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Autore: Corvo_Nero    17/11/2014    3 recensioni
Nel silenzio della notte, la luna piena si rifletteva negli occhi spalancati e vitrei del corpo che galleggiava nelle acque del lago, la bocca socchiusa, un rivolo di sangue che usciva dalle labbra e dal naso, la tunica con una larga macchia brunastra e una freccia che usciva dal petto; solo i versi degli animali notturni rompevano quella quiete, e lentamente il corpo iniziava a affondare, cogli occhi sempre rivolti verso la luna, e con una mente ancora lucida che stava ripercorrendo gli eventi delle ultime ore…
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Molti anni prima, in una foresta al confine tra i due grandi regni dell'Est e dell’Ovest.

Mentre correva nella foresta, Julia non osava voltarsi per vedere se i suoi inseguitori le stessero ancora alle calcagna; guardava semplicemente avanti, evitando rami bassi e saltando grosse e nodose radici degli alberi che le ostacolavano la fuga. Il tintinnio delle catene ai polsi accompagnava la sua rapida andatura, le gambe esili e piene di piccole ferite sembravano non toccare il suolo nella sua frenetica corsa verso l'altro lato della foresta. Era vestita semplicemente di un sacco di tela grigio e consunto, aveva gli occhi scavati e il fisico provato dai duri mesi di prigionia. Aveva approfittato del trasferimento verso un'altra prigione per sfuggire ai suoi aguzzini, per scappare pur non avendo una meta, per inseguire il suo assurdo sogno di libertà.

Julia si sentiva come se avesse dei pugnali conficcati nei fianchi, correva senza fermarsi, ansimava fortissimo, i suoi piccoli polmoni chiedevano pietà, ma se si fosse fermata, sapeva che avrebbe avuto un destino ben più atroce di un leggero dolore al petto. La luna piena non riusciva a illuminare tra le fronde degli alberi nella foresta, ma un leggero scintillio le suggerì che di fronte a lei ci fosse uno specchio d'acqua; dopo un tempo che sembrava interminabile arrivò al limitare del bosco e vide la riva di un enorme lago.

Si sedette su una larga roccia per prendere fiato, guardandosi attorno. Era sola, completamente sola. Si guardò le mani piagate e ossute: sembravano quelle di una vecchia, con la pelle raggrinzita dalla malnutrizione a cui era stata costretta. Lo sguardo si posò sulle catene che le legavano i polsi, il respiro si fece calmo; si concentrò sugli anelli delle manette, che iniziarono a vibrare, prima di spaccarsi in due; dopo lunghi mesi finalmente osservò le sue mani libere da costrizioni. “La luce della luna mi rende più forte, per questo mi tenevano rinchiusa in quel sotterraneo.”

Vide un sentiero dall'altro lato del lago, così pensò di tuffarsi e attraversarlo a nuoto. L'acqua che le accarezzava il corpicino indebolito fu un toccasana, restituendole un po' di vigore, lavando via il fango, la polvere, la sporcizia che la ricopriva; i suoi capelli anneriti recuperarono un po' del loro naturale colore rosso.

Era arrivata sull'altro versante, sfinita sia dalla corsa che dalla nuotata e non si accorse della presenza di un'altra persona: era un cavaliere incappucciato, che probabilmente l'aveva scorta nuotare dal sentiero, con la luce della luna. Julia si sentì perduta, il suo sentimento di gioia per aver gustato quel breve periodo di libertà si spense rapidamente; pensò di implorare pietà, di cercare di spiegare a gesti che si arrendeva: alzò le mani in segno di resa, piccole ossute mani da bambina che per troppo poco tempo aveva conosciuto la fanciullezza. Il cavaliere sorrise mentre si levò il cappuccio e le accarezzò i capelli con la sua mano guantata. Le chiese qualcosa in una lingua che non conosceva, Julia non poté rispondergli, ma sapeva che era libera.

La luna piena illuminava le acque del lago e solo il tenue sciabordio del vicino fiume e il rumore di zoccoli del cavallo a trotto rompevano il silenzio. Julia ricordava le ultime ore che erano appena trascorse, poi i giorni precedenti, e via così fino a ricordare molti eventi importanti della sua giovane vita, mentre il lento movimento del cavallo la cullava, aggrappata alla vita dello sconosciuto cavaliere che l'aveva tratta in salvo.

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Da quel poco che sapeva, era orfana di entrambi i genitori, aveva vissuto i primissimi anni della sua vita in un orfanotrofio; era una bambina come le altre, apparentemente, e viveva giorni tranquilli e spensierati con i suoi compagni; poi scoppiò una grande, assurda guerra, tra due popoli all'apparenza così simili ma anche così diversi. La direttrice dell'orfanotrofio, una vecchia megera che impartiva a chiunque le disobbedisse dure punizioni, non parlava per nulla di ciò che succedeva nel mondo, le poche notizie arrivavano dai carri di provviste provenienti dalla città vicina. Julia e gli altri bambini origliavano le conversazioni dei lavoranti: si raccontava di eserciti che contavano migliaia di soldati per parte fronteggiarsi in brulle vallate, divenute rosse del sangue dei caduti, o in grigie fortezze, che torreggiavano su colline e dirupi lungo il confine tra quei due regni lontani; Julia era nata e cresciuta nel lontano nord, il cui clima rigido rendeva poco appetibile quella terra ai malvagi signori della guerra.

Ricordava come, pur origliando coi suoi amici i racconti dei braccianti, fosse poco interessata a quegli eventi, orrende storie di guerra e di battaglie, che avevano un certo influsso sui suoi coetanei, ma lei era diversa: odiava la guerra e la trovava insensata.

Una mattina d'estate di parecchi mesi prima, iniziò a rendersi conto di alcuni cambiamenti che la rendevano differente dai suoi compagni: i suoi capelli stavano passando da un nero corvino a un brillante colore vermiglio, il pallore della sua pelle si stava accentuando pur vivendo spesso all'aria aperta, sotto il tiepido sole primaverile, ma soprattutto iniziò ad accorgersi che poteva fare cose che gli altri bambini non potevano: una volta, a seguito di una punizione della Direttrice, la sua rabbia, montata per le umilianti percosse, spezzò la verga con cui la vecchia la percuoteva quando disubbidiva, oppure diede fuoco a uno dei ritratti che raffiguravano la megera, immaginandola avvolta tra le fiamme. Non passò molto tempo prima che iniziassero a circolare voci su di lei, e i compagni finirono con allontanarsi, impauriti dal suo "dono". Il suo cuore un tempo gioioso si riempì di tristezza e rancore. Perfino la Direttrice iniziò a trattarla diversamente, infliggendole meno punizioni corporali, ma forzandola all’isolamento e alla solitudine. Infine, una notte vennero a prenderla; la vecchia le tappò il viso con uno straccio imbevuto di qualcosa di puzzolente e, soffocando un urlo, la ragazzina si addormentò. Al risveglio si ritrovò in una fredda cella in cui visse per chissà quanto tempo, incapace di contare il passare dei giorni, priva di riferimenti temporali, in quell’oscuro sotterraneo angusto. Quella prigione la devastò mentalmente: presto dimenticò tutto del mondo esterno e nella sua mente c'era solo desiderio di libertà, un desiderio che venne esaudito solo poche ore prima, durante uno spostamento su un carro; riuscì a sfondare la serratura immaginando che si sciogliesse per un intenso calore, e fuggì nella foresta vicina, correndo più forte che poteva.

_______________
 
Cavalcarono tutta la notte, tenendosi lontani dai sentieri; Julia aveva le braccia strette alla vita dello sconosciuto salvatore. Solo pochi giorni prima l'acido fetore della cella riempiva le sue narici, mentre adesso respirava a pieni polmoni l'aria pura della foresta. Parlavano due lingue differenti, però riuscivano a spiegarsi facilmente a gesti e sembrava che comunque lui la capisse perfettamente anche quando parlava nella sua lingua nativa dei popoli del nord. Passarono la notte in una spaccatura nel fianco di una montagna, al riparo da occhi indiscreti di eventuali inseguitori e con una facile via di fuga verso la foresta. La ragazza riposava le membra indolenzite dalla lunga cavalcata e lo sconosciuto raccoglieva una manciata di rami secchi per il falò; Julia, rannicchiata sul morbido mantello di pelliccia dell’uomo, osservava la piccola catasta di legna e la mente ritornava ai giorni tranquilli dell'orfanotrofio, poi al suo rapimento, alla prigionia; il cuore iniziò a batterle forte in petto e senza che neanche se ne accorgesse, il mucchio di legna prese violentemente fuoco! Ella gridò dallo spavento, allontanandosi dalle fiamme. Il cavaliere accorse e col mantello cercò di domare l’incendio e controllarlo; a poco a poco il fuoco si ridusse e poterono calmarsi. Durante la cena nessuno dei due proferì verbo; lui ogni tanto la guardava, lei cercava di distogliere lo sguardo dai suoi occhi profondi. “Sei stata una stupida, ora avrà capito cosa puoi fare “, pensò tra sé e sé. Il cavaliere spiegò a cenni che dovevano riposare, per poi riprendere il viaggio all’alba.
 
Julia si svegliò quando il sole ancora doveva far capolino oltre le montagne all'orizzonte, vide il suo salvatore studiare una mappa incisa su pelle di animale, intento a decidere il loro tragitto; non aveva idea di dove stessero andando, ma a giudicare dalla posizione del sole durante il loro viaggio, intuì che si stessero lentamente dirigendo verso nord. “Casa... “, fu il primo pensiero che le balenò in mente. Ma come poteva quest'uomo sapere da dove provenisse? Chi era veramente?

Dopo un’altra lunga giornata di viaggio, si ritrovarono in una strada dissestata in mezzo a una foresta di alberi morti; i tronchi e rami secchi sembravano tante lance conficcate nel suolo. Era il tramonto e nodose e scheletriche ombre li circondavano, il silenzio innaturale in cui si trovarono era rotto raramente dal continuo gracchiare di un corvo che sembrava li seguisse. Julia fissava il panorama circostante: un tempo quella doveva essere una rigogliosa foresta, ora era completamente priva di vita. << Sydernhent... >> sussurrò nella sua lingua madre: significava Foresta Morta, un luogo privo di vita che simboleggiava l'aldilà nella cultura del suo popolo.

Il sibilare di una freccia e il nitrito del cavallo interruppero i pensieri della ragazzina e la spaventarono al punto che dovette aggrapparsi alla cintola del cavaliere per non cadere di sella; la loro cavalcatura si era impennata quando una freccia si conficcò sul terreno proprio davanti ad essa, impaurendola. Il cavaliere si guardò attorno per individuare la minaccia e scorse in lontananza, oltre gli alberi, non meno di cinque figure incappucciate armate di spada e arco.

Una volta scesi da cavallo, Julia si strinse a lui sull'orlo delle lacrime; carezzandola con una mano, le fece cenno di rimanere vicino al cavallo; con l’altra, lentamente sguainò una sciabola affilata, andando incontro, poi, agli sconosciuti che lo affrontarono, armi in pugno. Con un elegante gesto della mano lanciò un pugnale a quello che brandiva l'arco, centrandolo nel collo; la mano che impugnava la sciabola si mosse, facendola sibilare nell’aria, falciando gli assalitori come se fossero spighe di grano; in breve il suolo sterrato si macchiò del caldo sangue dei caduti.

Julia non poté credere ai suoi occhi: un solo uomo contro mezza dozzina di nemici e li uccise tutti in pochi secondi. Lo vide rinfoderare la spada sorridendole quando all'improvviso si arrestò, emettendo un breve gemito: una freccia lo aveva colpito alla schiena, altre arrivarono, due, tre, cinque, lo trafissero sulle gambe, le braccia, il torace... Julia urlò dall'orrore e dalla disperazione. Il cavaliere si accasciò al suolo, lei si avvicinò velocemente per soccorrerlo, ma non poteva fare nulla, non sapeva fare nulla. Le lacrime scorrevano sul suo viso mentre lo sguardo inespressivo e vacuo dello sconosciuto salvatore diveniva sempre più spento.

Dopo molti mesi di prigionia, aveva riassaporato la libertà grazie a lui, solo pochi secondi prima l'aveva nuovamente salvata, ed ora si sentiva impotente come non mai, guardandosi, con gli occhi colmi di lacrime, le mani sporche di sangue caldo; sgomenta, non si avvide delle decine di soldati in armatura che si avvicinavano per circondarli…

E pianse, Julia pianse, sfogando innumerevoli mesi di dolore condensati in quell'ultimo atto di crudeltà a cui dovette assistere, e urlò, verso una persona di cui non sapeva il nome, gridandogli nella sua lingua di non morire, di non lasciarla nuovamente sola. << Ehn syhd... Ehn syhd... >>

Uno dei soldati la afferrò per il braccio e fu l'ultima cosa che fece, l'ultimo crimine che commise: il guanto di ferro si sciolse come se fosse cera, il tessuto sottostante prese fuoco, in pochi secondi divenne una torcia umana, che si contorse e rotolò a terra per tentare di estinguere le fiamme che lo avvolgevano. In breve le urla di dolore e terrore si arrestarono e del soldato non rimase che carne bruciata. Julia si alzò dal cadavere del suo amico e, col viso rigato dalle lacrime, fissò gli innumerevoli soldati, recanti le effigi del regno dell'Est; urlò nella propria lingua: <>

I soldati terrorizzati iniziarono a indietreggiare, malgrado gli ordini urlati dal comandante che esigeva che la ragazza venisse catturata; la videro alzare le mani al cielo e fu l'ultima cosa che i loro occhi poterono scorgere, prima di finire inceneriti dall'estremo calore emanato da Julia, i cui capelli divennero rossi come il fuoco, danzanti al vento, liberi.

La notte scese su quella che un tempo era una foresta, e che il potere di Julia mutò in una landa desolata e brulla, piena di cenere. Solo il punto in cui si trovava, vicina al cavallo e al corpo del cavaliere sconosciuto, era rimasto intoccato. E sedeva ancora lì, immobile, non sapendo cosa fare, la mano che accarezzava il viso freddo di quell'uomo a cui doveva la libertà. Sapeva però che doveva lasciarlo; gli donò un gentile bacio sulla fronte e fu allora che avvertì il suo respiro, le palpebre tremolare. Nel profondo silenzio della notte riuscì a sentire perfino il suo battito... Era vivo! Trafitto da innumerevoli frecce ed era vivo. Julia non riusciva a credere ai suoi occhi quando scorse quelli grigi e brillanti fissarla di rimando; dei colpi di tosse ruppero il silenzio e Julia si accorse che stava trattenendo il respiro dallo stupore, che non fece che aumentare quando egli le si rivolse nella sua lingua madre: << Quelle parole, che pronunciavi tra le lacrime, erano sincere? Vuoi davvero che ti riporti a casa? >> disse mentre si strappava con noncuranza le frecce dal petto e la schiena. << Sì... >> Fu l'unica cosa che la fanciulla riuscì a pronunciare, più come un sospiro di sollievo. << Ma tu... eri morto, eppure ora vivi e respiri e il tuo cuore batte, io non capisco... >>

Il cavaliere si alzò in piedi, ritirandosi il cappuccio sulla testa, e si apprestò a rassicurare il cavallo ancora molto nervoso; non disse nulla per un po' di tempo. Poi mentre ripresero il viaggio, rispose: << Sì, in un certo senso ero morto, e lo sono tuttora... In un certo senso. È come avevi detto, come avevi chiamato quella foresta, morta, senza vita. >>

<< Qual è il tuo nome, cavaliere? A chi devo la mia libertà? >> Disse la giovane, appoggiando la testa alla schiena grande e forte, un gesto semplice ma che le infondeva ancor più sicurezza.

La voce calma dell'altro, ora che l'ascoltava nella sua lingua, era ancora più amabile: << I morti, agli occhi dei vivi, non hanno nome, ma se vorrai, Syd andrà bene, poiché è ciò che sono, morto, malgrado le apparenze. >>

Dopo un altro giorno e mezzo di viaggio, videro in lontananza le mura di pietra di una piccola cittadella fortificata, uno dei castelli di frontiera del Regno del nord. In cima alla torre sventolava una luna su sfondo azzurro con una fiamma, blasone del Regno della Luna di Fuoco, e Syd poteva intuire le origini di quel nome, guardando il viso di Julia, sorridente e raggiante, per essere tornata finalmente a casa.
 
  
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