Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: SoltantoUnaFenice    19/11/2014    2 recensioni
Non tutto ciò che è accaduto ne "Il giorno dell'incertezza" ha trovato soluzione: una serie di storie, ognuna dedicata ad un personaggio, per chiudere un po' di discorsi rimasti in sospeso.
Nota: anche se inizialmente avevo pensato questa storia come una serie di drabble autoconclusive, alla fine il tutto è in ordine cronologico e parzialmente collegato, così ho deciso di non classificarla come "raccolta".
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A svegliarlo era stata una serie di battiti cardiaci accelerati, seguiti dalla sensazione di non riuscire a respirare bene. Quando era teso come in quel momento, sembrava che tutta la pressione gli si scaricasse sul torace e lo bloccasse come una tenaglia: era costretto a fare due o tre lunghi respiri prima di riuscire a rilassarsi e togliersi quella sensazione d'oppressione.
Era come ansia divenuta fisica, e questa volta non nasceva da brutti pensieri o preoccupazione. Stavolta, da quando era rientrato da Tokyo, Ryo si sentiva come se tutto il suo malessere avesse a che fare più con il corpo che con la mente. O forse, più ancora con quella zona di sé stesso che era per metà corpo e per metà yoroi. Quella terra di nessuno sulla quale aveva sempre la sensazione di non avere il completo controllo.
Si mise a sedere e si guardò attorno: non si stupì di vedere che anche quella mattina Byakuen non era lì.
Il ritorno dell'armatura bianca aveva sicuramente cambiato molte cose; anche se non l'aveva ancora indossata, se non per il breve istante in cui l'aveva assorbita, Ryo era pronto a scommettere che il ritorno della Kikoutei avesse risvegliato anche un altro fantasma che era scomparso nella larga pianura africana, quando tutte le vecchie yoroi erano andate distrutte.
In tutti quegli anni si era chiesto più volte se kokuenoh si fosse davvero dissolto o se fosse rimasto sopito all'interno dell'animo di Byakuen, in attesa di essere risvegliato ancora.
Il comportamento della tigre era già un buon indizio su quale fosse la risposta: spariva spesso, sfuggiva alle sue attenzioni... così come lui faticava ad abituarsi alla kikoutei, anche Byakuen sembrava stesse cercando un nuovo equilibrio.
Ryo si diresse verso il bagno, si sciacquò velocemente il viso, si sfilò il pigiama ed indossò una maglietta ed un paio di vecchi jeans sformati. Era metà maggio, e l'estate sembrava già alle porte.
Si affacciò al balcone della sua camera, cercando di scorgere la candida figura dello spirito tigre tra il verde scuro degli alberi. Anche quella mattina si era svegliato praticamente all'alba, aveva ancora almeno un'ora libera prima di andare al lavoro.
Senza rendersene contò, sposto i propri pensieri sui suoi nakama. Di certo a quell'ora c'era almeno un altro di loro che aveva già lasciato il tepore del futon: Seiji era abituato a svegliarsi sempre molto presto, ma tutta l'ansia che lo stava tormentando aveva reso anche Ryo piuttosto mattiniero.
Quando aveva vestito per la prima volta l'armatura dell'imperatore splendente, più o meno venticinque anni prima, era stato tutto diverso. Erano agli sgoccioli di una battaglia disperata, ormai convinti di non avere i mezzi per fermare davvero Arago.
Era apparsa quella armatura dal potere immenso, e lo avevano preso come un dono insperato e decisivo. Tutto ciò che era accaduto dopo era stato un susseguirsi frenetico di eventi, sempre più pericolosi e difficili.
Usare la Kikoutei era divenuto subito necessario e naturale, e non si erano fatti molte domande; non ne avevano avuto il tempo, e forse nemmeno la maturità.
Ma ora era abbastanza vecchio da sapere cosa comportava un'arma come quella, cosa poteva divenire, e cosa poteva scatenare. Per lui, che desiderava soltanto un'esistenza semplice – non facile, a quello si era rassegnato da tempo – e lontana dal clamore e dal mondo, racchiudere in sé qualcosa dal potere così immenso era una condanna.
Se si fermava a pensare davvero al potere distruttivo dell'Imperatore Splendente, la responsabilità di cui era stato investito lo faceva sentire sul punto di soffocare.
Fu riscosso dai propri pensieri da passi alle sue spalle.
“Sei già sveglio? Non sono nemmeno le sei e mezza.”
“Ryo si voltò verso suo padre. Indossava ancora il pigiama, ma si poggiò alla balaustra accanto a lui, osservando il bosco alle spalle della casa.
“Scusami, mi spiace se ti ho svegliato.”
“Alla mia età si prendono i ritmi dei bambini, sai? Si va a letto presto, e ci si sveglia ancor prima. Ma tu sei sempre stato come un gatto, questo non è orario per te... C'è qualcosa che non va?”
“Niente di grave. Sono un po' teso, forse. Vedrai che mi passerà presto.”
“Ryo, siamo tornati da Tokyo da più di un mese, ormai, e non mi pare che tu sia a posto. Dopo quello che è successo, non credi che sia inutile cercare di tagliarmi fuori da queste cose?”
“Non voglio tagliarti fuori.”
Ma non voglio nemmeno dirti che la tua camera confina con l'equivalente di cento bombe atomiche.
“E' successo qualcosa dopo che sono tornato a casa? Tu e i tuoi amici avete avuto dei problemi?”
Ryo sospirò, cercando un modo di aprirsi almeno un po', ma senza svelare ciò che davvero lo preoccupava.
“Hai... Hai mai avuto la sensazione di avere una responsabilità molto più grande di te? Più grande di quanto tu sia in grado di gestire?”
L'uomo si fermò un attimo a pensare. Non sembrava stesse cercando un ricordo, quanto piuttosto che stesse decidendo se parlarne o meno.
“Una volta, molti anni fa, mi trovai in una situazione in cui non riuscivo a decidere cosa fosse più giusto. - Ryo si volse completamente verso di lui, aspettando che continuasse. - Mi trovavo in Sud America, in una zona tormentata da scontri e guerriglia.”
“Sei stato un fotografo di guerra?”
“No... Ero lì con una spedizione scientifica, come sempre. Quando eravamo partiti la situazione non era preoccupante, ma nei mesi in cui eravamo là precipitò velocemente. In quei giorni stavamo discutendo se tornare a casa o meno, quando per caso assistetti ad una azione di rappresaglia in un villaggio, e feci diverse foto. Ero praticamente paralizzato dalla paura, ma scattare quelle foto fu quasi un gesto automatico. La sera, al campo, mi ritrovai a svilupparle e a chiedermi cosa avrei potuto fare. Volevo denunciare quegli uomini, e ne parlai con la nostra guida.”
Ryo annuì.
“Ma lui mi disse che il militare che compariva nelle mie foto e che aveva ordinato l'attacco al villaggio era un elemento chiave di un equilibrio che si stava appena formando tra le parti, e che se lo avessi fatto arrestare l'equilibrio si sarebbe rotto, e la pace si sarebbe allontanata ancora di più. In sostanza, anche se in nome della giustizia, avrei fatto più male che bene.”
"Come è possibile che un uomo come quello potesse contribuire alla pace?"
"Oh, quel bastardo non era interessato e porre fine agli scontri, ma soltanto ad accrescere il suo potere. Tuttavia la sua scalata stava accentrando su di lui parecchie forze: alcuni si univano a lui, altri lo temevano. In un modo o nell'altro, si creava una situzione più semplice e stabile."
“Quindi hai lasciato che rimanesse impunito?”
“Ero davvero combattuto. Per quel che ne sapevo, la nostra guida poteva avermi mentito, magari era dalla loro parte. Mi arrovellai a lungo, senza parlarne con nessuno per paura di essere condizionato dalle persone sbagliate. Vedevo nemici ovunque. Ma alla fine mi resi conto che non conoscevo la situazione di quel paese abbastanza da prendere da solo una decisione, e capii che dovevo farmi aiutare. Chiedendo in giro, con molta cautela, riuscii a venire in contatto con una associazione umanitaria che operava più a sud.”
“E cosa ti dissero?”
“Purtroppo mi confermarono quello che mi aveva detto la guida. Uno di loro mi chiese di fidarmi di lui. Si fece consegnare le foto, e mi promise che ne avrebbe fatto buon uso.”
“E gliele hai date? Cosa ne ha fatto?”
“Sì, gliele ho date. Sono tornato in Giappone, e per molto tempo non è accaduto nulla. Seguivo la politica di quel pezzo di mondo per capire se avevo sbagliato a fidarmi. Non solo quell'uomo era ancora libero, ma aveva fatto carriera nell'esercito e acquisiva sempre più potere. Mi sentivo un vero idiota.”
“Non avevi più i negativi?”
“Li avevo. Li ho ancora, in realtà, ma avevo fatto una promessa e non volevo ancora infrangerla. Poi, dopo tre anni, venni a sapere che lo avevano arrestato: i giornali erano pieni delle mie foto. Il mio amico aveva aspettato che le cose fossero a posto, e poi aveva mantenuto la sua promessa.”
Ryo rimase a fissare il padre, che aveva concluso il proprio racconto, e sembrava preda dei ricordi.
Il viso era malinconico, ma sorrideva.
“Non mi avevi mai raccontato questa storia.”
Lui scrollò appena le spalle.
“L'importante è che tu abbia colto la morale.”
“Che sarebbe?”
“Non andare a lavorare in zone di guerra.”
“Papà!”
L'uomo rise, poi si fece di nuovo serio, e posò una mano sulla spalla di Ryo.
“Dai, scherzavo. La morale è: se pensi di non farcela da solo, lasciati aiutare.”
Ryo annuì, serrando le labbra. Non era il tipo di risposta che voleva sentire.
“I tuoi amici non possono aiutarti in questo? Condividono la tua stessa battaglia, no?”
Ryo sospirò.
“Questa volta no. Questa cosa è soltanto mia. Non può essere diverso.”
Il signor Sanada serrò le labbra, in un gesto simmetrico a quello del figlio. Anche questa era una risposta che non voleva sentire.

  
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