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Autore: Son of Jericho    22/11/2014    1 recensioni
Certe volte, senza saperlo, ci ritroviamo a tenere in mano il destino delle persone.
E anche se è molto più grande di te, è in quei momenti che devi chiederti se davvero hai la forza di fare la cosa giusta.
Perché nessuno ha mai detto che certe decisioni siano semplici o indolori.
[dal testo]
Quante volte avete sentito o letto la frase: "sembrava una mattina come tante, ma ancora non sapevo che sarebbe successo qualcosa che mi avrebbe sconvolto la vita"?
Tante, ne sono certo, eppure... quella fu davvero quel genere di mattina.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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II

 

Sono innamorato di Arianna”.

A dire la verità, mi ci volle un po' per metabolizzare quella notizia e riprendere il pieno controllo delle mie facoltà cognitive. E a voler essere proprio franco, la prima sensazione che ricordo di aver provato fu quella di stare per cadere dalla sedia.

Stetti a fissare Mario per dei secondi, sbalordito, con la bocca che non voleva saperne di richiudersi, e come colpito da un fulmine a ciel sereno.

Poi mi resi conto che non potevo rimanere in quella posizione da cartone animato per sempre, e mi voltai verso Arianna, cercando di non farmi notare.

E in effetti, come potevo dar torto a quel povero diavolo di Mario?

Arianna era una bellissima ragazza, dal fisico atletico, lunghi capelli corvini e sguardo magnetico. Era sempre dolce, gentile, solare, brillante, e se avesse indossato anche un solo gioiello, sarebbe assomigliata ad un vero e proprio tesoro. Senza dubbio poteva essere definita, pur con tutto il rispetto per Lorena, la più affascinante dell'ufficio.

E non mi sorprendeva che, specialmente in un ambiente come quello, Mario si fosse innamorato di lei.

Ma io, per l'amor del Cielo, che c'entravo?

Stavo ancora guardando Arianna pensando a questo quando Mario, come se mi avesse letto nel pensiero, mi riportò al presente.

- Ho bisogno di un favore. -

Ah beh, così era molto più chiaro. Quasi all'improvviso mi ritrovai in difficoltà persino ad articolare un'intera frase. - Cosa? -

- Oggi voglio dirglielo. -

Ecco.

Riflettendoci, però, dovevo riconoscergli che aveva avuto una buona intuizione. L'assenza del “super capo” gli faceva buon gioco, perché permetteva di avere molte meno rogne in mezzo ai piedi, e regalava all'ambiente un clima molto più calmo e tranquillo. In questo modo lui avrebbe sfruttato questa serenità per farsi avanti, sperando ovviamente per il meglio.

D'accordo, ma tutto questo, continuavo a chiedermi, che aveva a che fare con me?

Per la seconda volta in pochi istanti Mario, che per l'occasione sembrava aver sviluppato poteri da chiaroveggente, parve comprendere i miei pensieri, e rispose senza che io dovessi formulare alcuna domanda.

- Mi serve il tuo aiuto. -

Stavamo salendo la scala lentamente e un gradino alla volta, con Mario che andava avanti a frammenti di frase, ma anche se la cosa cominciava a darmi sui nervi, forse c’eravamo.

Fece un cenno con la testa, esattamente come aveva fatto poco prima Edoardo verso l’ufficio del capo, e indicò il mio computer.

Perché ora voleva tirare in ballo anche lui?

Nei minuti successivi Mario iniziò a spiegarmi nei dettagli il suo piano, infondendoci la stessa intensità di un generale che illustra alle proprie truppe in guerra la strategia per attaccare. Ogni passo era valutato nei minimi particolari, ogni tipo di variabile calcolato, ogni movimento coordinato, ogni tempistica sincronizzata al millesimo. Si vedeva che ci aveva studiato parecchio sopra, che ci aveva dedicato del tempo, speso dei giorni, magari anche delle notti. Quello non era il proposito di uno che da un giorno all’altro si mette in testa di avere una determinata ragazza. Lì c’era qualcosa di più.

Chissà quanto tempo era che Mario era innamorato di Arianna.

Lui continuava a parlare e io, da brava recluta, stavo ad ascoltarlo senza interromperlo. Eppure… posso essere sincero?

Ero convinto che non avesse alcuna possibilità con lei.

Più lo sentivo parlare, e meno riuscivo a condividere la sua fiducia. Voglio dire: lei, elegante e colta, camicetta bianca, gonna nera, e pettinatura fresca di parrucchiere; lui, maglietta rossa sgualcita raffigurante lo stemma di un'azienda fornitrice ormai fallita, pantaloni verde marcio macchiati di qualche strana sostanza, a nascondere le ginocchia martoriate dagli anni passati a lavorare in fabbrica, e capelli unti e in disordine.

Anche a costo di sembrare una carogna, ma oggettivamente, quante probabilità avrebbe potuto mai avere?

Quante chance c'erano che una segretaria, ma soprattutto una ragazza di quel livello, potesse “accontentarsi” di un umile operaio?

Quel che era certo era che io non avrei detto nulla, Mario era un mio amico e non volevo affossare la sua euforia o le sue nobili intenzioni. Purtroppo, però, era così che la pensavo.

Ma forse, riflettendoci oggi, fu proprio perché la ritenevo un’impresa impossibile che, ad un livello di pensiero più o meno consapevole, decisi di non rifiutare. In fondo sarebbe stata una “missione suicida” per lui, non per me. Avrei lasciato andare Mario da solo incontro ad un fallimento annunciato, mentre io mi sarei limitato ad essere il semplice braccio operativo.

E infatti, in quanto tale, poco dopo entrai in azione. Preparai quello che dovevo al computer, seguendo le direttive, le intuizioni e le idee di un Mario sempre più teso, e con la testa sempre più a ciò che sarebbe accaduto e a ciò che voleva accadesse.

Quando la mia creazione fu pronta, mezz’ora dopo, arrivò per me il momento di alzarmi da quella sedia e farmi da parte.

Il piano stava per cominciare.

Raggiunsi la parte opposta dell’ufficio, rimanendo quasi nascosto dietro una scrivania vuota, e fingendo di essere impegnatissimo con fascicoli e documenti della massima importanza. In pratica, quello che faceva il mio capo tutti i giorni, ma questa è un’altra storia.

Da lontano, saranno stati circa una decina di metri, vidi Mario prendere il mio posto davanti al desktop, per poi aprire il file che avevo creato per lui. E soprattutto, per Arianna.

- Arianna, puoi venire un secondo? - La chiamò, balbettando anche qualche sillaba.

Lei si avvicinò a quella che fino a pochi attimi prima era stata la mia postazione di lavoro. - Che c’è? -

Mario le indicò il monitor e, con una credibilità che rasentava quella di un politico beccato a intascarsi fondi pubblici, cercò di simulare dei gravi problemi con l’uso del computer.

Ma ad ogni modo, convincente o meno, aveva gettato l’amo.

Ciò che i due stavano guardando sullo schermo era una sorta di, perdonate la parola ma in questo caso è d’obbligo, moderno “Cavallo di Troia”.

Sfruttando uno dei tanti software avevo realizzato un database fasullo relativo a delle movimentazioni fittizie di magazzino, vuoto alla prima apparenza, ma in realtà contenente un’enorme sorpresa per Arianna.

- Mi potresti aiutare a compilarlo? - le chiese Mario, mostrandole i vari campi ancora da riempire.

Arianna si guardò intorno, non del tutto convinta. - Io però avrei un po’ di cose da fare. Non puoi chiedere a qualcun altro? -

Vidi Mario tentare di superare questo primo ostacolo aggrappandosi sugli specchi con la stessa noncuranza di un liceale all’interrogazione di latino per la quale non ha preso il libro nemmeno per dormirci sopra. Ricorse allora alla storia di background sul magazzino che avevano stabilito per dare un briciolo di veridicità a quel database.

- Tu sei l’unica che conosce le dinamiche del magazzino di là. - falso come una banconota da otto euro. - E poi ho bisogno di qualcuno che sappia usare il programma dei database. - Falsissimo come una Gioconda dipinta dal fornaio sotto casa.

Mentre Arianna si guardava ancora intorno alla ricerca del sottoscritto, perché dopotutto quello era il mio computer e non si spiegava perché io fossi scomparso lasciando quel disgraziato di Mario a fare a pugni con un database vuoto (per giunta), io mi accovacciai ulteriormente, come un soldato in trincea, fino a lasciare scoperta solo la fronte al di sopra del piano della scrivania.

Alla fine, non vedendo né me né alternative, Arianna accettò, un po’ per gentilezza e un po’ per sfinimento.

La prima fase, l’abbordaggio, era così andata in porto.

Ma adesso veniva il bello, e io potevo soltanto immaginare quale marea di pensieri potesse scorrere incontrollabile nella testa del mio amico.

Il piano proseguì per la sua strada, con Mario che iniziò ad inventarsi delle fantomatiche uscite o entrate di magazzino per permettere ad Arianna di scrivere qualcosa in quel database, aumentando il livello di assurdità ogni volta che lei scendeva di un campo.

Perche ad ogni campo il cuore batteva sempre più forte, e perché fu uno di questi, il 12 per la precisione, a cambiare tutte le carte in tavola. Anzi, per meglio dire, a rovesciare il tavolo e a far volare via tutte le carte che c’erano sopra.

Sotto lo sguardo ansioso, nervoso, agitato e a tratti pure spiritato di un Mario che pareva aver perso anche la capacità di respirare, Arianna arrivò finalmente al fatidico campo numero 12. E quando lo fece, al posto della casella di testo vuota, scoprì che c’era già qualcosa scritto dentro.

Era giunto il momento. Una frase.

AriTiAmo”.

E fu un attimo. Il silenzio si abbatté pesante come una scure sulla stanza, mentre una cappa di fumo invisibile sembrò avvolgere l’atmosfera intorno alla mia postazione, isolandola e tagliandola fuori da tutto ciò che la circondava.

Io mi rialzai dalla mia posizione, rimanendo comunque ad osservare la scena a debita distanza. E per un secondo mi sentii anch’io isolato.

Fu come assistere a un fermo immagine: lei continuava a fissare ipnotizzata quella manciata di lettere che l’aveva lasciata senza fiato, mentre lui continuava a fissare lei, con un sorriso difficilmente descrivibile, in attesa di una sua qualsiasi reazione.

Reazione che non arrivò.

L’ufficio era stato messo letteralmente in pausa, nell’aria non volava una mosca, quei due non si muovevano di un centimetro e anch’io restavo immobile a guardarli, senza nemmeno accorgermi del tempo che passava.

Fino a che, quasi per caso, l’occhio non mi cadde sull’orologio appeso alla parete dell’ufficio, che come se volesse chiamare un time out, indicava come l’orario di lavoro fosse terminato per quella mattina.

Era l’ora della pausa pranzo, per l’immensa gioia di Sandro.

Dopo aver fatto scorrere via i miei colleghi, Lorena, Sandro ed Edoardo, lentamente e senza fare rumore mi allontanai dal mio appostamento, voltando le spalle alle due statue di Mario e Arianna, e dirigendomi verso l’uscita.

E mentre camminavo, mi rendevo conto di essere sempre più sicuro di una cosa, e cioè che prima o poi il ghiaccio intorno ad Arianna si sarebbe sciolto, e allora Mario avrebbe ricevuto quello che doveva: un secco, deludente, amaro e irreversibile rifiuto.

Un rifiuto che forse lo avrebbe distrutto, ma che come ho già detto, non sarebbe stato un mio problema.

Mi voltai un’ultima volta verso di loro prima di attraversare la soglia, e chiudermi la porta alle spalle.

Era così che doveva andare. Sì, era così che doveva andare.

Ne ero certo.

La lezione, per quanto semplice, che quel giorno avrebbe insegnato è che non sempre si riesce ad ottenere quello che si desidera, e che quando le cose prendono una piega esattamente opposta a quella che speriamo, a noi non resta che incassare il colpo e realizzare che non siamo abbastanza forti per sostenere e orientare da soli il destino di ogni persona.

 
 
   
 
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