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Autore: virgo78    26/11/2014    3 recensioni
-Se ne è andato!- la ragazza cadde sulle ginocchia, grosse lacrime rigarono il suo viso roseo. Il vento gelido della Siberia portò lontano il suono di quelle parole. Una calda mano si poggio sulla sua spalla destra, Maia alzò lo sguardo verso il suo maestro – lo rivedrai… Cristal ha terminato il suo addestramento – disse l’uomo scrutando l’orizzonte come se cercasse qualcosa- e a te manca poco, poi lo rincontrerai.- le sorrise guardandola negli occhi celesti ancora umidi di lacrime, la ragazza annuì e si alzò da terra. Maia si avviò verso la casetta che per tanti anni aveva condiviso con il suo compagno d’armi, ora avrebbe affrontato da sola l’ultima prova…
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VIII
 
Freddo... freddo che s’insinuava nelle parti più piccole del suo corpo. Le braccia, non le sentiva più tant’erano intorpidite dalla posizione scomoda in cui si trovava. Ambra cercò di muovere le dita affusolate, anchilosate dal gelo. Grazie alla sua cultura in fatto di cimeli del passato, era riuscita ad analizzare il luogo in cui si trovava prigioniera. Doveva essere un’antica prigione a giudicare dalle numerose crepe presenti sui muri. Ambra le aveva toccate con meticolosità, anche se aveva le mani legate dietro la schiena. Al suo risveglio, dopo che i suoi occhi si erano abituati alla penombra della cella, si era ritrovata con il corpo fasciato da un abito bianco; il taglio era quello che le antiche sacerdotesse greche utilizzavano per le cerimonie religiose. Aveva qualcosa sul capo, doveva essere una tiara a giudicare dalla pesantezza e, anche le braccia erano adorne con pesanti bracciali. Sorrise, doveva apparire come uno spaventapasseri così addobbata. Shido l’avrebbe definita così...
Shido... ragazzi... dove siete”invocò mentalmente. L’ultimo ricordo che aveva era quello di quei guerrieri con le armature nere come la notte senza stelle, uno di essi l’aveva colta di sorpresa alle spalle. Lei aveva urlato ma poi la vista si era annebbiata. Rammentava solo l’odore di cloroformio e poi nulla. Si era risvegliata in quel posto umido che sapeva di muffa. Non sapeva da quanto era lì. La prigione doveva essere situata sotto terra a giudicare dal buio e dal grado di umidità. Alzò gli occhi al soffitto scuro, sospirò.  Poi lo sguardo divenne deciso; non si sarebbe abbattuta, i suoi amici sarebbero andati a riprenderla. Si alzò dalla panca di legno e si avvicinò alle grate della cella. Socchiuse gli occhi cercando di visualizzare meglio l’ambiente esterno ma, il rumore di passi proveniente dal fondo del corridoio buio la fece indietreggiare. Toccò il muro con le mani e rimase in quella posizione, come se questo potesse renderla tutt’uno con l’ambiente. Chiunque fosse si stava avvicinando e doveva essere un guerriero; il rumore metallico a contatto con il pavimento di pietra era un suono inequivocabile. Il lieve bagliore di una torcia illuminò parte del viso del suo aguzzino.
- Non ti servirà a nulla appiattirti contro la parete!- le parole furono seguite da una risata tonante.
La voce, quel tono, era l’uomo che li aveva attaccati. Ambra non rispose.
Lo scatto della chiave nella serratura le fece capire che era arrivato il momento.
Il gigante la afferrò per un braccio. Ambra ebbe un sussulto a quel contatto e provò a opporre resistenza ma, il freddo le aveva congelato le carni e la presa forte di quell’uomo le faceva male. Cercò di liberarsi, ma il guerriero serrò la presa avvicinandola di più al suo possente corpo.
- Quasi quasi mi dispiace non poterti avere per me bocconcino.-
Le sussurrò all’orecchio. Ambra rabbrividì; non riusciva a emettere una parola, un suono. Il terrore aveva preso il sopravvento. Lei che non si era piegata neanche al Signore del male nelle vesti di Arago, ora non riusciva a reagire. Il guerriero la prese di peso e se la caricò sulle spalle come se fosse un fuscello. La ragazza sentì lacrime calde scivolargli lentamente sulle gote. “ Amici”, implorò mentalmente. Uscirono dalla cella avviandosi lungo il tetro corridoio. Il fuoco flebile della torcia che Kratos teneva nell’altra mano, creava giochi d’ombre che rendevano l’ambiente ancora più cupo. Ambra si guardò intorno approfittando scarsa illuminazione. Non si era sbagliata, erano delle segrete quelle. Aveva contato circa quattro celle, dentro però non c’era nessuno. L’uomo, con il suo prezioso bottino, iniziò a salire dei gradini. Man a mano l’architettura circostante cambiava, un bianco marmo faceva capolino sulle pareti. Alla fine della scalinata, due colonne in stile dorico sorreggevano l’entrata in altro ambiente. Kratos varcò la soglia e Ambra dovette chiudere gli occhi a causa della luce intensa.
- Siamo arrivati bellezza.-
Kratos la rimise a terra tenendola saldamente per un braccio. Ambra sollevò lentamente le palpebre, aveva quasi paura di sapere cosa si sarebbe trovata di fronte.
Rimase estasiata e, al contempo, spaventata da quello che gli si parò davanti. L’interno di un tempio greco, come quelli che tante volte aveva ammirato fra le pagine dei suoi libri, sembrava essere stato riprodotto alla perfezione. Lungo le pareti scorrevano in fila delle colonne di marmo che sorgevano da alti basamenti decorati. Sul fondo della stanza si ergeva su un piccolo podio la statua di Ares. La scultura ritraeva il Dio della guerra con indosso un’armatura di fattura spartana ma, sembrava incompleta era come se a quell’antico monumento mancasse qualcosa. Rapita da quello scenario Ambra, non si era accorta degli otto guerrieri inginocchiati in segno di devozione ai piedi della scalinata che precedeva la statua di Ares. Se ne rese conto quando uno di essi si stacco dalla fila immobile per andarle incontro. Il giovane guerriero indossava un’armatura nera che, alla luce delle torce dell’ampia stanza, assumeva riflessi rossi come sangue liquido. I corti capelli castani scuri, incorniciavano un viso spigoloso in cui erano incastonati occhi blu come il mare in tempesta. Ambra si sentì in soggezione sotto quello sguardo. Quel ragazzo poteva avere la sua età ma il portamento e l’austerità della sua figura lo rendevano più maturo.
- Pensavo che non saresti più arrivato. – Fece abbozzando un sorriso.
- La nostra principessa ha cercato inutilmente di porre resistenza.- Fece burbero Kratos.
Poi guardando oltre le spalle del compagno disse:
- E’ tutto pronto Phobos ? –
Phobos ripeté mentalmente Ambra. Dove aveva già sentito quel nome. Cercò di focalizzare quanto aveva appreso negli anni sulla mitologia classica, poi un flash. Phobos era uno dei figli di Ares, era conosciuto come la divinizzazione della paura in battaglia. Ambra indietreggiò di un passo, dinanzi a chi si trovava? Divinità, anche se minori, erano divinità e, lei cosa avrebbe potuto. Nulla, si rispose. Lo sconforto prese il sopravvento, in un gesto disperato si girò di spalle e cercò l’unica via d’uscita che si parava davanti. Non fece in tempo a raggiungere le scale che conducevano alle segrete dove era stata rinchiusa che, la forte mano di Kratos la bloccò per un braccio.
- Dove vai principessa – fece con un sorriso malefico il gigante – non vorrai fare attendere ancora il nostro Signore –
- Lasciala Kratos – lo ammonì Phobos.
Il guerriero lo guardò di traverso e lasciò, di controvoglia, il braccio di Ambra. Il giovane prese la mano di Ambra:
- Non temere, non ti sarà fatto alcun male.-
Ad Ambra venne da ridere; lui il Dio della paura chiedeva ad Ambra di non averne. Tuttavia seguì obbediente Phobos, era come se non riuscisse più a controllare i suoi movimenti, quell’uomo sembrava averla soggiogata. Percorse con Phobos l’intera stanza passando in mezzo ai guerrieri che si erano spostati al loro passaggio. Salì lentamente i gradini che conducevano alla statua del Dio della guerra ai piedi del quale era stata posta la spada rubata al museo di Tokio. Lì s’inchinò come la più fedele delle seguaci; la sua mente urlava ma il suo corpo non le ubbidiva. Cosa le aveva fatto quel cavaliere, Samurai! La sua supplica non sarebbe stata udita da alcun orecchio perché le sue labbra non riuscivano a muoversi. Ambra prese la spada fra le mani, il sigillo di Atena era ancora apposto sul fodero. Strappò quell’antica pergamena e sfoderò l’arma che parve vibrare fra le sue mani. Il tempo non aveva scalfito la lama di quell’antico monile; la spada vibrò nuovamente assetata di sangue che dai tempi del mito non beveva. Ambra non esitò, fece passare il filo della lama sul palmo della mano. Lacerò le carni, ma sembrò non provare dolore. La spada lambì quel fluido vitale, se né nutri e parve diventare di fuoco. Lentamente Ambra, sentì le forze venirle meno. Tutto intorno al lei si fece sfocato, stava perdendo i sensi consapevole del fatto che lei aveva risvegliato il Dio della guerra. La stanza s’illuminò a giorno, fu invasa da una forza che parve schiacciarla. Gli occhi si riempirono di lacrime Amici perdonatemi, urlò nella sua mente. Poi tutto divenne buio, ad accompagnarla in quel sonno forzato furono le urla di vittoria dei cavalieri schierati agli ordini del loro Signore. Ares Dio della guerra era tornato.
***
Un’onda d’urto che la piegò in due. Isabel si ritrovò in ginocchio ansante a fissare il bianco marmo del balcone adiacente alla sala del trono. La fronte imperlata di sudore, non riusciva a respirare, come se una morsa invisibile la teneva prigioniera.
“ Sorella mia, sei magnifica nelle spoglie umane che hai scelto per reincarnarti”.
La voce profonda di Ares la raggiunse mediante il suo cosmo. Isabel si sollevò piano, facendo leva sullo scettro di Thule in cui cercò sostegno con entrambe le mani.
“ Sei tu dunque Ares. E’ tuo il cosmo che aleggia da giorni sulle terre di Grecia”. Rispose mentalmente al suo interlocutore.
“ Non mi avevi riconosciuto? Tutto ciò mi rammarica! Sei cosi vicina agli uomini ormai da non riconoscere un Dio ?” . La sbeffeggiò Ares.
“ Che cosa vuoi da me? Perché ti sei ridestato da un sonno durato secoli in cui io ti avevo confinato?”. Domandò la Dea.
 “Per riprendermi ciò che è mio di diritto! La vittoria sugli uomini”. Una risata fragorosa rimbombò nelle orecchie di Atena. Isabel si levò in tutta la sua fragile statura. Il suo corpo fu circondato da un alone dorato, segno del suo potere. Poi a voce alta urlò:
- Tu non avrai ragione degli uomini finché io avrò un alito di vita! Tu non vincerai Ares. –
La risata di Ares divenne più forte:
“ Lo vedremo cara sorella! Mi riprenderò ciò che tu mi portasti via nella notte dei tempi e, non mi riferisco solo alla supremazia sulla Terra!”.
Poi il cosmo di Ares si fece più aggressivo; il rosso alone del sangue che accompagna le guerre, la circondò in un abbraccio soffocante. Atena cercò di contrastarlo ma, quando la morsa si allentò, si ritrovò esamine a terra. Nelle orecchie udiva ancora la risata malefica del Dio. Il cosmo di Ares si era ritirato, ma l’aveva lasciata priva di forze.
In quel momento arrivò Pegasus, richiamato dalla richiesta di muto soccorso della sua Dea.
-Atena!- urlò.
Si era aspettato di trovare anche gli altri ma c’erano solo lui e Isabel che giaceva a terra.
La prese fra le braccia e si guardò attorno, come a cercare il responsabile della sofferenza di Atena. Poi guardò la ragazza; bianca in volto portava i segni dello sforzo fatto fra i lineamenti del viso.
Avrebbe voluto portarla lontano da quel posto, lontano dal nuovo nemico che incombeva come un’ombra sul grande tempio ma, lei era Atena. Lei era le Dea a cui lui doveva obbedienza, la Dea per cui avrebbe dato la vita. La Dea ... non la fanciulla che si era trasformata in una splendida donna.
- Perché... - sussurrò.
- Pegasus – la flebile voce di Atena lo riportò alla realtà.
- Non affaticarti Isabel, ti riporto dentro. Non posso lasciarti un attimo sola che ti cacci ne guai – Si avviò verso l’interno della sala del trono. Evitò di guardarla si sarebbe perso nel profondo dei suoi occhi. Per poco non andò a sbattere contro il pettorale dorato di Virgo. Il cavaliere della sesta Casa era comparso dal nulla.
- Mi farai prendere un infarto una di queste volte! – gli urlò quasi contro.
- Non sono abituato a farmi annunciare con trombe e tamburi – rispose secco il cavaliere. Poi spostò il suo sguardo cieco su Atena, stretta fra le braccia di Pegasus.
- Milady – fece dolce – il cosmo che ho avvertito, anche se mi è giunto ovattato come se volesse nascondere a noi cavalieri la sua presenza, era quello di... –
- Ares – terminò la frase Lady Isabel.
- Pegasus – fece dolcemente rivolta al cavaliere che la teneva fra le braccia – riesco a stare in piedi da sola.-
Titubante il cavaliere la rimise delicatamente a terra, continuando a fissarla per accertarsi delle sue reali condizioni.
Poi si rivolse a Virgo:- Perché nessuno si è accorto di questo Ares? – domandò.
Il cavaliere dorato lo guardò alzando un sopraciglio. Quell’uomo gli metteva i brividi, un pensiero che ripeteva a tutti gli altri cavalieri dai tempi della scalata alle dodici case.
- Questo “Ares” – lo canzonò Virgo – è il Dio della guerra ingiusta. L’antitesi di Atena, per intenderci. Credo sia stata una cosa fatta di proposito, probabilmente non voleva interferenze nel suo dialogo con Atena. – terminò la frase guardando la Dea.
Isabel annuì, ma la sua mente tornò alle parole di Ares:
 “Mi riprenderò ciò che tu mi portasti via nella notte dei tempi e, non mi riferisco solo alla supremazia sulla Terra!”.
A cosa si riferiva. Che cosa voleva portarle via il Dio della guerra. D’istinto strinse lo scettro di Thule.
- Perché noi lo abbiamo avvertito ?- fece curioso Pegasus.
- La tua vita è fatta di troppi perché mio giovane cavaliere. – fece il cavaliere della sesta casa squadrandolo con sguardo cieco -Eravamo più vicini fisicamente ad Atena in quel momento -.
Punto sul vivo, Pegasus stava per controbattere ma Lady Isabel lo fermò:
- Per ora – fece mettendo la sua mano su quella di Pegasus - non farete parola agli altri di tutto ciò -
- Mah Isabel – replicò Pegasus – è giusto che glia altri sappiano... -
- Non finché non l’avrò trovato. Ares, al momento, è un cosmo fugace che ha avuto la furbizia, di essere così veloce nella sua visita da non permettermi di localizzarlo. Non possiamo creare allarmismi per una voce che parla chissà da dove. Non posso permettermi di mandarvi allo sbaraglio verso una divinità che invece sa benissimo come e dove colpire – lo ammonì Atena. Nella sua voce vibrò l’autorità della divinità che era in lei.
- Come vuoi – fece Pegasus e si avviò verso la porta.
Isabel lo segui con lo sguardo:
- Capirà- fece Virgo dando voce ai pensieri della sua Dea.
Isabel sospirò, poi si avviò anche lei verso l’uscita. Si voltò un’ultima volta prima di uscire verso Virgo:- Mi dirigo all’altura delle Stelle Virgo, che nessuno mi disturbi. Ho bisogno di alcune risposte e, mi auguro di trovarle. –
Il tono non ammetteva repliche. Il cavaliere della sesta casa chinò il capo in segno di obbedienza.
 
 

 
   
 
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