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Autore: Mirai No    28/10/2008    4 recensioni
"Sbadigliò. Bulma, nonostante fosse presa dal racconto del figlio, se ne accorse, e le chiese se per caso voleva andare a letto.
Mirai scosse la testa, sentendo di colpo una fitta di paura. Non voleva allontanarsi da Trunks. Ora più che mai. Temeva, in modo del tutto irrazionale, che il ragazzo, se solo l’avesse lasciato per un attimo, avrebbe potuto scomparire in un’altra epoca, o semplicemente andarsene. "
La mia prima fan fiction, alla quale tengo davvero tanto.
E' stato inserito il 14° Capitolo
ATTENZIONE: Ho modificato un po' il secondo capitolo che presentava alcune incoerenze. Grazie moltissimo a Son Kla
Questa storia è "Riporta la pace... Rendile la voce" col titolo modificato.
Questa storia è scritta da me e da Pepesale
Genere: Malinconico, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Trunks
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6 – TORNARE INDIETRO

La sera aveva ben presto cacciato ogni traccia di maltempo, e il giorno dopo sfoggiò un cielo sgombro da nubi.
Mirai muoveva svogliatamente la colazione che aveva nel piatto con la forchetta. Era talmente chiusa in sé da non accorgersi di come Bulma era invece felice. Quando arrivò Trunks la ragazzina alzò un attimo gli occhi.
«Domani, mamma!» esclamò il ragazzo, baciando la donna su una guancia. «È domani!»
Mirai sentì nel suo tono qualcosa di strano, qualcosa che le era quasi sconosciuto.
Non la riconobbe, quella vibrazione.
Non le diede il suo nome.
Non la chiamò “Speranza”.

Bulma stava riordinando il salotto.
Mirai, seduta su una sedia, la sentiva attraverso al muro. La donna batteva, in modo quasi ritmico, i cuscini, in modo da farne assumere una forma ben precisa.
La ragazzina strinse quasi istintivamente il pezzo di stoffa che aveva in mano. Nervosa, si guardò attorno. Infine riabbassò la testa, rimproverando il proprio allarme.
Continuava a credere di sentire quell’ansimare, quel fiato sul collo… Ma soprattutto di ritrovarsi a guardare in quegli occhi ardenti.
Tremante, si legò la banda che aveva in mano attorno alla fronte, come ormai era abituata.
Di colpo la colse un pensiero: “Ma cosa deve fare Trunks domani?” si chiese.
Non si sentiva di andare a domandarlo al ragazzo. Non poteva guardare come lui si sarebbe illuminato, lieto di tranquillizzarla in qualche modo. Quella sorta di dovere che lui evidentemente provava nei suoi confronti le stringeva lo stomaco, facendola sentire ancora più in colpa. Lui non sapeva, mentre ne avrebbe avuto pieno diritto, e le rivolgeva affettuosamente la parola.
Confusa dai propri pensieri, Mirai sbatté più volte le palpebre.
Si rese conto di non udire più alcun rumore provenire dalla stanza adiacente. Bulma doveva essersi spostata.
Tese le orecchie, ma non percepì alcun suono. Era tutto silenzio. Si alzò di colpo, mentre quella paura tornava ad occuparle il cuore. Una paura che non si sentiva in diritto di avere, ma che ora era tornata ad invadere la sua vita.
La paura di essere stata abbandonata, di non aver più nessuno se non se stessa.
Ansiosa, si affacciò alla porta. Il silenzio che regnava ancora la fece rabbrividire, annodandole lo stomaco.
Immaginò per un istante come sarebbe stato scoprirsi abbandonata, di nuovo sola, e il nodo le salì alla gola. Si sedette lentamente a terra, la schiena poggiata contro il muro, poi si strinse le ginocchia al petto.
Sapeva che né Bulma né Trunks potevano averla lasciata così, che tutta quella malinconia era assurda. Ma forse era per quello che si sentiva così disperata. Perché c’erano due persone oneste, due persone che avevano lottato e avrebbero continuato a farlo, due persone che non l’avrebbero mai lasciata sola.
Appunto.
Lei non era sola, non la era mai stata. Lui era sempre sulle sue tracce, le parlava nei suoi sogni, le trasmetteva ogni sensazione del suo vivere.
Non era giusto che madre e figlio le volessero bene, convinti che fosse abbandonata al mondo.
Era quasi un imbroglio, e non le piaceva. Ma al contempo non voleva essere lasciata sola.
Chinò il mento a sfiorare un ginocchio.
«Mirai!»
Il cuore le balzò in petto, iniziando a battere il ritmo del sollievo, un sollievo infinito. Lei si sentì lievemente colpevole, ma non poté impedirsi di essere felice, terribilmente contenta di aver udito quella voce.
Si alzò. Proprio in quel momento comparve Trunks.
«Ah, eccoti» disse il ragazzo, scrutandola. «Mi stavo preoccupando» sorrise.
Lei abbassò gli occhi.
Trasalì quando sentì le dita del giovane prenderle il mento e alzarle il viso. «Non essere triste, per favore. Domani è un giorno speciale».
Mirai avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma proprio in quel momento giunse la voce di Bulma. «Trunks! Vieni a darmi una mano!»
Il giovane ammutolì. «Arrivo!» Si voltò verso la ragazzina, scusandosi con un cenno. «Io vado. Se hai bisogno sono nell’hangar con mia madre». Conclusa la frase si allontanò camminando rapidamente.
Lei lo seguì con lo sguardo. Nell’hangar…
Quindi poteva essere che l’evento che evidentemente sarebbe dovuto accadere il giorno successivo avesse a che fare con la Macchina del Tempo.
Mirai rigirò il proprio ragionamento nella mente. Sì, aveva perfettamente senso!
Constatatolo, si sentì stranamente orgogliosa, come non lo era da tempo. Sentì quanto fosse piacevole percepire un qualche significato senza farselo spiegare da altri.
Improvvisamente, si sentì un po’ meglio.
Ora li sentiva i rumori. Raschiare di tubi, oggetti che venivano spostati…
Stette ad ascoltarli, senza sapere nemmeno lei perché le interessassero.
Dopo un po’, poi, Bulma e Trunks rientravano. Mirai li sbirciò. Sembravano un po’ stanchi, ma soddisfatti.
Indugiò qualche istante, poi si diresse in cortile, dove scoprì di aver azzeccato il fatto che la Macchina del Tempo c’entrasse parecchio.
Il mezzo era stato infatti, coperto da un telone plastificato, trasportato nel cortile.
La ragazzina decise di allontanarsi un po’. Quando ritornò nel cortile, si arrestò. Trunks era vicino alla Macchina del Tempo.
Lei si chiese cosa stesse facendo, ma non riuscì a capirlo.
Quando infine il ragazzo si allontanò, Mirai si spostò vicino all’ordigno. Sollevò il telone nel punto in cui aveva visto affannarsi Trunks. E lì sotto scorse una parola, quattro lettere scritte grandi, sottolineate dalla presenza di due punti esclamativi.
Trunks aveva tracciato il termine “Hope!!”. Mirai lo ripeté con il solo movimento delle labbra, immaginando di mormorarlo.

Quella sera, a cena, la ragazzina sedette al solito posto.
Stava sbocconcellando di malavoglia un pezzo di pane quando udì Trunks schiarirsi esitante la gola.
A quel suono alzò gli occhi, scoprendo che il ragazzo la stava guardando.
«Mirai» le sussurrò con la solita dolcezza. «Domani» e la sua voce si fece densa di emozione, «viaggio nel tempo! Torno indietro».
La ragazzina scoprì finalmente chiarita l’atmosfera di aspettativa che aveva aleggiato nell’abitazione quel giorno e fu soddisfatta.
Inconsapevole del fatto che sarebbe stato normale provare ancora, se non in modo maggiore, dell’interesse, reclinò il capo, tornando a dedicarsi al cibo.
Trunks la osservò. C’era una sorta di disperazione in quella ragazzina, una disperazione che lei cercava, forse senza rendersene conto, di mascherare con l’indifferenza, una disperazione che lui non riusciva a capire.
Forse sarebbe stato semplice chiederle di spiegarsi scrivendo, ma di sicuro non sarebbe stato giusto e certamente le avrebbe impedito di dare piena forza alle proprie parole.
Alcune cose non si potevano esprimere su un pezzo di carta, a maggior ragione cose che erano forse impossibili da esprimere parlando.
Passandosi una mano tra i capelli, il saiyan gettò un’ultima occhiata alla ragazzina.
Finirono ben presto di cenare. Mirai non pareva molto affamata, Bulma era ansiosa e impaziente, e persino Trunks si sentiva lo stomaco serrato.
«Buonanotte, mamma» la salutò.
Lei gli indirizzò un sorriso incoraggiante. «Cerca di dormire» suggerì. «Domani ti aspetta una grande giornata».
«Già… Già».
Quando salì Mirai era infilata tra le coperte e pareva assonnata.
Trunks si coricò a sua volta, ma, ad un certo punto l’ansia divenne troppo soffocante per restare immobile.
Il ragazzo si alzò. Stette un attimo in ascolto. Il respiro di Mirai era lento e regolare, si era addormentata.
Silenziosamente, si infilò le scarpe.
Poi uscì nella notte.
La città non esprimeva alcun suono, e il ragazzo acconsentì favorevole e grato a quel modo di vivere la notte.
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie. Non voleva pensare alla propria meta, in qualche modo non poteva. Ma la conosceva con precisione.
Quando infine giunse in vista delle lapidi di marmo di quelle tombe che riguardavano lui e sua madre il cuore prese a battere un ritmo più lento e scandito.
Diede uno sguardo stordito a quella del padre, poi si chinò su quella del mentore.
Sentì un brivido corrergli lungo la colonna vertebrale, mentre veniva ancora una volta colpito dal pensiero che Gohan giaceva lì. Poco più grande di lui.
«Domani viaggio nel tempo» sussurrò, talmente piano da percepire a stento la propria voce. Da una parte la mente continuava a dirgli che non aveva senso quel che stava facendo, ma lui la ignorò e aggiunse: «Ricordi?» Tentando di non pensare al fatto che Gohan era morto e non poteva più ricordare nulla, né fare qualcosa d’altro. «Ricordi, Gohan, quanto ho cercato di lasciarmi il passato alle spalle? E domani tornerò ancora più indietro. Devo farlo. Devo tornare indietro».
Il cuore gli batté più forte per un attimo. Sospirò, stringendosi nelle spalle. Alzò gli occhi al cielo scuro.
Poi si avviò di nuovo verso la Capsule Corporation.
Sfiorò solo appena l’idea di andare a coricarsi. Pensieroso, si sedette sulla scrivania davanti alla finestra, mettendosi a guardare fuori, in quel cielo nero trapunto di stelle.

Sbattei le palpebre. Assonnata, mi guardai attorno, il cuore riprese pian piano il ritmo abituale. L’avevo di nuovo sentito in sogno.
Mi alzai a sedere e trasalii. Una sagoma scura si stagliava contro la finestra. Non mi ci volle molto a riconoscere Trunks. Era ancora sveglio?
Lo osservai. Una gamba penzolava rilassata, mentre l’altro ginocchio era piegato e sollevato a sfiorargli il petto. Stava guardando attraverso il vetro.
Spinsi in avanti le coperte, scendendo dal letto.
Mi avvicinai di qualche passo. Mi fermai, scrutandolo perplessa.
«Sei sveglia…» la sua voce mi colse di sorpresa. Mi sentii quasi arrossire, senza capirne il motivo. Dopotutto, non stava mica scritto che la notte potevo solo dormire.
Il ragazzo si voltò a guardarmi. Nella scarsa luce distinsi a fatica i suoi occhi. Mi fissavano, inquieti come al solito.
Mi strinsi nell’abbondante camicia da notte.
«Vieni qui?» mi chiese. «O torni a letto?»
Feci confusamente segno verso il materasso. Esitante, lo indicai dubbiosa. Lui sorrise al mio gesto. «No… io resto qui a pensare».
Aveva una ruga tra le sopracciglia, la fronte lievemente aggrottata. Dopo qualche attimo associai la sua espressione all’ansia. Era ansioso. Incerta, tornai sui miei passi. Mi rinfilai tra le coperte, e non potei fare a meno di sentire piacevolmente il calore che si era accumulato nel letto.
Poggiai la testa sul cuscino.
L’ultima cosa che sentii, o che mi sembrò di sentire, furono alcuni passi precisi, i suoi passi. Poi mi addormentai.
Al risveglio mi ritrovai sola nella stanza.
Lottai per qualche attimo con le lenzuola, riuscendo infine ad alzarmi.
Corsi a piedi nudi giù per le scale.
Trunks e Bulma erano già vestiti. Il ragazzo indossava un paio di pantaloni grigio scuro, una corta giacca blu sotto la quale si vedeva una maglia nera. Infine, il fodero della sua spada gli poggiava sulla schiena.
Feci colazione senza quasi sentire i sapori di quel che mangiavo, ma non mi interessava.
Di colpo udii Trunks dichiarare: «Allora… si parte».
Alzai gli occhi. Non se ne accorse. Capii che aveva rivolto a sua madre quelle parole. «Sì» disse lei. «Ti accompagno, tesoro».
A quel punto lui si voltò nella mia direzione, incerto. «Vieni anche tu?»
Mi morsi il labbro, poi scossi decisa la testa. Ne parvero sorpresi. Mi domandai per quale motivo avessi rifiutato, ma non trovai la risposta.
Spinsi da parte il piatto e corsi al piano superiore, dove mi sedetti sul letto. Dopo qualche attimo mi alzai e mi diressi alla finestra. Guardai giù. Un uccellino dal piumaggio quasi azzurro stava becchettando un po’ d’acqua di una pozzanghera. Gonfiò le piume e le scosse. Spostai lo sguardo. Osservai Bulma porgere qualcosa a Trunks. Lo vidi sorridere. Con un balzo, si portò poi all’interno della Macchina del Tempo. Salutava la madre. Poi la cupola si chiuse. Guardai il mezzo alzarsi nel cielo, poi, d’un tratto, scomparire. Ascoltando il battito accelerato del mio cuore, ritornai vicino al letto, poi presi a disfarmi del pigiama. Infilai un leggero reggiseno a coprire le mie forme acerbe da adolescente. Me l’aveva dato Bulma. Prima non ne avevo mai avuti. Misi una maglia azzurra, la coprii con una felpa celeste. In pochi attimi indossai anche i pantaloni e le scarpe.
Infine afferrai la fascia che ormai utilizzavo abitualmente per tenere lontani i capelli dal volto. La legai con decisione dietro la nuca.
Il pensiero che Trunks ora fosse non solo lontano nello spazio ma anche nel tempo mi faceva uno strano effetto. Scrollai le spalle, imponendomi di non badarvi.
Dopotutto non mi avrebbe aiutato arrivare ad una conclusione.


Trunks aprì gli occhi. Fuori dalla navicella non si poteva vedere nulla. Solo un nero che sfiorava l’oblio, a volte attraversato da lievi scosse di un verde abbacinante. Il ragazzo sospirò, chiudendo le mani a pugno.
Non gli piaceva ammetterlo, ma aveva paura. Si sentiva tremendamente fuori posto, inadeguato. Abbassò gli occhi, poi deglutì, deciso a farsi coraggio.
“Devo farlo” si disse. “Per la mamma, per Gohan, per mio padre, per Goku” e a quell’ultimo nome strinse convulsamente il medicinale che teneva nel pugno, “per tutti i guerrieri che sono stati uccisi dai cyborg… Anche per Mirai”.
Rabbrividì. Chiuse nuovamente gli occhi, come un bambino che si alza la notte e non vuole vedere tutte quelle ombre spaventose, e si sforzò di pensare al sorriso di sua madre. Quell’immagine mentale gli scaldò il cuore, tranquillizzandolo. Poteva vedere le sue labbra muoversi nel descrivergli com’era suo padre.
Già…
“Ti vedrò, papà”.
Rasserenato, sollevò le palpebre.
Sentì uno strano fremere, poi sopra di sé vide il cielo spruzzato di nuvole bianche. Scese dalla Macchina col cuore che batteva a mille, e constatò sollevato che il paesaggio era abbastanza famigliare.
Infilò il prezioso medicinale in una delle tasche della giacca, poi gettò un ultimo sguardo alla parola scritta sul veicolo, prima di ridurlo ad una capsula.
Inspirò profondamente.
Era ora di lottare per un futuro migliore.

Mirai si portò una mano alla fascia che le copriva la fronte. Trunks le mancava terribilmente, era ormai una giornata intera che non lo vedeva.
E poi sentiva lui. Un ansimare forte, caldo. Le labbra le tremarono.
Ed ecco salirle al naso quell’odore metallico di sangue. Lo storse, decisa a cacciarlo. Le faceva talmente paura da farla rabbrividire violentemente. Dopo qualche attimo passò. Lei sospirò sollevata. Anche quel giorno era riuscita a sconfiggere quella sensazione.
Trasalì di colpo, sentendo come una sorta di elettricità nell’aria.
Udì un gran trambusto al piano inferiore. Perplessa, si diresse giù dalle scale, per poi uscire all’aria aperta.
«Mamma!»
Trunks stava abbracciando Bulma. Mirai osservò lo sguardo raggiante del ragazzo, lo vide voltarsi tutt’attorno, come a cercare qualcosa.
La ragazzina fu quasi sicura del fatto che non riuscì a trovarla, ma non ne parve turbato. Al contrario, schioccò sorridente un bacio su ogni guancia di Bulma, la quale, per tutta risposta, lo abbracciò più forte. Poi Trunks iniziò a parlare, e l’emozione gli fece accavallare tutte le frasi. Mirai recepì poca parte del suo discorso.
«Mio padre!» esclamò il ragazzo, ridente. «Mamma, ho visto mio padre!»
Bulma gli sorrise, se possibile, con gioia ancora maggiore.
«Oh, mamma, avevi ragione tu! Ha un’aria così distaccata, così fiera, ma sembra anche triste».
Lei gli sorrise. «Mi pare che tutto sia andato bene, non è così?»
Il giovane annuì. «Eccome». In quel momento si accorse di Mirai. La ragazzina non riusciva a capire il perché di tutta quella felicità. «È andato tutto bene, Mirai» affermò Trunks, più che altro per rivolgerle la parola, non per vero bisogno di comunicare quelle parole. Bulma lo abbracciò ancora, sorridendo anche alla ragazzina, poi lo invitò ad entrare a mettere qualcosa sotto i denti. Lui non se lo fece ripetere due volte. Seguito da una perplessa Mirai entrò in casa. Fra un boccone e l’altro raccontava, a volte accompagnando gesti alle parole. Era emozionato, euforico, felice, e Mirai non riusciva a capirlo.
«C’era anche Gohan, mamma!»
A quel nome, la ragazzina si portò istintivamente le mani alla fascia. Poi Trunks riprese a parlare, nominando un tale Freezer e un certo Re Cold. A quanto pareva, li aveva sconfitti entrambi, principalmente grazie alla propria spada.
Mirai rievocò la lama dell’oggetto dall’unica volta che l’aveva vista. La ricordava di un brillio affilato, letale. Perciò il racconto del ragazzo non la meravigliò più di tanto.
Notò quanto ripetesse le parole “mio padre” e “Gohan”. Guardò anche come sorrideva grato a sua madre, in continuazione, e, per un attimo, fu assalita da una strana sensazione. Come il desiderio di essere lei la persona a cui era riservato quell’affetto, accompagnato da un nodo allo stomaco ed un profondo senso di disagio.
Passò in un attimo, ma la lasciò confusa e perplessa.
Poi, di punto in bianco, si sentì stanca. Comprese che lui doveva essersi mosso con rapidità, o comunque aver compiuto qualcosa, dato che da parte sua lei non aveva fatto granché.
Sbadigliò. Bulma, nonostante fosse presa dal racconto del figlio, se ne accorse, e le chiese se per caso voleva andare a letto.
Mirai scosse la testa, sentendo di colpo una fitta di paura. Non voleva allontanarsi da Trunks. Ora più che mai. Temeva, in modo del tutto irrazionale, che il ragazzo, se solo l’avesse lasciato per un attimo, avrebbe potuto scomparire in un’altra epoca, o semplicemente andarsene. Bulma era gentile, ma, con tutto il suo affetto, non avrebbe mai potuto esserle così vicina. Trunks invece aveva sofferto quanto lei. Per motivi, era pronta a scommetterci, completamente diversi dai suoi, ma lo sentiva ugualmente prossimo a sé. C’era come un baratro che li divideva, Mirai lo sentiva, era il baratro di quel che lei aveva fatto. Ma, almeno, lui era lì, dall’altro lato di quell’abisso, e lei poteva vederlo, magari illudersi di averlo vicino.
Perciò aveva optato per un rifiuto, e stette seduta ad ascoltare il narrare del ragazzo.
Non comprese molto, ma una cosa le fu chiara sin da subito.
Ci voleva coraggio, per tornare indietro.

Un po’ in ritardo, ma eccomi tornata. E così sono arrivata al punto nel quale Trunks compie il suo primo viaggio. Dato che già è risaputo cosa sia accaduto, ho ritenuto fosse meglio non dilungarmi su di esso…
Son Kla: grazie per lo splendido commento. Concordo con te, anche a me piace molto il punto in cui Mirai si grattava il sopracciglio. L’idea è arrivata dal ricordo che ho di un film, o di una puntata di un telefilm. Infatti, nonostante io non sappia più il titolo, o qualcosa della trama, in un punto un personaggio durante un dialogo aveva fatto quel gesto. L’ho trovato così naturale che mi è rimasto impresso. Mentre scrivevo il capitolo, allora, mi è venuto naturale inserirlo. Contenta che abbia fatto il suo lavoro ^_^ Inoltre mi fa piacere il fatto che continui ad stimare il rapporto tra Mirai e Trunks, segno che, meno male, riesco a gestirlo. Ti ringrazio davvero tanto per come apprezzi questa storia, e per come me lo fai sapere.
Pepesale: non preoccuparti per la scarsa lunghezza. Mi ricorderò che è il pensiero che conta XD Non essermi troppo grata, eh, dato che gran parte dello scorso capitolo mi è venuto in mente leggendo la tua One Shot.
carol2112: non preoccuparti per il ritardo, la recensione (che ho letto con gran piacere^^) te l’ha perdonato automaticamente… La suspence non si allenta, spero. Mi spiace, ma credo proprio che dovrai conviverci per un po’. Anche a me piace la parte in corsivo, perché mi fa immedesimare molto in Mirai, e, in conseguenza, mette meglio in moto il mio cervello altrimenti in letargo (frase esagerata… spero O_o). Sulla lentezza del tempo hai ragione, e sono felice che non diventi pesante, nonostante alcune volte sia un po’ difficile mantenere quel ritmo alla fine mi soddisfa che è una cosa piacevolissima^^. Spero che scriverai un poema anche la prossima volta, non mi spiace, credimi!
cri92: grazie per il commento. Credimi, è sempre bello ricevere opinioni da gente nuova. Spero la storia continui a piacerti ^^ In effetti Mirai, nonostante non si dilunghi in segni complicati, alcuni gesti li fa, e Trunks (grandissimo^^) riesce a comprendere quel che lei, poco a poco, rivela.
Sono curiosa di sapere la vostra opinione anche su questo capitolo…
Grazie poi a tutti quelli (scusate se non l’ho scritto prima) che hanno messo la storia tra le preferite, ossia: carol2112, Heather91, Pepesale, Son Kla e super vegetina.
Un abbraccio, sperando di risentirci presto,
Mirai No
(Spero la scena del cimitero non risulti troppo esagerata. L'ho scritta di slancio, e poi mi dispiaceva cancellarla...)
  
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