Storie originali > Epico
Segui la storia  |       
Autore: Aimondev    19/11/2014    1 recensioni
L'umanità è a rischio estinzione.
Ogni giorno Zeus distrugge una polis Greca.
Ermes è stato assassinato.
Nelle forge di Efesto è in lavorazione un'armata di colossi più grandi di qualsiasi edificio umano.
Esseri mostruosi fuoriescono dalle loro spoglie mortali affermando che l'inizio di una nuova era è cominciato.
Il mondo è già stato sconvolto ma adesso Klearcos, l'assassino più abile di tutta la Grecia, sa per cosa combattere.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'L'alba degli eroi senza nome'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“La nostra difesa non reggerà ancora a lungo…Ma moriremo con le armi in mano! Il mio unico rimpianto è di avere così pochi uomini da sacrificare per la gloria di Ares, nostro dio!”

Disse il polemarco Anassandro, comandante assoluto degli spartani sul campo, preparandosi a combattere.

“Ares non potrà punirci una volta che saremo morti… Neppure Castore e Polluce avrebbero potuto vincere contro un nemico così numeroso." 

Commentò Anassidamo con la spada tratta restando a guardare l’infuriare della battaglia davanti a se.

 

Il comandante Tirteo, noto per fomentare gli animi nelle battaglie, intonava il suo ultimo canto di guerra sotto una pioggia di frecce che investiva il suo intero contingente.

A centinaia erano gli uomini caduti sotto le lance e le spade dei suoi spartani. Ancora a centinaia continuavano ad attaccare accumulando pile di cadaveri. C’erano sei messeni morti per ogni spartano caduto.

 

Una contadina messena trafitta in grembo da un soldato spartano stava strillando di dolore.  Un giovane come lei la teneva tra le braccia.

Bissa, sorella, non ti agitare…Alone ti curerà vedrai. Andrà tutto bene.”

“No Eumelo…Sto per morire. Ma prima, voglio scoprirlo…Voglio vedere cosa si prova a volare.”

“Bissa, tu… Ci eravamo promessi di farlo tutti insieme, nella nostra casa, per fuggire lontani da questa miseria.”

La donna carezzò il volto del fratello piangente.

“Ormai è troppo tardi. Prenditi cura dei nostri fratelli Meropi e Agrone.”

Detto questo, la donna ritrasse la mano pervasa da tremiti. I suoi occhi si rigirarono e cominciò a schiumare: stava per trasformarsi. Il fratello spaventato arretrò.

 

Le braccia della donna crebbero in lunghezza trasformandosi in ali e su tutto il corpo spuntarono piume bianche. Il volto mutò e al centro di esso comparve un adunco becco. I suoi piedi erano divenuti lunghe zampe di uccello. Era divenuta una donna gabbiano.  A differenza di Dedalione, l’uomo falco, però, aveva dovuto sacrificare le braccia in cambio delle ali e le sue dimensioni non erano aumentate.

 

Il nuovo mostro guardò suo fratello con un ultimo barlume di affetto e poi prese il volo.  Atterrò sulla testa di uno degli spartani e con i grossi artigli gli cavò entrambi gli occhi. L’uomo con le orbite sanguinanti crollò a terra esanime.

La rapidità della donna gabbiano era tale da non poter essere anticipata facilmente. Con la medesima facilità, saltò sulla testa di un secondo guerriero e poi un terzo mettendo in atto lo stesso meccanismo di morte.

Quando colpì anche il comandante Tirteo, l’abilità di quest’ultimo gli permise di sferrarle una veloce falciata al petto.

La donna mostruosa gli fece volare l’elmo dalla testa e cominciò a sferrargli furiose beccate al volto fino a farlo cadere a terra. Anche una volta che fosse morto, il volatile continuava a martoriare il suo cadavere per vendicare i genitori e tutti gli amici trucidati in battaglia.

Poi una lancia la trafisse da parte a parte, seguita da una seconda.

Bissa stramazzò al suolo e nel riflesso dei suoi occhi c’erano i suoi fratelli, urlanti e disperati per il suo triste destino.  Morì felice per avere almeno vendicato i suoi morti.

 

 

Da un’altra parte della battaglia il nerboruto Dafni aveva portato alla vittoria il suo schieramento e adesso teneva tra le mani la testa del comandante spartano Emperamo, strappata dal collo con la sola forza delle sue braccia.

Con un urlo più di bestiale compiacimento che di trionfo lanciò la testa verso i suoi uomini come ricompensa della battaglia. La folla, nel delirio della vittoria seguì il suo grido.

Intorno a lui i messeni, com’era presumibile dal loro numero, avevano massacrato ogni oplita fino all’ultimo. Nessuno tra i loro nemici, infatti, aveva abbandonato il campo di battaglia. Per gli eroici spartani non esisteva il significato della resa.

Quando in una determinata zona udì degli schianti terribili, il grosso pastore Dafni vi si diresse per capire da cosa fossero provocati.

Facendosi strada in una fitta folla di iloti, vide davanti a sé il prode signore della guerra Aristomene ricoperto di sangue in mezzo ai cadaveri di creature mostruose: un uomo rettile e quello che sembrava un falco.

Tutti intonarono il nome del generale. Veniva epitetato come “Lo sterminatore di mostri”.

 

Lo spartano Leneo arricciò il naso.

“Pensavo che la loro trasformazione fosse migliore di così, non credevi Cisso?”  Si rivolse a uno degli spartani alle sue spalle.

“Non tutti hanno ricevuto il nostro stesso privilegio, Leneo. Loro non erano altro che abomini, mentre noi manteniamo le nostre fattezze umane…”

Leneo guardò gli altri due. 
“Non esitate allora! Anche voi:
Marone, Astraio.  Attaccate il Falcone e prendetelo vivo. Gli mostreremo quanto è stato stupido a esporsi in questo modo.”

 

I tre spartani avanzarono a passo deciso verso Aristomene. L’uomo era fin troppo stanco e provato per un altro scontro ma in palio c’era la sua vita. Si mise in guardia.

“Fermatevi!”

Fu Dafni a gridare frapponendosi tra loro e il suo comandante.  Leneo e i suoi uomini lo guardarono con sufficienza.

 

“Colui che state per attaccare non è il Falco! Si è presentato a noi messeni come Aristomene, un araldo degli dei, pronto a guidare il nostro popolo alla salvezza. Ha strappato quell’elmo dalla testa di Sideris in persona, e ci condurrà da quello vero per catturarlo e consegnarlo all’Olimpo!”

Gli interlocutori parvero sorpresi. Aristomene non aggiunge una parola. Leneo alzò lo sguardo verso l’uomo dallo scudo magico.

“Se ciò che dice il tuo luogotenente è vero, perché hai attaccato gli spartani?”

Il capoguerra degli iloti si prese qualche istante prima di rispondere pesando bene ogni parola che avrebbe dovuto dire. Come nel caso della battaglia precedente, un singolo errore nella formulazione avrebbe significato la morte.

Camminò verso quei quattro nemici.

 

Spartani?... Messeni? Che significato ha la politica di fronte all’annientamento?

Ho indossato questo elmo per diventare il più grande bersaglio di tutta la Grecia. Voglio che ogni esercito del mondo giunga innanzi alla mia armata per scontrarsi con essa. A ogni battaglia, solo i più forti sopravvivranno. Costoro faranno parte della razza eletta e con loro giungerò fino al vero Sideris! Egli sarà catturato e tutti noi saremo salvi dall’ira degli dei.”

Aristomene pronunciò quelle parole con decisione. In contrasto con l’inquietudine e la paura che teneva dentro.

 

Cisso guardò gli altri due, e poi il suo leader. Sembrava che quelle parole li avessero convinti. 

Leneo si leccò la bocca, segno che fosse realmente compiaciuto.  

Dunque, ci condurrai dal Falcone?”

Aristomene annuì.

“Sai, questa tua idea di far sopravvivere solo i più forti per creare una razza eletta mi piace… Mi piace davvero tanto. Scommetto che tu ed io diverremo grandi amici…

E in onore della nostra amicizia ho deciso di risparmiarti…”

 

Tutti gli astanti restarono assorti nelle sue parole cercando di capire dove volesse andare a parare.

“Ma per quanto riguarda tutti gli altri... Beh ho i miei dubbi  che possano tutti far parte di una razza eletta. Cisso tu che ne pensi?”

Il lacchè sorrise, sapeva che di lì a poco ci sarebbe stato da divertirsi: 

Penso che la mia lama sia stata asciutta per troppo tempo.”

“E allora perché non mettiamo alla prova questo esercito? Vediamo chi merita di vivere e chi di morire!”

Il volto del generale messeno s’incupì. Aveva capito cosa stava per succedere e non gli piaceva affatto. Cercò di placare l’istinto bestiale di quei mostri.

“Gli uomini sono già stati sorteggiati durante questa battaglia. È inutile spargere altro sangue.”

 

Ma gli occhi di Leneo s’erano già riempiti di un male fuori dal mondo, e tutti i suoi soldati avevano ascoltato il messaggio che traspariva da essi.

Marone e Astraio saltarono in direzioni diverse. Se un grillo avesse avuto dimensioni umane avrebbe compiuto lo stesso balzo fatto da loro, di una trentina di metri.

Il loro corpo era rimasto tale e quale ma dalla loro testa erano fuoriuscite grosse corna da caprone e i loro occhi erano rossi come sanguigne gemme dalle cave degli inferi.

Le loro spade si muovevano con una velocità folle lambendo uomini, donne e fanciulli senza alcuna pietà. Tranciavano mani e piedi come se fossero burro. Si infilavano nei punti scoperti dall’armatura spartana per scovare la vita nel corpo degli uomini ed estirparla via di netto.

Uno dei guerrieri messeni fu facilmente atterrato con un calcio e la sua testa spappolata sotto i piedi di Astraio.

 
Anto!! Nooo!”  Gridò uno degli uomini poco lontani e nella foga cominciò a mutare.

Acantide, vuoi trasformarti adesso? Davanti a tutti?  Chiese una giovane che gli si era affiancata

“Sì Acanto…Ormai… È l’unico modo…”  Urlò lui rosso in volto.

“PER SOPRAVVIVERE”  La sua voce si fece stridula.

 

La fanciulla si rivolse a due ragazzini. “Erodio, Scheneo facciamo quella cosa adesso”.

 

I tre incominciarono a seguire l’esempio del fratello maggiore, Acanto. Dalle braccia dei fanciulli si spiegarono delle ali piumate e il loro intero corpo divenne, come accaduto ad altri, quello di un uccello.

La mutazione della ragazza fu differente: su tutta la sua pelle fuoriuscirono delle spine, gli arti si allungarono a dismisura assumendo una pigmentazione verde, tra i suoi capelli sbocciarono fiori e le sue dimensioni triplicarono.

“Bene. Sembra che voi siate già stati prescelti! Sarete risparmiati.” Sentenziò il cornuto Astraio, procedendo verso altra carne da macellare.

 

In un’altra parte della piana, l’allevatore Atteone, assistente del pentecotarco Cianippo il quale poco prima di morire aveva ordinato la carica dei molossi, stava cercando disperatamente i pochi mastini che erano riusciti a scappare dopo il primo attacco. Era lui a dar da mangiare ai cani. L’uomo, i cui lunghi capelli neri gli arrivavano a toccare i fianchi, era un amante della natura e si era sempre opposto al trattamento spietato cui erano sottoposti i suoi cuccioli.

E, infatti, i forastici molossi si dimostrarono subito mansueti sotto i riguardi di quel curioso individuo, che con somma benevolenza li aveva acquietati.

 

All’improvviso alcuni cani cominciarono a ringhiare. Da quella direzione in mezzo a un centinaio di cadaveri, completamente ricoperto di sangue, un essere dagli occhi rossi e le corna caprine lo stava fissando. Gli iloti terrorizzati attorno a lui stavano fuggendo sparsi. Il mostruoso spartano Marone stava per incombere su di lui.


“Anche tu sarai messo sotto esame! Non credere di salvarti solo perché sei di Sparta!” Disse, correndo in quella direzione con la velocità di un cavallo.

Appena entrò in quello che i cani ritenevano essere proprio territorio, fu azzannato alle gambe e al braccio con cui teneva la spada da tre di quelle belve.

Come se il bestione che lo aveva addentato non avesse peso, agitò il braccio destro per mutilare gli altri due con la lama, e con il sinistro agguantò la bestia e la scaraventò sul terreno con tanta foga da spaccargli il cranio.

 

A quella visione Atteone s’infuriò.

Il suo urlo di rabbia fu udito per tutto il vallo. La sua voce era bassa e profonda. Sempre di più.

Le sue gambe si riempirono di peluria e crebbero in dimensioni. I suoi piedi si staccarono e al loro posto emersero dei grossi zoccoli. L’espansione del suo corpo fu tale che la sua pelle si staccò e, da sotto di essa, ne emerse un’altra più robusta e resistente. La sua muscolatura si compattò mostrando un corpo così solido e possente da non poter essere umano. E dal capo dei suoi tre metri di altezza, emersero delle magistrali corna ramificate: grossi palchi ossei che ricordavano quelli di un cervo.

  

Davanti a quella vista Marone si bloccò.

“Ma che sorpresa. Non sei un uomo come gli altri. Vorrà dire che ti risparmierò la vita.”

Ma nel momento in cui gli voltava le spalle, l’uomo cervo lo incornò con una tale potenza da farlo rotolare a terra per diversi metri.

 “MA IO NON RISPARMIERO’ LA TUA!”

 

Un uomo normale si sarebbe rotto tutte le ossa, ma Marone si rialzò come niente.

“Sciocco! Ti sei appena giocato l’unica possibilità di sopravvivenza che avevi.”

Leneo si leccò la bocca.

“Questi iloti sono troppi. I miei uomini, per quanto potenti, nel giro di alcune ore possono ammazzarne appena qualche centinaio…Anche meno se si mettono a scappare in questa maniera, ma non basta. Dobbiamo ucciderne molti di più, tu non credi Cisso?”

 

“Signore, mi è venuta una fantastica idea.” Rispose il suo depravato sottoposto. “E se proponeste ai messeni di guadagnarsi la propria vita uccidendo i propri compagni?”

Leneo sghignazzò. “Oh, ma che bel gioco! In questo modo faranno da soli il lavoro sporco. Mi piace…Mi piace moltissimo! Quanti ne saranno rimasti? Centoventimila? Dovranno essere molti di meno!”.

 

Guardò le migliaia di iloti che lo circondavano, alcuni anche a diverse leghe di distanza. Socchiuse gli occhi, raccolse l’aria nei polmoni e poi gridò come nessun umano sarebbe stato in grado di fare, per essere certo che tutti potessero arrivare a sentire le sue parole.

Aristomene e Dafni che si trovavano a pochi metri di distanza, dovettero tapparsi le orecchie per attenuare quell’intensità sonora. Cisso non si scompose.

 

“STATEMI BENE A SENTIRE ILOTI, E ANCHE VOI SPARTANI SOPRAVVISSUTI! VI OFFRO UNA CHIAVE PER ENTRARE A FAR PARTE DEL NOSTRO POPOLO ELETTO.

SE VOLETE SOPRAVVIVERE, OGNUNO DI VOI DOVRA’ UCCIDERE TRE…NO, CINQUE, CINQUE PERSONE A CASO!

E A TESTIMONIANZA DI CIO’, PORTARMI LE LORO LINGUE!

CHI RIESCE NELL’IMPRESA, CON ANCORA LA PROPRIA LINGUA IN BOCCA, NON AVRA’ PIU’ NULLA DA TEMERE DA ME O DAI MIEI UOMINI!”

 

ma signore, però…E se provassero a ingannarci strappando le lingue di quelli che sono già morti?”

Per gli dei, hai ragione! …Beh lasciami puntualizzare una cosa.” Leneo riprese di nuovo fiato e poi gridò nuovamente.

“SE PROVATE A STRAPPARE LA LINGUA DA UN CADAVERE, SIA ESSO QUELLO DI UN UOMO, DI UN CAVALLO O DI UN CANE, IO LO SAPRO’ E VERRO’ A MANGIARVI IL CUORE!”

Cisso era confuso.

“Signore ma…Avete la capacità divinatoria di venirlo a sapere?”

“No” Sorrise Leneo. “Ma loro che ne sanno? Se nonostante tutto vorranno disubbidirmi allora per il loro coraggio è giusto che siano risparmiati.”

Cisso rise. “Signore. Siete davvero incredibile!”

 

“E adesso non perdere tempo! Anche tu sei nel gioco, vecchio mio. Vammi a prendere cinque lingue. Comincia da quel grassone laggiù. Ma ricorda che Aristomene non si tocca.”

Cisso non se lo fece ripetere e con un salto raggiunse Dafni, “il grassone”. Le sue spade si abbatterono sincrone su di lui, rapide come la folgore. I vestiti del bersaglio furono dilaniati, come la sua pelle. Ma oltre ad essa le lame trovarono una resistenza così solida che non si poteva trattare del corpo di un semplice umano.

 

Le mani villose di Dafni bloccarono quelle dell’aggressore. La sua stretta era forte, e lo diveniva sempre più. Il tratti del suo volto si fecero sempre più curvi e stilizzati e poi le lame stesse che erano entrate superficialmente nella sua carne si frantumarono.

I vestiti si strapparono, l’armatura esplose e l’uomo, massiccio oltre l’incredibile, restò nudo. Il colore del suo corpo era grigio e solcato lungo la muscolatura in modo così evidente che sembrava fatto di pietra. Effettivamente: era diventato di roccia.

 

Dafni tirò fuori la lingua.

“Ecco la mia! Vienila a prendere.”

 

“Anche tu dunque sei uno dei prescelti!”

 

Cisso gli saltò con le gambe al petto facendo leva per liberarsi da quella stretta. Ma non bastava. I suoi polsi erano bloccati all’interno di una morsa strettissima. Era come se fossero schiacciati sotto una tonnellata di pietra.

Allora gli si attorcigliò al collo con entrambe le gambe, ma quella stretta non era abbastanza salda da vincere la sfida della pietra.

 

Leneo sorrise nel vedere il subordinato in difficoltà. Cisso era forte, ma finire in lotta con quell’uomo di roccia rappresentava una grande sfida anche per lui.

Tuttavia, così come l’energumeno aveva sorpreso tutti nella trasformazione, anche il suo avversario avrebbe fatto lo stesso.

 

Sia gli arti che il collo di Cisso si allungarono in modo inquietante. Si stava lentamente attorcigliando attorno al gozzo del suo nemico aumentando la stretta del suo cappio.

I polsi schiacciatigli da Dafni non sembravano dolergli poi tanto. Era come comprimere una superficie elastica. Le sue dita si riarrotolarono sui polsi del nemico, avvinghiandoglisi addosso e andando a ribaltare la situazione.

 

Alla fine anche l’uomo di roccia dovette cedere a quella morsa pazzesca. Lasciò andare la presa, e crollò di schiena al suolo.

Un uomo normale sarebbe esploso, un mostro probabilmente sarebbe rimasto strangolato. Ma la consistenza del corpo di Dafni era così solida che gli permise di sopravvivere.

 

“Cisso! Lascialo andare. Ha superato la prova, nonostante tutto. Ci serviranno guerrieri come lui.”  Decise Leneo.

Il sottoposto eseguì.

Intanto, ovunque sulla piana, gli iloti, in preda al terrore di quei mostri letali, avevano cominciato a mettersi l’uno contro l’altro. Dapprima sfociando in piccole risse. Poi qualcuno estrasse il coltello e fu vera battaglia… O un monumento al massacro.

Non c’erano regole, né gruppi, né certezze dietro quegli attacchi. Solo la foga folle e disperatissima di strappare le lingue ai propri fratelli, prima di essere ammazzati.

 

E nel mezzo di quegli scempi, l’abnorme uomo cervo Atteone incalzava ferocemente su Marone facendolo sbalzare da una parte all’altra. Le spade del guerriero non ressero contro le corna del mostro. Era rimasto a mani nude, come d’altronde era il suo avversario.

Marone balzava da una parte all’altra evitando i molossi che gli correvano dietro con la bava alla bocca e, di tanto in tanto, prendendone qualcuno per una zampa e strapparlo a metà come se fosse stata solo una stoffa lacera, facendo infuriare maggiormente Atteone.

Le traiettorie dei balzi di Marone erano divenute così imprevedibili che neppure il cervo riuscì a tenerlo sotto controllo.

Fino a che in un momento di distrazione, Atteone si trovò un braccio al collo che lo trascinò all’indietro facendolo cascare.

 

Sei solo un aborto!  Disse Marone strangolando la sua vittima.

“…Un esperimento delle divinità, prima che generassero NOI. I veri eletti!

Più veloci, più forti, più resistenti senza perdere la purezza di un essere umano!”

 

Una freccia, diretta da una certa distanza, colpì Marone al collo senza però inculcarsi troppo in profondità.

Voglio prendere la tua di lingua, brutto bastardo!” gridò il guerriero che aveva serbato il tiro: Androclo, luogotenente di Aristomene. Camminava senza paura verso lo spartano mostruoso, incoccando un’altra freccia al suo arco.

La seconda lo colpì in petto.

“Avete creato il caos! Vi siete serviti della paura per metterci uomo contro uomo!”

Marone attese che l’uomo cervo nella sua stretta perdesse i sensi, per alzarsi in piedi e incombere verso il folle umano che lo stava arrogantemente sfidando.

Una terza freccia lo colpì in petto, ma il mostro cornuto non temeva nulla dalle armi di fattura umana, e non perse nemmeno tempo a coprirsi.

Semplicemente: camminava verso Androclo, come follemente stava facendo anche lui.

 

…E voi un tempo vi definivate uomini come noi? Con che coraggio?!” Sferrò una quarta freccia che lo colpì sul torace, e adesso si trovava a pochi metri dall’essere cornuto.

Quest’ultimo alzò il braccio pronto a strappargli il cuore dal petto, e probabilmente Androclo era pronto a morire in questo modo.

Marone fu spazzato via da una forza inarrestabile che non si riuscì a definire.

 

Zanne elefantine gli avevano passato il petto da parte a parte inculcandolo a terra. Grigi tentacoli fuoriuscenti da una bocca infernale, gli avevano afferrato il volto infilandovisi in ogni orifizio. E giganteschi artigli gli sprofondarono in profondità nella carne.

Un mostro sbucato dalle profondità degli inferi aveva ucciso Marone sul colpo, e lo stava divorando. Poi alcuni cani gli si avvicinarono scodinzolanti.

Atteone riprendendo il fiato da quello scontro riconobbe il suo odore. 

“Leone! Sei tu, bello?”

Il mostruoso quadrupede si girò tirando fuori un’invereconda lingua venosa che sembrava più un grosso verme viola, dal quale vi uscì un serpente munito di denti affilati. Emise un verso sibilante che sembrava compiacimento.

-------------------------------------

Battaglia di Deres:

 

Messeni (iloti):

[numero combattenti: 200 000]

[perdite: 80 000]

 

 

Comandante supremo: Aristomene

Comandanti di fanteria:  Androclo, Alone, Dafni (mutante: uomo di roccia)

Comandanti di cavalleria: Alettore, Ischi

 

Altri:

Anto

Mutanti:

Bissa (gabbiano), Eumelo (corvo) , Meropi (civetta) , Agrone (piviere)

Acantide, Erodio, Scheneo (cardellini), Acanto (Acanthus –pianta spinosa-)

 

Spartani (+elidi)

[numero combattenti: 13 000]

[perdite: 11 000]

 

Comandanti supremi spartani(Polemarchi): Anassandro, Anassidamo

Capitani spartani: Leneo, Emperamo, Tirteo

Pentecotarchi: Cianippo  [addestratore di cani]

Comandante supremo degli elidi: Re Enomao  

 

Altri:

Mirtilo (auriga di Enomao)

 

Mutanti:

Abante (lucertola) , Dedalione (falco)

Super uomini:

Cisso (edera), Marone, Astraio

 

Atteone (cervo)

Leone (cane mostruoso)

Parentesi anacronistiche 9:

Armamentario 6: Lo scudo di Aristomene

Lo scudo è in grado di generare un potente campo elettromagnetico. Impiega gli impulsi dell’energia elettrica per creare uno scudo esterno e invisibile in grado di resistere agli attacchi più devastanti.
Nell’armatura è incorporato un dispositivo noto come supercapacitatore che trasforma il pezzo di armatura in cui è installato, in una batteria gigante. Quando si percepisce una minaccia, l’energia accumulata nel supercapacitatore viene scaricata sulla superficie metallica producendo il campo elettromagnetico. In quel momento si genera un campo di forza che non potrà essere attraversato da nessun corpo esterno.  Il suo limite però sta nel fatto che il campo  non dura più di un secondo.
Il supercapacitatore impiega poi alcuni secondi per ricaricarsi, e in quel momento lo scudo risulta essere “indifeso”.

 È possibile attivare il campo di forza anche in modo manuale, tramite alcuni pulsanti posti dietro lo scudo, al fine di plasmarne il raggio d’azione entro cui lo scudo deve agire.

Nella modalità –ombrello-  il campo di forza copre un’intera area di un diametro fino a venti volte quello dello scudo (come utilizzato da Aristomene contro la prima pioggia di frecce).
Oppure nella modalità intensiva il campo di forza viene caricato in termini di densità, e quindi di spinta (come utilizzato da Aristomene per balzare in aria raggiungendo l’uomo falco).

A seconda di quanto viene caricato, il tempo di recupero può aumentare.
Oppure è possibile concentrare il campo di forza in una sfera e spararla come fosse un proiettile. L’impatto è devastante ma la gittata è scarsa.

 Lo scudo è composto di kevlar e altri materiali super-leggeri ed estremamente resistenti che guadagnano in usabilità.  È progettato anche per essere lanciato. Lo scudo per risultare ancora più letale attiva automaticamente un campo di forza rotazionale attorno alla sua circonferenza, che lo rende estremamente affilato. Dopo una certa distanza, lo scudo torna indietro come un boomerang.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: Aimondev