
modi di nasconderlo.
- Tra
poco andremo al mare, vero? - chiese lui, con aria eccitata.
- S-sì! Sì, andremo al mare - fece la donna, accelerando il passo. - Giusto il tempo di portare questa roba in albergo!
Si era
portato dietro il costume da bagno. Certo, era strano fare il bagno a
fine Novembre, ma lui non soffriva il freddo, e stranamente sua madre
gliel'aveva permesso.
Non
vedeva l'ora. Non aveva mai visto il mare, ed era quasi emozionato
all'idea di potercisi buttare dentro. Sua madre non gli aveva mai
permesso di prendere lezioni di nuoto, dunque non sapeva bene cosa
avrebbe fatto una volta dentro l'acqua. Forse avrebbe soltanto
sguazzato un po'.
Il tempo
di mettere a posto la roba ed erano scesi in spiaggia.
Davanti
a lui c'era una visione spettacolare. La spiaggia era circondata dal
verde, e l'oceano si estendeva, blu e cristallino, a pochi passi da
lui. La sabbia era bianca e farinosa: ad Ohno sarebbe piaciuto
giocarci un po', ma c'era qualcosa che lo attraeva ancora di
più, e
quel qualcosa era l'acqua.
Mosse
qualche passo verso di essa, gli occhi che brillavano. Si mise a
correre, come se il suo corpo necessitasse il contatto con essa.
Sentiva che sarebbe stato meglio, una volta dentro.
Il mare
toccò i suoi piedi, poi le sue gambe, ed infine il resto del
suo
corpo. Si sentiva benissimo, come se fosse nato per stare dentro
l'acqua.
Si
muoveva senza alcuna difficoltà, solcando l'acqua come se
fosse
stata aria. Non aveva mai imparato a nuotare, ma non ne aveva
bisogno: i suoi arti si muovevano automaticamente, senza che lui
nemmeno ci pensasse.
Aprì gli
occhi, e si rese conto di riuscire a vedere perfettamente tutto il
fondale. Pesci variopinti di ogni specie lo circondavano,
osservandolo con curiosità. Si mise a giocare con loro,
spostandosi
velocemente per farsi inseguire.
Andò
sempre più a fondo, senza nemmeno rendersi conto di quanto
stesse
andando lontano. Pensò per un attimo che sua madre si
sarebbe
preoccupata nel non vederlo riemergere, ma lui stava così
bene lì,
affascinato com'era dallo spettacolo che gli si presentava davanti.
Vide
rovine di città subacquee ancora ignote
all'umanità, circondate da
alghe colorate che in televisione non aveva mai visto. La superficie
era in alto, ormai lontana.
Fra le
rovine, dietro ad una colonna, vide due strane creature, unite in un
dolce bacio. I loro corpi erano simili a quelli degli esseri umani,
ma la loro pelle sembrava risplendere di una luce azzurrina, e al
posto delle gambe avevano delle code di pesce.
Tritoni.
Uno di
loro aveva gli occhi blu come il mare che li circondava, mentre gli
occhi dell'altro brillavano di un verde quasi impossibile.
Rimase a
guardarli per qualche secondo, stupito. Pensava che quelle creature
non esistessero se non nelle favole, invece erano proprio davanti a
lui. Tutto in loro sembrava meraviglioso: il modo in cui le squame
delle loro code riflettevano la poca luce che li raggiungeva, il modo
in cui si guardavano, tra un bacio e l'altro di quell'incontro
segreto....
Erano
bellissimi. Bellissimi tanto da fargli trattenere il fiato.
Un
momento. Questo significava che per tutto quel tempo
sott'acqua
lui aveva respirato senza nemmeno rendersene conto.
Non era
normale. Non era affatto normale. Certo, nemmeno riuscire ad andare
tanto a fondo lo era. E nemmeno riuscire a vedere due tritoni.
Il suo
istinto gli diceva di non avvicinarsi troppo a loro, sentiva che
potevano diventare pericolosi; tuttavia sembravano così
presi l'uno
dall'altro che probabilmente non si sarebbero mai accorti di lui.
Decise
comunque di tornare indietro. Di certo sua madre sapeva qualcosa su
ciò che gli stava accadendo. Inoltre era strano che proprio
in quel
momento avesse deciso di portarlo proprio lì, al mare.
Gli
doveva delle spiegazioni.
Attraversò
di nuovo le rovine, le alghe, i banchi di pesci colorati. Quando
riemerse, vide sua madre alzarsi velocemente dalla seggiolina in cui
si era seduta. Accanto a lei c'era una figura maschile... qualcuno
che lui conosceva bene.
Sakakibara-sensei...?
Era il
suo professore di storia, quello che tutti prendevano in giro
perché
indossava sempre, estate e inverno, gli scarponcini pesanti ed un
cappello. Cosa ci faceva lì?
Sia lui
che sua madre stavano indicando qualcosa che si trovava sopra di lui.
Alzò gli occhi.
Sopra la
sua testa aleggiava uno strano simbolo: un tridente verde brillante.
Quasi
cadde di nuovo in acqua per lo stupore. Cosa significava? Aveva a che
fare con le sue abilità in acqua?
Era molto
confuso. Perché non si era mai accorto di nulla?
Poi,
ricordò. Sua madre non l'aveva mai
portato al mare. Non gli
aveva mai permesso di prendere lezioni di nuoto. Anche a casa, ogni
volta che andava a lavarsi, gli intimava di non passare troppo tempo
sotto l'acqua. Era come se avesse cercato di tenergli nascoste le sue
capacità, come se fossero state qualcosa di pericoloso.
-
Satoshi-kun! - fece sua madre, avvicinandosi a lui.
La
guardò, con aria perplessa. - Cosa sta succedendo? -
domandò lui.
Sua madre
non disse nulla, ma lo fece sedere sulla seggiolina che lei aveva
occupato fino a qualche attimo prima.
- Ti
spiegheremo tutto, ora - disse.
Spiegheremo?
Dunque anche
il professore
sapeva qualcosa?
Osservò
il professore, che era proprio accanto a lui. Quel giorno non
indossava i suoi soliti scarponcini... e, al posto dei piedi, aveva
delle specie di zoccoli.
Ma
che cosa...?
- Sai
quando sei nato? - domandò sua madre.
- Dodici... dodici anni fa? - fece lui. Dove voleva andare a parare?
- Poco dopo l'arrivo di tua sorella, io e tuo padre abbiamo avuto un periodo di... separazione. Ci siamo però ritrovati, ma solo poco dopo la tua nascita. Ho chiesto a lui e a tua sorella di tenertelo nascosto, per proteggerti.
Era
scioccato. Troppe nuove informazioni in un colpo solo. Se sua madre e
suo padre non erano assieme quando lui era nato, il suo vero padre
chi era?
-
Quindi... mio padre...?
- Io e tua sorella abbiamo passato un periodo proprio qui, un anno. Ho incontrato un uomo: era bello e divertente. Ci siamo innamorati, ma poco dopo aver scoperto di aspettare te, lui è dovuto andare via. Prima, però, mi ha svelato la sua vera identità, facendomi promettere di tenertela nascosta fino a questo momento. L'uomo che ti ha cresciuto l'ha fatto come se fossi stato il suo vero padre.
Sembrava
particolarmente emozionata.
- Chi è
mio padre? - chiese lui.
Il
professore intervenne. - Satoshi-kun, ti ricordi di quando abbiamo
studiato gli antichi Greci?
Lui
annuì. Il professore continuò a parlare. - Ti
ricordi anche della
loro religione, vero?
Ricordava
quelle lezioni in maniera piuttosto vivida. Il professore si era
soffermato particolarmente su quell'argomento, nonostante
apparentemente non ci fosse nulla di interesse storico. Sembrava
particolarmente preso da quegli argomenti... come se, in
qualche
modo, lo riguardassero direttamente.
- Certo -
rispose lui. - Credevano in varie divinità: Zeus, Ade,
Poseidone-
- È tutto vero - disse il professor Sakakibara. - E anche io faccio parte di quel mondo.
Si tolse
il cappello. Tra i suoi capelli faceva capolino un paio di corna di
capra.
- Sono un
satiro - disse. - Mi occupo della ricerca di semidei nella zona di
Tokyo. Ho contattato tua madre non appena ti ho trovato, Satoshi-kun.
Ti ho tenuto d'occhio per vari anni, ma ora è giunto il
momento che
tu sappia la verità sulle tue origini, e che impari ad usare
i tuoi
poteri per combattere i pericoli che dovrai affrontare.
Ohno
rimase immobile sulla sdraio. Stava quasi per svenire.
Semidei?
E lui era uno
di essi? Inoltre,
il professore aveva parlato di pericoli... cos'avrebbe
dovuto affrontare di così tremendo?
Gli
girava la testa. Avrebbe voluto buttarsi di nuovo in acqua e
lasciarsi alle spalle tutta quella robaccia. In acqua sarebbe stato
tranquillo....
-
Satoshi-kun - fece sua madre, cercando di suonare rassicurante. - Il
tuo vero padre è Poseidone, il dio del mare. Ti ha
riconosciuto,
prima, attraverso il simbolo sopra la tua testa. È un
momento molto
importante per ogni semidio.
La donna
sorrise nervosamente, poi lo abbracciò.
Era
rimasto completamente senza parole. Riuscì soltanto a
domandare, con
voce flebile: - E ora?
Il
professor Sakakibara si lanciò di nuovo a parlare. - Ora
dovremo
stare attenti, perché dato che tuo padre ti ha riconosciuto
potresti
essere più soggetto ad attacchi di mostri, considerata anche
l'importanza di tuo padre. Proporrei di trascorrere qualche fine
settimana al Campo Mezzosangue, un luogo apposito per semidei come
te, per imparare i fondamenti del combattimento, poi di trasferirti
lì durante le vacanze estive. Sarai in grado di difenderti,
e nel
Campo sarai al sicuro. Cosa ne dici?
Ohno
annuì, senza sapere cos'altro avrebbe potuto dire.
- Sì,
credo che sia la cosa migliore da fare - disse sua madre.
Così, da
quel pomeriggio al mare, iniziò la sua avventura.
Aveva
trascorso le estati seguenti al Campo Mezzosangue. Aveva ricevuto
profezie, che lo avevano portato ad imbarcarsi in missioni
pericolose. Aveva affrontato innumerevoli mostri e creature il cui
potere andava ben oltre il suo. Dopo le prime missioni, tutti
cominciarono a vederlo come un eroe. Le collane di tutti vennero
arricchite da perle dedicate alle sue gesta.
Poi, era
successo qualcosa. Durante una missione uno dei suoi compagni era
morto.
L'aveva
visto lì, per terra, coperto di sangue, il petto
attraversato da una
lama avvelenata. Aveva provato a fargli bere dell'ambrosia, ma ormai
era troppo tardi.
In quel
momento aveva pensato alla sua famiglia, ai suoi amici, a come tutti
loro si sarebbero sentiti se ci fosse stato lui al posto del suo
compagno caduto.
Così,
aveva deciso di lasciar perdere quella vita. Aveva scelto di condurre
un'esistenza quasi da mortale, intraprendendo una carriera nel mondo
dello spettacolo.
Essere
costantemente circondato da mortali di tutti i tipi rendeva
più
difficile ai mostri captare il suo odore, anche se a volte non
bastava. Quando non era occupato con gli Arashi, spesso era alle
prese con le più svariate creature maligne, che minacciavano
sia la
sua sicurezza sia quella di coloro che a lui erano più cari.
Per non
parlare del fatto che restava pur sempre un eroe, e per certe
missioni veniva richiesto il suo aiuto. La situazione spesso
risultava stancante....
*
- ... ed
è per questo che, a volte, sarei capace di addormentarmi
ovunque. Ed
è per questo che ho qualche problema nel leggere, a volte.
Si fermò
per prendere fiato. Gli capitava raramente di parlare così
tanto.
Nino era sdraiato sul letto, un'espressione indecifrabile sul volto.
- Come
mai hai difficoltà proprio nella lettura? -
domandò.
- Beh... diciamo che me la cavo meglio col greco antico. Il mio cervello non è fatto per leggere il giapponese.
- Wow - fece Nino. Sembrava più stupito da quello che da tutto il resto.
- Non... non hai nulla da dire sulla mia storia?
Nino si
girò verso di lui. Sorrideva.
-
Sono contento... - fece, rialzandosi ed arrampicandosi sul suo
braccio. - Il mio ragazzo è figlio di un dio; può
respirare
sott'acqua, il che potrebbe rivelarsi decisamente interessante;
ha dei
superpoteri ma,
soprattutto, è un eroe... - sussurrò,
baciandogli il collo. - Direi di non poter chiedere nulla di
più....
Lo fece
voltare, e reclamò le sue labbra.
- E poi -
disse, tra un bacio e l'altro - non sei l'unico ad avere un
segreto....
Ohno
sorrise, e continuò a baciare Nino.
Il
suo segreto avrebbe potuto tranquillamente aspettare....